Affittai un appartamento a Manhattan, tre camere ammobiliate in un vecchio, ma elegante grattacielo nella 63a Est vicino alla Seconda Avenue, che era un vecchio, già elegante quartiere non del tutto decaduto. La nobile origine dell’edificio era visibile da una serie di dispositivi di sicurezza che risalivano agli anni tra il 1960 e il 1990. Andavano da serrature collegate con il posto di polizia più vicino a occhi magici nascosti fino a moderne cellule fotoelettriche e schermi di velocità. I mobili erano semplici e senza uno stile preciso, in ottimo stato e funzionali, divani, sedie, tavoli, letto e scaffali così anonimi da sembrare invisibili. Anch’io mi sentii invisibile, dopo che ebbi completato il trasloco e gli operai e l’amministratore se ne furono andati lasciandomi solo nel mio nuovo soggiorno come un ambasciatore arrivato dal nulla per insediarsi nel limbo. Che cos’era questo posto e come era accaduto che io fossi lì? Di chi erano queste sedie? Di chi le impronte sulle nude pareti azzurre?
Sundara mi aveva lasciato prendere qualche quadro e alcune sculture che disposi qua e là; mentre prima si integravano splendidamente con le armoniche strutture del nostro appartamento di Staten Island, qui sembravano goffi e innaturali, come dei pinguini in una radura africana. Non c’erano riflettori qui, niente abili disposizioni di solenoidi e reostati, niente basamenti moquettati; solo soffitti bassi, pareti sporche, finestre senza azzurranti. Tuttavia non provai autocompatimento, ma solamente confusione, un senso di vuoto e di spaesamento. Passai il primo giorno a disfare pacchi, a organizzare, a mettere a posto i miei “lares” e “penates”, lavorando lentamente e concludendo poco, fermandomi spesso per pensare a niente in particolare.
Dormii solo e, con sorpresa, dormii molto bene. Il mattino successivo telefonai a Carvajal e gli spiegai cosa era successo.
Fece un brontolio di assenso e mi chiese: — Avete una vista della Seconda Avenue dalla finestra della camera da letto?
— Sì. E il soggiorno dà sulla 63a Strada. Perché?
— Pareti azzurre?
— Sì.
— Un divano scuro?
— Perché lo volete sapere?
— È solo un controllo. Per essere sicuro che abbiate trovato il posto giusto.
— Volete dire che ho trovato quello che avete “visto”?
— Esatto.
— Avevate forse qualche dubbio? Non credete più a ciò che “vedete”?
— Niente affatto. E voi?
— Vi credo, vi credo. Di che colore è il lavabo del bagno?
— Non so. Non ci ho mai badato. Ma il frigorifero è marrone chiaro.
— Esatto. Sono impressionato.
— Lo spero. Siete pronto a prendere degli appunti?
Trovai un notes.
— Dite pure.
— Martedì, 21 ottobre. Quinn, la settimana prossima, andrà in Louisiana dove si incontrerà con il governatore Thibodaux. Dopo, Quinn fa una dichiarazione ufficiale con cui esprime al governatore la sua solidarietà per il Progetto Plaquemines. Quando torna a New York esonera l’assessore all’Urbanistica Ricciardi e nomina al suo posto Charles Lewisohn. E poi…
Presi nota di tutto, scuotendo la testa come al solito; sentivo già Quinn brontolare: “Cosa diavolo rappresenta Thibodaux per me? Perché dovrei interessarmi della Diga Plaquemines? Senza contare che ho sempre pensato che le dighe fossero dei residui antidiluviani. E Ricciardi ha sempre fatto un lavoro abbastanza pulito, considerando la sua intelligenza limitata; gli italiani non si offenderanno se gli rifilo un calcio nel sedere di questo genere?”. Eccetera, eccetera. In questi ultimi tempi, mi era capitato sempre più frequentemente di portare a Quinn degli appunti bizzarri, inspiegabili e assurdi, perché adesso le notizie di Carvajal uscivano dal futuro immediato e si trattava di indicazioni su come Quinn avrebbe dovuto manovrare e manipolare; Quinn seguiva tutti i miei suggerimenti, ma a volte era difficile convincerlo a fare ciò che gli chiedevo. Uno di questi giorni avrebbe bocciato decisamente una mia idea e non avrebbe voluto sentire ragione; allora cosa sarebbe successo all’inalterabile futuro di Carvajal?
