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Si dirigevano a ovest sulla Highway 10, un’ora dopo aver lasciato Phoenix; i fari del suo furgone Volkswagen bucavano l’oscurità e illuminavano più di quanto a Bodie interessasse vedere oltre la corsia.

Oltre lo steccato non c’era niente.

Nada.

Diavolo, c’è un sacco di roba laggiù, pensò lui. Rocce, sabbia, cactus, tarantole e scorpioni. Ed erbacce.

Si ricordò di un vecchio episodio di Thriller o forse di The Outer Limits (difficile ricordare quale dei due), dove una coppia era rimasta bloccata in una zona simile a questa. Circondati da…

Una pallida forma delle dimensioni di un bidone per le immondizie attraversò sfrecciando la luce dei fari. Bodie premette il freno, ma la cosa era già sparita oltre la corsia.

Un animale doveva aver saltato il recinto.

Bodie si sentì rizzare i capelli in testa.

«Viene a cercarci», disse citando la sua frase preferita di La notte dei morti viventi. Poi tentò di sorridere.

Melanie si girò verso di lui. Il suo viso era una pallida chiazza ovale con macchie scure al posto degli occhi e delle labbra. «Era solo una battuta», disse lui. Lei non replicò. «Ti ricordi il vecchio Thriller? O forse era The Outer Limits. Una coppia era… Perché non parli?»

«Sono stata così cattiva con lui. Non ho mai smesso di rimproverarlo per… quanto è capitato alla mamma. So che non è stata colpa sua, ma lui era in casa. Se soltanto l’avesse sentita cadere… Se io fossi stata là, invece che al campeggio…»

«Chi ti ha mandato al campeggio?» s’informò Bodie.

«Loro, mamma e papà. Io non volevo andarci, ma loro hanno detto che sarebbe stata un’esperienza di vita. Pensavano che fossi troppo dipendente e introversa, che il campeggio mi avrebbe aiutato a maturare. Non avevo scuse per non andare. Capisco che non dovrei ritenermi responsabile dell’incidente capitato alla mamma. E neppure papà. Non è stata colpa sua né mia. Ma quello che si capisce e quello che si prova dentro non combaciano mai. Così, le cose non sono più andate bene fra me e papà, dopo la disgrazia. Ho tentato… Solo che non potevo perdonare né lui né me. Poi lui se n’è andato e si è risposato.»

«Subito?»

«No, io facevo il secondo anno di liceo. È stata la rottura definitiva. Voglio dire, lui sessant’anni e Joyce ventisei. Disgustoso. Non riuscivo a sopportarlo. Mi sono trasferita da mia sorella e ho vissuto con lei finché ho finito le superiori. Proprio non potevo…» La voce di Melanie tremava. «Ora è morto e io non…» Cominciò a piangere.

«Non lo sai con certezza se è morto», le ricordò Bodie.

«Lo so, lo so.»

«Troveremo una stazione di servizio, deve essercene una da qualche parte. Così potrai richiamare.»

«Non servirebbe a niente.»

«Si vede che hai una gran fiducia nelle tue visioni. Potresti sbagliarti.»

Lei tirò su con il naso e non rispose.

«Tu stessa hai ammesso di non sapere chi era la vittima. Pensavi che potesse essere tuo padre o tua sorella.»

«Era papà.»

«Ora ne sei sicura?»

«Sì.»

«Sai, forse questo è un caso di precognizione e se così fosse potrebbe forse esistere un modo per impedire che succeda.»

«Non lo so», mormorò Melanie.

Non fu un diniego deciso. Bodie sentì di aver aperto una breccia nella sicurezza della ragazza. Perlomeno una fessura. «Quando hai avuto la visione di tua madre, è stato prima o dopo l’incidente?»

«Nello stesso momento. Ho avuto la visione mentre lei stava annegando.»

«Okay, quella è stata la tua prima esperienza con questo genere di cose. Stavolta potrebbe essere completamente diverso. Anzi, se ci ripensi bene, la seconda volta non è quasi mai uguale alla prima. Rifletti. Il tuo primo drink, il tuo primo appuntamento con un ragazzo. La prima volta che hai conosciuto il sesso. So per certo che la seconda volta è differente… un nuovo gioco, per così dire.»

