10

Pen salì le scale e percorse il corridoio fino alla camera di Melanie. Bussò leggermente alla porta.

«Chi è?»

«lo.» Pen entrò e chiuse l’uscio.

Melanie, sul letto, aveva le coperte fino al petto, le spalle nude.

«Volevo essere sicura che fossi sveglia. Bodie è andato a prendere la pizza, dovrebbe essere di ritorno, ormai, ma…»

«Dov’è andato?»

«A La Barbera’s. Sarà più di un’ora che è uscito. Speriamo che non si sia perso.»

«È andato solo?»

Pen annuì. «Gli avevo offerto di mostrargli la strada, ma lui ha suggerito che restassi con te e Joyce.»

«Joyce», mormorò Melanie.

«Cerca di essere carina con lei, d’accordo?»

«Carina. Sicuro. Che cosa credi che ci facesse qui, Harrison?»

«Credo che non dovresti saltare a certe conclusioni.»

«Ti è capitato di vedere la camera da letto matrimoniale?»

«No.»

«Be’, io l’ho vista. Il letto era sfatto.»

«Questo non prova granché. Se avesse avuto qualcosa da nascondere, non credi che lo avrebbe rifatto lei stessa?»

«È quanto ha detto anche Bodie.» Melanie spinse da parte le coperte e scese dal letto. Con aria indifferente si diresse verso un angolo della stanza dove la sua valigia giaceva aperta sul pavimento. Non si vedevano segni di abbronzatura sulla sua pelle; evidentemente evitava il sole. Sulla schiena, sulle natiche e sui polpacci c’era un leggero arrossamento per aver dormito sul letto.

A Pen ricordarono le diapositive del coroner.

Lividore post-mortem.

Papà. E se…

L’ospedale avrebbe chiamato.

«Tu sei sempre stata amica di quella sgualdrina», osservò Melanie accucciandosi accanto alla valigia.

«È una tipa a posto.»

Melanie trovò le mutandine. Si rialzò e se le infilò, poi si voltò a guardare la sorella. Aveva un aspetto bizzarro: pelle senza abbronzatura, capelli neri, il nastrino di velluto, le mutandine nere di pizzo. «Harrison le ronza intorno.»

«Piantala», disse Pen.

«Immagino che tu e Joyce abbiate un sacco di cose in comune.»

«Per amor del cielo, Mel!»

Melanie rise sommessamente. Poi scosse la testa, tornò a voltarsi e ad accoccolarsi davanti alla valigia.

L’arrossamento sulla schiena era leggermente sbiadito.

«Devo mettermi qualcosa di decente per l’ospedale», decise a voce alta.

«Se non ci fermiamo a casa mia mentre andiamo da papà, io devo tenermi quello che ho addosso.»

«Bodie pensa che dovremmo alloggiare da te.»

«L’invito è sempre valido», replicò Pen.

«Vuoi che veniamo da te?» Melanie levò dalla valigia una camicetta bianca che indossò.

«Probabilmente stai più comoda qui», ammise Pen. «E poi hai già detto a Joyce che ti fermi.»

«Si può cambiare.»

«No, non sarebbe corretto.»

«Bodie pensa che hai paura a restare sola.»

«Molto lusinghiero.»

«Hai paura?»

Pen si strinse nelle spalle, ma Melanie le voltava la schiena. «Un po’, ma credo di cavarmela.»

Melanie tirò fuori una gonna nera.

«Ma non andiamo mica a un funerale!» osservò Pen.

«Non stasera.»

«Davvero hai intenzione di vestirti così?»

«A Bodie piaccio in nero.»

«Oh. Allora è diverso.»

«Approvi, dunque?»

«Approvo.»


