14

Bodie insistè per accompagnare Pen nell’appartamento. Melanie rimase con loro. Questa volta nessun biglietto era stato lasciato sotto la porta.

«Sei sicura che starai bene?» domandò Bodie.

«Ho solo bisogno di restare sola.»

«Non capisco perché sei sconvolta, così all’improvviso», osservò Melanie. «Pensavo fossi già convinta che quei due vanno a letto insieme. Quanto è successo non fa che confermarlo.»

«Sì, è una conferma. Ragazzi, ci vediamo più tardi, d’accordo? Vi dispiace farmi il favore di portarmi la mia roba? Non voglio tornare in quella casa, a meno che vi sia costretta.»

«Certo», acconsentì Bodie. «Forse dovresti ricollegare uno dei telefoni, nel caso dovessimo metterci in contatto.»

Pen annuì.

Poi i due se ne andarono.

Pen sedette sul divano, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e affondò il mento fra le mani. Fissò la parete.

Accidenti, lei non aveva creduto che Joyce se l’intendesse con Harrison. L’aveva sospettato, naturalmente, ma non l’aveva creduto. Era terribilmente immorale.

Probabilmente in quel momento lei era nel letto di Harrison. E papà in ospedale, vivo per miracolo.

E l’avevano fatto anche ieri, sicuro. Appena tornati dall’ospedale, nel letto di papà.

Che razza di donna era Joyce?

Una donnaccia che avrebbe cercato di uccidere papà. Perché no? Una puttana del tutto priva di coscienza.

E Harrison?

Sicuro, lui.

Papà si fidava di lui, lo trattava come un figlio, credeva che avessi perso l’uso della ragione quando mi sono rifiutata di rivederlo; probabilmente sperava che ci sposassimo e non vedeva l’ora di avere dei nipotini. Quasi mi mettevo a piangere vedendo l’espressione delusa del suo viso. «Voi due siete fatti l’uno per l’altra.» Giusto, papà, ma lui è uno sporco, sadico egocentrico. Solo che non potevo dirtelo, non potendo denunciarlo per non darti un grosso dispiacere. Grave errore.

Sì, papà, Harrison, il tuo protetto, mi ha violentata. Che ne dici? E non l’ha fatto troppo gentilmente. Vuoi vedere i lividi, i segni dei denti?

Tremando, Pen si appoggiò ai cuscini del divano, ne strinse uno al petto.

Era stata una stupida a permettergli di portarla a casa sua, quella sera.


Avevano cenato da Scandia dove lui s’era mostrato affascinante e divertente. Avevano bevuto due bottiglie di champagne dopo i margarita. Lei si sentiva bene, quando erano usciti dal ristorante.

«Che cosa ci facciamo qui?» aveva chiesto Pen quando aveva visto che l’auto s’era fermata nel viale della casa di lui.

«Il falcone maltese comincia fra cinque minuti. Vuoi vederlo, no?»

«Guardiamo la televisione?»

«Prendiamo un caffè, ci rimettiamo in sesto e dopo ti accompagno a casa.»

La sua mente le aveva lanciato un avvertimento, ma lei lo aveva ignorato. Erano entrati. Pen si era seduta sul divano. Harrison era andato in cucina a preparare il caffè. Quando era tornato, s’era seduto accanto a lei. Le aveva tenuto la mano, cosa perfettamente accettabile.

Si era assentato di nuovo dopo il primo spot pubblicitario ed era riapparso con il caffè nelle tazze.

«Scommetto che non sapevi che facevo il detective privato. Un vero Sam Spade.»

«Facevi l’investigatore privato?»

«Scommetto che non lo sapevi.»

«Scommetto che non ci credo.»

Lui si era allontanato, Pen aveva bevuto qualche sorso di caffè. Lui era rientrato con una scatola da scarpe e si era seduto vicino, con la scatola sulle ginocchia. Ne aveva levato una pistola in una fondina. «La mia calibro 38 a canna mozza», aveva detto.

Eccoci qui sbronzi e lui tiene in mano una pistola. «Vediamo», aveva detto Pen. Lui le aveva dato la pistola. Lei l’aveva sfilata dalla fondina e aveva girato la canna verso la faccia.

«Ehi, attenta!»

Nel cilindro erano visibili i proiettili. «Cristo, è carica!» aveva esclamato Pen.

