5

Attorno al Natale del 1861, durante la campagna di Carolina, Robert E. Lee comperò Traveller per centosettantacinque dollari, più venticinque dollari per bilanciare la svalutazione della moneta confederata. “Da allora è stato la mia ombra paziente” scrisse a Markie, “mi ha portato durante la battaglia dei Sette Giorni a Richmond, Sharpsburg, Fredericksburg e fino a Chancellorsville, e poi in Pennsylvania, a Gettisburg e poi ancora indietro, a Rappahannock… fino agli ultimi giorni ad Appomattox Court House.”


Questa volta Broun non mi chiese di dettare la scena da aggiungere. La dettò lui stesso il mattino successivo e poi uscì per andare a parlare con un esperto di Lincoln a Georgetown. — Partirò per la California domani — mi disse con fare bellicoso. — Hai scoperto dove fu sepolto Willie Lincoln?

— No — risposi. — Sto andando proprio adesso in biblioteca. Vuoi che vada prima a prenderti il biglietto?

— Puoi andarci questo pomeriggio — disse lui.

— Benissimo — feci, e purtroppo non riuscii ad aggiungere nulla che potesse smussare un poco la sua irritazione. Non potevo chiedergli scusa perché avrei dovuto dargli una spiegazione, cosa che non potevo fare. In fin dei conti forse era meglio così, perché dal momento che lui non mi parlava io non rischiavo nessuna domanda. — E le bozze?

— Le bozze cosa?

— Mc Laws e Herndon hanno chiamato questa mattina, prima che ti alzassi. Hanno detto che le stavano inviando con il Federal Express, che le vogliono indietro al massimo fra due settimane e senza grossi cambiamenti.

— Puoi leggerle tu la prima volta e la seconda lo farò io non appena ritornato.

— Il che sarà quando?

— Non so. Una settimana, può darsi.

Aspettai finché non fu uscito, poi andai di sopra e mi accertai che la segreteria fosse posizionata su “messaggi”. Andai in macchina a ritirare il biglietto di Broun all’agenzia e poi mi diressi alla biblioteca.

Kate non aveva ancora la bibliografia, ma le dissi che non c’era fretta, che tanto sarei dovuto rimanere lì. Passai il resto della giornata in biblioteca, a cercare notizie su Willie Lincoln e a pensare ad Annie.

Non aveva chiamato la sera prima. Broun era uscito a cena e io avevo passato l’intera serata nel suo studio, aspettando che il telefono squillasse, ma era rimasto muto. Alle dieci ero giunto alla conclusione che Richard in qualche modo le stava impedendo di usare il telefono; ora però non ne ero più così convinto.

Richard aveva detto chiaramente che non voleva che io le parlassi, ma non sarebbe arrivato a staccare il telefono o a legarla per impedirle di rispondere. Era sua paziente, non sua prigioniera, e già prima aveva trovato modo di disobbedirgli. Non era riuscito a impedirle di venire ad Arlington. Non sarebbe riuscito a impedirle di telefonarmi, se lei avesse davvero voluto farlo.

Se lei avesse voluto. Forse non voleva. Mi era sembrata quasi disinteressata quando l’avevo chiamata per offrirle i miei servigi. Che cosa mi faceva credere che avrebbe preferito sentirsi raccontare dell’Ordine Speciale 191 più di quanto non volesse udire di traumi dell’inconscio? Si aggrappa a te, mi dissi, ma sta ancora da Richard. Non hai bisogno dell’Interpretazione dei Sogni di Freud per capire quel che significa questo. È lei che non vuole parlarti. E allora smetti di telefonarle e cerca di scoprire che cosa diavolo ne hanno fatto di Willie Lincoln.

Non ci credevo in quella ricerca, ma andai a scovare ogni libro su Lincoln e tentai di concentrarmi. Non trovai nemmeno una parola sulla sepoltura di Willie. Scoprii che cosa ne era stato del pony che lui stava cavalcando quando “prese freddo” o comunque prese la malattia che lo portò alla morte. Alcuni mesi dopo la morte di Willie le stalle della Casa Bianca si incendiarono. Lincoln attraversò il prato di corsa e saltò oltre il recinto per tentare di salvarlo, ma invano. Le guardie lo costrinsero a tornare in casa, temendo che il fuoco fosse stato appiccato da un attentatore proprio con lo scopo di farlo uscire. Il pony di Willie bruciò vivo.