«Mi fa piacere che lo trovi divertente.»

«Sto solo cercando di aiutarti, Mel. Sei sconvolta, ma è possibile che la tua visione non sia ciò che credi. Forse tuo padre o chiunque altro sta bene. Forse questo è stato un avvertimento e tu devi andare laggiù per impedire che succeda ciò che hai visto.»

«Sì, credo che sia possibile», ammise Melanie. Ma non c’era nessuna convinzione nella sua voce.

È possibile, concluse Bodie fra sé. E possibile anche che il maledetto episodio sia frutto della sua fantasia. La colpa che scaraventava addosso a suo padre, probabilmente ha fatto scattare il desiderio inconscio che morisse. Dio solo sapeva che cosa le passava nella mente. Una bomba a orologeria emotiva che finalmente scoppiava.

Bodie decise di tenere per sé questa teoria.

In quel momento non aveva bisogno di ulteriori confusioni.

Lo scopriremo presto.

Più avanti vide delle luci, edifici, un’insegna della Shell appesa a un palo.

Bodie imboccò la corsia d’uscita, una strada stretta si snodava in direzione della stazione Shell, di fronte un’altra stazione con l’insegna luminosa Bargain Gas, un ristorante e una piatta costruzione dove spiccava un’insegna al neon: Bingo’s Bar and Grill.

Melanie si sporse dal sedile per guardare la lancetta della benzina. «Abbiamo ancora mezzo serbatoio», osservò.

«Meglio abbondare», disse Bodie.

«Dovrei telefonare, quando ci fermiamo», disse, ma non sembrava entusiasta.

Bodie si fermò accanto al self-service del distributore di benzina. Di fronte, in fondo allo spiazzo, c’erano un paio di telefoni pubblici. «Vuoi telefonare, mentre faccio il pieno?»

«Devo andare al gabinetto.»

Scesero dal furgone. Bodie si avvicinò alla pompa, staccò il boccaglio e abbassò la leva. Osservò Melanie. Lei camminava con la testa china, appariva depressa e vulnerabile. Non troppo diversa da come appariva solitamente, con quell’atteggiamento che faceva desiderare a Bodie di abbracciarla e consolarla. Il suo sguardo si soffermò sui pantaloni di fustagno che non nascondevano il movimento e le curve delle natiche. Immaginò di infilarle le mani nei pantaloni, di accarezzare la sua pelle morbida e liscia. Chissà se portava le mutandine.

Probabilmente quella sera le portava. Il sesso era l’ultima cosa che aveva in mente quando si era cambiata per il viaggio.

Lei sparì dietro l’angolo dell’edificio. Bodie svitò il tappo del serbatoio e vi inserì il beccuccio.

Colpa di queste profumate notti dell’Arizona, pensò. Uno non poteva fare a meno di sentirsi un po’ eccitato.

Se lei telefonava e tutti stavano bene, avrebbero potuto abbandonare l’autostrada.

Fuori.

È sempre fantastico farlo in macchina. Il rischio di farsi vedere aggiùnge…

Rimise il beccuccio sulla pompa, avvitò il tappo del serbatoio e si diresse verso l’ufficio della stazione. C’era quasi arrivato quando riapparve Melanie da dietro l’angolo, asciugandosi le mani sui pantaloni.

«Niente asciugamani?» s’informò Bodie.

«L’unica macchinetta era guasta.»

«Porto la macchina vicino ai telefoni.»

Lei annuì, e continuò a camminare. Bodie proseguì verso l’ufficio. Pagò la benzina e uscì.

Melanie era davanti a un telefono e frugava nella borsa.

La stazione di servizio era deserta tranne che per il furgone di Bodie. Decise di non spostarlo e si diresse verso Melanie. Lei alzò gli occhi. «Problemi?» domandò lui.

«Ho solo una moneta», spiegò Melanie.

Lui tirò fuori il portafoglio. «Ti presto la mia carta telefonica. Devo averla qui.»

