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— Non sono molti i modi in cui si può aprire una porta — disse Walters, con serietà. — Ascoltatemi attentamente, e controllate. Può aprirsi all’interno o all’esterno, girando su dei cardini. Può aprirsi scivolando verso l’alto, verso il basso, o ai due lati. Può essere montata su un perno centrale, come una valvola a farfalla, o può essere a vite. Ho dimenticato qualcosa?

— Non credo — rispose McCullough. — Ma se questi esseri sono abbastanza avanzati nella tecnica molecolare, gli ingressi potrebbero aprirsi e chiudersi a iride.

— È poco probabile — ribatté Walters. — Le porte e le pareti tutto attorno sono fatte di metallo normale, non molto levigato, e ricoperto di graffi. Se gli esseri sconosciuti fossero capaci di controllare le forze molecolari di legatura dei metalli fino al punto di spalancare un’apertura in una piastra solida… di fare scorrere il metallo come un liquido vischioso… tutte queste graffiature non ci sarebbero. Questi segni possono essere stati fatti dai macChinari o dalle grosse casse che sono passate attraverso il portello. Hanno profondità diverse, ma uguale lucentezza.

“Se hanno montato lo scafo nello spazio, i graffi possono essere stati fatti in un qualsiasi momento della costruzione, e apparire ancora lucidi e recenti. Ce ne sono un’infinità, in ogni angolo.”

— Vorremmo avere una descrizione più dettagliata dei meccanismi della porta, se ce ne sono. Con questo telescopio non riesco a vedere molto.

La voce che giunse dal P-Uno era tesa, ma, da una lieve inflessione di tono, si poteva capire che la tensione era voluta e dedicata ai milioni di uomini in ascolto. Sulla Terra, tutti coloro che avessero avuto la possibilità di ascoltare una radio sarebbero rimasti sospesi a ogni parola che veniva pronunciata. Morrison non poteva fare a meno di sentire la presenza di quel miliardo di orecchi. Anche Walters sembrava più preoccupato da questo, che non da ciò che poteva esserci dentro l’astronave.

Il pilota si lasciò sfuggire un sospiro, poi riprese a parlare.

— A venti centimetri dal bordo del portello per l’equipaggio, verso la parte posteriore dello scafo, c’è una leva di circa sessanta centimetri. È tutta a livello della fusoliera; però, a una delle estremità, c’è un incavo ovale, profondo circa nove centimetri, che permette di maneggiarla.

Aveva usato quel verbo con molta libertà, pensò McCullough mentre fotografava la leva; era evidente infatti che quella leva non era fatta per essere afferrata da mani. Terminava in una piccola maniglia con due leggere depressioni ai due lati opposti, come fatte per un pollice e un indice. O per delle pinze.

— Ora la sollevo — disse Walters rapidamente, senza dare tempo al colonnello di cambiare idea. — La sto muovendo con molta lentezza. All’inizio ho incontrato un po’ di resistenza, come se la leva fosse tenuta da un fermo a molla; ora però la sposto senza nessuna fatica. Questo fatto può significare che si tratta di un attivatore di energia, piuttosto che di un meccanismo collegato con il portello stesso. Fino a questo momento, non è successo niente. La leva è adesso sollevata di circa trenta gradi. Mi avvicino ai quarantacinque… Oooh!

Il portello si aprì all’improvviso scatenando un breve e silenzioso uragano; i due astronauti vennero a trovarsi al centro di un globo di nebbia, che si disperse quasi istantaneamente. McCullough fece un passo avanti, afferrò la leva, e la fece scendere di nuovo nella scanalatura. Il portello si chiuse docilmente. McCullough aspettò diversi secondi; poi manovrò la leva diverse volte.

— Cosa diavolo succede, laggiù? — gridò furiosamente il colonnello, dimenticando per un attimo il collegamento radio e il genere di linguaggio adatto alle famiglie in ascolto. — Cosa state facendo, voi due?