Il giorno seguente arrivai a City Hall alla solita ora e alle nove e mezzo avevo il solito elenco di appunti pronto per essere mandato al sindaco. Lo inoltrai. Poco dopo le dieci, il mio citofono ronzò e una voce mi avvertì che il vicesindaco Mardikian desiderava vedermi.
Guai in vista. Lo capii di intuito mentre scendevo nell’ingresso e lo lessi sul viso di Mardikian quando entrai nel suo ufficio. Sembrava a disagio, nervoso, sfasato, teso. I suoi occhi brillavano troppo e si masticava l’angolo di un labbro. I fogli con i miei nuovi appunti erano sparpagliati sulla scrivania.
Mi parlò, quasi senza guardarmi: — Lew, che cosa diavolo è questa porcheria di Ricciardi?
— È consigliabile rimuoverlo dal suo lavoro attuale.
— Lo so che è consigliabile. Ce l’hai appena consigliato. Ma perché?
— Lo impongono delle condizioni che si riveleranno alla distanza — dissi, tentando di bluffare. — Ora come ora non posso darti ragioni concrete e convincenti, ma la mia sensazione è che non è saggio mantenere in quel posto una persona che si identifica così strettamente con la comunità italo-americana. Lewisohn è un personaggio neutrale, non abrasivo, che ci farà comodo in quel posto il prossimo anno quando ci sarà l’elezione per la carica di sindaco, e…
— Piantala, Lew.
— Cosa?
— Dagli un taglio. Non mi stai dicendo un accidente. Mi stai dando solo del gran fumo. Quinn pensa che Ricciardi stia facendo un lavoro decente, è irritato per i tuoi appunti, e quando ti chiede dei dati di chiarificazione, tu ti stringi nelle spalle e dici che è un’intuizione. E poi…
— Le mie intuizioni hanno sempre…
— Aspetta. Questa faccenda della Louisiana. Cristo, Lew, Thibodaux è l’antitesi di tutto quello che Quinn ha cercato di impersonare. Perché diavolo il sindaco dovrebbe sorbirsi un viaggio fino a Baton Rouge per abbracciare un bigotto preistorico e approvare il progetto per la costruzione di una diga inutile, impopolare ed ecologicamente rischiosa? In questo Quinn ha tutto da perdere e niente di plausibile da guadagnare, a meno che tu non pensi che la cosa lo aiuterà ottenere i voti dei contadini del sud nel 2004, e se tu pensi che i voti di quei poveri cristi possano essere di importanza vitale per le nostre possibilità, che il Signore ci aiuti, allora. Dunque?
— Non posso spiegartelo.
— Non puoi spiegarlo? Non puoi spiegarlo? Dai al sindaco un’istruzione specifica come questa o come quella di Ricciardi, qualcosa che ovviamente è il frutto di una complicata elaborazione mentale, e mi vieni a dire che non sai perché? Se non lo sai tu, come facciamo a saperlo noi? Dove va a finire la base razionale delle nostre azioni? Vuoi che il sindaco si metta a vagare come un sonnambulo, un morto resuscitato, facendo tutto quello che tu gli dici e non sapendo perché? Siamo seri, ragazzo! Un’intuizione è un’intuizione, d’accordo, ma noi ti abbiamo ingaggiato per fare delle previsioni razionali e comprensibili, non per fare l’indovino.
Dopo una lunga pausa incerta, dissi con calma: — Haig, ultimamente ho avuto un sacco di problemi personali e non ho quasi più energie. Adesso non voglio mettermi a discutere con te. Ti chiedo solo di accettare questi appunti e la mia parola che c’è della logica nelle cose che propongo.
— Non posso.
— Ti prego.
— Senti, capisco che il fallimento del tuo matrimonio ti abbia sconvolto, Lew, ma è proprio per questo che sono costretto a respingere i tuoi consigli di oggi. Sono mesi ormai che non fai altro che darci indicazioni poco sensate; a volte le giustifichi in modo logico, a volte non ci riesci; ogni tanto ci dai delle ragioni sfacciatamente assurde, eppure Quinn non ha mai smesso un attimo di fare quello che gli chiedevi, molto spesso anche contro le proprie idee. Devo ammettere che finora tutto si è, sorprendentemente, svolto nel migliore dei modi. Ma adesso… — alzò lo sguardo e i suoi occhi forarono i miei. — Francamente, Lew, cominciamo a nutrire seri dubbi sulla tua stabilità mentale. Non sappiamo se dovremmo ancora fidarci ciecamente dei tuoi suggerimenti come in passato.
