16

Pen scese le scale con il cesto della biancheria da lavare, passò davanti alla piscina nel cortile. L’edificio era silenzioso e lei non vide nessuno. Un tipico pomeriggio di domenica. Gli inquilini era usciti, oppure se ne stavano tappati in casa.

Imboccò il breve passaggio fra il cortile e il vicolo. La porta di servizio comune era socchiusa: invece avrebbe dovuto essere chiusa per impedire atti di vandalismo e l’uso non autorizzato del macchinario. Alicia, che abitava nell’appartamento all’angolo, le aveva detto che una volta aveva visto una donna entrare a fare il bucato con un carrello per la spesa, un tipo poco raccomandabile che si era agitata mettendosi a sbraitare come una pazza, quando Alicia l’aveva affrontata.

Pen posò il cesto e spalancò la porta. Sbirciò nella penombra. Poiché non vide nessuno, allungò il braccio e accese la luce. La stanza sembrava deserta. Le due lavatrici e le due asciugatrici erano silenziose. Raccolse il cesto ed entrò nello stanzone.

Le lavatrici si caricavano dall’alto. Le aprì e guardò dentro. Vuote.

È un giorno fortunato, pensò Pen.

Pen aveva separato la biancheria prima di scendere. Si chinò sul cesto e tirò fuori un mucchio di panni bianchi. Un calzino cadde a terra mentre stava per gettarlo nella macchina. Pen si chinò per raccoglierlo.

«All’inferno.»

Si ritrasse di colpo, girò la testa di scatto con tanta rapidità che provò un gran dolore al collo.

Sulla porta stava Manny Hammond, l’inquilino del 202. Aveva giocato a football nell’USC e solitamente indossava una tuta sportiva per ricordare a tutti i suoi giorni gloriosi. Quel pomeriggio non portava la tuta, solo un paio di short da ginnastica sbiaditi. Estremamente attillati.

«Mi hai spaventata», disse Pen. Raccolse il calzino e lo mise nella lavatrice.

«Dovresti essere più rilassata.»

«Me lo ricorderò.»

Accidenti, da dove è sbucato?

«Non c’è una partita alla TV?» s’informò lei.

«Perché dovrei guardare una partita quando posso guardare te?» L’uomo si appoggiò allo stipite della porta, incrociò le caviglie e piegò le braccia poderose sul petto.

Con un sospiro, Pen si chinò a prendere il detersivo. Si sentiva addosso lo sguardo di lui. Si alzò. La sua mano tremava quando riempì il misurino.

«Siamo nervosi, eh?»

«Non devi piombarmi alle spalle a quel modo», ribatté lei senza guardarlo mentre lasciava cadere il detersivo nella lavatrice. Poi chiuse il coperchio e accese la macchina. Sentì l’acqua entrare.

«Perché non butti dentro anche il resto?» suggerì lui con un gran sorriso. «Anche l’altra roba è da lavare.»

«Un’altra volta.»

«Ma oggi è giorno di bucato, tesoro. Tutto deve essere pulito.»

Lei lo fissò, il rossore le si diffuse sulla faccia. «Perché non vai a fare una passeggiata, Manny?»

Lui sogghignò. «Scommetto che l’hai suggerito a un sacco di uomini.»

«Solo ai rompiscatole.» Imbarazzata e furibonda, Pen raccolse il cesto e gettò il contenuto nell’altra lavatrice.

«Non sarai mica lesbica per caso?»

«Piantala.»

«Voglio dire, sarebbe un gran peccato, una ragazza come te. Una vera perdita per il genere maschile.»

Lei non si curò di misurare il detersivo, lasciò cadere la polvere nella macchina e mise da parte il cesto.

«Sì, credo che tu sia lesbica.»

Pen sbatté giù il coperchio e si girò di scatto. «Non sono lesbica e tu sei un pezzo di m…»

Lui sembrava divertito. «Che maniera di parlare. Mi fa piacere sapere che non sei lesbica, però. Allora che cos’è, sei solo frigida?»

Furente, Pen tornò a voltarsi. Avviò la lavatrice e raccolse il cesto vuoto. Con mano tremante vi mise dentro la scatola del detersivo. Tenne il cesto contro il ventre e affrontò Manny.

«Non te ne andrai già…» L’uomo si piazzò in mezzo alla porta.

«Per favore, scostati», ordinò lei.

«Quand’è stata l’ultima volta che hai fatto l’amore?»

«Fuori dai piedi.»

