V

Per quanto si mostrassero ardimentosi, i nobili dei castelli non amavano particolarmente girare di notte per le campagne e per questo venivano accusati da alcuni di timore superstizioso. Si raccontavano strane storie di viaggiatori notturni trovati vicino a rovine in fumo e si descrivevano le loro visioni: una musica inusuale, il pianto dei folletti della luna, l’eco di lontani e fantomatici corni da caccia. Alcuni sostenevano di aver intravisto delle tenui luci verdi o color lavanda e delle fantasime intente ad attraversare a grandi balzi la foresta. Le rovine dell’abbazia di Hode, poi, erano diventate famose per la Strega Bianca che vi si aggirava esigendo un inquietante pedaggio.

Di storie del genere se ne conoscevano a centinaia e nonostante lo scherno mostrato da alcuni nessuno si addentrava di notte nelle campagne se non in casi estremi. Se veramente gli spettri si aggirano sulla scena di antiche tragedie, allora tutta la Terra doveva esserne piena… soprattutto la zona che stava percorrendo Xanten, nella quale ogni minima roccia era impregnata di storia umana.

Si alzò la luna. L’energovagone avanzava lentamente verso settentrione, procedendo su un’antica strada le cui lastre di cemento rilucevano alla luce lunare. Per ben due volte Xanten vide dei chiarori arancio vacillare in lontananza e, nei pressi di un cipresso, gli sembrò di scorgere una sagoma alta e silenziosa che lo osservava mentre le passava accanto. Il Mek se ne stava raggomitolato tramando dentro di sé: Xanten lo sapeva con sicurezza e per quanto lo avesse privato delle antenne togliendogli del tutto la personalità si disse che avrebbe fatto meglio a stare sempre all’erta.

La strada attraversava una cittadina di cui rimanevano in piedi solo alcuni edifici. Neanche i nomadi vi si rifugiavano, terrorizzati dai miasmi e forse dagli effluvi d’angoscia.

La luna raggiunse lo zenith sfumando il paesaggio circostante di tonalità grigio-argentee. Guardandosi intorno, Xanten dovette riconoscere che anche senza i piaceri della vita civile, la bellezza e la semplicità della Terra dei Nomadi era innegabile.

Il Mek si mosse furtivamente. Xanten non si volse neanche, limitandosi a far schioccare la frusta e ciò fu sufficiente per immobilizzare il prigioniero.

L’energovagone viaggiò tutta la notte e vide la luna calare dietro l’Occidente, sempre più pallida, mentre l’Oriente si tingeva di una luce verde, poi gialla. Infine il sole comparve dietro una lontana catena di monti. In quel momento, sulla destra, Xanten vide un sottile filo di fumo.

Fermò l’energovagone, si alzò in piedi sul sedile e si mise a scrutare intorno. Un accampamento di Nomadi era installato a circa mezzo chilometro. C’erano alcune dozzine di tende di diverse misure e alcuni energovagoni molto mal tenuti. La tenda dell’atamano mostrava un ben noto ideogramma nero: quella doveva essere proprio la tribù che tempo prima O.Z. Garr aveva sconfitto nelle terre di Hagedorn.

Xanten si mise in ordine, si riassettò i vestiti, quindi si diresse verso di loro.

Fu avvistato da un centinaio di uomini vestiti di nero, alti e magri, una dozzina dei quali balzò in avanti puntandogli contro gli archi con le frecce pronte per essere scoccate. Xanten, degnandoli appena di uno sguardo interrogativo, avanzò deciso fino alla tenda dell’atamano.

— Atamano! Sei sveglio? — chiamò.

L’atamano spiò un istante da dietro la tenda e infine uscì. Era vestito di nero come tutti gli altri e dal manto che gli copriva la testa sporgeva un volto dal mento affilato e dal naso grottescamente lungo. Xanten lo salutò freddamente.

— Guarda qui — gli indicò alle sue spalle il Mek caricato sull’energovagone. L’atamano osservò per un istante poi rivolse nuovamente i suoi sottili occhi azzurri su Xanten che gli spiegò: — Si sono ribellati al genere umano, stanno cercando di massacrare tutti gli uomini della Terra. È per questo che vi facciamo una proposta. Tornate a Castel Hagedorn. Vi daremo nutrimento, vestiti e armi e sarete addestrati alle arti della guerra regolamentare dal comandante più esperto di cui disponiamo. Insieme annienteremo i Mek, cancellandoli per sempre dalla faccia della Terra. In seguito, potreste imparare dei mestieri e lavorare proficuamente per i castelli.

L’atamano rimase in silenzio un istante, poi il suo volto coriaceo si aprì in un sogghigno crudele. La sua voce, però, era ben modulata.

— E così le vostre bestie si sono ribellate e vi stanno facendo a pezzi. Era ora! Per noi la cosa è del tutto indifferente: siete entrambi degli estranei e un giorno o l’altro le vostre ossa riposeranno insieme.

Xanten finse di non aver capito.

— Secondo te di fronte a un attacco da parte degli alieni gli uomini dovrebbero unirsi e lottare fianco a fianco? E poi, dopo aver vinto, dovrebbero andare avanti a collaborare con reciproco vantaggio? — il suo sogghigno non scomparve. — Ma voi non siete uomini, siete degli estranei come i vostri assurdi schiavi e noi, gli unici veri uomini, vi auguriamo di massacrarvi a vicenda.