Bodie scosse la testa e rovesciò gli occhi. «Che cosa è successo? Un disastro. Dio mi salvi dalle strade di Los Angeles. Tutto è cominciato quando non sono riuscito a immettermi nella corsia di destra da San Vicente in Wilshire. Era una deviazione. Quando finalmente sono arrivato al ristorante, non avevano preparato la nostra pizza. Evidentemente hanno capito male l’ordinazione per telefono o l’hanno persa. Così ho dovuto ordinarla di nuovo e aspettare che la preparassero.» Bodie tirò un lungo sospiro. «A ogni modo, eccomi qui. Più vecchio, ma più saggio.»

Mentre mangiavano la pizza tutti convennero che valeva la pena di tanto disturbo.

Alle sei avevano finito.

Restava un’ora e mezzo prima di partire per l’ospedale.

Joyce salì al piano superiore a fare un bagno e a cambiarsi d’abito.

Nel soggiorno, Pen sedette su una poltrona, Melanie e Bodie presero posto sul divano, seduti vicini. Melanie posò la mano sulla gamba del suo ragazzo. Chiacchierarono. Ma nessuna allusione a Joyce, Harrison o papà, come se fossero argomenti tabù.

Il disagio di Pen aumentò con il passar del tempo. Trovava difficile restare immobile, sentiva una stretta al petto che rendeva precario anche il respiro. Finalmente si alzò dalla poltrona e si accovacciò sul pavimento, le ginocchia sollevate. Così andava meglio.

«Ti senti bene?» le chiese Bodie.

«Sono solo i nervi», rispose Pen.

«Forse dovresti prendere un Valium o qualcosa del genere», suggerì Melanie.

«Non credo.» Pen si sfregò la faccia. «Potrei bere un bicchierino, però.»

«Hai bevuto abbastanza», le fece notare sua sorella.

«Non mi pare, solo qualche bicchiere.»

«Pen è convinta di non poter scrivere se non si ubriaca…»

«Non sono un’ubriacona. Stasera, però, preferirei essere sbronza.»

«Che cosa te lo impedisce?»

«Voglio risparmiarvi la vista di una che entra barcollando in ospedale.»

Joyce entrò in soggiorno. Indossava un pullover bianco che sembrava di cashmere, giacca grigia in tinta con la gonna e scarpe con il tacco alto.

Joyce e Melanie con la gonna, io in jeans bianchi. Fantastico, pensò Pen.

Avrebbe dovuto chiedere a Bodie di accompagnarla a casa a cambiarsi.

Chi se ne infischia? Si domandò. Chi sono io per impressionare le infermiere? Papà non se ne accorgerà neppure. E se lo nota…

Se lo immaginava sveglio, seduto nel letto che respirava da solo, senza tubi e fili.

Non sperarci troppo. Avrebbero chiamato.

«Ti senti bene?» s’informò Joyce guardandola. «Sì, sto bene.»

«Troppo vino», decretò Melanie.

«Non abbastanza.» Pen si drizzò. «È ora di andare?»

«È un po’ presto», rispose Joyce. E rivolgendosi a Bodie soggiunse: «Vorrei guidare io».

«Benissimo.»


Joyce parcheggiò la Lincoln Continental in uno spazio libero in Pico Boulevard e scesero.

Pen, notando che non avrebbero dovuto attraversare la strada, ripensò all’auto che quel mattino per poco non l’aveva investita. Una Porsche. Un’auto sportiva.

Un’auto sportiva aveva investito papà.

La stessa che quasi sbatteva giù anche me?

Pazzesco, concluse Pen. Solo una coincidenza. Non cercare di lavorarci sopra.

L’aria della sera penetrava nella camicetta. Con un brivido, strinse le braccia sul petto e serrò i denti.

Melanie, davanti a lei, camminava rigida con le spalle abbassate, ma si appoggiava al fianco di Bodie, che le teneva un braccio attorno alla vita.

Il calore nell’atrio dell’ospedale era piacevole.

Entrarono nell’ascensore, Bodie premette il bottone. La musica nella cabina era una versione per orchestra di Bridge Over Troubled Water. Pen si chiese se la musica era stata scelta per ironia.