«Questo deve essere il tuo problema. E io sono proprio l’uomo in grado di aiutarti.» Manny abbassò la mano e si diede un colpetto sul davanti degli short. Dal rigonfiamento, era chiaro che aveva un’erezione. «Sono bene equipaggiato per risolvere quel problema, bellezza. Vuoi vedere?» Sogghignando abbassò i calzoncini di un centimetro.

«Piantala.»

«Stai a sentire: perché non butti dentro anche questi con la tua roba? Tutta la tua roba. Capisci quel che voglio dire? E io ti insegnerò che cosa vuol dire…»

«Spostati», disse Pen e avanzò verso di lui, il cesto davanti a sé.

«Ehi, ma è la tua grande occasione.»

«Spostati!» gli gridò lei in faccia.

Lui sbatté le palpebre e si fece da parte.

Pen gli passò davanti, quasi aspettandosi che l’agguantasse.

Lui borbottò: «Scema», ma tenne a posto le mani.

Lei si affrettò a passare, uscì dalla penombra nella luce del sole. Tremava e faceva fatica a respirare. Ai piedi delle scale guardò dietro.

Manny, in piedi vicino all’angolo della piscina, alzò il dito medio e lo fece ruotare.

Pen si affrettò a salire le scale, proseguì a passo rapido lungo la balconata fino al suo appartamento e aprì la porta. Provava delle fitte al petto, le mancava l’aria. Sporco bastardo.

Quand’è stata l’ultima volta che hai fatto l’amore?

Volevo parlarti del mio grosso cazzo e della tua calda fìga.

Le si piegarono le gambe. Scivolò lungo la porta e fissò davanti a sé.

Manny?

La voce non era la stessa, ma lui poteva averla contraffatta, quando aveva parlato al telefono.

Manny.

Appartamento 202. Con una chiara visuale della sua porta di ingresso e delle sue finestre. Sapeva chi riceveva e quando. Sapeva quando era in casa e quando era uscita, sapeva quando andava a coricarsi.

Sapeva quando era sola.

Manny.


Melanie doveva avercela fatta perché se dopo aver raggiunto la casa di Harrison avesse visto la Mercedes nel viale, avrebbe rinunciato e quindi sarebbe ritornata verso l’una e venti, l’una e mezzo al più tardi.

Perciò doveva aver battuto Harrison sul tempo, si era introdotta dalla porta di servizio e si era nascosta. Nell’armadio o magari sotto il letto.

Bodie guardò l’orologio. Erano passati solo due minuti. Ora mancavano cinque minuti alle due.

Se Melanie fosse tornata indietro sarebbe qui da mezz’ora.

Fissò la bottiglia di birra vuota rigirandola lentamente fra le dita.

E io che cosa ci faccio in questo strano evolversi degli eventi?

Per cominciare, beviamoci un’altra birra.

Si alzò, prese un’altra Corona dal frigorifero e l’aprì. Se la portò fuori. Si mise a sedere sulla sdraio, la leggera brezza impediva al sole di scottare troppo. Chiuse gli occhi e cercò di ricordare com’era Pen quando stava allungata sulla medesima sdraio.

Bevve un sorso.

Che cosa starà facendo ora? Era uscita a cercare un nuovo appartamento? Stava chiedendosi perché loro non s’erano ancora fatti vedere con la sua roba?

Ehi, sono bloccato qui. Ti avrei portato la tua valigia, se avessi potuto. Fra l’altro, preferirei trovarmi lì con te, invece che qui.

Appena torna Melanie.

Lei si tiene nascosta laggiù finché le si presenta un’occasione per sgusciare fuori.

Naturalmente loro potrebbero prenderla.

Potrei andare laggiù a piedi. Non ci vorrebbe più di mezz’ora.

O telefonare a Pen. Lei ha l’auto. Andiamo da Harrison e poi che cosa? Bussiamo alla porta e chiediamo se c’è Melanie? Davvero ingegnoso.

Ma il pensiero di telefonare a Pen gli accelerò il battito del cuore. Poteva riferirle di Melanie. Potevano discutere insieme la situazione. Forse lei sarebbe venuta lì. Soli in casa. Oh, piantala, ordinò a se stesso.

Sarà meglio chiamarla.

Posò la bottiglia di birra sul tavolo e rientrò in casa. Compose il numero dell’Ufficio Informazioni, diede il nominativo di Pen all’operatore e sentì la voce registrata che trasmetteva il numero. Lo scrisse su un foglietto e lo compose.

Lasciò squillare il telefono dieci volte, poi riagganciò.

Uscì di nuovo e sedette al sole. Bevve un po’ di birra e mise giù la bottiglia. Poi chiuse gli occhi.

Poteva chiamare un taxi e farsi portare da Pen. Era un’idea.

