Tre giorni dopo Xanten si sedette su una portantina e ordinò agli Uccelli di fargli fare un giro intorno al castello e poi di dirigersi verso Sud, verso la Valle Lontana.
Gli Uccelli, con le usuali lamentele, si mossero lungo la terrazza con movimenti sgraziati che minacciavano di far cadere il passeggero sulla massicciata. Finalmente presero il volo formando una spirale: Castel Hagedorn divenne una piccola miniatura nella quale i singoli palazzi restavano riconoscibili in virtù delle torrette e della linea del tetto con il lungo orifiamma svolazzante.
Gli Uccelli nel volo sfiorarono i picchi e i pini della Catena Settentrionale, quindi, piegandosi obliquamente, si diressero verso la Valle Lontana.
Xanten e gli Uccelli sorvolarono gli incantevoli possedimenti di Hagedorn: orti, campi, vigne, villaggi. Oltrepassarono il lago Maude con i suoi padiglioni e i suoi moli, i prati dove pascolavano le pecore e le mucche e infine giunsero nella Valle Lontana, negli estremi territori del castello.
Xanten fece vedere agli Uccelli il punto in cui desiderava atterrare. Questi obbedirono incolleriti: avrebbero preferito un posto più vicino al villaggio, dal quale osservare tutto quello che succedeva, così deposero a terra il loro passeggero tanto bruscamente che se non fosse stato pronto a scattare sarebbe finito a rotoloni sul terreno.
Non fu un atterraggio molto elegante, ma almeno mantenne l’equilibrio.
— Aspettatemi qui! — ordinò. — Non allontanatevi e non fate scherzi con le cinghie. Quando tornerò voglio vedere sei Uccelli tranquilli, in formazione e con le cinghie non aggrovigliate. E non litigate, mi raccomando! E non mettetevi in mostra! Fate quello che vi ho detto!
Gli Uccelli si scocciarono, riottosi, pestarono le zampe e piegarono il collo lanciando degli impercettibili insulti all’indirizzo di Xanten, che dopo aver lanciato loro un ultimo sguardo ammonitore si diresse verso il villaggio.
Le more dei vigneti erano mature e parecchie ragazze ne stavano riempiendo dei canestri. Tra quelle Xanten vide anche la fanciulla desiderata da O.Z. Garr. Quando le passò davanti si fermò per salutarla cortesemente.
— Se non ricordo male ci siamo già visti.
La ragazza gli rivolse un sorriso capriccioso e malinconico insieme.
— Ricordate benissimo. Ci siamo conosciuti ad Hagedorn, quando ero stata fatta prigioniera. E siete stato proprio voi a portarmi qui, anche se non vi avevo potuto vedere in faccia. — Gli tese il canestro. — Avete fame? Volete mangiare qualcosa?
Xanten prese una manciata di more. Venne a sapere che la ragazza si chiamava Glys Meadowesweet. Non si sapeva chi fossero i suoi genitori, ma quasi sicuramente appartenevano a una famiglia gentilizia di Castel Hagedorn che aveva avuto più nascite di quelle permesse dalle leggi. Xanten la guardò con attenzione ma non riuscì a trovare nessuna somiglianza.
— Magari venite da Castel Delora. Le uniche persone alle quali mi sembra che assomigliate sono i Cosanza di Delora… famosi per la bellezza delle loro donne.
— Siete sposato? — chiese la ragazza con semplicità.
— No — rispose Xanten, che aveva sciolto il suo legame con Araminta proprio il giorno innanzi — e voi?
La fanciulla scosse il capo.
— Se lo fossi, non mi troverei qua a raccogliere le more: questa incombenza spetta alle ragazze… Perché siete venuto fin qui?
— Per due motivi. Il primo è che volevo rivedervi. — Xanten si sorprese da solo a proferire quelle parole e la sua sorpresa fu ancora più grande quando si rese conto che era la verità. — Non abbiamo mai potuto parlare a lungo e mi domandavo se il vostro carattere rispecchia la vostra bellezza.
La ragazza alzò le spalle in un gesto che Xanten non riuscì a interpretare. A volte, i complimenti generavano delle spiacevoli circostanze.
— Lasciamo perdere. Il secondo motivo per cui sono venuto è che desidero parlare con Claghorn.
— È laggiù — lo informò Glys con una voce quasi fredda e allungando il braccio per indicargli la direzione. — Vive in quella casetta. — E ritornò al suo lavoro. Xanten fece un inchino e si incamminò verso il piccolo edificio.
Claghorn portava dei pantaloni grigi fatti a mano che gli arrivavano al ginocchio. Stava tagliando delle fascine per la stufa con un’ascia. Quando vide l’amico si fermò, si appoggiò all’ascia e si deterse il sudore dalla fronte.
— Xanten! Sono contento di vedervi. Come vanno le cose a Castel Hagedorn?
