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Come unico membro della spedizione in possesso sia di tuta sia di una benché minima esperienza nei confronti degli stranieri, McCullough venne messo al comando del secondo gruppo di sbarco. Queste furono le ragione esposte da Morrison; e gli altri dettero tacitamente a McCullough l’impressione di considerare saggia la decisione del colonnello.

Comunque, cinque minuti dopo la partenza dagli scafi P, Morrison dimenticò completamente di avere messo McCullough al comando.

Il portello d’ingresso scelto era a un centinaio di metri da quello usato la prima volta. McCullough mise in funzione il meccanismo di apertura ed entrò, seguito dal colonnello, da Berryman, Hollis e Drew. Questa volta non sbatté il portello, né sottopose a sforzo eccessivo l’impianto idraulico. All’interno fece vedere come funzionavano gli interruttori della luce. La camera era quasi identica a quella precedente; comunque, questa volta l’avrebbero esaminata nei minimi particolari.

Non c’erano stranieri nella camera. Né se ne vedevano nel corridoio.

Morrison aveva portato un riflettore del P-Uno. Attraverso i grandi pannelli trasparenti delle quattro porte laterali, fece fotografie dello spazio tra le due fusoliere. Drew si mise di guardia alla porta del corridoio e tenne il contatto radio con Walters sul P-Due, mentre Berryman, Hollis e McCullough ispezionavano accuratamente la camera.

Dopo alcuni minuti, Berryman disse: — Mi rendo conto che la robustezza dello scafo, unita alla semplicità del disegno, ha lo scopo di ridurre il pericolo di guasti alle diverse parti. Però, questo supporto angolare è di una semplicità addirittura sconcertante.

Anche il rozzo supporto, come tutte le altre strutture che loro stavano esaminando, aveva il suo contrassegno di identificazione.

Pensarono semplicemente che ogni macchina oltre un certo grado di complessità, dall’automobile all’aeroplano fino all’Astronave lunga oltre ottocento metri, richiedeva un enorme lavoro di progettazione, con calcoli e disegni, prima che anche le parti più semplici si trasformassero in un pezzo di metallo tridimensionale sul banco di montaggio. Per una nave di quelle dimensioni, il numero totale degli schemi particolareggiati, dei calcoli sulla resistenza dei metalli, dei diagrammi per le parti elettriche e così via, doveva essere quasi inconcepibile. Quella montagna di carte aveva lo scopo di indicare a gente di media intelligenza come montare e unire una all’altra tutte le parti del gigantesco rebus tridimensionale.

Se era stato seguito il normale sistema umano, e se i tecnici aeronautici che avevano loro impartito le lezioni durante il viaggio avevano reso ben chiaro che non esisteva un sistema più semplice, a parte quello di agitare una bacchetta magica, allora tutti gli schemi dovevano anche comprendere le istruzioni precise per collocare ogni parte al posto giusto.

Poteva darsi che gli extraterrestri avessero qualche loro sistema particolare per contrassegnare le varie parti come quello di imprimere su ognuna una specie di etichetta telepatica o riconoscibile al tatto, anziché ricorrere a simboli visibili. Ma considerata la mole del veicolo, e lo spaventoso numero di parti da identificare, era molto probabile che avessero scelto il sistema più facile, quello di incidere sulla superficie dei singoli pezzi dei segni che fossero identificabili a prima vista.

Il sistema usato per l’Astronave sembrava quello della vibroincisione. Ed era bello scoprire che, almeno nella filosofia aeronautica e nella costruzione dei veicoli spaziali, gli extraterrestri e gli umani ragionavano allo stesso modo.

— Avete notato che in questi simboli non esistono linee curve? — chiese Hollis a un tratto. — Sarà dovuto al fatto che hanno delle pinze anziché delle dita, e di non avere il pollice opponibile?

— Non credo — osservò McCullough. — Se avessimo continuato a usare i numeri romani al posto di quelli arabi…

— Rimandate a più tardi le discussioni teoriche, signori — disse Morrison, con impazienza. — Ora daremo una rapida occhiata lungo il corridoio. Berryman e io andremo verso poppa, Hollis e McCullough andranno a prua, e Drew rimarrà a guardia della camera stagna. Fermatevi alla prima intersezione. In questo modo sarà impossibile restare tagliati fuori dagli altri. Disegnate una mappa con la posizione delle porte e tutto ciò che vedete d’interessante. Se le porte hanno dei pannelli trasparenti, annotate le dimensioni delle camere laterali e ciò che contengono.