Ciao, ho fatto una scappata per vedere come stai. Melanie? Oh, è nascosta in casa di Harrison a raccogliere indizi.


Pen, incapace di leggere dopo essere tornata dalla lavanderia, aveva acceso il televisore e sedeva fissando lo schermo, la mente concentrata su pensieri confusi. Le telefonate, suo padre, il fucile, cambiare casa, Joyce e Harrison che tradivano suo padre e forse tentavano di assassinarlo, la visione di Melanie, Bodie nella sua camera la sera prima, la gelosia di sua sorella.

Poi era scattato il timer e lei era dovuta scendere di nuovo nella lavanderia.

Il fucile era fuori questione, perciò aveva portato con sé un lungo coltello avvolto in un asciugamano sotto il braccio.

Mentre trasferiva la biancheria umida dalle lavatrici alle asciugatrici, si era aspettata di vedere Manny sgusciare nello stanzone, per aggredirla stavolta, ma lui non s’era visto.

Ora aspettava di nuovo. Il ciclo dell’asciugatrice sarebbe finito fra poco e lei sarebbe dovuta tornare nella lavanderia. L’asciugamano con il coltello giaceva sul tavolo davanti a lei. Non sarebbe andata giù senza il coltello.

Forse Manny era solo uno sbruffone. Non aveva fatto nessun tentativo.

Forse dovrei lasciare il coltello.

Ma Manny era eccitato, si vedeva, voleva saltarmi addosso. Se avessi mostrato il minimo interesse, mi avrebbe sbattuta sul pavimento e…

Manny non è l’uomo delle telefonate.

Manny non ha fatto scivolare il biglietto sotto la porta.

Manny ti affronta nella lavanderia seminudo, e tenta di impressionarti. Non è il tipo che fa telefonate anonime.

Pen si appoggiò allo schienale del divano e corrugò la fronte allo schermo del televisore.

Aveva provato un certo conforto nel credere che si trattava di Manny. Lui era reale, lo conosceva, un nemico contro cui proteggersi. Non ,una presenza senza volto, non un estraneo qualsiasi che la perseguitava. Meglio Manny con il suo sogghigno e gli short da ginnastica gonfi davanti…

S’irrigidì all’improvviso squillo di un campanello.

Voglio venire…

Non era il telefono, era il timer.

Pen si alzò, si batté la mano sulla tasca dei calzoncini per assicurarsi di avere le chiavi, poi prese l’asciugamano con dentro il coltello. Si cacciò l’asciugamano sotto il braccio, prese il cesto della biancheria e uscì di casa.

Le tende di Manny erano scostate. Lei non lo vide a nessuna finestra, ma questo non provava niente; poteva restarsene indietro di pochi passi, nascosto nella penombra di una stanza, osservandola senza farsi vedere.

Si affrettò lungo la balconata e giù per le scale. Passando davanti alla piscina sentì della musica che usciva da un appartamento. Un segno di vita. Rassicurante.

Aveva lasciato lo stanzone della lavanderia chiuso a chiave e lo trovò chiuso quando lo raggiunse.

Naturalmente, Manny aveva la sua chiave.

Pen posò il cesto, frugò in tasca e tirò fuori le chiavi. Aprì la porta e sbirciò dentro.

Nessuno.

Accese la luce. Poi spinse il cesto con il piede attraverso l’uscio e si chiuse dentro.

L’asciugatrice girava ancora.

Lei l’aveva programmata per un’ora.

Avrebbe dovuto fermarsi cinque minuti prima.

Raccolse il cesto e si avvicinò alla macchina. Il timer indicava che mancavano quattro minuti.

Devo aver sbagliato a programmare il timer in cucina, concluse Pen.

Così, oppure qualcuno è stato qui e ha trafficato con il quadrante della macchina.

Sono diventata paranoica, devo piantarla.

Chinandosi, piegò le dita sulla maniglia dello sportello dell’asciugatrice. A un tratto, ebbe paura di aprirla.

Dentro potrebbe esserci qualsiasi cosa.

Magari un gatto morto? Con un biglietto legato alla coda: «Che ne dici del gattino?»

Stai perdendo la testa, Pen.

Si costrinse ad aprire lo sportello. La macchina era ferma; e lei respirò alla vista di un lembo di un lenzuolo.

Si accovacciò e guardò nel cestello buio. Sembrava che non ci fosse niente tranne la biancheria.

Allungò il braccio nell’interno e afferrò la stoffa calda con tutte e due le mani.

Niente le si aggrappò alle dita.

Certo che no.

Non c’era niente di strano, tranne che nella sua mente.

Pen sollevò un mucchio di panni e li lasciò cadere nel cesto.