— Cristo! Pensi che la rottura con Sundara abbia fatto a pezzi il mio equilibrio mentale?
— Penso che te ne abbia tolto un bel po’ — ribatté Haig, più gentilmente. — Tu stesso hai detto di non avere più molte energie. Francamente, Lew, pensiamo che tu sia sotto stress, pensiamo che tu sia affaticato, stanco, okay, che tu abbia preteso troppo da te stesso e che potresti prenderti un periodo di riposo. Noi pensiamo…
— “Noi” chi?
— Quinn, Lombroso e io.
— Cosa ha avuto da dire su di me Lombroso?
— Che ha cercato, senza riuscirci, di farti prendere una vacanza fin dall’agosto scorso.
— Cos’altro?
Mardikian sembrò stupito.
— Cosa vuoi dire con cos’altro? Cosa pensi che abbia detto? Cristo, Lew, mi sembri diventato terribilmente paranoico tutto a un tratto. Bob è tuo amico, ricordi? È dalla tua parte. Ti aveva consigliato di andare nel tal posto a caccia e tu non gli hai dato retta. È preoccupato per te. Ma adesso dobbiamo usare il metodo forte. Pensiamo che tu abbia bisogno di riposo, Lew, e vogliamo che tu te lo conceda. City Hall non andrà in pezzi se te ne stai lontano per un paio di settimane.
— D’accordo. Prenderò una vacanza. Ma prima voglio un favore.
— Avanti.
— Quella faccenda di Thibodaux e quella di Ricciardi. Voglio che tu convinca Quinn a seguire i miei consigli.
— Se mi dai una giustificazione plausibile.
— Non posso, Haig — stavo sudando. — Non posso dirti niente di convincente. Ma è importante che il sindaco segua queste indicazioni.
— Perché?
— Lo è. Molto importante.
— Per te o per Quinn?
Era un colpo basso e colpì nel segno.
“Per me” pensai “per Carvajal, per l’intera impalcatura di fiducia e sicurezza che mi ero costruito.” Era dunque arrivato, alla fine, il momento della verità? Avevo passato a Quinn delle istruzioni che si sarebbe rifiutato di seguire? E poi cosa sarebbe successo? Solo l’idea di ciò che sarebbe seguito a quella decisione negativa mi dava le vertigini. Mi sentivo male.
— Importante per tutti. Ti prego. Te lo chiedo come favore. Finora non gli ho mai dato un cattivo consiglio, vero?
— È contrario a questa faccenda. Vuole sapere qualcosa del contesto generale in cui questi suggerimenti rientrano.
Quasi in preda al panico, lo pregai: — Non mi spingere troppo, Haig. Non ce la faccio quasi più. Ma non sono pazzo. Stanco, forse, sì, ma non pazzo, e gli appunti che ti ho dato questa mattina hanno un senso, avranno un senso, tutto sarà chiaro fra tre mesi, o cinque o sei. Guardami. Guardami negli occhi. Mi prenderò quella vacanza. Mi fa piacere che siate tutti in ansia per me. Ma voglio questo unico favore da te, Haig. Dirai a Quinn di seguire le mie indicazioni? Fallo per me. In nome di tutti gli anni in cui siamo stati insieme. Credimi, questi appunti non vengono dal diavolo.
Mi fermai. Stavo farneticando, lo sapevo, e più parlavo e meno era probabile che Haig mi prendesse sul serio. Mi considerava già un lunatico instabile e pericoloso? C’erano gli uomini in camice bianco ad aspettarmi in corridoio? Quante probabilità c’erano, in realtà, che qualcuno prendesse sul serio le mie indicazioni di quel giorno? Sentivo i pilastri crollare, il cielo cadere.
Poi, incredibilmente, Mardikian disse, con un caldo sorriso: — E va bene, Lew. È una follia, ma lo farò. Solo per questa volta, però. Tu, intanto, te ne vai alle Hawaii o in qualche altro posto e te ne stai sdraiato sulla spiaggia per un paio di settimane. Io parlerò a Quinn e lo convincerò a esonerare Ricciardi e ad andare in Louisiana. Penso che sia un consiglio da pazzi, ma ti terrò la parte.
Lasciò la scrivania e mi si avvicinò, torreggiando su di me, poi di colpo, un po’ goffamente, mi strinse contro di sé.
— Mi preoccupi, ragazzo — brontolò.