“Fate il più velocemente possibile” concluse Morrison. “Se incontrate qualcuno, ritiratevi o difendetevi senza ferire. Bene, Drew, aprite il portello.”


Presero tutti le direzioni stabilite. McCullough si portò leggermente avanti a Hollis, quasi per paura di punzecchiarlo con quella loro ridicola arma. Dato che lo scafo sembrava progettato per viaggi in caduta libera, il corridoio non aveva pavimento, soffitto o pareti ben definite. Le reti erano tese a qualche centimetro dalle pareti e si interrompevano a intervalli regolari davanti alle porte di quelli che dovevano essere i diversi magazzini. Volendo agire con grande prudenza, i due uomini proiettarono il raggio delle loro lampade attraverso le porte che avevano il pannello trasparente, e passarono senza fermarsi di fronte alle altre, pur sapendo che avrebbero potuto facilmente aprirle, trattandosi di porte scorrevoli e non a pressione. Tutte le porte erano contrassegnate da simboli, rovesciati uno rispetto all’altro, in modo che fossero facilmente leggibili da qualsiasi parte ci si avvicinasse.

Lungo le pareti del corridoio, a intervalli regolari, c’erano lampade e interruttori. Però McCullough non le accese. La torcia di Hollis e la sua proiettavano raggi di luce sufficiente, e non c’era motivo di far sapere agli stranieri della sala controllo che gli esseri umani si erano introdotti nell’Astronave.

All’intersezione, il loro corridoio proseguiva in avanti, mentre l’altro girava nelle due direzioni seguendo la curvatura dello scafo e permettendo la visibilità per una ventina di metri. Proprio all’estremità in cui potevano spingere lo sguardo, in tutte e due le direzioni, si vedevano le aperture di due corridoi paralleli al loro.

— Imboccando uno di quei corridoi — disse Hollis — e poi girando alla prima intersezione, ci dovremmo incontrare con il colonnello e Berryman.

— Volete tentare? — domandò McCullough.

— No.

Il fisico cominciò a prendere note sul blocco degli appunti, e McCullough rimase a guardia dei quattro corridoi. Ma non vennero disturbati da nessuno; dopo un po’, la voce del colonnello ordinò loro di tornare alla camera stagna.

Dieci minuti dopo uscivano tutti dall’Astronave e si dirigevano verso una delle grandi cupole trasparenti, per osservarle da vicino. Hollis stava letteralmente balbettando d’eccitazione, al pensiero di trovarsi di fronte a un autentico generatore iperspaziale. Walters, dal P-Due, gli ricordò che, probabilmente, aveva una potenzialità di parecchi milioni di volt. McCullough non disse niente e pensò alla voce del colonnello Morrison.

Morrison aveva l’irritante abitudine di usare un volume di trasmissione troppo alto, e la sua voce sembrava più una scarica di fulmini che non la voce di un comandante. Ora, però, il dottore cominciava a domandarsi se il volume eccessivo, e forse anche un accorto uso del controllo di tono per far sembrare la voce più profonda, non fossero la sola causa che faceva apparire Morrison secco e autoritario. Certo, la diversità tra la sua voce naturale e quella trasmessa dalla radio era sorprendente. McCullough ebbe la sgradevole sensazione che, in una conversazione faccia a faccia, il colonnello si doveva giocare buona parte della sua autorità, ogni volta che apriva la bocca.

Evidentemente il Morrison che lui, Berryman e Walters avevano conosciuto come voce dal P-Uno era molto diverso da quello conosciuto da Drew e da Hollis, in modo diretto, sullo stesso scafo del colonnello. Cominciava a diventare molto facile credere Morrison capace di spettegolare come una vecchia con Drew, senza badare a Hollis, e lasciando che il fisico precipitasse in quello spaventoso stato in cui McCullough lo aveva trovato dopo il suo viaggio attraverso lo spazio.