Walters guardò un attimo McCullough, poi rispose.

— Una cosa di cui abbiamo discusso molte volte, durante il viaggio: cerchiamo cioè di fare tutto ciò che ci pare giusto partendo dal presupposto che ci troviamo di fronte a dei retrogradi… Almeno, tutto ciò che noi pensiamo sia giusto. Noi abbiamo pensato che le reazioni degli stranieri siano molto simili alle nostre, per quanto riguarda i meccanismi di difesa e di autoconservazione.

“Nella presente situazione noi stiamo entrando furtivamente nel loro scafo. Si può dire che noi violiamo la loro porta, che entriamo illegalmente in un posto in cui non ci hanno invitato. Loro possono non avere notato i razzi e i segnali radio che abbiamo lanciato durante le fasi di avvicinamento. Forse non erano né in ascolto, né in osservazione, o forse sono tanto diversi da noi da non avere né occhi né orecchie. Ma un portello che si apre e si richiude dovrebbe mettere in azione, nella cabina-comando dell’Astronave, un segnale comprensibile all’equipaggio straniero.

“Abbiamo pensato questo: un ladro che vuole entrare in una casa, non apre e richiude di continuo una porta, o una finestra.”

— Molto bene. Capisco il vostro punto di vista. Ma se uno sconosciuto venisse a sbattere diverse volte la mia porta di casa per farmi capire che è sulla soglia, mi potrei anche arrabbiare.

Mentre i due parlavano, McCullough accese la torcia per ispezionare l’ingresso. Ma, prima di spingere il raggio direttamente nella camera stagna, lo fece girare sui bordi della porta, come per dimostrare a un possibile osservatore che si trattava di una sorgente di luce, e non di un’arma. Era poco probabile che qualcuno li aspettasse dietro il portello. Comunque, McCullough compiva soltanto atti semplici e innocui, nella speranza che apparissero tali anche agli occhi e alla mentalità dei non-umani.

Si afferrò con una mano allo stipite del portello e, con molta cautela, infilò la testa e le spalle nell’apertura. L’interno non era illuminato, ma la sua torcia gli permise di vedere abbastanza bene la camera stagna, tranne il punto la cui visuale era impedita dal battente del portello.

I colori dominanti erano il grigio pallido e il grigio-azzurro pallido. Pareti, soffitto e pavimento, difficile stabilire quale fosse uno, l’altro o l’altro, erano coperti da ordinate file di tubi, di ganci e di piattaforme, che sembravano fatte per il deposito di carichi pesanti. Tutte queste cose erano dipinte rispettivamente con brillanti colori verdi, blu e rossi. La camera stagna era lunga circa nove metri e larga tre. Su ciascuna parete si aprivano dei portelli quattro o cinque volte più grandi di quello attraverso cui McCullough stava guardando; e, al centro di ciascuno di questi, c’era un piccolo pannello trasparente. Comprese che erano trasparenti perché il raggio della sua torcia mostrò la visione tentatrice degli oggetti brillantemente colorati che si trovavano dall’altra parte.

McCullough pensò che quello fosse il compartimento in cui venivano scaricate le casse di cibo e di materiale. I ganci dovevano servire per fissarle fino al momento di essere trasportate negli appositi magazzini. I carichi pesanti, sospesi nell’aria per le condizioni di mancanza di peso potevano rappresentare per gli stranieri lo stesso pericolo che rappresentavano per gli esseri umani. La presenza dei ganci e delle piattaforme di appoggio suggeriva la mancanza di una forza di gravità, naturale, artificiale, o dovuta all’accelerazione. Questo poteva significare che l’interno dello scafo rimaneva in condizioni permanenti di mancanza di gravità, anche durante i periodi di volo meccanico.

Su quello scafo doveva essere stato adottato un sistema di propulsione molto più avanzato di quello a razzi. Tuttavia, ogni cosa sembrava così… poco sofisticata.