A ogni ora uscivo per andare alla cabina telefonica e chiamavo la segreteria a casa, ma senza risultato. Niente messaggi. Alle due avevo ormai finito le mie monete e dovetti chiedere a Kate di cambiarmi un dollaro. — Fra pochi minuti la tua bibliografia sarà pronta — disse lei.

Uscii e chiamai di nuovo la segreteria. Questa volta c’era un messaggio, l’agente di Broun aveva chiamato e voleva sapere perché diavolo lui stesse ancora facendo dei cambiamenti. Aveva appena parlato con Mc Laws e Herndon e le avevano detto di aver dovuto cambiare tutta l’impostazione per la stampa. Stavano pensando di multare Broun per le spese extra.

Chiamai Annie.

— Sono contento che tu abbia chiamato — rispose Richard. — Volevo scusarmi per la scenata dell’altro giorno.

— Voglio parlare con Annie.

— In questo momento sta dormendo — disse lui — e non voglio svegliarla. So che sono andato troppo in là l’altro ieri, ma ero molto preoccupato per le sue condizioni. Era sconvolta dall’idea di poter trovare nella realtà una conferma ai suoi sogni.

Sembrava un altro uomo, dalla voce, rispetto a quello che mi aveva intimato di tenermi alla larga da Annie. Era calmo e professionale. — È un fenomeno comune, e tuttavia estremamente pericoloso. Il paziente tenta di prendere le distanze da quelle immagini dei sogni che sente come minacce, convincendosi che esse abbiano una realtà oggettiva e autonoma.

Riconobbi quella voce. Vi aveva lavorato sopra durante l’intero corso di medicina. La voce è uno degli strumenti più importanti dello psichiatra, mi disse una volta mentre stava preparando psicoanalisi. C’è una voce particolare che serve a ottenere la fiducia del paziente, a ispirare confidenza, a convincerlo che lo psichiatra cerca solo di fare il suo bene. Gli avevo risposto che tutto ciò non mi interessava, ma di non provare a usarla con me.

E ora ci stava provando.

— Autoconvincendosi che la casa del sogno è Arlington House — proseguì — tenta di proteggersi dal materiale latente del sogno. L’uomo mezzo dissepolto diventa un soldato dell’Unione, invece che l’immagine del suo trauma, il gatto diventa un vero gatto invece del simbolo del suo bisogno di scoprire le memorie represse che stanno provocandole i sogni.

— Il gatto è un gatto vero. Si chiama Tom Tita. Fu abbandonato per errore quando Lee se ne andò da Arlington.

— Tu stai confondendo il contenuto manifesto con quello latente — disse lui, con tono ispirato, comprensivo. — Tutti noi sognamo cose reali, cose e persone che abbiamo conosciuto, cose che abbiamo letto o visto al cinema, memorie. Tutto ciò costituisce il contenuto palese del sogno. Ma l’inconscio utilizza quella gente reale, quegli oggetti e quelle memorie per i propri scopi. È un processo chiamato conversione al sogno. Diciamo che Annie aveva un gatto da bambina.

— Non ha mai avuto un gatto E nemmeno ha mai visto questo gatto o letto di lui da qualche parte. È Tom Tita.

— Sono sicuro che ne era convinta quando insisteva per andare ad Arlington, e per questo io ho rifiutato. Ma ho sbagliato. Quella visita ha prodotto una catarsi. Lei si è convinta che la casa del sogno era davvero la sua stessa casa, e che il soldato mezzo seppellito era il simbolo della sua colpa repressa.

— E il gatto di che cosa sarebbe simbolo? — E le mani fasciate? stavo per aggiungere, quando mi resi conto che Richard, calmo e ispirato e comprensivo, non aveva fatto cenno al secondo sogno. Che cosa significava? Che lei non gliene aveva parlato? Oppure che lei non voleva credere a quanto le avevo detto e aveva scelto di accettare le spiegazioni di Richard: senso di colpa represso e contenuto manifesto e conversione al sogno. Termini che non significavano nulla di più di febbre biliare ed eccitazione reumatica ed erano del medesimo aiuto.

— Voglio parlare con Annie — ripetei.

— Glielo farò sapere non appena si sveglierà — la voce del Buon Psicanalista rispose. — Ma devo avvertirti che può darsi che lei non ti voglia parlare. Ti identifica con il rifiuto della sua psicosi.