«Naturalmente.»

Lei aveva posato l’arma sul tavolino davanti a loro. «Hai mai sparato a qualcuno?»

«No, ma ho dovuto estrarla un paio di volte. La ditta per cui lavoravo si occupava anche di Security.»

«Dev’essere stato eccitante.»

«All’inizio sì. Poi è diventato noioso.»

Lui aveva preso dalla scatola un portafoglio di pelle e glielo aveva dato. Dentro c’era un distintivo con inciso sopra Agente Speciale. Nella custodia c’era la sua carta d’identità e l’attestazione che Harrison era un agente della Robert Abrams Private Investigations, Inc. «Magnifico», aveva detto Pen. «Dunque sei stato veramente un detective privato.»

«Per due anni, mentre frequentavo la facoltà di legge. Avevo bisogno di soldi e ho pensato che sarebbe stata una buona esperienza. Avevo anche queste.» Harrison aveva sollevato dalla scatola un paio di manette.

«Le hai mai usate?» s’era informata Pen.

«Certo. Ho eseguito un paio di arresti. Ti faccio vedere come si fa?»

«Mah, non so.»

«Ehi, vuoi fare la scrittrice, no? Devi sapere queste cose. Alzati.»

«Che cosa vuoi fare?»

«Tu sei un tipo sospetto. Ti ho appena beccato.» Harrison si era alzato puntando l’indice verso di lei, e aveva fatto scivolare in tasca le manette. «In piedi.»

Ridendo, Pen si era alzata.

«Al muro.»

«Questo è solo un pretesto per tastarmi», aveva osservato.

«Mani contro il muro.»

Lei aveva premuto le mani contro il pannello, sopra la testa.

Harrison le aveva dato un colpetto al fianco. «Non tentare di fare trucchi.»

«Hai detto proprio così?»

«Credo di aver detto: ‘Fa’ una mossa e sei morto’.»

«Peggio ancora.»

Con un piede l’uomo aveva agganciato la caviglia destra di Pen e le aveva piegato il piede. Stessa operazione con l’altro piede. Senza l’appoggio del muro, lei sarebbe caduta.

«Ti ho immobilizzata», aveva spiegato Harrison. «Ti servono tutte e due le mani per tirarti su.»

«Vero.»

Lui le aveva cacciato un dito contro la schiena e aveva cominciato a palpare con la mano sinistra.

Ci siamo, aveva pensato Pen. «Non lasciarti trasportare eccessivamente, eh?»

«Devo assicurarmi che non sei armata.»

Harrison le aveva passato le mani sui fianchi e sulle gambe. Non le aveva sfiorato i seni, né l’inguine e il posteriore. Pen era impressionata. Forse l’ho giudicato male, aveva pensato. Forse è un bravo ragazzo, dopo tutto.

«Va bene, sei pulita», aveva confermato lui. Poi le aveva fatto scattare un bracciale attorno al polso destro e le aveva piegato il braccio dietro la schiena. Aveva abbassato il braccio sinistro di Pen scostandola dalla parete e aveva fatto scattare l’altro bracciale attorno al polso. «Qualche domanda?»

«Hai una chiave per le manette?» aveva chiesto lei e si era voltata.

E aveva visto l’espressione della sua faccia.

«Ora la prigioniera è sotto il mio controllo.»

«Harrison.»

«Sei in arresto.»

«Lasciami andare.»

«Uh, uh.»

Lei era indietreggiata contro la parete. «Non farlo.»

Lui aveva allungato il braccio per abbassarle le spalline dell’abito da sera.

«Guarda che mi metto a urlare.»

«E io ti caccio qualcosa in bocca, così ti sarà difficile respirare. Rilassati.» Le spalline si erano allentate, lui le aveva abbassate denudandole i seni. Aveva gli occhi vitrei, la faccia arrossata. Aveva tirato l’abito di Pen finché era scivolato ai piedi. Lui si leccava le labbra e le stringeva i seni.

«Ti farò arrestare», aveva sibilato Pen con voce tremante. «Sarai radiato dall’albo.»

«Balle. Lo sanno tutti che esci con me. Sei venuta qui dopo una lussuosa cena. Chi crederà che sei stata costretta?» Le mani di Harrison scivolavano sul corpo di lei, le dita si erano infilate sotto l’elastico delle mutandine.