«Grazie», disse lei.

Le spiegò come usarla.

Melanie inserì la carta nella fessura. Mentre componeva il numero, Bodie la strinse da dietro tenendole dolcemente le spalle. «Andrà tutto bene», le disse. Lei annuì, i suoi capelli gli accarezzarono la bocca e il mento.

Melanie lesse i numeri della scheda all’operatore.

Bodie si accorse che s’irrigidiva.

«Sta suonando», annunciò lei.

Lui le accarezzò le spalle, sentì le spalline del reggiseno sotto la stoffa della camicetta.

«Non risponde nessuno», avvertì Melanie.

«Aspetta.» Bodie le premette le labbra sulla nuca. I suoi capelli avevano un gradevole profumo di limone.

«Inutile, non c’è nessuno.»

Melanie riappese. Recuperò la scheda, si voltò e guardò Bodie con i grandi occhi.

«Vorrei che tutto si sistemasse», disse lui.

«Lo so.»

«Senti, forse potresti telefonare a qualcun altro, un vicino.»

Lei si morse il labbro e corrugò la fronte.

Cominciò a frugare nella borsetta e tirò fuori un librettino rosso.


Gli occhi di Pen, sdraiata nella vasca, si spostavano sulla pagina seguendo le righe delle parole. Sfioravano le frasi e lei non tratteneva il loro significato.

Mi dispiace che non sei in casa. Volevo parlarti…

E se chiama di nuovo?

Il mio grosso cazzo e la tua figa calda.

Lui era da qualche parte lì fuori, un maniaco e stava pensando a lei.

Forse in questo momento allunga la mano per prendere il telefono.

Pen voltò una pagina del libro. I suoi occhi seguivano le parole e intanto tendeva le orecchie aspettandosi di sentire il lontano squillo del telefono. Tutto quello che sentì fu il lento gocciolio dell’acqua vicino ai piedi.

Chissà, forse non ritelefona più.

Oh, telefonerà, telefonerà.

Già quattro volte quella sera.

Probabilmente quattro, perché lei ne aveva ascoltato solo tre.

Lei gli aveva parlato quattro volte. Pronto. Mi dispiace, ma non posso rispondere in questo momento. Se mi lascia nome e… Quattro volte la sua voce era corsa sul filo ed era risuonata vicino all’orecchio di lui come un intimo bisbiglio. Lei se lo immaginava solo nella sua camera in compagnia della voce. Le luci erano spente, così lui poteva fingere che la voce fosse presente, che la mano di Pen lo toccasse nel buio…

Maledetta segreteria telefonica.

Non gli avrebbe dato un’altra occasione di usare la sua voce.

Regala la segreteria telefonica. Dalla a papà. «Non voglio quel dannato aggeggio», avrebbe dichiarato suo padre. «Regalala a qualcun altro.» Bello scherzo, pensò Pen. Avvolgere l’apparecchio in carta da regalo e osservare la reazione di papà. Pen sorrise al pensiero.

Ehi, pensò, complimenti, stai pensando a papà…

Che ne diresti se ti cacciassi la lingua…

Maledizione.

Strinse le cosce sollevando un’ondata di acqua calda che le lambì i seni. Voltò la pagina e continuò a leggere. «Penny si contorse sotto il letto.» Ehi, la protagonista ha il mio stesso nome. Tornò indietro di qualche pagina. Il nome Penny appariva quasi a ogni paragrafo. Chi è Penny? Che cosa succede? Sfogliando ciò che aveva letto finora, Pen si accorse di non aver assorbito neanche una parola.

Con un sospiro si mise seduta, allungò il braccio sopra il bordo della vasca e posò il libro sul pavimento accanto alla bottiglia di vino. Il bicchiere, poggiato sul bordo della vasca, era vuoto. Lo prese e lo riempì. Lo bevve per metà, poi tornò a riempirlo fino all’orlo e posò con cura la bottiglia sul bordo della vasca.

Non sbronzarti, potresti romperti la testa, uscendo e… Tale madre, tale figlia. Non avrebbe più dovuto preoccuparsi del suo amichevole vicino pervertito.

