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I disturbi radio erano completamente spariti, e le lezioni, la musica, le istruzioni dell’ultimo minuto, il continuo ricordare agli equipaggi che erano i protagonisti di un evento storico e la raccomandazione di non fare niente di avventato giungevano attraverso lo spazio con tanta chiarezza da non permettere alcuna scusa per chiudere gli apparecchi. Venne detto agli astronauti che dovevano assolutamente ricordare e mettere in pratica tutte quelle cose che avevano imparato durante il viaggio, ma che, nello stesso tempo, dovevano dimenticare senza esitazione tutte le teorie e i preconcetti scientifici, sociologici, e psicologici in caso di situazioni impreviste. Insomma, veniva ordinato di fare una cosa, e, subito dopo, di non farla. E questo accadeva diverse volte ogni ora.

Non era necessario essere degli psicologi per capire che quelli del Controllo Prometeo avevano raggiunto uno stadio acuto di nervosismo.

— La spaventosa immensità nera dello spazio — disse Walters con irritazione, durante uno dei rari radio-silenzi. — La grande e sconvolgente solitudine che si prova in mezzo alle stelle. L’inesprimibile stanchezza che uccide l’anima. Accidenti a loro, non ci danno neanche dieci minuti di pace e tranquillità per annoiarci. Berryman scosse la testa.

— C’è forse già qualche intelligenza superumana extraterrestre che ci sfiora le menti con invisibili tentacoli di pensiero per valutarci e giudicarci, e forse giudicare attraverso di noi l’intera razza umana? O c’è qualche specie di insetto seduto dietro un lanciarazzi in attesa di averci nel raggio di tiro?

— Ne abbiamo già parlato diverse volte! — replicò McCullough al pilota, rimproverandolo così di avere toccato un argomento che nessuno di loro voleva discutere. Poi cercò, con un certo imbarazzo, di rimediare al proprio scatto. — Nell’ultima ora, ne abbiamo parlato tre volte.

— Frenata fra meno trenta secondi, P-Due. Tenetevi pronti, P-Uno.

Nella voce del Controllo c’era una nota di autosoddisfazione che superava quella di tensione. Considerando il fatto che i loro calcoli dovevano portare i due scafi a colpire un bersaglio incredibilmente piccolo, quell’esultanza non era del tutto ingiustificata. Però McCullough si domandò, un po’ cinicamente, quanto grata poteva essere la freccia nei confronti dell’arciere, quando il colpire il centro perfetto o il finire sui sacchi di sabbia le avrebbe procurato l’identico violento mal di testa…

Dopo tanti mesi vissuti nella completa mancanza di peso, la decelerazione fu una sensazione sgradevole. La frenata dello scafo di Morrison venne ritardata di parecchi secondi per concedere al P-Uno di avvicinarsi al P-Due… ma non troppo. Era stato deciso che lo scafo di Berryman si avvicinasse direttamente all’astronave straniera, fino alla distanza di un chilometro e mezzo, e che il comandante pilota facesse rapporto su ogni metro di avanzata; avrebbe anche potuto agire di sua iniziativa, nel caso fosse successo qualcosa di imprevisto. Morrison, con la sua radio di maggiore potenza, avrebbe ritrasmesso i rapporti alla Terra e dato consigli a Berryman solo in caso di necessità. Il Controllo non avrebbe potuto fare altro che rimanere in ascolto.

Infatti, a causa dell’intervallo di tempo-radio, qualsiasi cosa potessero dire sarebbe arrivata in ritardo.

In vicinanza dell’astronave straniera tutte le decisioni sarebbero state prese dal colonnello Morrison. Berryman avrebbe avuto una certa sua iniziativa all’inizio, ma, una volta valutata la situazione, tutte le più importanti decisioni toccavano al colonnello. Come misura di precauzione, venne modificata la frenata del P-Uno, in modo da farlo fermare a settantacinque chilometri dallo scafo straniero.

McCullough si domandò cosa poteva pensare Hollis di questa decisione.


Nelle tre settimane dal giorno in cui lo aveva visitato, le condizioni fisiche e mentali di Hollis erano molto migliorate. Il fisico aveva parlato varie volte per radio con McCullough, rassicurandolo sulla propria salute, senza naturalmente accennare alla faccenda della Lurida Annie. Benché non avesse potuto parlare ampiamente del suo problema, McCullough ebbe la certezza che in quel momento Hollis si rendeva perfettamente conto di essersi troppo abbandonato alla immaginazione e di aver manifestato tutti i sintomi classici della mania di persecuzione.