Gli appesi il telefono in faccia e tornai a Lincoln, il quale pure aveva avuto terribili sogni, Ma nessuno aveva cercato di convincerlo che la Sala Orientale non era la Sala Orientale. Nessuno gli aveva detto che il cadavere con il panno nero sul viso era il simbolo di un senso di colpa represso oppure un impulso neurologico scelto a caso dai suoi ormoni. Nessuno gli aveva chiesto che cosa avesse mangiato prima di andare a letto.

Kate mi portò la bibliografia. — Ho messo un asterisco vicino a quelli che abbiamo qui — disse, indicandomi le note a margine — e segnato le sedi dove invece si trovano gli altri. Vuoi che li faccia mandare?

— No, va bene così, Andrò io domani.

— Su che cosa sarà il nuovo libro di Broun?

— Abramo Lincoln — risposi.

— Non sapevo che Lincoln fosse ammalato.

— Cosa?

— I sogni prodromici sono sogni che le persone hanno quando stanno per ammalarsi e ancora non lo sanno. Di quale malattia soffriva Lincoln?

— Di brutti sogni — risposi.

Broun era a casa quando arrivai, e stava nella veranda a guardare le sue violette africane. Gli tesi la bibliografia. — Ha chiamato qualcuno? — chiesi.

— Non so — rispose rigido. — Ho lasciato la segreteria accesa perché tu non possa perdere nemmeno uno dei tuoi messaggi. Hai scoperto dove fu sepolto Willie Lincoln?

— No — iniziai a salire le scale — Lincoln era ammalato quando fu ucciso?

— Era ossessionato dalla Guerra Civile — rispose lui, amaro.

Salii, andai nello studio e chiusi la porta, ma non c’erano messaggi sulla segreteria e Annie non chiamò.

Passai il giorno seguente a recuperare i libri indicati nella lista, così che Broun potesse portarli con sé. Le bozze arrivarono con il Federal Express nel pomeriggio, Era una giornata coperta e fredda. L’aereo di Broun non partiva fino alle cinque e mezzo, e quando andammo all’aeroporto in macchina stava calando la nebbia.

— Mi occorre che tu vada in Virginia — disse Broun rigido non appena fummo sulla Rock Creek Parkway. — So che disapprovi questo modo di gettarsi su false piste, ma mi occorre che parli con un medico a Fredericksburg.

Fredericksburg era lontano solo cinquanta miglia. Se Annie avesse chiamato sarei stato di ritorno in un’ora e mezzo, in auto. Se avesse chiamato. — Qual è il nome?

Si frugò nella tasca della giacca. — Barton. Dottor Barton. Qui c’è l’indirizzo. — Aveva pescato un foglietto, che spiegò. Il dottor Stone me l’ha indicato. Questo dottor Barton soffre di acromegalia. Oggi normalmente la si cura prima che gli effetti risultino evidenti, ma lui è vecchio e ai suoi tempi non era così. Voglio che tu scopra che genere di sogni fa abitualmente. — Si fermò e sembrò aspettare le mie obiezioni.

— Quando vuoi che vada? Domani?

— In qualunque momento sia meglio per te — fece.

Guidai oltre il Lincoln Memorial e oltre il ponte. — Ho sbagliato a dire quelle cose sulle false piste — dissi allora. — So quanto sia importante questo libro per te.

— Un’ossessione, mi pare che tu l’abbia definita.

Vedevo Arlington House sulla sua collina coperta di neve. Vidi Richard dire ad Annie che lei era ossessionata dalla guerra e dagli assassinii. — Non avevo diritto di dire nemmeno quello.

Girammo sulla strada che andava a Sud. — Lincoln soffriva di acromegalia — disse Broun, come se si stesse scusando per il modo scortese della sera prima, quando gli avevo chiesto se Lincoln era malato. — Per questo era diventato così alto. È un disordine ormonale. Le ossa crescono troppo. Le mani e il naso diventano larghi e i piedi grandi. Le persone con l’acromegalia soffrono di reumatismi e di diabete e anche di melanconia. Può essere fatale.

— E pensi che sia stato questo a ucciderlo? — dissi, sarcastico, e subito me ne pentii.

— Pensavo che questo potesse spiegare i sogni — fece lui, e si voltò a guardare l’oscurità e la nebbia fuori dal finestrino.