«Bastardo!» Lei gli aveva sferrato una ginocchiata; ma aveva fallito il bersaglio, colpendolo alla coscia.

Lui aveva lanciato un grido, era barcollato all’indietro, poi si era lanciato verso di lei spingendola con una spalla contro il muro. Un pugno era calato sul ventre di Pen. Con il fiato mozzo, lei si era piegata in due.

Poi s’era ritrovata sul pavimento, intontita e ansante mentre lui le toglieva le mutandine. «È giunto il momento, baby», aveva mormorato Harrison. «È ora.» Le aveva sfilato le mutandine. «È ora di pagare, baby. Non puoi menare per il naso un poveraccio in eterno.» Lui s’era slacciato la cintura. «Un uomo non è fatto di legno. Che ci vuole? Non sono abbastanza bello per te? Sei lesbica? È così?» Lui aveva gettato da parte i pantaloni.

«Bastardo.»

«Sono io, sono io.» Harrison si era abbassato gli slip e li aveva sfilati. «E tu chi sei? Un fottuto iceberg. Che cosa ci vuole per farti abbassare le mutande? Un atto del Congresso?» Lui aveva riso bruscamente. «Le manette, ecco che cosa ci vuole.» Le aveva allargato le gambe con un calcio, si era messo in ginocchio e s’era strappato di dosso la camicia.

«Non farlo!» lo aveva supplicato Pen.

«È ora di pagare, baby. Ti fotto fino a farti saltare il cervello. E vuoi sapere una cosa? Ti piacerà. Sicuro. Quando è stata l’ultima volta che ti è saltato il cervello?»

«No!»


Che cosa aveva detto? Saltare il cervello.

L’aveva detto realmente? La stessa frase che aveva pronunciato l’individuo al telefono.

Pen sentì le lacrime spuntare agli angoli degli occhi.

Era appoggiata all’indietro sul divano, i denti serrati, il cuscino schiacciato contro il petto, le gambe così unite da farle male. Si raddrizzò. Si asciugò gli occhi con la manica della camicetta. Una lacrima le era scivolata nell’orecchio destro. Avvolse la punta di un dito nel lembo della camicetta e si asciugò l’orecchio.

Cristo, lo stupro.

Harrison si era poi profuso in mille scuse. Quella notte stessa e la mattina dopo al telefono. Le aveva perfino mandato una dozzina di rose rosse. Pen sapeva che non provava nessun rimorso; aveva solo paura che lo denunciasse.

Ero ubriaco, non sapevo quello che facevo.

Lo sapevi, eccome.

Saltare il cervello.

Poteva essere Harrison quello che aveva telefonato venerdì sera? La voce non sembrava la sua. Forse l’aveva camuffata.

Ma perché chiamarla? Lui e Joyce…

Non era lui, concluse Pen.

Sei sicura?

Andò in bagno. Si soffiò il naso. Allo specchio, i suoi occhi erano arrossati, le palpebre gonfie. A un tratto li socchiuse.

Si affrettò nello studio. La cassetta era ancora inserita nella segreteria telefonica da quando Melanie e Bodie ve l’avevano lasciata. Riavvolse il nastro e lo azionò.

Ascoltando la voce, rivide mentalmente Harrison che si inginocchiava sopra di lei, nudo. Le si serrò lo stomaco, le martellava il cuore. Le gambe si piegavano. Lei era sul pavimento, Harrison la penetrava mordendola, le braccia ammanettate dietro la schiena doloranti, le parole oscene le riempivano la testa.

Poi risuonò la voce di Joyce. Pen spense la segreteria telefonica e si lasciò cadere sulla sedia della scrivania.

La voce non suonava affatto come quella di Harrison.

L’uomo delle telefonate oscene, lo stesso che aveva lasciato il biglietto sotto la porta, non era Harrison.

Ma aveva l’anima sporca di Harrison.

«Va’ all’inferno, bastardo», mormorò Pen.


Bodie finì di leggere il rapporto e lo passò a Melanie. L’agente dall’altra parte della scrivania era occupato al computer. Batteva velocemente i tasti con aria efficiente. Ben diverso dal poliziotto che batte a macchina con due dita, pensò Bodie. Ma già, qui siamo a Beverly Hills. Evidentemente i poliziotti di qui non assomigliano agli altri.