Quando emersero dall’ascensore, Joyce fece strada fino alla sala delle infermiere. Una di loro li guidò nel corridoio e aprì la porta della camera di papà.

Lui non era sveglio, non era seduto e non respirava per conto suo.

Sembrava come prima.

Sembrava morto.

Pen guardò il monitor. La linea sullo schermo si frastagliava a ogni battito del cuore. Ciascuna alterazione della linea era accompagnata da un bip.

Joyce si avvicinò al letto e strinse la mano del malato.

Il ritmo del cuore non cambiò.

Lui non sa nemmeno che siamo qui, pensò Pen.

«Sono Joyce. Mi senti? Capisci quello che dico?» Joyce aspettò una risposta. «Ci sono anche le tue figlie. Melanie è venuta da Phoenix per stare con te. Guarirai.» La donna tacque per un momento. Poi guardò gli altri. «Potrei restare sola con lui per qualche minuto?»

Uscirono nel corridoio e Pen chiuse la porta.

«Perché non ci vuole in camera?» sussurrò Melanie.

«È sua moglie», rispose Pen. «Desidera un po’ d’intimità con suo marito.»

«Lui è in coma.»

«Un po’ di intimità con una ragazza come Joyce potrebbe farlo uscire dal coma», sentenziò Bodie.

Melanie lo fulminò con lo sguardo.

«Scusa», borbottò lui. «La mia solita linguaccia.»

«Non preoccuparti di questo», disse Pen più a sua sorella che a Bodie.

«Mi chiedo che cosa faccia là dentro.»

«Gli parla, probabilmente», suggerì Pen. «Di cose che non riguardano né te né me.»

«Forse gli sta dicendo di morire.»

Melanie, così severa e vittoriana con il suo nastrino di velluto nero e la camicetta bianca sulla gonna nera, aveva detto ciò che non era neppure pensabile e fissava sua sorella come se Pen fosse una deficiente perché non capiva.

«Mio Dio, Mel», mormorò Pen.

«Se papà muore, lei si prende Harrison, l’assicurazione, l’eredità…»

«Sei impazzita?»

«Lei potrebbe perfino staccare la spina.»

«Scatterebbe l’allarme», bisbigliò Bodie. Aveva la fronte corrugata e scuoteva la testa. «Credo… che gli apparecchi siano collegati alla sala delle infermiere. Se succedesse qualcosa di simile…»

«Non lo farebbe mai», tagliò corto Pen.

«No?»

«Gesù, Melanie!»

Melanie spalancò la porta.

Guardando sopra la spalla di sua sorella, Pen vide Joyce voltare la testa, sorpresa. La donna stava china sul letto intenta a sistemare una coperta sulle spalle di papà. Gli premeva una mano sul petto e sorrideva nervosamente. «Mi avete spaventata.»

«Scusa», disse Pen. «Va tutto bene?»

«Bene. Stavo per chiamarvi.»

I tre entrarono nella stanza.

«Ha fatto qualche… cenno di risposta?»

«Temo di no.»

Pen seguì Melanie vicino al letto e inciampò in lei quando si fermò di colpo.

Melanie cominciò a gemere.

Joyce parve sconcertata, poi allarmata.

Melanie inarcò la schiena e improvvisamente vacillò. Si premeva i pugni alle tempie.

«Che cosa fa?» balbettò Joyce. «Mio Dio!»

Pen rimase impietrita mentre stava dietro sua sorella che si contorceva e gemeva.

«Non preoccupatevi», disse Bodie. Ma lui sembrava preoccupato. «E come l’ultima…»

Melanie barcollò contro Pen. Bodie le impedì di cadere. Con Bodie alle spalle, Pen strinse le braccia attorno al petto della sorella. Il corpo della ragazza era scosso da un tremito continuo, le spalle sussultavano. Pen tenne la faccia girata per evitare la testa che si muoveva a destra e a sinistra.

«La tieni?» chiese Bodie.

«Sì.»

