XIII

L’estate era al termine. Il 30 di giugno Janeil e Hagedorn celebrarono la Festa dei Fiori nonostante l’altezza della diga intorno a Janeil aumentasse sempre di più. Poco tempo dopo Xanten volò a Castel Janeil per proporre al Consiglio di evacuare il castello per mezzo degli Uccelli. I consiglieri ascoltarono impietriti, e senza profferir parola passarono a un altro argomento.

Xanten tornò a casa e muovendosi con la massima discrezione riuscì a convincere una quarantina di cadetti e nobili. Non gli riuscì comunque di mantenere nel segreto la base del suo intento.

I tradizionalisti all’inizio fecero del sarcasmo lanciandogli accuse di poltroneria, ma dopo insistenti raccomandazioni di Xanten i suoi compagni, anche quelli più impulsivi, rinunciarono a qualsiasi reazione.

Castel Janeil cadde la sera del 9 settembre. La notizia giunse a Castel Hagedorn alcuni giorni dopo portata dagli Uccelli che continuavano a ripetere sempre più istericamente l’orribile svolgimento dei fatti.

Hagedorn, smarrito e sfinito, riunì subito il Consiglio che prese nota del terribile avvenimento.

— Siamo rimasti l’ultimo castello, adesso! Molto probabilmente i Mek non possono farci del male. Possono circondarci di dighe per vent’anni di fila, arriveranno soltanto alla disperazione. Noi siamo al sicuro, comunque è strano pensare che qui a Castel Hagedorn vivono gli unici nobili sopravvissuti dell’intera razza umana!

Intervenne Xanten, con parole colme di convinzione.

— Vent’anni… cinquanta… che differenza fa per i Mek? Una volta che ci avranno circondato saremo in trappola. Ma non capite che questa per noi è l’ultima possibilità di fuga?

— Fuggire? Che cosa va dicendo! È vergognoso! — tuonò O.Z. Garr. — Prendete pure il vostro gruppo di disgraziati e andatevene, nella steppa, nella palude, nella tundra… dove volete, voi e i vostri poltroni, ma per favore, non angustiateci più con questi stupidi allarmismi!

— Garr, da quando sono diventato un «poltrone», come dite voi, ho capito una cosa: che la sopravvivenza consiste nella buona morale. L’ho appreso dalla bocca di un gran saggio.

— E chi sarebbe?

— Se ci tenete proprio a saperlo, si tratta di A.G. Philidor.

O.Z. Garr si batté una mano sulla fronte.

— Parlate dell’Espiazionista forse? È uno dei più estremi, uno dei più arrabbiati. Xanten, siate ragionevole!

— Abbiamo davanti lunghi anni… sempre che ci liberiamo del castello — replicò Xanten impassibile.

— Ma il castello è tutta la nostra vita! — esclamò Hagedorn. — Cosa saremmo noi senza di esso? Animali, Nomadi?

— Saremmo vivi.

O.Z. Garr sbuffò e si volse verso la parete per esaminare un arazzo.

Hagedorn scosse il capo, dubbioso e perplesso. Beaudry alzò le mani al cielo.

— Xanten, riuscite sempre a esasperarci. Venite qui e iniziate a insistere sulla necessità di affrettarci… perché? Qui siamo al sicuro come tra le braccia materne. Cosa potremmo guadagnare lasciando tutto… l’onore, la dignità, gli agi, le raffinatezze della civiltà… e solo per nasconderci in posti desolati?

— Anche Janeil si riteneva che fosse sicuro — replicò Xanten — e adesso, cos’è? È solo morte, putredine, vino acido. Cosa ci guadagneremmo a nasconderci? La vita! E io ho intenzione di fare molto di più che nascondermi.

— Si possono citare centinaia di situazioni nelle quali la morte è preferibile alla vita — insorse Isseth. — Dobbiamo forse morire disonorati? Dovremo rinunciare alla dignità proprio negli ultimi anni?

Entrò B.F. Robarth.

— I Mek si stanno avvicinando — annunciò.

Hagedorn si guardò intorno disperato.

— Non riusciamo a metterci d’accordo? Cosa faremo?

Xanten sollevò le mani.

— Ognuno farà quello che ritiene meglio per lui! Io non ho più niente da dire, ho deciso. Hagedorn, vi prego di togliere la seduta in modo che ciascuno possa dedicarsi a quello che più gli preme… e che io mi possa nascondere.

— La seduta è tolta — annunciò Hagedorn e tutti corsero sui bastioni.

I Contadini marciavano intruppati lungo il viale interno al castello. Venivano dalle campagne circostanti e avevano sulle spalle il loro fardello. All’altro lato della valle, ai confini della foresta di Bartholomew, c’era una massa d’oro brunito, affiancata da un gruppo di energovagoni: i Mek.

Aure allungò il braccio verso Ovest.

— Guardate… salgono dalla Lunga Palude — poi si volse a Est. — E anche da Bambridge!

Quasi di comune accordo tutti si volsero per scrutare il crinale settentrionale e O.Z. Garr individuò anche da quella parte le sagome d’oro brunito.

— Eccoli là che stanno aspettando, quei vermi! Ci hanno circondato! Che aspettino pure! — si volse su se stesso e se ne andò. Scese nella piazza e, attraversatala velocemente, entrò nella casa di Zumbeld, dove trascorse il resto della giornata a istruire Gloriana, la Phane dalla quale si aspettava grandi cose.

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