Nello stesso tempo, McCullough comprese che doveva guardarsi dai troppo improvvisi capovolgimenti di sensazioni. Una debolezza inaspettata, specialmente in una materia tanto suscettibile alle interpretazioni sbagliate quale il giudicare il tono di voce, non significava automaticamente che il colonnello fosse un uomo debole, inefficiente, inadatto al comando, e che quindi non avesse alcun diritto alla loro obbedienza.

McCullough pensò al colonnello durante tutto il tragitto compiuto per giungere al portello successivo.

Questa volta il gruppo rimase nella camera stagna soltanto pochi minuti, e non penetrò nel corridoio. L’accesso allo spazio tra la fusoliera esterna e quella interna era costituito da una semplice porta scorrevole, non pressurizzata; l’aria che si trovava dall’altra parte era identica a quella del corridoio. Cavi, tubi, e misteriose scatole sporgevano da tutte le parti, in mezzo alla foresta delle intelaiature, tranne nel punto in cui una sottile scala di rete si allungava in una specie di galleria scavata nella giungla metallica. All’altra estremità della scala, la pila del colonnello illuminò un ingresso che, se i loro calcoli erano esatti, doveva dare accesso a una delle cupole.

— Ciascuno usi la propria pila — ordinò Morrison — e che nessuno si allontani dalla scala. Potremmo accidentalmente provocare un corto circuito e ucciderci.

— Non credo — obiettò Berryman. — I cavi sembrano tutti molto bene isolati.

— Lo penso anch’io — disse Hollis. — Comunque, ci conviene esaminare i segni codice sui cavi che entrano nella cupola e stabilire quali sono quelli dell’impianto d’illuminazione, del circuito degli strumenti, e dei condotti di energia.

— Siate molto prudenti — insistette il colonnello. — Drew rimane a guardia della camera stagna. Gli altri mi seguano.

Due giorni prima, Berryman avrebbe ribattuto alle parole di un colonnello del genere, pensò McCullough; ma non Hollis.


L’atmosfera rimase tesa fino a quando non ebbero superato il portello per entrare nella cupola. All’interno, scoprirono che non esisteva atmosfera. Il fatto non sorprese Hollis, il quale spiegò di essersi aspettato che i generatori operassero nel vuoto. Pochi minuti dopo, scoprirono che il vuoto era mantenuto nella cupola da aperture sullo spazio. Quelle aperture nel materiale trasparente erano però troppo piccole per il passaggio di un uomo, e forse anche per quello di uno straniero, pensò McCullough. La luce del sole penetrava attraverso la plastica trasparente e si rifletteva in modo sbalorditivo sui metalli e sul materiale simile a ceramica azzurra che li circondava. I due scafi-P erano chiaramente visibili contro il cielo nero, e la cupola non costituiva un ostacolo alle comunicazioni.

— Nella sala ci sono dei cavi scoperti — avvertì il colonnello, seccamente. — Quindi state molto attenti.

— Sì, signore — rispose Hollis. — Comunque, non credo che costituiscano un pericolo… Il generatore non è acceso. Tra l’altro, ci vorranno settimane per esaminare la sala con attenzione, e mi piacerebbe poterlo fare senza correre rischi.

La sua idea era di mettere in corto circuito i cavi elettrici nel punto in cui entravano nella cupola. Era assolutamente certo che il generatore doveva avere fusibili e dispositivi di sicurezza in grado di proteggere la complessa apparecchiatura. Se fosse stato lui a costruire il generatore avrebbe provveduto in tal senso. Hollis non ritenne necessario far notare che l’intricato apparecchio non era costruito rozzamente: sembrava montato con la precisione degli orologiai.

Era anche possibile che il generatore non potesse entrare in funzione qualora dei corpi estranei, i loro, per esempio, si fossero trovati nella cupola. Hollis disse che avrebbe esaminato quella sala con molta maggiore tranquillità, sapendo di correre meno pericolo di venire colpito da un momento all’altro dall’energia degli stranieri.

— Siete voi il fisico — disse il colonnello. — Io, però, sono convinto che se smontiamo uno dei loro generatori, diventeranno furiosi. Molto più di quanto non lo siano diventati per aver sentito sbattere una porta.