Sullo schermo radar l’obiettivo appariva ora come una macchia di luce pulsante, la cui distanza diminuiva di continuo. Al telescopio, l’Astronave divenne sempre più grande, fino a coprire l’intero campo visivo. A poco a poco la velocità del P-Due rispetto a quella dell’altro vascello diminuì fino a che il piccolo scafo venne a trovarsi sospeso, immobile, a una distanza di circa un chilometro e mezzo.

“Come un avannotto che osserva uno squalo addormentato” pensò McCullough.

Berryman tossì rumorosamente, per schiarirsi la voce.

— L’Astronave… è grandissima. Calcolo che sia lunga poco meno di ottocento metri e che abbia un diametro di cento. Il diametro è uniforme in tutta la lunghezza dello scafo. Somiglia a un siluro, solo che alle due estremità ha delle curvature verso l’interno. A due terzi, verso poppa, almeno immagino che sia la poppa perché all’altra estremità c’è molto più materiale trasparente, lo scafo è circondato da una cintura di grosse bolle. Mi pare che siano una dozzina. Il sole batte direttamente su una di queste bolle, e posso vedere dei riflessi metallici.

“C’è un altro gruppo di cupole trasparenti, attorno alla prua” continuò. “Però sono più piccole e più schiacciate… Forse contengono gli equipaggiamenti di comunicazione e di vigilanza, mentre quelle più grandi, o sono armi… o… o… Forse il professor Pugh potrebbe avere qualche idea di cosa sono, perché lungo tutto lo scafo non si vede niente che somigli ai motori a razzo convenzionali o a scarichi di reattori.”

Il pilota divideva le sue attenzioni tra il telescopio e l’oblò per l’osservazione diretta. Parlava con voce calma, controllata e ostentatamente fredda. Ma tutte le volte che si muoveva, le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte, si staccavano dalla pelle e rimanevano sospese nell’aria, come la raffigurazione di stupore dei personaggi di un fumetto. Il labbro inferiore di Walters era scomparso dietro la fila dei denti superiori. McCullough non riuscì a immaginare il proprio aspetto; comunque, non si sentiva per niente bene.

Berryman continuò a parlare.

— Stiamo trasmettendo segnali radio su tutta la gamma di frequenze, nel tentativo di far capire che siamo esseri intelligenti. E lanciamo un razzo luminoso ogni quindici minuti. Fino a questo momento, non abbiamo ottenuto risposta. Non riusciamo a capire il perché di tale atteggiamento, dato che non stiamo tentando di avvicinarci furtivamente. Posso avanzare?

Per dargli maggiore fiducia, Morrison non gli raccomandò di essere prudente, né gli ricordò l’assoluta necessità di agire nel modo migliore. Rispose soltanto: — Molto bene. Noi ci porteremo a un chilometro e mezzo dall’Astronave, per tenervi sotto copertura.

— Con che cosa? — domandò McCullough, istintivamente.

Stava ancora pensando a Hollis e alla sua fissazione sulla presenza di una Lurida Annie a bordo del P-Uno. All’improvviso, McCullough si domandò se un’idea simile poteva essere contagiosa, come una specie di raffreddore psicosomatico…

— È soltanto un modo di dire, dottore. Noi vi possiamo dare soltanto un sostegno morale. Vi prego di ricordare che tutto quanto diciamo viene ritrasmesso su tutta la Terra; quindi, riservate questo canale per il capitano Berryman.

McCullough aveva completamente dimenticato che ogni parola pronunciata sul P-Due veniva ritrasmessa dal Controllo Prometeo in ogni angolo del mondo. Ora immaginava il gruppo dei medici spaziali della base terrestre, intento a riascoltare quel pezzo del nastro magnetico e a valutare ogni parola e inflessione nei minuti particolari, per poi borbottare frasi che si richiamavano ai complessi del padre, a immagini archetipe, e a insicurezze fondamentali. McCullough si sentì avvampare, ma i due piloti erano troppo occupati a guidare lo scafo nella nuova posizione, per poterlo notare.


Si spostarono avanti e indietro lungo i fianchi della gigantesca astronave straniera, per tutta la maggior parte del tempo che avevano stabilito essere il giorno. A ogni passaggio, sorvolavano una differente striscia di superficie, e annotavano tutti i diversi particolari che potevano osservare. Quando raggiungevano le cupole trasparenti di quella parte dello scafo che loro immaginavano fosse la prua, lanciavano un razzo luminoso.

Non ci furono segni di vita da parte dell’astronave.

— O non c’è nessuno a bordo — ipotizzò Berryman — o il loro ufficiale di vedetta si è addormentato. Se non fosse per il fatto che lo scafo ha decelerato in un’orbita solare, e molto precisa anche, io direi che si tratta di un’astronave alla deriva o in condizioni di gravi difficoltà.

— Di solito, uno scafo in difficoltà lancia segnali per chiedere aiuto, con la maggiore frequenza possibile.