Mi chiesi se gli fosse mai venuto in mente, attraverso tutte queste teorie di sensi di colpa e impulsi neurologici, che forse i sogni non avevano bisogno di nessuna spiegazione. Lincoln aveva sognato di essere ucciso da un attentatore, e due settimane più tardi giaceva morto nella Sala Orientale. Aveva perso il figlio, e il viso del ragazzino veniva a confortarlo in sogno. E in tutto ciò che parte poteva avere un disordine ormonale?

Non glielo chiesi. Volevo stabilire una tregua prima che Broun partisse per la California. Mentre stavamo entrando in aeroporto dissi: — Domani andrò a parlare con questo dottor Barton.

Lui si voltò a guardarmi, e capii che a sua volta non desiderava litigare. — Ricordati solo di affidare il gatto alla signora Betts e di dirle di bagnare le piante. Ho lasciato inserita la segreteria ma non ho precisato dove ti avrebbero trovato, in caso ti voglia prendere una piccola vacanza. Ti ho fatto lavorare troppo. C’è un grazioso alberghetto a Fredericksburg. Potresti scendere là e starci un paio di giorni, per riposarti un po’. O magari starci fino a che non torno dalla California, se ti piace.

— Bisogna controllare le bozze — risposi — e tu non ne avrai il tempo, in California. Ascolta, non preoccuparti per me. Me la prenderò comoda. Andrò a Fredericksburg e poi tornerò a lavorare sulle bozze.

— Allora prenditi almeno qualcuno che ti aiuti. Altrimenti la faccenda diventa troppo lunga. Perché non chiedi a quella ragazza di aiutarti, quella biondina graziosa che c’era al ricevimento l’altra sera, come si chiamava?

— Annie — dissi. — Dubito che abbia voglia di sedere per ore a leggere un libro ad alta voce cercando gli errori.

Si grattò il mento ispido. — Vi ho guardati, l’altra sera. E ho avuto la sensazione che farebbe qualsiasi cosa per te. E viceversa.

— È la ragazza di Richard.

— Te l’ha detto l’oracolo, oppure Richard in persona?

— Finirai per perdere l’aereo — dissi. — Non preoccuparti per le bozze. Ce la farò da solo leggendole prima al registratore e poi controllando.

Afferrò la valigetta che stava sul sedile posteriore e poi mi tese il foglietto ripiegato. — Abbi cura di te, ragazzo — disse.

— Anche tu — risposi. — Se scopri che cosa provocava i sogni di Lincoln, fammelo sapere.

Tornai a casa e cominciai con le bozze, un lungo capitolo sul fratello di Ben che era nel Dodicesimo Battaglione di Mansfield, la divisione condannata, e poi un altro, ancora più lungo, sul colonnello Fitzhugh, chiamato dai suoi uomini Vecchio Mutandone, che andava avanti pagine e pagine a parlare del dovere dei gentiluomini e del glorioso Sud.

— Pensavo che il libro fosse sull’Antietam — avevo detto a Broun leggendo quei capitoli la prima volta. — Questo è il capitolo due e siamo ancora alla primavera del 1862. La battaglia di Antietam avvenne solo a metà settembre.

— Non è sull’Antietam — aveva tuonato Broun, e per la prima volta l’avevo visto arrabbiarsi a una mia critica. — È sul dovere, dannazione. — Aveva rifiutato di togliere anche solo una riga e ora vedevo che, sebbene avesse fatto così tanti cambiamenti da rendere il libro quasi irriconoscibile, tutti i passaggi sul dovere erano rimasti. Si doveva arrivare al capitolo nove per ritrovarsi alla mattina del diciassette novembre con Malachi e Toby e Ben.

Era ancora buio quando Ben si svegliò. — Mi pare di aver sentito qualcosa — disse, tirandosi a sedere.

— Non ancora — fece la voce di Malachi. Era troppo buio per vederlo.

Che ore sono? — chiese Ben. — Mi sembrava di aver sentito dei colpi di fucile. — Aveva smesso di piovere e a est appariva un leggero chiarore, ma ancora indefinito.

Solo le tre — rispose Malachi, e poi Ben dovette riaddormentarsi perché, quando aprì gli occhi di nuovo, c’era luce abbastanza per scorgere Malachi. Questi era accoccolato presso il piccolo focolare, movendo le ceneri fredde, tentando di scovare una brace, ma il fuoco era completamente spento. Una nebbia fredda si alzava dal campo di granturco presso il quale si erano accampati, così densa da non poterne distinguere le pannocchie.

