26

Un giorno e mezzo più tardi.

— La cosa peggiore è “vedere” la propria morte. È quello il momento in cui la vita se ne va, ti abbandona, non quando muori davvero, ma quando ti “vedi” morire.

— È questa la maledizione di cui parlavate?

— Sì. È questo che mi ha ucciso, Lew, molto prima che venisse il mio momento. Avevo quasi trent’anni la prima volta che la “vidi”. Da allora l’ho “vista” molte volte. Conosco il giorno, l’ora, il posto, le circostanze. L’ho vissuta e rivissuta, l’inizio, la parte centrale, la fine, le tenebre, il silenzio. E una volta che l’ho “vista”, la vita per me non è stata altro che una rappresentazione di marionette.

— Qual è stata la parte peggiore? Sapere quando, sapere come?

— Sapere che.

— Che sareste morto?

— Sì.

— Non capisco. Cioè, dev’essere tremendo vedersi morire, d’accordo, vedere la propria fine come al telegiornale, ma non vi è nessun elemento fondamentale di sorpresa, no? Voglio dire, la morte è inevitabile e lo sappiamo tutti fin da quando siamo bambini.

— Davvero?

— Ma naturalmente.

— Voi siete convinto che morirete, Lew?

Sbattei gli occhi un paio di volte.

— Naturalmente.

— Ne siete assolutamente convinto?

— Non vi seguo. Volete per caso dire che io avrei delle illusioni d’immortalità?

Carvarjal sorrìse serenamente.

— Tutti si credono immortali, Lew. Quando si è bambini, ci muore il pesciolino rosso oppure il cane e noi pensiamo: “Be’, i pesci rossi non vivono a lungo, i cani non vivono a lungo”, e così accantoniamo il nostro primo contatto con la morte. Questa esperienza non vale per noi. Il ragazzino della porta accanto cade dalla bici e si rompe la testa. Be’, diciamo noi, sono incidenti che capitano, ma non provano niente, ci sono delle persone meno prudenti delle altre, e io invece sto sempre attento. Ci muore la nonna. Era vecchia, ammalata da molti anni, diciamo, era diventata troppo pesante, era cresciuta in una generazione in cui la medicina preventiva era ancora allo stato primitivo, non sapeva avere cura del proprio corpo. A me non accadrà, diciamo.

— I miei genitori sono morti. Mia sorella è morta. Avevo una tartaruga che è morta. La morte non è qualcosa di remoto e irreale per me. No, io credo nella morte. So che morirò.

— No, non lo sapete. Non ne siete convinto sul serio.

— Come fate a dirlo?

— So com’è la gente. So com’ero io, prima di “vedermi” morire e cosa sono diventato dopo. Non sono stati in molti ad avere questa esperienza, a cambiare come sono cambiato io. Forse nessun altro. Ascoltatemi, Lew. Nessuno crede, sinceramente e completamente, di dover morire, qualunque cosa pensi di credere. Potete accettare l’idea qui, con la testa, con il ragionamento, ma non a livello cellulare, a livello di metabolismo e di mitosi. Il vostro cuore non ha perso un colpo in trenta e tanti anni, e non li perderà mai. Il vostro corpo funziona allegramente come una fabbrica a turni tripli che produce corpuscoli, linfa, sperma, saliva, ventiquattro ore su ventiquattro; e per quanto ne sa il vostro corpo, continuerà sempre così. Il vostro cervello si percepisce come il centro di un grandioso dramma il cui divo è Lew Nichols, l’intero universo non è che un’enorme collezione di comparse, tutto ciò che accade, accade intorno a voi, in relazione a voi, con voi in funzione di cardine e fulcro; e se andate al matrimonio di qualcuno, il titolo della scena non è “Dick e Judy si sposano”; no, è “Lew va al matrimonio di qualcuno”; e se un uomo politico viene eletto, il titolo non è “Paul Quinn diventa presidente”, ma “L’elezione di Paul Quinn vista da Lew”; se una stella esplode, l’intestazione non è “Betelgeuse salta in aria”, ma “L’universo di Lew perde una stella”, e così via, è la stessa cosa per tutti, ciascuno è l’eroe del grande dramma della vita, Dick e Judy entrambi nei ruoli principali nelle loro menti, Paul Quinn e forse anche Betelgeuse; e ciascuno di voi sa che, se dovesse morire, l’intero universo si estinguerebbe come una luce spenta e questo, naturalmente, non è possibile; perciò voi non morirete. Sapete di essere l’unica eccezione, che mantiene in piedi l’intera baracca con la propria continua esistenza. Tutti gli altri, Lew, voi lo sapete che moriranno, certo, perché sono le parti senza importanza, le comparse di cui il copione prevede la sparizione lungo la strada, ma non voi, oh, no, voi no di certo! Non è così, Lew, giù alla radice della vostra anima, giù a quei livelli misteriosi che voi visitate solo di tanto in tanto?

Dovetti sorridere.

— Forse è proprio così, dopo tutto. Ma…

— È così. È lo stesso per tutti. Lo era anche per me. Bene, la gente muore, Lew. Alcuni muoiono a vent’anni, altri a centoventi, ma è sempre una sorpresa. Rimangono lì a osservare la grande oscurità che si apre davanti a loro e, mentre sprofondano nel baratro, dicono: “Mio Dio, allora mi sbagliavo, succede anche a me, anche a me!”. Che shock, che colpo tremendo per il proprio io scoprire che non si è l’unica eccezione che si pensava di essere. Ma è consolante, finché non arriva quel momento, abbarbicarsi all’idea che forse riuscirete a svignarvela, forse sarete l’eccezione. Tutti hanno quel pezzetto di speranza con cui vivere, Lew. Tutti tranne me.

— Pensate dunque che “vedere” sia così brutto?

— Mi ha distrutto. Mi ha strappato quell’unica grossa illusione, Lew, quella segreta speranza d’immortalità che ci permette di tirare avanti. Naturalmente, io dovevo tirare avanti, più di quarant’anni, perché avevo “visto” che non sarei morto finché non ero vecchio. Ma questa sicurezza innalzò un muro intorno alla mia vita, un confine, un sigillo infrangibile. Ero poco più di un ragazzo e avevo già tirato la somma finale, avevo messo il punto alla fine della frase. Non potevo più sperare di vivere tutta l’eternità, come tutti gli altri. Avevo solo quaranta e tanti anni davanti a me. Sapere una cosa del genere vi restringe la vita, Lew. Limita le scelte.

— Non è facile per me capire perché dovrebbe fare quell’effetto.

— Alla fine lo capirete.

— Forse per me non sarà così, quando lo saprò.

— Ecco! — gridò Carvajal. — Tutti pensiamo di essere l’eccezione!

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