All’inferno, pensò mentre allungava di nuovo il braccio. Ci sono un sacco di cose che non vanno, il mondo intero non va.

Ma nessuno mi ha lasciato un regalo.

Almeno lo spero.

Finì rapidamente di svuotare il cestello della macchina.

Mise l’asciugamano con il coltello sopra al mucchio di panni, sollevò il cesto e si affrettò a uscire dalla lavanderia.

Metà piscina era in ombra, ma lei camminò sotto il sole e scosse la testa.

Un gatto morto nell’asciugatrice.

Topi famelici.

Dio santo, le cose sono già abbastanza brutte senza che io mi inventi delle sorpresine.

Raggiunse le scale.

Quasi al sicuro.

Mentre le saliva immaginò Manny che la guardava dalla finestra.

Lui è l’ultima delle mie preoccupazioni, pensò Pen. È un verme, non è quello delle telefonate. Posso manovrarlo.

Fu tentata di guardarsi attorno mentre percorreva la balconata, ma se Manny la stava osservando, proprio non voleva saperlo. Aprì la porta, entrò in casa e chiuse l’uscio con la schiena.

Salva.

La serratura scattò dietro di lei. I telefoni erano staccati. Il fucile sotto il letto.

Nessuno può farmi del male, ora.

Pen tirò un lungo e profondo sospiro cercando di calmarsi, poi portò il cesto nella sua camera e lo rovesciò sul materasso.

Cominciò a dividere la biancheria: lenzuola e federe da una parte, un altro mucchio per gli indumenti da stirare. Un terzo mucchio per la biancheria intima. Compiuta l’operazione, prese i reggiseni e li piegò accuratamente nel cassetto. Poi fu la volta delle mutandine. Tranne quel paio di vecchie mutandine bianche che aveva indossato a letto quel famoso venerdì sera, gli indumenti erano nuovi e colorati. Rosse, azzurre, rosa, color lavanda.

Mancavano le mutandine nere.

Sapeva di averle messe in lavatrice.

Perciò, dov’erano?

Frugò fra le altre pile di panni, pensando che le mutandine nere fossero rimaste impigliate in una camicetta o in un lenzuolo. Non c’erano. Controllò il cesto, il pavimento accanto al letto. Poi guardò ancora una volta fra i panni, più attentamente stavolta, sollevando ogni indumento e scuotendolo, sperando che le mutandine saltassero fuori.

Non c’erano.

«Maledizione!» sussurrò Pen.

Sentiva una morsa allo stomaco.

Doveva aver lasciato le mutandine nella lavatrice o nell’asciugatrice. Erano piccole e nere, era facile non vederle quando aveva rimosso gli altri panni dalle macchine. Di solito faceva scorrere le mani sul cestello di metallo per assicurarsi di non lasciarvi nulla. Quel giorno non l’aveva fatto. Era troppo preoccupata, troppo ansiosa di tornare a casa.

Bella mossa.

Non voleva ridiscendere. Voleva restare là al sicuro, con i telefoni staccati e magari bere un bicchiere di vino e fare un lungo bagno caldo.

Meglio prendere le mutandine prima che lo faccia qualcun altro.

Si affrettò a uscire ed era a metà scala quando si accorse di non aver preso il coltello.

Batté la mano sulla tasca dei calzoncini e non sentì le chiavi. Il suo cuore galoppava. Batté la mano sull’altra tasca. Non teneva mai le chiavi in quella tasca, ma erano proprio lì.

Grazie a Dio.

Sarebbe stato davvero fantastico se fossi rimasta chiusa fuori casa.

Camminando vicino alla piscina, prese il mazzo di chiavi dalla tasca e scelse quella della lavanderia, tenendola in mano mentre raggiungeva lo stanzone.

Appena entrata, si chinò sulla lavatrice per sbirciare dentro, tastò i bordi del cestello e fece scorrere le dita sotto la cima nel caso l’indumento fosse rimasto impigliato. Si accucciò davanti all’asciugatrice e ripeté l’operazione. Controllò perfino la lavatrice che aveva usato per i panni bianchi. Poi guardò sul pavimento.

Le mutandine erano decisamente sparite.

Qualcuno era entrato e le aveva portate via.

Manny? E se non era Manny?

Con un gran freddo dentro, Pen si affrettò a tornare nel suo appartamento. Si appoggiò tremando alla porta.

Ora calmati.

Calmati, maledizione. Qualcuno ha preso le mutandine, le desiderava e le ha rubate. Ora sono nelle sue mani.

Mi ha osservato entrare e uscire dalla lavanderia.

Devo andarmene da qui.

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