Cinque anni dopo, Xanten e Glys si recarono a Nord insieme ai loro due figli e ne approfittarono per fare un giro a Castel Hagedorn, adesso abitato solo da poche dozzine di persone tra le quali lo stesso Hagedorn.
Era invecchiato, pensò Xanten non appena lo vide. I suoi capelli erano diventati bianchi e il suo viso un tempo cordiale era scarno e quasi cereo. Xanten non riuscì a capire i suoi sentimenti.
Si erano seduti all’ombra di un immenso castagno ai piedi del picco.
— Adesso il castello è diventato un grande museo — lo informò Hagedorn — e io ne sono il custode. Sarà questo, d’ora innanzi, il compito degli Hagedorn, perché il tesoro da guardare è inestimabile. C’è già aria di antichità in questi luoghi. I palazzi sono abitati da fantasmi che si fanno vedere spesso, anche da me, specialmente nelle notti di festa… bei tempi quelli, vero?
— Sì — ammise Xanten, sfiorando il capo dei suoi due bambini — ma non ci tornerei. Adesso siamo veramente uomini e questo è davvero il nostro mondo.
Hagedorn fece un cenno d’assenso, sebbene a malincuore, e sollevò gli occhi verso i palazzi, come se li vedesse per la prima volta.
— I posteri… chissà cosa penseranno di Castel Hagedorn e dei suoi tesori, delle sue cotte d’armi…?
— Verranno e si meraviglieranno — disse Xanten — come sto facendo io oggi.
— Ci sono tante cose dentro che stupiscono. Volete entrare, Xanten? Sono rimaste ancora delle fiasche di essenze squisite.
— Grazie, no. Troppe cose mi tornerebbero in mente. Procederemo verso la nostra meta, e subito.
Hagedorn annuì tristemente.
— Vi capisco. Anch’io spesso fantastico e torno con la mente a quei giorni. Bene, allora. Addio, e che il vostro sia un felice rientro.
— Sarà così, Hagedorn, grazie.