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Fu una settimana agitata. Sul fronte politico ci furono solo notizie cattive. In tutto il paese i Nuovi Democratici facevano a gara ad assicurare il loro appoggio al senatore Kane, e Kane, invece di mantenere la sua scelta vicepresidenziale aperta secondo la tradizionale usanza dai candidati più in vista, si sentì così sicuro che a una conferenza stampa annunciò allegramente che avrebbe voluto che Socorro entrasse in lista con lui. Quinn, che aveva iniziato a ottenere consensi in campo nazionale dopo la faccenda del coagulamento del petrolio, cessò di colpo di interessare ai capi di partito a ovest dell’Hudson. Gli inviti a parlare si assottigliarono fino a cessare del tutto; le richieste di foto autografate si ridussero a un’inezia, segni di poca importanza, ma abbastanza significativi. Quinn sapeva cosa stava succedendo e non ne era certo soddisfatto.

— Com’è che si è verificata così in fretta questa alleanza Kane-Socorro? — chiese. — Un giorno sono la grande speranza bianca del partito e il giorno dopo le porte di tutti i circoli mi vengono sbattute sulla faccia.

Ci lanciò la famosa, profonda occhiata alla Quinn, con gli occhi che passavano da un uomo all’altro alla ricerca di quello che in qualche modo l’aveva tradito. La sua presenza era dominante come sempre; la vista, poi, del suo disappunto era intollerabilmente dolorosa.

— Aspetta — gli promisi. — Si stanno profilando nuove situazioni. Dammi un mese e ti preparerò lo schema del prossimo anno.

— Aspetterò un mese e mezzo — ribatté lui, di cattivo umore.

La sua rabbia svanì dopo un paio di giorni piuttosto tesi.

Era troppo occupato con i problemi locali che si moltiplicarono di colpo — la tradizionale inquietudine sociale da afa che colpisce New York ogni estate come una nuvola di zanzare — per rimpiangere una nomina che in realtà non avrebbe voluto.

Fu anche una settimana di problemi familiari. L’adesione sempre più completa di Sundara alla Transit cominciava a innervosirmi sul serio. Il suo comportamento ormai era folle, imprevedibile e immotivato come quello di Carvajal; essi, però, giungevano alla loro strana pazzia da direzioni opposte: l’atteggiamento di Carvajal era dominato dalla cieca obbedienza a una rivelazione inesplicabile, quello di Sundara dal desiderio di liberarsi da ogni schema e struttura.

Faceva qualunque cosa le girasse in testa. Il giorno in cui andai a trovare Carvajal, Sundara si recò all’Edificio Municipale e fece domanda per avere la licenza da prostituta. La cosa le portò via quasi tutto il pomeriggio, perché dovette sottoporsi alla visita medica, a un colloquio con il sindacato, alla schedatura con fotografia e impronte digitali e tutte le altre complicazioni burocratiche. Quando tornai a casa, con la testa ancora piena di Carvajal, lei agitò con aria trionfante la piccola tessera laminata che le permetteva di vendere legalmente il proprio corpo ovunque nei cinque distretti.

— Mio Dio — fu l’unica cosa che riuscii a dire.

— Qualcosa che non va?

— Vuoi dire che ti sei messa in fila come una qualsiasi battona da venti dollari di Las Vegas?

— Avrei dovuto usare le nostre conoscenze politiche per avere la licenza?

— E se qualche giornalista ti avesse vista?

— E allora?

— La moglie di Lew Nichols, assistente amministrativo speciale del Sindaco Quinn, si iscrive all’unione delle puttane. Bel titolo, eh?

— Pensi che io sia l’unica donna sposata a far parte della unione?

— Non voglio dire questo. Sto pensando a un possibile scandalo.