— Al solito, non c’è molto di nuovo da raccontare, anche se sono venuto proprio per darvi alcune notizie.
— Cosa? cosa? — Claghorn fece pressione sul manico dell’ascia fissando l’altro con i vivaci occhi azzurri.
— Durante il nostro ultimo incontro — gli rammentò Xanten — avevo accettato di interrogare il prigioniero. Mi è spiaciuto tantissimo che voi non foste presente, perché avreste potuto sciogliere molte delle ambiguità presenti nelle sue risposte.
— Dite — lo invitò Claghorn — forse potrò farlo ora.
— Alla fine della riunione sono andato subito nel magazzino dove il Mek era stato rinchiuso. Non aveva niente da mangiare. Gli ho offerto dello sciroppo e dell’acqua e lui ne ha bevuti alcuni sorsi, quindi ha chiesto dei molluschi tritati. Ho dato disposizioni agli sguatteri della cucina e il Mek ne ha ingoiati alcuni litri. Come sa già, si trattava di un Mek particolare, alto come me e privo del sacco dello sciroppo. L’ho portato in un altro locale, un magazzino pieno di mobili, e gli ho ordinato di sedersi.
«Ci siamo guardati a vicenda. Le antenne che gli avevo reciso stavano ricrescendo e forse era già in grado di ricevere i messaggi dei suoi compagni. Sembrava un essere superiore, non era ossequioso né rispettoso e rispondeva senza esitare alle mie domande.
«Innanzitutto gli ho detto che i nobili dei castelli erano rimasti stupefatti dalla loro ribellione, perché erano convinti che la vita dei Mek fosse soddisfacente: si erano forse sbagliati?
«Sono del tutto sicuro che mi abbia risposto: “Evidentemente”, anche se non avrei mai creduto che un Mek potesse usare un tono tanto asciutto e sarcastico.
«A questo punto gli ho domandato spiegazioni e la sua risposta mi ha a dir poco sbalordito. “Eravamo stanchi di affaticarci per voi, desideravamo condurre la nostra vita secondo i nostri principi tradizionali” mi ha detto. Non sapevo che avessero dei principi, tantomeno “tradizionali”.»
Claghorn fece un cenno d’assenso.
— Anch’io sono rimasto sorpreso dalla vastità della loro mentalità.
— Per quale motivo uccidere? per quale motivo distruggere la nostra vita per arricchire la loro, gli ho chiesto. Non appena formulate queste domande mi sono reso conto che avevo sbagliato tono e credo che anche lui se ne sia accorto. Comunque, la sua risposta è stata immediata: dovevano muoversi in fretta a causa del nostro protocollo. Avrebbero potuto andarsene su Etamin Nove, ma hanno preferito la Terra e hanno intenzione di impadronirsene completamente, creando le loro scivolovie, le vasche e le rampe.
«Fin qui mi sembrava tutto abbastanza chiaro, ma ho capito che dietro c’era molto di più e così ho replicato che per ottenere questo non era necessario distruggere tutto. Più semplicemente avrebbero potuto spostarsi altrove, e nessuno li avrebbe infastiditi. Secondo lui una situazione di questo tipo non era fattibile, perché un mondo è troppo piccolo per due razze in competizione e noi avremmo finito per rispedirli su Etamin Nove.
«Ho ribadito che tutto questo era semplicemente ridicolo e che io non ero pazzo, ma lui ha insistito nel dire che uno dei due contendenti per la carica di Hagedorn lo aveva promesso se fosse stato eletto.
«Ho cercato di spiegargli che si trattava di un grosso equivoco e che un solo uomo non poteva parlare per tutti, però non l’ho convinto, perché sosteneva che un Mek parla a nome di tutti e che loro pensano con una sola mente.
«Contento di aver chiarito l’equivoco gli ho detto che noi uomini pensiamo ognuno per conto suo e che non era affatto nostra intenzione quella di rimandarli su Etamin Nove. Non era possibile, adesso che tutto era stato spiegato, mettere fine alla ribellione?
«Mi ha risposto di no, perché ormai le cose erano andate troppo oltre, perciò la distruzione del genere umano sarebbe andata avanti. Un mondo solo era comunque troppo piccolo per due razze diverse.
«“Allora ti devo uccidere. Non che mi piaccia l’idea, ma tu se ne avessi la possibilità ammazzeresti il maggior numero possibile di uomini” gli ho detto. Mi è saltato addosso e sono riuscito ad ammazzarlo più facilmente che se fosse rimasto seduto a guardarmi.
«Questo è tutto. A quanto pare la colpa di tutto questo sfacelo è solo vostra e di O.Z. Garr. Non posso credere che sia stato O.Z. Garr, è impossibile, quindi siete stato voi, Claghorn! voi che dovete avere questo peso sulla coscienza!»
Claghorn abbassò gli occhi sull’ascia, corrugando la fronte.