Quando Melanie ebbe finito di leggere, posò il rapporto sulla scrivania dell’agente. Lui piroettò sulla sedia girevole e li guardò. «Avete trovato quello che cercate?» domandò con voce gradevole.

Sembrava più giovane di Bodie.

«C’era soltanto quell’unico testimone?» s’informò Bodie.

«La moglie? Lei è l’unica di cui siamo al corrente, per il momento.»

«Che succede adesso?» volle sapere Bodie.

«Abbiamo diramato una comunicazione a tutte le autofficine di Los Angeles e Orange County. Sono state avvertite di comunicarci subito se un’auto sportiva viene lasciata per una riparazione alla parte anteriore del veicolo. Inoltre stiamo controllando i furti d’auto. Se un automobilista è coinvolto in un incidente e fugge, di solito la prima cosa che fa è quella di denunciare il furto della sua macchina.»

«Logico», commentò Bodie.

«Abbiamo ricevuto più di due dozzine di denunce di auto rubate dal giorno dell’incidente e stiamo esaminandole. Credo che ci sia una buona possibilità che una di queste risulti essere il veicolo che ha investito il signor Conway.»

«Lo spero», disse Bodie e guardò Melanie.

«Suppongo che sia tutto», convenne Melanie e si alzò. «Grazie dell’aiuto.»

«Sono qui per questo. Se possiamo esservi utili, non esitate a telefonare o a venire.» L’agente tese a Melanie il suo biglietto da visita, lei lo guardò e annuì.

«Perché non gliel’hai detto?» domandò Bodie mentre attraversavano il parcheggio.

«Non era nelle mie intenzioni.»

«Ma loro avrebbero potuto accentrare le indagini su Harrison.»

«Che dovevo dire? Che so che è stato quel bastardo perché io sono dotata di facoltà mediamene?»

«Potevi almeno dirgli che Harrison e Joyce hanno una tresca.»

«Potevi dirglielo tu.»

«Non mi sembrava che spettasse a me tirar fuori qualcosa del genere. Voglio dire, si tratta della tua famiglia. Se volevi che si sapesse, era l’occasione buona.» Bodie aprì la portiera per Melanie, girò attorno al veicolo e salì al posto di guida.

«Torniamo a casa di Harrison», decise la ragazza. «Forse se ne sono andati, ormai.»


Pen esitò davanti alla porta e si asciugò le mani sudate sui pantaloncini corti. Sta’ calma, si disse. Non c’è motivo di essere nervosa. Non è mica il dentista, non devi farti otturare un dente. Non succederà niente di strano. Che cosa credi, che ti sparino?

Aprì la porta ed entrò.

C’erano parecchi altri clienti, ma lei si sentiva osservata, un’estranea che non aveva nessun motivo di trovarsi in quel negozio. Un rivoletto di sudore le scese sul fianco. Vi premette il braccio.

Parte della tensione si allentò quando vide uno scaffale di libri vicino al banco. Libri. Territorio familiare. Si avvicinò allo scaffale e vide The Shooter’s Bible, La Bibbia del Tiratore scelto. La copia che aveva a casa probabilmente era vecchia di cinque anni, con informazioni non aggiornate. Sollevò uno dei pesanti volumi dallo scaffale, ne sfogliò le pagine e se lo cacciò sotto il braccio decisa ad acquistarlo.

Non sono poi così fuori posto, dopo tutto, pensò. Probabilmente sono più esperta di armi da fuoco delle persone presenti nel negozio.

So, per esempio, che le rivoltelle non hanno la sicura. Un silenziatore va bene per un’automatica, ma non serve su una rivoltella perché il rumore esplode attorno al cilindro. Non si resta colpiti da una pallottola, questa fa parte della cartuccia che rimane nella camera di scoppio. Con un’automatica basta premere giù il grilletto, ma con una semiautomatica basta premere il grilletto a ogni colpo. Una 357 Magnum richiede munizioni calibro 38.

Diavolo, non sono del tutto ignorante.

Sentendosi più sicura, Pen si allontanò dallo scaffale dei libri e si avviò lungo un corridoio. Vide fucili automatici e da caccia allineati nelle rastrelliere dietro il banco in fondo al negozio.

Si fermò davanti alla vetrina d’esposizione. L’impiegato all’estremità stava avvolgendo nella carta alcune scatole di munizioni per un uomo con una giacca da safari.