Attenta a non versare il vino, si abbassò di nuovo nell’acqua calda. Più bassa, stavolta. Appoggiò la testa sul poggiatesta gonfiabile. Tenne il bicchiere vicino alla faccia e fissò il Borgogna.

Il colore del lividore post mortem.

Mamma…

Cristo, non pensare a lei.

Questa stava diventando una notte memorabile.

Colpa di quel verme che non conosco neppure.

Come faccio a dire che non lo conosco?

La voce.

Potrebbe aver cambiato voce, camuffandola.

Individui del genere, però, non chiamano solitamente degli estranei? Aprono l’elenco telefonico, scelgono un nome qualsiasi, purché non sia di un uomo. Non serve usare solo le iniziali. Lui vede P. Conway e capisce che non è Peter.

«Qui non c’è nessun Peter», mormorò Pen.

Cercò di bere un sorso.

Capì troppo tardi che avrebbe dovuto mettersi seduta.

Aveva l’orlo del bicchiere quasi alle labbra quando la base le sbatté sul petto. Il vino le colò nella bocca, si versò sul mento. Le parve di soffocare. Cercò di trattenere la sorsata in bocca, capì che le sarebbe andata su per il naso e la sputò fuori. Il vino divenne acqua rosa fra le sue gambe.

Pen tossì, annaspò, tirò un profondo respiro che le fece dolere i polmoni.

Bel lavoro.

Aveva gli occhi pieni di lacrime.

Meglio la mamma, che era annegata per una sorsata di Charles Krug.

Morte, come colpisci?

La nuvola rosa si allargò e svanì, ma l’aroma dolciastro del vino punse le narici di Pen.

Bevve quanto era rimasto nel bicchiere, lo mise da parte.

Facendo scivolare i piedi sul fondo della vasca, sollevò le ginocchia fuori dall’acqua. Si sporse avanti. Annusò. Un odore gradevole, ma doveva fare qualcosa, altrimenti le sarebbe rimasto addosso come un profumo versato, diventando nauseante.

Una serata infernale.

Allargò le ginocchia e si chinò per togliere il tappo della vasca. Il tappo di gomma venne via con uno schiocco. Il livello dell’acqua cominciò a scendere.

Una rapida doccia.

Lei odiava la doccia.

Non si sente un accidente.

La famiglia Manson poteva abbattere la tua porta, Norman Bates poteva entrare a passo di valzer cantando Mammy, il telefono…

Puoi cadere e spaccarti la testa.

Specialmente dopo aver bevuto.

Odiava la doccia.

Che cosa vuoi fare, puzzi di vino come se avessi fatto il bagno in un tino.

Pen girò la testa. Il bicchiere vuoto e la bottiglia semivuota stavano sul bordo della vasca. Avrebbe dovuto spostarli. Anche il libro sul pavimento. La doccia poteva provocare un vero disastro.

Allungò la mano per prendere la bottiglia.

Suonò il telefono.

Pen barcollò. La sua mano strinse il collo della bottiglia. E la tenne stretta.

Il telefono squillò di nuovo.

BASTARDO, NON HAI IL DIRITTO!

Ogni squillo era un colpo al cuore, le mancava il respiro.

Immaginò di emergere dalla vasca e di precipitarsi gocciolante nello studio. Sollevare la cornetta. Sporco degenerato, se mi richiami…

No, lui vuole proprio questo, la mia voce, la mia paura.

Un colpo di fischietto.

Il fischietto per chiamare la polizia era nel mazzo di chiavi. Che era nella borsetta. In soggiorno. Sul tavolino.

Prendilo e fischiagli nell’orecchio.

Così il tuo grosso cazzo si ammoscia, maledetto.

Finalmente il telefono tacque.

Pen rimase in ascolto. Sentiva il cuore battere forte, il respiro ansante, l’acqua che gorgogliava mentre la vasca si svuotava, silenzio dietro la porta del bagno.

Lui sa che sono in casa. La segreteria non ha risposto.