Al posto delle reti, attorno e in mezzo alla massa dei macchinari che si trovavano nella cupola, si stendeva una specie di scala di plastica sottile, che terminava a forma di gigantesca racchetta. Era evidente che, in quel luogo, doveva lavorare più di uno straniero. Hollis esaminò gli apparecchi senza parlare; aprì bocca solo per dire in tono eccitato a McCullough che la sua macchina fotografica conteneva le più preziose fotografie mai scattate.

McCullough lo ascoltò distrattamente. Aveva la sensazione che gli altri si fossero lasciati trasportare troppo dall’entusiasmo, e che nessuno si preoccupasse minimamente di quanto potevano pensare i padroni dell’Astronave: sembravano tutti propensi a dimenticare dove si trovavano. Forse volevano proprio dimenticarlo. L’entusiasmo e la mancanza di preoccupazioni favorivano il compimento del lavoro.

Però, McCullough era convinto che sarebbe stato meglio interrompere il lavoro e considerare attentamente il da farsi.

Erano tutti consapevoli, però, di aver commesso un errore, affrontando la situazione in quel modo. Avevano danneggiato la proprietà degli stranieri, e si erano resi colpevoli di sconfinamento. Le loro intenzioni non erano cattive, certo; ma questo poteva anche non essere compreso dagli stranieri.


La paura di McCullough aumentò con il passare delle ore. E quando il dottore sentì all’improvviso la voce di Walters nella cuffia trasalì in modo tale che quasi gli sfuggì di mano la macchina fotografica.

— Signore! — disse il pilota. — Drew riferisce movimenti nel corridoio davanti alla camera in cui si trova. Sono passati cinque Tipi Due, diretti verso la cupola che state perlustrando. Aveva spento la luce della camera stagna e li ha visti chiaramente, senza che loro vedessero lui.

— Tutti fuori! — gridò il colonnello. — Presto. Passiamo dalla strada che abbiamo percorso prima, evitando il corridoio. Io… non credo che sia ancora venuto il momento di tentare un contatto formale…

— Drew dice anche che, attaccato alle reti dell’intercapedine tra le fusoliere c’è uno straniero che somiglia al Tipo Uno.

— Faremo finta di non vederlo — disse Morrison — e speriamo che anche lui faccia altrettanto. Hollis, muovetevi!

Uscirono tutti dalla cupola. Morrison camminava in testa; Hollis e McCullough tenevano d’occhio le pareti; Berryman chiudeva la marcia. Si trascinarono lentamente verso Drew e la porta aperta della camera stagna, frugando con gli occhi negli spazi scuri tra i vani e le tubature che li circondavano.

— Dottore!

La torcia di Morrison aveva inquadrato un piccolo straniero irsuto, molto simile a un porcospino, che si allontanava traballando. McCullough non riuscì a vedere se avesse delle mani, o qualcosa di simile.

— Fatto — disse riponendo la macchina fotografica e avanzando in fretta.

Drew si era messo nella classica posizione difensiva, all’esterno della porta. Si era rannicchiato e aveva infilato una gamba tra le maglie della rete, appoggiando alla parete l’estremità della racchetta da sci, con la punta nella direzione dei compagni in arrivo. Morrison, leggermente imbarazzato, si mise nell’identica posizione, all’altro lato della porta, e fece cenno agli altri di entrare.

Passarono prima McCullough e Hollis, che si voltarono poi per aiutare Berryman; quando l’imprevisto si verificò avevano appena infilato la mano sotto le ascelle del pilota.

Nel momento in cui quattro voci cercarono di usarla contemporaneamente, la radio di McCullough sembrò impazzire, in un fragore di oscillazioni. Poi McCullough vide gli stranieri spuntare e balzare verso di loro da quelle masse scure che aveva preso per dei macchinari. Non riusciva a vedere Morrison e Drew. Il colonnello aveva perso la sua pila, ma l’aveva recuperata subito, e Berryrnan veniva trascinato indietro con forza.

Uno degli stranieri si era ancorato con due tentacoli alla rete e altri due si erano attorcigliati attorno ai piedi del pilota. Un altro extraterrestre si portò alle spalle di Berryman, agitando furiosamente i pungiglioni, e colpì con violenza le bombole dell’ossigeno. Se McCullough e Hollis avessero mollato la presa, il pilota sarebbe andato incontro a una morte orribile.

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