— Allora aveva capito bene — rispose Xanten. — È evidente che parlarvi di lealtà è tempo sprecato. Ma considerate un po’ la situazione. I Mek, una volta capito che non potranno avere la meglio sulle popolazioni gentilizie dei castelli, si avventeranno contro di voi, annientandovi come formiche.

— Se ci attaccheranno sapremo difenderci — rispose l’atamano. — In caso contrario li lasceremo fare.

Xanten alzò al cielo uno sguardo pensieroso.

— In ogni caso siamo disponibili ad accettare un contingente di Nomadi al servizio di Castel Hagedorn, dal quale creare un domani una truppa più numerosa e preparata.

— Sì, così potrete cucirci sulla schiena il sacco dello sciroppo, vero? — lo beffeggiò un Nomade.

Xanten gli rispose con calma.

— Lo sciroppo ha un alto valore nutritivo e soddisfa tutte le esigenze del corpo.

— E allora perché non ne usufruisci anche tu?

Xanten non si degnò di rispondere.

L’atamano riprese la parola.

— Se ci darete delle armi le accetteremo e ce ne serviremo per difenderci da chiunque ci minacci, ma non aspettatevi che vi proteggiamo. Se temete tanto per le vostre vite, lasciate i castelli e fatevi Nomadi.

— Temere per le nostre vite? — esclamò Xanten. — Che idea assurda! Castel Hagedorn è inespugnabile, come la maggior parte degli altri castelli.

L’atamano scrollò la testa.

— Noi potremmo espugnare il vostro castello in qualsiasi momento e potremmo ammazzare nel sonno tutti i vostri bellimbusti.

— Cosa? — urlò Xanten indignato. — Non starai parlando sul serio, vero?

— Ma certo! In una notte senza luna potremmo calare sui vostri spalti un uomo appeso a un gigantesco aquilone. Quello calerebbe le funi e le scale e nel giro di un quarto d’ora il castello sarebbe in mano nostra.

Xanten si tormentava il mento.

— Ingegnosa come idea, ma poco pratica. Un aquilone simile verrebbe notato dagli Uccelli, e poi il vento potrebbe tradirvi nel momento decisivo… ma non ha importanza. I Mek non usano gli aquiloni. Essi intendono spiegare le loro forze davanti a Castel Hagedorn e a Janeil, ma presi dalla frustrazione ripiegheranno su di voi.

L’atamano fece un passo indietro.

— E allora? Abbiamo già subito degli attacchi del genere da parte degli uomini di Hagedorn: vigliacchi e nient’altro. In combattimento leale, alla pari, vi faremmo mangiare la polvere, cani che siete!

Xanten aggrottò le sopracciglia, elegantemente sdegnato.

— Credo che tu ti sia dimenticato di avere davanti un capo clan di Castel Hagedorn. Cerca di stare al tuo posto. Solo la stanchezza e la noia mi trattengono dall’infliggerti la punizione che meriti.

— Be’ — fece l’atamano a uno dei suoi arcieri. — Infilza questo signorotto insolente.

L’arciere lanciò la freccia, ma Xanten, che prevedeva una cosa simile, fu pronto a sparare con la sua pistola a energia. La freccia, l’arco e le mani dell’arciere andarono in fumo.

— Ma allora devo proprio farti capire come si tratta con chi è superiore a colpi di frusta. — Afferrò l’atamano per i capelli e lo colpì fulmineamente due, tre volte sulle spalle. — Credo che sia sufficiente così. Non ti posso obbligare a combattere, ma posso pretendere che mi porti rispetto. — Scese a terra, abbrancò l’atamano e lo gettò sull’energovagone di fianco al Mek. Quindi fece muovere la macchina e si allontanò dall’accampamento senza voltarsi: il sedile lo proteggeva da eventuali frecce.

L’atamano si alzò sguainando la daga. Xanten volse appena la testa.

— Stai attento! Altrimenti sarò costretto a legarti dietro l’energovagone e mi dovrai seguire di corsa.

L’atamano esitò, emise un rumore simile a uno sputo e arretrò. Fissò la lama e la ripose nel fodero con un grugnito.

— Dove mi stai portando?

Xanten si fermò.

— Da nessuna parte. Volevo solo andarmene dal tuo campo senza essere inseguito da una pioggia di frecce. Puoi andartene adesso, anche se credo che non accetterai mai di mettere i tuoi uomini al servizio di Castel Hagedorn, vero?

L’atamano emise per la seconda volta quel rumore simile a uno sputo.

— Una volta che i Mek avranno distrutto i castelli, noi distruggeremo i Mek e la Terra sarà finalmente libera da tutti quelli che sono venuti dalle stelle.

— Non siete altro che una massa di selvaggi intrattabili. Va’. Tornatene al tuo accampamento, ma pensaci bene prima di mancare di rispetto a un capo clan di Castel Hagedorn.

— Mah — borbottò l’atamano. Saltò giù dall’energovagone e si diresse verso l’accampamento.

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