«Non lasciarla cadere.»

«Posso aiutare?» chiese Joyce.

«No. Passerà», la rassicurò Bodie.

«Che cosa le è preso?»

Melanie piegò indietro la testa e colpì Pen appena sotto l’orecchio. Il dolore fu terribile. Lei strinse gli occhi, ma non la lasciò andare.

«Stai bene?» chiese Bodie.

Pen lo sentì attraverso un ronzio nell’orecchio.

«Abbassala. Cerca di abbassarla.»

Pen sentì le mani di Bodie sui fianchi che la tenevano mentre si lasciava cadere sul divano. Lo sforzo diminuì quando Melanie toccò il pavimento con il posteriore.

Di colpo, il suo corpo divenne inerte, la sua testa si inclinò in avanti. La ragazza respirava profondamente.

«Stai bene?» domando Pen.

La testa della sorella dondolò leggermente.

Bodie staccò le mani da Pen. Si avvicinò a Melanie e s’inginocchiò accanto a lei. «Come va?» le chiese con voce gentile.

«Bene, mi pare.»

«Un’altra visione?»

«Credo… credo di sì.»

Lui l’aiutò ad alzarsi. Anche Pen si alzò, massaggiandosi la mascella dolorante. Allargò la bocca. Le faceva male l’orecchio.

«Che cosa è stato?» domandò Bodie.

«Non lo so.»

Lui accarezzò le guance di Melanie.

«Non riesco a ricordare. Solo che era spaventosa. Ma non mi ricordo. Come quando ti svegli da un incubo ed è svanito.»

«Sta bene, ora?» intervenne Joyce.

Pen trovò interessante che la domanda non fosse diretta a Melanie… come se la donna volesse un parere più credibile.

Bodie annuì, mise le braccia attorno a Melanie. Lei gli si aggrappò, la faccia premuta contro il suo collo. Bodie le teneva una mano immobile in mezzo alla schiena, con l’altra le dava leggeri colpetti.

Pen osservava.

Mosse la mascella da parte a parte.

Poi vide suo padre sul letto, dimentico di tutto. Gli si avvicinò.


«Mi dispiace di aver dato spettacolo», si scusò Melanie quando risalirono in macchina.

«Sei sicura di star bene?» s’informò Joyce.

«Sì.»

«Ti capita spesso?»

«No, raramente.»

«Mi hai spaventata da morire.»

«Mi dispiace.»

«L’importante è che tu stia bene.» Joyce si staccò dal marciapiede. Poi sbirciò verso Pen. «Dove vado? Torni con noi, oppure…»

«Non siamo lontano da casa mia.»

«Sei la benvenuta, se decidi di passare la notte da me.»

«Perché non rimani?» suggerì Bodie, dal sedile posteriore.

«Pen ha ricevuto alcune telefonate oscene, ieri notte», spiego Melanie. «È un po’ spaventata.»

«Non sono spaventata», replicò Pen, desiderando che sua sorella non parlasse della sua situazione. Era un fatto personale, non c’era bisogno che Joyce lo sapesse. «Quelle telefonate mi hanno innervosito, ma ora è passato.»

È vero? Si chiese.

Non aveva voglia di restar sola nel suo appartamento.

D’altra parte poteva anche essere un sollievo.

Un lungo bagno caldo. Dormire sul suo letto.

Che ne dici se ti fotto fino a farti impazzire?

Pen sentì un’ondata di paura.

Non andrà meglio, si disse, alloggiare altrove, anzi potrebbe essere peggio.

«Perché non prosegui e mi accompagni a casa?» suggerì a Joyce.

«Sei sicura?»

«Era solo una voce al telefono. Non mi lascio intimorire da un fatto insignificante.»

«Telefonate oscene», intervenne Melanie. «Tutti ne ricevono. Ne ho ricevute anch’io.»

«Anch’io», disse Joyce.

«Come hai reagito?» volle sapere Melanie.