— La prostituzione è un’attività legale e generalmente si riconosce alla prostituzione legalizzata un benefico influsso sociale che…

— È legale a New York. Non lo è a Kankakee, a Tallahassee, a Sioux City. Uno di questi giorni Quinn avrà bisogno dei voti di quelle città e di altre simili e qualche furbone andrà a tirare fuori la storia che la moglie di uno dei consiglieri più vicini a Paul Quinn vende il proprio corpo in un casino pubblico e…

— Devo forse adattare la mia vita alla necessità di Quinn di conformarsi alla moralità delle cittadine di provincia? — sbottò, con gli occhi scuri che mandavano lampi e il rossore che le affluiva in viso sotto il colore scuro delle guance.

— Vuoi davvero fare la puttana, Sundara?

— Prostituta è il termine usato di preferenza dalla direzione dell’unione.

— Prostituta non è molto migliore di puttana. Non sei soddisfatta dei patti che abbiamo fatto? Perché ti vuoi vendere?

— Ciò che voglio essere — ribatté lei freddamente — è un essere umano libero, slegato da ogni costrizione dell’autoattaccamento.

— E pensi di arrivarci prostituendoti?

— Le prostitute imparano a spogliarsi del loro “io”. Le prostitute esistono solo per soddisfare i bisogni degli altri. Una o due settimane in un bordello della città mi insegneranno come subordinare le esigenze del mio io alle necessità di quelli che vengono da me.

— Potresti fare l’infermiera. Potresti fare la massaggiatrice. Potresti…

— Ho già fatto la mia scelta.

— Ed è questo che farai? Hai intenzione di passare una settimana o due in un casino della città?

— Probabilmente.

— È stata Catalina Yarber a suggerirtelo?

— Ci ho pensato da sola — ribatté Sundara solennemente.

I suoi occhi mandavano lampi. Ci trovavamo sull’orlo della peggiore lite della nostra vita, uno scontro diretto del tipo “io-ti-proibisco-di-fare-questo/tu-ordini-non-me-ne-dai”.

Mi accorsi di tremare. Mi immaginai Sundara, snella ed elegante, lei desiderata da tutti gli uomini e da molte donne, che timbrava il cartellino in una di quelle squallide stanzette sterili, Sundara sdraiata sulla cuccetta al servizio di qualche cafone con la barba lunga e puzzolente di sudore, mentre una fila lunghissima aspettava, biglietto alla mano, alla sua porta. No, non potevo mandarla giù. Amore di gruppo a quattro, a sei, a dieci, qualsiasi tipo di sesso di gruppo mi andava bene, ma non gruppo-n, gruppo infinito, non offrire il suo corpo prezioso a qualsiasi porco che potesse pagare il prezzo. Per un attimo fui davvero tentato di farle una scenata da marito offeso come erano di moda una volta e dirle di lasciare perdere quella cretinata, altrimenti… Ma, naturalmente, era impossibile. Non dissi niente, mentre tra noi si apriva un abisso. Eravamo su due isole diverse in un mare in burrasca, trasportati lontano uno dall’altra da forti correnti, e non riuscivo neppure a farmi sentire da lei, protendere le mani per raggiungerla. Dov’era andato a finire l’accordo che era stato nostro per qualche anno? Perché l’abisso si allargava sempre di più?

— Ma sì, vattene al tuo casino — brontolai e lasciai l’appartamento in un cieco e antistocastico trasporto di rabbia e paura.

Ma, invece di farsi registrare al bordello, Sundara andò all’Aeroporto Kennedy e si imbarcò su un razzo diretto in India. Si bagnò nel Gange a Benares, passò un’ora alla vana ricerca del quartiere ancestrale della sua famiglia a Bombay, cenò a base di curry al Green’s Hotel e prese il razzo successivo che la riportò a casa. Il pellegrinaggio durò in tutto quaranta ore e le costò esattamente quaranta dollari all’ora.

Ebbi il buon senso di non farglielo notare. In ogni caso non potevo fare niente; Sundara era un essere libero e diventava più libera ogni giorno che passava e aveva il diritto di spendere il proprio denaro per ciò che le piaceva, anche per un folle viaggio notturno in India. Fui molto cauto, dopo il suo ritorno, a non chiederle se pensava davvero di usare la sua licenza da prostituta. Forse lo aveva già fatto. Preferivo non sapere.

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