20

THX saliva in fretta la scala a chiocciola di metallo, seguito da vicino da SRT. Lì nel pozzo di manutenzione, che aveva le pareti di acciaio, i loro piedi calzati da pantofole producevano strani suoni ovattati, che rimandavano un’eco sinistra.

Anche il terzo livello era praticamente deserto. La maggior parte dell’area era occupata da riprocliniche e laboratori, installazioni dove macchine automatiche facevano quasi tutto il lavoro.

Appena uscirono fuori dal pozzo delle scale di manutenzione entrarono nel corridoio. Dall’alto, una voce registrata:

— Quest’area è riservata al solo personale autorizzato.

Ignorando l’avvertimento, THX andò a guardare la pianta generale sulla parete davanti a sé. Dalla pianta risultava che le riprocliniche erano rigorosamente classificate secondo l’ordine alfanumerico. LUH 3417 si trovava nella matrice tridimensionale della clinica 12, fila 21, sezione 8. Guardò il corridoio deserto, poi fece cenno a SRT di seguirlo.

— Siete responsabili di un’azione non autorizzata. Manuale di procedura controllo F-quarantacinque. Questa è un’area riservata doppia-A. Restate dove siete.

Il corridoio terminava in un’ampia area aperta piena di tavoli mortuari disposti in file parallele, su cui erano posati dei cadaveri. Tutto era immerso in una luce azzurrognola, fredda e sinistra.

— Antibatterica — mormorò SRT.

— Violazione! Personale non autorizzato non è ammesso in quest’area. Restate do ve siete. Gli agenti del Controllo stanno arrivando.

— Non abbiamo molto tempo — disse SRT.

— Lo so. — THX si incamminò fra i tavoli, diretto alla clinica 12.

SRT spalancò gli occhi, guardando i cadaveri.

— Non hanno più gli organi interni!

THX annuì.

— Guarda quello — disse SRT, indicando un corpo con un’enorme testa. — Quello dev’esser stato un genio!

«E se trovi il corpo di LUH qui?» si chiese THX.

Un’altra voce, nella sua mente, rispose freddamente: «È stata distrutta. Non usano i suoi organi. Distrutta, non consumata».

Ma non poté fare a meno di rabbrividire, e s’impose di guardare dritto, senza badare ai cadaveri.

«Distrutta. Distrutta.»

«Come?»

«Che cosa le hanno fatto? Come sono stati i suoi ultimi attimi di vita? Come hanno potuto…»

— Ehi, qua c’è uno che ha ancora gli occhi! Perché glieli avranno lasciati?

THX non poté fare a meno di girarsi a guardare il cadavere di cui stava parlando SRT.

— Oh, no! — Si sentì le ginocchia che cedevano e dovette sedersi sull’orlo del tavolo dove giaceva il cadavere.

— Stai bene? — SRT si chinò su di lui. — Vuoi qualcosa da mangiare? Scommetto che qui in giro da qualche parte c’è un po’ di cibo nascosto.

Con lo stomaco in subbuglio, THX riuscì solo a scuotere la testa.

— Be’, cosa c’è allora? Cos’è che non va?

THX si sforzò di parlare. — Lo… lo conoscevo. TWA si chiamava. Prigioniero con me. Era cieco. Ecco perché gli hanno lasciato gli occhi. Sono inservibili.

SRT si raddrizzò. — Oh.

Il nero si guardò intorno. Da molto lontano si udivano le voci fioche e inesorabili del Controllo:

— I due criminali sono entrati nel Complesso del Centro Riproduzione. Il secondo criminale è stato identificato. È cinque cinque cinque cinque, prefisso SRT. Cattura imminente.

— Totale dell’unità monetaria: milleottocentodieci, in aumento.

— Criminale evaso cinque due quattro uno, prefisso SEN, catturato. Ora sotto custodia. Spese totali quattromilatrecentosettantasette unità sotto il budget. Congratulazioni! Siate efficienti. Siate felici.

SRT storse la bocca. — Ehi, si avvicinano. Sai, sedevi fare qualche cosa qui, faremmo meglio a sbrigarci e poi a scappare. Dobbiamo ancora pensare a un posto dove poterci nascondere. Non possiamo continuare a correre all’infinito.

THX annuì e s’impose di alzarsi.

— L’ho conosciuto — mormorò ancora. — In prigione.

— Be’. se non altro i «suoi» guai sono finiti. Fra poco sarà un esagono di plastica, come tutti quanti.

— Cosa?

— È quello che fanno dei corpi. Non lo sapevi? Li trasformano nelle unità di consumo per i consumatutto. Pulito, no? Così non si sciupa niente.

All’improvviso qualcuno spalancò rumorosamente una porta da qualche parte davanti a loro. Qualcuno che entrò nella clinica fischiando orribilmente.

Preso dal panico, per un attimo THX non seppe cosa fare. Era raggelata dal terrore. Dietro di loro c’erano i robopoliziotti. Davanti a loro, che cosa?