«Mi sono limitata a riappendere, ma ammetto che per un po’ sono stata nervosa.»

«Si limitano a telefonare», proseguì Melanie. «Credo che al telefono si divertano un mondo perché hanno paura delle donne. Il telefono è sicuro e anonimo. Di solito non fanno mai visita alle loro vittime.»

«Non direi proprio mai», intervenne Bodie. «C’era una storia sul giornale, un paio di mesi fa, riguardo una donna che riceveva telefonate del genere. Il giorno dopo che aveva cambiato numero, è stata violentata e assassinata. Evidentemente, il fatto di cambiare numero aveva convinto quell’individuo a sentirsi respinto.»

«Oh, grazie infinite, Bodie», disse Pen. «Proprio quello che volevo sentire.»

«Credo che tu abbia il diritto di essere preoccupata. La voce di quel tale non mi piaceva affatto.»

«Sono tutti uguali», concluse Melanie.

«Le telefonate sono state registrate sulla mia segreteria telefonica», spiegò Pen a Joyce.

«Whit non mi permette di tenere una segreteria telefonica.»

«Conosco le sue idee in proposito», convenne Pen. «Papà le detesta.»

Joyce svoltò da Pico Boulevard e imboccò la via laterale in direzione dell’appartamento di Pen. «Sei proprio sicura di non voler stare da noi?» La donna sembrava sinceramente desiderosa che Pen restasse con loro per la notte… magari per tener d’occhio Melanie, nel caso di un’altra visione.

«No», rispose Pen. «Andrà tutto bene. Forse verrò in mattinata, però.»

«Vieni», insistè Joyce. «Vieni presto, faremo colazione insieme.»

«Puoi contarci.»

Joyce fermò la Lincoln di fronte allo stabile, Pen aprì la portiera. Per un àttimo pensò di non scendere.

«Ci vediamo domattina», la salutò Melanie.

«Arrivederci», rispose Pen e fece per scendere.

«Ti accompagno», si offrì Bodie. «Così controlliamo l’appartamento.»

Lei provò un gran sollievo. «Grazie. Mi fa piacere.»

«Vengo anch’io», dichiarò Melanie.

Scesa dall’auto, Melanie si mise fra Pen e Bodie, che prese per mano.

Camminarono fino al cancello di ferro e Bodie l’aprì. Pen passò per prima. Sentiva i loro passi appena dietro di lei mentre attraversava il cortile verso la scala. Si sentiva la musica di un party, voci e risate uscivano da uno degli appartamenti al secondo piano. Sebbene le luci fossero spente, notò una coppia in fondo al corridoio. Non riuscì a vedere chi erano. Probabilmente non li avrebbe riconosciuti neppure con la luce. Gli altri inquilini erano degli estranei per lei. Preferiva così.

Melanie e Bodie la seguirono su per le scale e lungo la balconata fino alla porta. La raggiunsero mentre cercava le chiavi.

«C’è parecchia attività da queste parti», osservò Melanie.

«È sabato sera.»

«Quel tipo, Manny, abita ancora qui?» s’informò Melanie.

«Oh, sì.»

Pen infilò la chiave nella serratura e aprì la porta. Mise dentro un braccio e fece scattare l’interruttore.

Si accese la lampada accanto al divano.

Sul tappeto ai suoi piedi giaceva una busta bianca e quadrata, simile a quelle che si usano per i biglietti d’auguri. Pen si accucciò. Non c’era francobollo né indirizzo. P. CONWAY, era scritto a grandi lettere.

Lei raccolse la busta e sentì che era vuota.

«Qualcuno deve averla fatta scivolare sotto la porta», mormorò.

«Non mi piace», disse Bodie.

Pen rigirò la busta e sentì piegarsi le gambe mentre leggeva il messaggio scribacchiato:

SONO VENUTO E TU NON ERI IN CASA. PECCATO. LA PROSSIMA VOLTA VENGO QUANDO CI SEI. ARRIVEDERCI A PRESTO.

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