— Sì, il peso, ma non la colpa. Il mio è stato un comportamento dettato dall’ingenuità, non dalla cattiveria.
Xanten indietreggiò.
— La vostra freddezza mi stupisce. Una volta, quando O.Z. Garr e gli altri, pieni di rancore, vi giudicavano pazzo…
— Calmatevi, Xanten! — esclamò Claghorn. — Stiamo andando troppo oltre. In che cosa ho sbagliato? Solo nell’aver osato troppo. Il fallimento è una cosa tragica, ma un volto tisico aleggiante sulla coppa del futuro è peggio ancora. Desideravo essere eletto Hagedorn e avrei rimandato gli schiavi nella loro patria. Non ce l’ho fatta e gli schiavi si sono ribellati. Non dite altro, per favore, mi annoiate. Non immaginate neanche quanto mi deprima vedervi lì con quegli occhi stralunati.
— Vi annoio? E non vi piace il modo in cui vi guardo?… ma… e le migliaia di morti? — urlò Xanten.
— Quanto sarebbe durata ancora la loro vita? La vita dell’uomo costa meno dei pesci del mare. Accettate un consiglio; lasciate perdere i vostri rimproveri e dedicate tutte le vostre forze a salvare voi stesso. Sapete, vero, che c’è un mezzo per farlo? Non capite? Vi garantisco che sto dicendo la verità, ma non vi dirò di più.
— Claghorn — disse Xanten. — Ho fatto tutta questa strada per staccarvi quella vostra testa arrogante… — ma l’altro non gli dava più retta e si era rimesso al lavoro.
— Claghorn! Ascoltatemi!
— Xanten, andatevene da un’altra parte a urlare, per favore, sfogatevi con i vostri Uccelli.
Xanten si girò e riprese il viottolo. Le ragazze intente alla raccolta delle more lo fissarono con aria interrogativa e si spostarono per lasciarlo passare. Xanten si guardò intorno, ma Glys Meadowesweet non si vedeva da nessuna parte. Riprese a camminare ancora più adirato, ma si fermò di colpo quando vide Glys a poca distanza dagli Uccelli, seduta sul tronco di un albero abbattuto intenta a esaminare un filo d’erba come se fosse una testimonianza del passato. Miracolosamente gli Uccelli gli avevano obbedito e lo avevano aspettato con un certo ordine.
Xanten guardò il cielo e sferrò un calcio sull’erba. Respirò e si avvicinò a Glys. Vide che aveva infilato un fiore nei capelli sciolti.
Dopo alcuni istanti la ragazza sollevò lo sguardo e lo fissò in viso.
— Perché siete tanto adirato?
Xanten si picchiò la coscia con la mano, quindi si sedette vicino a lei.
— Adirato? Niente affatto. Sono solo esasperato. Claghorn è ostinato come un mulo. Sa come salvare Castel Hagedorn ma non vuole dirmi il segreto.
Glys Meadowesweet scoppiò a ridere, una risata disinvolta e piacevole, del tutto diversa da quelle che si udivano al castello.
— Il segreto? Ma se lo so anch’io!
— Eppure deve essere un segreto e non me lo vuole rivelare.
— Ascoltatemi. Se non volete che gli Uccelli sentano ve lo dirò a bassa voce — e gli sussurrò alcune parole all’orecchio.
Forse fu quel dolcissimo respiro che gli sconvolse la mente, comunque il concetto della rivelazione non riuscì a entrare nella testa di Xanten. Proruppe in un risolino acre.
— Ma questo non è un segreto, è solo quello che gli Sciti chiamavano bathos. È un disonore per noi nobili! Forse che balliamo con i Contadini? o serviamo le essenze agli Uccelli? o parliamo con loro della bellezza delle nostre Phane?
— E così è un «disonore»? — Glys balzò in piedi. — Allora dovreste sentirvi disonorato anche a stare qui a parlare con me, a starmi seduto vicino facendo delle ridicole insinuazioni!
— Ma io non ho fatto nessuna insinuazione! — protestò Xanten. — Me ne sto qui seduto con un contegno più che decoroso…
— Troppo decoro, troppo onore! — Con uno slancio che stupì Xanten, Glys si strappò il fiore dai capelli e lo gettò a terra. — Andatevene via!
— No — le rispose Xanten, improvvisamente umile. Si chinò a raccogliere il fiore, lo baciò e lo rimise fra i capelli della ragazza. — Non voglio esagerare con l’onore. Prometto che cercherò di fare del mio meglio. — Le circondò le spalle con le braccia ma lei lo allontanò.
— Voglio sapere — gli chiese con un tono da donna matura — avete qualcuna di quelle donne insetto?
— Io? Una Phane? No, neanche una.
Glys si calmò e si lasciò abbracciare, nonostante le risate sghignazzanti degli Uccelli che facevano rumore con le ali.