Vide SRT dirigersi in gran fretta verso un tavolo vuoto e sdraiarcisi sopra. Per un attimo THX rimase incerto, in preda al disgusto, poi si decise e fece lo stesso.

«Stai fermo! Stai completamente fermo» si impose THX. «Occhi chiusi. Non s’batterli. Respirazione bassa, non devono vedere il tuo petto muoversi.»

Cercò di convincersi che il proprio corpo era congelato, paralizzato, morto per davvero. Il fischio si fece più vicino: un rumore rauco e orribile, rotto solo dal rumore delle pantofole che ciabattavano sul pavimento. Poi si sentì uno strano suono metallico, come di un fucile automatico. Il fischio era acuto, fortissimo, abominevole e stonato. Pum, pom, por — click-click. Pum, pum, pum — click-click!

Il rumore era ormai vicinissimo. THX avrebbe voluto dare una sbirciata, ma non osava fare il minimo movimento.

Poi i passi si fecero così vicini che capì che il fischiatore era proprio accanto a lui. Sentiva l’odore del suo antisettico, e sentiva perfino il respiro.

Qualcosa di freddo e di duro gli toccò l’orecchio sinistro. Sentì il «dolore», un dolore tremendo che gli esplose dentro l’orecchio, come se un ferro incandescente lo stesse bruciando. Saltò giù dal tavolo e il suo urlo di dolore si unì allo strillo dell’impiegato incaricato di etichettare i cadaveri.

L’impiegato si sbilanciò all’indietro e cadde sul sedere, urlando e con gli occhi strabuzzati. THX e SRT si allontanarono precipitosamente dai loro tavoli e si misero a correre lungo una fila di cadaveri che portavano tutti sull’orecchio sinistro delle targhette di metallo luccicante. Davanti a loro si profilò la serie di contenitori della Riproclinica 12. I due corsero senza fermarsi mai, finché non si trovarono all’interno della clinica, illuminata da una luce fioca.

Erano circondati da file di ventri di plastica, contenenti i feti nutriti attraverso tubi di plastica. La luce era rosso cupo e tutta l’area sembrava pulsare di quei milioni di battiti infantili, battiti di piccolissimi cuori che non riuscivano a raggiungere il livello di udibilità.

All’improvviso dall’altoparlante scaturì una voce.

— Fermi dove siete. Non potete fuggire. Tutte le uscite sono state bloccate. Arrendetevi. Siamo qui per aiutarvi. Rilassatevi. L’unico vostro nemico è la paura.

THX si incamminò lungo una fila finché arrivò a un muro bianco. Si voltò a guardare scoraggiato SRT. Intrappolati.

Poi notò che SRT aveva una targhetta di metallo cucita all’orecchio sinistro. Si toccò il proprio: anche lui ne aveva una.

— Come hai fatto a non urlare?

SRT ghignò. — Ho sbirciato. Ho visto cosa stava facendo, e ho cercato di rendermi duro come l’acciaio, di farmi forte.

In lontananza videro la faccia di un robopoliziotto resa rossa dalle luci.

— Non ci ha visti — sussurrò SRT. — Forse non riescono a vedere bene con questa luce.

— Ci troveranno.

Cominciarono a muoversi, tornando lentamente indietro. I feti parevano guardarli con i loro occhi immobili.

— Devo trovare LUH — borbottò THX.

SRT scosse la testa. — Siamo dalla parte sbagliata. Tutto qui è etichettato LS o LD.

— Devo trovarla.

— È morta — disse SRT a bassa voce. — Dimenticala!

— La bambina. La sua bambina. La mia.

— È impossibile — insistette SRT. — Impossibile.

THX si sentì gelare. Di là dalla serie di involucri di plastica vide un robopoliziotto. Camminava piano, dall’altro lato della fila e andava nella direzione opposta.

— Potete collegarvi con lui attraverso l’elettroanalizzatore? Non riusciamo a trovarlo.

SRT e THX si abbassarono e, così chini, costeggiarono la fila, cambiando direzione e allontanandosi dal poliziotto. Poi videro una porta posta in un incavo tra file di contenitori. SRT si guardò intorno per vedere se nessuno li stava osservando, quindi con molta prudenza socchiuse la porta e sbirciò dentro.

THX era accucciato dietro di lui e non vide niente. SRT si girò sorridendo. — Forza.

Strisciarono silenziosamente dentro una sala monitor. Una volta lì, si alzarono in piedi. Appena entrati le luci si accesero automaticamente. Le pareti della stanza erano coperte di schermi che mostravano file e file di feti in stadi diversi di evoluzione.

THX si guardò intorno. La stanza era larga meno di dieci passi. — Non c’è nessun’altra uscita. Siamo intrappolati qua dentro.

SRT si strinse nelle spalle e rispose: — Intanto per adesso siamo al sicuro.