— Se fossero dei telepatici — disse McCullough — potrebbero supporre che la loro disperazione possa venire percepita da tutti.

— Se fossero telepatici, saprebbero già che noi non lo siamo.

Berryman lanciò una breve occhiata di simpatia al dottore, poi riprese a parlare.

— Loro non possono, o non vogliono, rispondere agli abituali sistemi usati per attirare l’attenzione, e il loro scafo sembra in condizioni di non potere ripartire. Io penso che sia venuto il momento di raggiungere il più vicino portello, bussare, ed entrare… con molta educazione, naturalmente, e con tutte le precauzioni necessarie.

“Proporrei di lasciare il dottore a guardia dello scafo” continuò Berryman. “Io e Walters potremmo scendere a dare un’occhiata al grande portello che sta passando sotto di noi, proprio in questo momento. Sembra un portello da carico, e da questa distanza sembra grande abbastanza da permettere l’ingresso del P-Due. Nel portello grande se ne apre anche uno più piccolo… Per l’equipaggio, immagino. Penso che sia possibile aprirlo. In fondo non sono moltissimi i sistemi di apertura di una porta.”

Morrison rimase in silenzio per parecchio tempo, tanto da far pensare che stesse aspettando dalla Terra l’autorizzazione di dare il permesso.

— Ammetto che dovremmo fare qualche azione più positiva, ma sono preoccupato dalla possibilità dell’esistenza di trappole. Trappole non intenzionali, sotto forma di meccanismi con principi di funzionamento tanto diversi da quelli che conosciamo da rappresentare un pericolo.

— Saremo prudenti, signore — disse Berryman.

— Apriremo soltanto il portello — sussurrò Walters al dottore, ma con un tono di voce non sufficientemente basso.

— Walters, anche Pandora aveva pensato la stessa cosa, dovreste ricordarlo! Comunque, avete il permesso di scendere sullo scafo dell’Astronave e di aprire il portello. Fate i preparativi con calma… non devono verificarsi spiacevoli incidenti. Voi, Berryman, rimarrete a guardia dello scafo. Non posso correre il rischio di perdere tutti e due i piloti. Possono scendere Walters e il dottore… se vogliono…

Dopo quelle parole, ascoltate da molti milioni di persone sulla Terra, non c’era possibilità di scelta.

Ma, strano a dirsi, McCullough non ebbe paura. Era stato teso e impaziente per tutto il tempo impiegato nel prendere la decisione, ma non aveva mai avuto paura. Solo quando si erano avvicinati per la prima volta allo scafo e si era aspettato letteralmente tutto, aveva provato davvero paura. Forse aveva superato quello stadio che alcuni uomini chiamano il momento della verità. Ma quando questo momento di verità si allunga per oltre ventisei ore consecutive, si verifica una considerevole diminuzione degli effetti.

McCullough seguì il pilota, facendo bene attenzione a che i suoi magneti finissero con l’attaccarsi all’astronave straniera e non la respingessero. Dopo qualche minuto, i due uomini compirono un lieve atterraggio, a pancia in giù, contro lo scafo. McCullough staccò i magneti dei polsi e si alzò.

Fu solo in quel momento che se ne accorse.

Le lastre di metallo che aveva sotto i piedi erano fatte di un minerale estratto dal sottosuolo: ma non da quello della Terra.

Dal punto in cui si trovava McCullough, la fusoliera gli sembrava così grande da apparire una specie di pianeta metallico, completo di una stupenda catena di colline trasparenti. Il sole brillava attraverso una delle colline. I raggi, distorti dalla rifrazione, spandevano attorno una fortissima luce diffusa. Quella costruzione era il prodotto degli studi e del lavoro di esseri che non erano della Terra. Quelli della McDonnel o della BAC non erano mai arrivati a progettare una cosa del genere.

La ragione della sua esistenza poteva essere strana e inconcepibile quanto gli esseri che l’avevano costruita, chiunque essi fossero. Comunque McCullough intuì che gli scopi basilari potevano essere facilmente capiti da esseri umani di un certo tipo psicologico… Del tipo di quelli che annegano, o esplodono, o cadono dalle montagne nel tentativo di salire più in alto, o di volare più velocemente, o di tuffarsi a profondità mai raggiunte dagli altri.

Per qualche strana ragione, McCullough sentì che quegli stranieri avevano viaggiato tra le stelle e che si erano portati vicino a quella stella per il semplice motivo che c’era…

— Quando ci hanno impartito le lezioni — disse a Walters, sfoggiando tutta la sua abilità nel trasformare le cose sublimi nel ridicolo — si sono dimenticati quelle di scassinamento. Come si fa ad aprire un portello?

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