Nella vetrina c’erano pistole, teleobiettivi, fucili automatici, coltelli, manette…

Manette.

Pen le fissò.

Le avevano bloccato la circolazione, cosicché le mani erano intorpidite. E aveva profondi solchi nei polsi. Lei aveva sentito quelle manette conficcarsi nelle natiche mentre Harrison la violentava.

«Desiderava vedere un paio di manette?»

Pen guardò, sorpresa, l’impiegato. «Uh, no. No, grazie.» Posò il libro sul banco. «Vorrei prendere questa. E anche un’arma.»

L’impiegato annuì. La sua testa, in cima a un lungo collo, sembrava troppo piccola per il corpo. I capelli biondi e ondulati erano tagliati corti e i baffetti quasi invisibili. Ammiccò a Pen attraverso gli occhiali con la montatura di metallo. «È per difesa personale o…»

«Difesa personale», tagliò corto Pen.

La piccola testa dell’uomo dondolò. «Questo restringe il campo. Ci vuole qualcosa di leggero, ma abbastanza potente da fermare eventuali attacchi.» L’impiegato abbassò la testa e frugò nella vetrina. «Abbiamo una piccola Walther PPK, una semiautomatica a sette colpi. Le mostro anche la 32 e la 380.» L’impiegato si chinò e allungò il braccio per aprire il retro della vetrina.

«No», disse Pen. «Veramente io pensavo a un fucile da caccia.»

L’uomo inarcò le pallide sopracciglia.

«Un fucile da caccia calibro 12.»

Lui si drizzò di colpo. Nei suoi occhi parve balenare un lampo d’ammirazione. «Vuole proprio un’arma con potere d’arresto.»

«E quanto ho in mente.»

Lui si girò e sollevò un fucile dalla rastrelliera sul muro. «Ecco un Marlin a pompa calibro 12, calcio in legno di noce, tutte le parti in acciaio. Caricatore a cinque colpi con le pallottole standard, o quattro se usa proiettili magnum.»

«Magnum?» ripeté Pen.

«Sono più lunghi di proiettili standard. Alta velocità.»

«Capisco.»

«Ecco, provi questo.» L’impiegato le passò il fucile. Era pesante e sembrava pericoloso. Le piaceva. Ma non sapeva che cosa fare, ora che reggeva il fucile. Dopo un’occhiata al mirino, lo riconsegnò all’uomo.

«L’arma perfetta per la difesa in casa», spiegò l’impiegato. Poi, parlando sommesso come se le rivelasse un segreto, soggiunse: «Lei è a casa, di notte, qualcuno s’introduce furtivo… Lei possiede uno di questi aggeggi. L’uomo che si è introdotto scopre che lei è armata con questo balocco e sparisce. Dico: sparisce». Un largo sorriso si dipinse sulla faccia del giovane. «C’è il caso che lei non debba sparare neppure un colpo. Chiude la porta della camera da letto, lo sente arrivare. Aspetta finché è fuori dalla porta e poi…» L’impiegato s’interruppe piegando il braccio come se azionasse la pompa del fucile. «Lui sente e capisce che cosa ha in mano. Scappa. Il miglior deterrente del mondo… solo il suono del cane che si alza.»

«Mi piace», convenne Pen. «Quanto costa?»

«Duecentoventicinque, e le aggiungo una scatola di munizioni magnum.»

«Lo prendo.»

«Magnifico.»

«Quante pallottole ci sono in una scatola?»

«Cinque.»

«Mi dia altre quattro scatole di scorta.»

«Le occorre anche l’equipaggiamento per pulirlo.»

Pen annuì.

Tornando a casa, si sentiva soddisfatta di sé. Ce l’aveva fatta, aveva comperato un fucile.

Avrebbe dovuto farlo venerdì sera. Le cose sarebbero andate diversamente. Niente cordone teso sulla porta, per cominciare. Nessuna testata contro il muro, per poco non si spaccava il cranio.

Non si sarebbe lasciata prendere dal panico.

E non avrebbe accoltellato Bodie.

Costava un sacco di soldi, ma li valeva.

E poi, concluse fra sé, traslocare in un altro appartamento sarebbe costato come il fucile.

Ora non devi più scappare.

Possiedi un fucile a pompa calibro 12 con pallottole magnum.

E mantieni la tua postazione.

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