La vasca si svuotò. Pen rimase seduta, tutta bagnata. Aveva freddo, tremava.

Restò lì con le ginocchia sollevate, i seni contro le gambe, le braccia attorno agli stinchi. I denti serrati perché non battessero.

Gocce d’acqua le scendevano sulla pelle.

E adesso che cosa faccio?

Fa’ in modo che non richiami.

Strinse più forte le gambe.

Subito, ora.

Pen allentò la stretta.

Si sentiva molto nuda e vulnerabile quando si alzò in piedi sollevando una gamba oltre il bordo della vasca.

Se adesso suona, pensò, cado e mi fracasso la testa.

Sollevò l’altra gamba. Tutti e due i piedi sulla stuoia.

È scaduto il tempo, verme.

Ebbe la sensazione di averlo fregato, di aver ottenuto una piccola vittoria.

Poi l’asciugamano caldo e soffice. Le portò via l’umidità, calmò i brividi. Quando smise di stringere i denti, sentì il dolore alle mascelle.

Finì di asciugarsi, l’asciugamano aveva odore di Borgogna.

Se l’avvolse intorno ai seni e infilò un lembo per tenerlo stretto.

Alla porta, afferrò la maniglia ed esitò.

Sta’ calma, lui non è là fuori. Tutto a posto.

Girò la maniglia, la serratura scattò con un rumore sordo. Lei aprì la porta e cacciò la testa nella fessura. La luce accesa in soggiorno, nello studio e in camera da letto si rifletteva nel corridoio. Niente sembrava anormale. Ma tutto le appariva sbagliato, stranamente mutato e insolito.

Rimase in ascolto.

Il leggero ronzio del frigorifero, niente altro.

Una goccia d’acqua le scivolò dietro una gamba. Allungò una mano per asciugarla.

Aspetta ancora un po’. Rimani qui finché richiama.

Pen avanzò nel corridoio. Sbirciò in camera da letto mentre passava davanti alla porta.

Nessuno balzò fuori.

Si fermò alla porta dello studio. Vide la cassetta sul tappeto, la segreteria telefonica accanto alla macchina da scrivere.

Prima il resto.

In fondo al corridoio diede una rapida occhiata al soggiorno. I suoi occhi sfrecciarono alla porta. La catena di sicurezza era al suo posto.

Soddisfatta?

Pen non era soddisfatta, ma abbassò leggermente le spalle.

Entrò in cucina. Dal corridoio giungeva abbastanza luce per ciò che aveva in mente, ma fece scattare l’interruttore per fugare le ombre.

Il telefono era infisso proprio sopra il pannello dell’interruttore. Strinse la mano attorno all’apparecchio e tirò. La piastra di metallo rimase sul muro, vuota. Pen posò il telefono staccato in cima al frigorifero.

E uno.

A lunghi passi tornò nello studio. Evitò con cura lo spigolo della scrivania dove aveva sbattuto la gamba.

La segreteria telefonica. Il telefono. I fili scendevano dal bordo della scrivania, pendevano quasi direttamente nella fessura fra il lato della scrivania e la libreria, poi risalivano per sparire dietro i libri.

Pen si spostò di lato. Si accucciò, e con una mano sullo spigolo della scrivania raggiunse la fessura con la mano sinistra. Con la punta delle dita trovò i fili. Li seguì piegandosi di lato e fece scivolare la mano sopra i libri. Le cadde l’asciugamano. Il telefono squillò, dandole un colpo al cuore e mozzandole il respiro. Con un grido di paura e di rabbia si spinse avanti. Sbatté la spalla destra contro la scrivania spingendola e facendola girare. Un altro squillo. Cadde in ginocchio sul tappeto. Contorcendosi s’infilò nell’apertura fra la scrivania e gli scaffali, lo spigolo del mobile le grattò il seno destro. Il telefono urlò nel suo orecchio. Lei trovò la presa dell’apparecchio. La strappò dal muro.

Silenzio.

Pen si districò.

Con le dita tremanti afferrò l’asciugamano, lo trascinò con sé mentre indietreggiava carponi.

Gli occhi fissi sul telefono.

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