McCullough si sentì afferrare al fianco da una mano e tirare lentamente indietro. Poi Walters gli domandò: — Che succede? Non avete sentito ciò che vi ho detto?

— Quando l’antenna del casco era dentro lo scafo, la vostra voce è completamente scomparsa — rispose McCullough. — Immagino che sia dovuto a un effetto schermante.

— Già. Proprio quello che diceva il colonnello in questo momento. Controllare le comunicazioni dall’interno del compartimento agli scafi P.

Dopo qualche minuto, il pilota entrò nella camera stagna e si chiuse il portello alle spalle. Da dentro non riusciva a farsi sentire, né a ricevere la voce del colonnello, senza mettere l’antenna a contatto con le pareti metalliche dello scafo. Solo in questo modo era possibile comunicare, benché la diminuzione di intensità del segnale fosse notevole.

Walters riaprì il portello, invitò McCullough a raggiungerlo e poi richiuse.

Morrison non fu molto entusiasta di quanto i due stavano facendo. A costo di dare un dispiacere agli innumerevoli milioni di ascoltatori sulla Terra, annunciò diverse volte che i suoi uomini avevano bisogno di riposo, che il passo successivo delle loro indagini era cruciale, e che voleva i due uomini nelle più perfette condizioni fisiche. Erano trascorse trentadue ore dal momento del loro ultimo periodo di riposo. Temeva che i due uomini sull’Astronave fossero ormai troppo stanchi, anche per parlare.

— Sarcastico fino a un certo punto — commentò Walters interrompendo momentaneamente il contatto con la parete dello scafo. Sbadigliò e poi continuò: — Se non ne avesse parlato, non mi sarei neppure ricordato di essere stanco. Adesso parlategli voi. Io voglio controllare i tubi che corrono lungo le pareti. Sono troppo piccoli per trasportare un liquido; quindi, devono essere destinati all’impianto di comunicazioni interne, o all’impianto d’illuminazione.

“Riferite al colonnello che cosa faccio, e poi ditegli ciò che volete.”

McCullough informò Morrison, poi cominciò una descrizione dettagliata del compartimento e di ciò che si vedeva attraverso i cinque pannelli trasparenti. Alla fine, azzardò le prime conclusioni sull’Astronave e sugli esseri che l’avevano costruita.

I fili, condotti, o tubi che fossero, erano di una straordinaria varietà di tinte-codice. Alcuni erano contrassegnati con punti o strisce di altri colori. McCullough pensò che un tecnico elettronico si sarebbe sentito nel suo regno.

Per quanto gli era possibile vedere alla luce della torcia attraverso i pannelli trasparenti, i compartimenti vicini contenevano tutti lo stesso tipo di attrezzature. Apparentemente, la camera stagna si trovava tra la fusoliera esterna e quella interna, nello spazio che conteneva i meccanismi di propulsione, di guida e di controllo. Quella camera, una fra tante altre, doveva servire anche come accesso allo spazio tra le fusoliere nel caso di un guasto, o per la manutenzione. Il pannello attraverso cui guardava ora McCullough mostrava le cose meno interessanti da vedere: un tratto di corridoio, largo due metri e cinquanta, e di imprecisabile lunghezza. Le pareti erano rivestite da una rete a larghe maglie.

I macchinari e le strutture visibili sembravano molto rozzi. Nei bracci di sostegno e nelle strutture non si vedevano fori di alleggerimento o nervature, e niente indicava che i progettisti avessero tenuto in considerazione, nei loro calcoli, né il peso né il rapporto massa-energia.

