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La mia testa ruotava vorticosamente mentre mi dirigevo verso casa, e continuò a ruotare per giorni e giorni. Mi sentivo drogato, ubriaco, intossicato da un senso di possibilità infinite, di aperture illimitate. Era come se fossi sul punto di immergermi in un’incredibile fonte di energia verso cui mi ero diretto, senza saperlo, tutta la vita.

Quella fonte di energia era il potere onniveggente di Carvajal.

Mi ero recato da lui sospettando già che fosse ciò che in realtà era e lui lo aveva confermato, ma aveva fatto anche di più di questo. Una volta terminate le schermaglie verbali e la fase di prova, Carvajal era stato così sollecito a raccontarmi la sua storia come se volesse attirarmi in un rapporto speciale basato sul dono che entrambi spartivamo in modo così disuguale.

Che cosa cercava da me? Che ruolo aveva in mente per me?

Amico? Uno spettatore partecipe? Compagno? Discepolo?

Erede?

Pensai a tutte queste possibili soluzioni Ma esìsteva anche la possibilità che io restassi completamente deluso, che Carvajal non avesse in mente nessun ruolo per me. I ruoli sono creati dai drammaturghi e Carvajal era un attore, non uno scrittore. Si limitava a prendere atto delle sue battute e seguiva il copione. E forse ai suoi occhi io ero semplicemente un nuovo personaggio entrato in scena per parlare con lui, comparso per ragioni a lui ignote e senza importanza, per ragioni, se ce n’erano, che riguardavano solo l’invisibile e forse l’inesistente autore del grande dramma dell’universo.

Questo era un aspetto di Carvajal che mi infastidiva profondamente, nello stesso modo in cui mi infastidiscono gli ubriachi. L’alcoolizzato — o il drogato o il tossicomane — è in senso letterale una persona fuori di sé. Il che significa che non si possono prendere sul serio le sue parole o le sue azioni. Sia che dica che vi ama, sia che dica che vi odia, o quanto ammira la vostra opera o rispetta la vostra integrità o condivide le vostre idee, non saprete mai fino a che punto è sincero, perché possono essere l’alcool o la droga a farlo parlare. Se propone un affare, non sapete quanto si ricorderà quando sarà nuovamente normale. Quindi le vostre trattative con lui da lucido non hanno essenzialmente nessun valore. Io sono una persona ordinata e razionale e quando tratto con qualcuno voglio provare la sensazione che vi sia un’azione reciproca. Non è così invece quando io penso di avere un rapporto vero e l’altro invece sta dicendo solo tutto quello che gli passa per la mente chimicamente alterata.

Con Carvajal provavo molte di queste stesse incertezze. Lui non agiva secondo motivazioni razionali, come l’auto interesse o il benessere generale; ogni cosa, persino la sua sopravvivenza, gli sembrava priva di importanza. Le sue azioni, perciò, non si conformavano né alla stocasticità né al buon senso: Carvajal era imprevedibile perché non seguiva schemi visibili, ma solo il copione, il sacro e inalterabile copione, che gli si rivelava in lampi di intuizione illogica e spezzettata. “Faccio ciò che mi vedo fare” aveva detto.

Senza mai chiedersi perché. Ottimo. “Vede” se stesso dare tutto il suo denaro ai poveri, così dà tutto il suo denaro ai poveri. Si “vede” attraversare il George Washington Bridge su un trampolo a molla e così fa, saltellando da una parte all’altra. Si “vede” mettere del H2SO4 nel bicchiere d’acqua del suo ospite e subito vi rovescia dentro l’acido solforico senza esitazione. Risponde alle domande con argomenti preordinati, sia che ciò che è preordinato abbia senso sia che non ce l’abbia. E così via. Essendosi arreso totalmente ai comandi del futuro rivelato, egli non sente nessuna necessità di esaminare motivazioni e conseguenze.

Peggio ancora che ubriaco, dopo tutto. Almeno un alcolizzato ha qualche lampo di coscienza razionale operante, per quanto confuso, in fondo alla mente.

Ma forse sono stato troppo duro. Forse esistevano dei disegni che io non riuscivo a vedere. Poteva darsi che l’interesse di Carvajal per me fosse autentico, che egli volesse davvero farmi avere un ruolo reale nella sua vita solitaria. Che egli volesse diventare la mia guida, essere una specie di padre, trasmettermi, nei mesi di vita che gli rimanevano, quella conoscenza che poteva impartire. A ogni modo io avevo trovato un ruolo per lui. Volevo che mi aiutasse a far eleggere Paul Quinn presidente.

Il fatto che Carvajal non potesse vedere fino alle elezioni dell’anno seguente era un intoppo, ma non necessariamente grave. Avvenimenti di grossa portata come la successione presidenziale hanno radici profonde; decisioni prese oggi possono influenzare le svolte e le tendenze politiche degli anni futuri; le conoscenze di Carvajal sul prossimo anno potrebbero già permettere a Paul Quinn di crearsi delle alleanze che lo porterebbero all’elezione nel 2004. Questa idea mi ossessionava al punto che intendevo manovrare Carvajal a beneficio di Quinn. Con un astuto gioco di domande-risposte avrei potuto carpirgli delle informazioni di importanza vitale.

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