— Se non c’è qualche olocamera qui che ci sta osservando.

— Uhm. — SRT si voltò e scrutò intorno alla ricerca della lente a occhio di pesce. Non avendone trovata nessuna, disse: — Immagino che osservino questa stanza solo se qualcuno si mette a manovrare i comandi.

THX guardò il tavolo dei comandi. C’era soltanto una sedia, una serie di cuffie e un microfono.

Si lasciò cadere sulla sedia, esausto. Tutti gli schermi lo fissavano con aria accusatoria. Migliaia di bambini non nati, e uno di quelli era il suo.

SRT era in piedi nell’angolo vicino al tavolo dei comandi. Si chinò e tirò via un pannello di copertura, rivelando così un complicato dedalo di circuiti elettronici. Lasciò cadere a terra il pannello di copertura.

— Uhm — disse. Toccò uno dei pannelli dei circuiti e su tutti gli schermi della stanza crepitarono le onde statiche.

— Sembra che ci sia una serie di relé, qui. — Allungò una mano verso i fili.

— Non farlo, se no…

Da un altoparlante sul soffitto venne la voce di OMM.

— Tutto va bene. Siete nelle mie mani. Vi proteggerò. Cooperate col controllo. Vogliono soltanto aiutarvi. Andrà tutto bene.

SRT diede un’occhiata al soffitto e disse: — Forse non avrei dovuto giocherellare con quella roba.

— Adesso sanno dove siamo.

— Mi dispiace.

THX sapeva che presto sarebbe stato tutto finito. Presto. L’avrebbero preso e distrutto. Il suo corpo si sarebbe trasformato in un esagono di plastica. I suoi organi interni sarebbero stati distribuiti alle masse. E sua figlia…

Prese la cuffia e se la infilò.

— Cosa fai?

Senza rispondere, THX attivò la cuffia e cominciò a manovrare i bottoni di comando sulla tastiera. Sugli schermi apparvero una dietro l’altra le immagini: i tavoli mortuari coi cadaveri sopra, i corridoi pedonali gremiti alla follia, i tram in corsa, le fabbriche sul secondo livello, le zone acquisti, il Centro Computer.

Si fermò al Centro Computer. Prese il microfono, lo attivò e se lo sistemò davanti alla bocca.

— Controllate LUH trenta quattro diciassette.

Subito una voce rispose: — Chi parla? Identificazione, prego.

— Riproclinica dodici — disse THX, cercando in fretta sulla console il simbolo d’identificazione. — Stazione DBR ventisei diciotto.

— Va bene, ventisei diciotto. Allora controllare LUH trentaquattro diciassette.

Subito sullo schermo centrale apparve un feto, così piccolo che non aveva ancora nessuna sembianza umana. Nell’angolo in basso a destra le parole:

«LUH trentaquattro diciassette. Atto sessuale. Sotto tutela dello stato. Da usare per scopi sperimentali.»

Con voce più ferma che poteva, THX disse: — Correggere lo schedario di LUH trentaquattro diciassette.

La voce piatta rispose: — Registrato. Procedere con la correzione.

Adesso sarebbe stato tutto automatico. THX lo sapeva. Le riprocliniche aggiornavano sempre i loro schedari. Se fosse riuscito a cambiare ora lo schedario di LUH, nessuno sarebbe andato a controllare per anni e anni. E allora il pericolo sarebbe ormai passato, nessuno si sarebbe ricordato. A nessuno sarebbe importato. E la bambina sarebbe stata salva.

Cercando sempre di dominare l’emozione, THX disse: — Attuale schedario sbagliato per errore dovuto a programmazione difettosa nella Riproclinica dodici. Cancellate lo schedario attuale e correggete così: «LUH trentaquattro diciassette. Naturale. Cittadina con pieni diritti. Condizione Normale».

Le parole sullo schermo scomparvero e furono sostituite dalla frase che aveva appena dettato.

— Correzione schedario completata — disse il computer.

THX annuì. — Completata.

«Ora non importa. Mi prenderanno, ma non prenderanno lei.»

Disattivò microfono e cuffia, li lasciò cadere in terra e si abbandonò sulla sedia. Poi pensò:

«Lei? Potrebbe essere un maschio.»

— Dobbiamo provare a uscire di qua — gli disse SRT.

THX si strinse nelle spalle.

— Almeno provare.

— Vai tu — disse THX. — Salvati. È me che cercano.

SRT lo scrutò da vicino. — Non vuoi vivere?

— Non me ne importa. Adesso non più.

— Hmm. Sei proprio come quegli embrioni là dentro le bottiglie. Non hai mai vissuto. Sei vivo, ma non hai mai vissuto.

THX disse: — Non importa.

Come per risposta, la voce forte e calma di un robot disse, di là dalla porta:

— Non avete da temere niente. State calmi e cooperate con le autorità. Tutto andrà bene.

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