— È troppo presto per fare supposizioni sugli stranieri — continuò McCullough. — Sappiamo che non hanno dita e che possono avere delle estremità a forma di pinza. Probabilmente, a giudicare dalla intensità dei colori-codice dei cavi, le loro capacità e sensibilità visive sono molto simili alle nostre. L’inutile robustezza delle parti strutturali secondarie indicano un’indifferenza ai problemi di peso e di energia necessaria per la spinta. Le reti del corridoio indicano che non sono avanzati al punto di avere un sistema di gravità artificiale, e la completa mancanza di luce e di movimenti fanno capire che l’astronave orbita in condizioni di mancanza di energia… Walters!

Nel corridoio si erano accese le luci.


— Scusate, sono stato io — disse Walters, con un certo impaccio. — Ho scoperto qualcosa che assomiglia a un interruttore, ma posso essermi sbagliato… — Le luci del corridoio si accesero e si spensero diverse volte; poi, all’improvviso, si accesero anche quelle nella camera stagna. — Meglio informare il colonnello anche di questo — aggiunse alla fine.

McCullough comunicò al colonnello che Walters aveva trovato gli interruttori della luce e li aveva provati, che l’illuminazione era di un bianco-azzurro brillante, e che proveniva da lampade cilindriche che loro, in un primo momento, avevano scambiato per tubi. Non si verificò ancora nessuna reazione da parte dell’equipaggio, e McCullough cominciò a domandarsi se realmente ci fosse qualcuno a bordo.

— Voi due avete la passione di sbattere le porte e accendere le luci! A ogni modo avete scoperto qualcosa che ci potrà servire in futuro. Abbiamo bisogno di riposo. Tornate al P-Due. Dobbiamo pensare parecchio, prima di fare il prossimo passo sull’Astronave. Date conferma.

— Ricevuto, signore — disse Walters. — Però, prima di uscire, vorremmo prendere un campione d’aria dello scafo. Ci basteranno cinque minuti.

McCullough cominciava a sentirsi irritato e molto stanco; nello stesso tempo, però, voleva avere al più presto la possibilità di analizzare il tipo di atmosfera respirata dagli stranieri. Ma si rendeva conto che non si stava comportando in un modo prudente, che infrangeva i suoi stessi principi, e che la fatica è una specie di leggera ubriacatura carica di rischi.

Walters aprì il portello del corridoio, e l’aria dell’astronave irruppe nella camera stagna. Le loro tute persero l’aspetto rigonfio e si incollarono ai corpi. La pressione dell’Astronave doveva essere leggermente superiore a quella delle tute, pensò McCullough, mentre prendeva il campione d’aria. Il pilota si avvicinò al portello.

— Voglio dare soltanto un’occhiata. McCullough gli andò vicino.

Nel corridoio brillava soltanto una lampada, quella accesa da Walters; le due estremità del corridoio stesso sparivano nel buio completo. Improvvisamente, McCullough sentì le reti vibrare. Poi qualcosa saettò verso di loro, dal fondo del corridoio.

McCullough fece un balzo indietro. Walters, che aveva un braccio e una gamba oltre la soglia, non fu altrettanto lesto. Il dottore intravvide qualcosa passare come un lampo davanti all’apertura. Qualcosa che somigliava vagamente a una grossa stella marina. Poi Walters afferrò la leva e chiuse di scatto il portello.

Il pilota rimase sospeso nell’aria con una mano stretta alla maniglia e l’altra grottescamente appoggiata al fianco. Pallido e madido di sudore, Walters teneva gli occhi chiusi.

— Non può entrare. Siamo… salvi… — disse McCullough, poi s’interruppe.

Walters non era salvo. Sul fianco sinistro, la tuta presentava un ampio strappo triangolare. Attraverso lo squarcio, i fili del sistema di condizionamento sembravano vene messe allo scoperto. Il pilota, comunque, non sembrava ferito e tentava di avvicinare i lembi dello strappo. Ma la lacerazione era troppo vasta, e i lembi erano troppo irregolari. La differenza di pressione poi era troppo grande per evitare che l’atmosfera straniera penetrasse nella tuta.

Walters cominciò a tossire.

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