— Come faremo a combattere se ci sarà nebbia? — fece Ben, stringendosi la coperta attorno alle spalle. Stava battendo i denti.

La nebbia sparirà con il sorgere del sole e poi farà fin troppo caldo — disse Malachi, e la sua voce era calma e sicura come se si fosse trovato ancora alla fattoria, in piedi alle tre del mattino per una intensa giornata di semina.

— E se ce la squagliassimo prima? — fece Ben. I suoi denti sbattevano così forte che non avrebbe sentito neppure gli spari.

— Pensavo che fossi tu quello partito volontario. È questo che sei venuto a fare.

— Lo so — disse lui. — Solo che non avevo preso in considerazione di farmi ammazzare.

— Come può un disgraziato pensare di dormire con vuoi due che starnazzate come galline? — fece Toby. Sbadigliò. — Meglio scappare? O farsi ammazzare? Per quel che mi riguarda io non posso venire ammazzato. Non Toby Banks. Nossignori, ho promesso alla mia mamma di no. — Si tirò la coperta sui piedi e si rotolò dentro, invece Ben si distese a guardare la nebbia che avvolgeva nelle sue spirali Malachi e il focolare spento.

Toby lo svegliò con un calcio. — Sei stato sveglio a preoccuparti tutta la notte e poi ti addormenti prima della battaglia — disse. — Guai se il Vecchio Mutandone ti pesca a dormire.

Ben si tirò a sedere. Il sole era alto e la nebbia era sparita. Il vapore saliva come fumo dal campo di granturco. Malachi aveva acceso un altro fuoco. Stava arrostendo pannocchie fra le braci. — Guarda me, che è più di un’ora che mi esercito nel mio urlo da ribelle — aggiunse Toby.

Ben si alzò e arrotolò la coperta, tentando di svegliarsi del tutto. Toby stava fischiettando qualcosa, una canzoncina, ma quando Ben si voltò a fissarlo smise. Stava scrivendo qualcosa su un fazzoletto bianco piuttosto sporco. — Voglio che quegli yankees sappiano chi gli sta sparando — spiegò. Lavorò uno stecco con il coltello e lo usò per appuntarsi il fazzoletto sulla camicia. — Anche se nessuno riuscirà ad avvicinarsi tanto da leggere. Si accostò al fuoco e tirò fuori una delle pannocchie. Il cartoccio di foglie era carbonizzato. Ne usciva un profumo delizioso.

Mi svegliò da un sonno profondo. Avevo la sensazione che fosse mattino e mi chiesi chi stava chiamando a un’ora simile. Alzai il ricevitore e, mentre lo facevo, esso suonò di nuovo; allora pensai “È la segreteria” e premetti il pulsante solo per scoprire che non c’erano messaggi, mi meravigliai, e poi mi resi conto definitivamente, al terzo squillo, che si trattava del campanello della porta.

Annie era in piedi sui gradini. Indossava il giaccone grigio e teneva in mano una sacca di tela, Una piccola valigia era per terra accanto a lei. Era scuro e nebbioso e pensai “La nebbia sparirà con il sorgere del sole e dopo farà fin troppo caldo”.

— Posso restare qui? — disse lei.

Avevo ancora in niente che il telefono avesse suonato. — Hai chiamato? — le chiesi.

— No — rispose. — So che avrei dovuto avvertirti, ma… se è un problema, Jeff, posso andare in albergo.

— Mi pareva di aver sentito il telefono — dissi, sfregandomi la faccia come se avessi una barba ispida come Broun. — Che ore sono?

Dovette trasferire la borsa nell’altra mano per guardare l’orologio. — Le dieci e mezzo. Ti ho svegliato, vero?

No. non mi hai svegliato, fui li lì per rispondere. Era quello il problema. Non era riuscita a svegliarmi, pur con tutti gli squilli di campanello. Ero ancora addormentato e la stavo sognando, e non era il sogno di qualcun altro. Era bellissima, là in piedi nel giaccone grigio, i capelli chiari leggermente mossi dall’umidità. Sembrava essersi appena svegliata da un lungo sonno ristoratore, aveva gli occhi chiari e brillanti e le guance rosate.

— Certo che puoi rimanere — dissi, ancora non abbastanza sveglio per chiederle come mai si trovava lì, o per stupirmene. Aprii la porta e mi chinai a prendere la valigia. — Puoi restare tutto il tempo che vuoi. Broun non c’è. È in California.

Le feci strada su per la scala fino allo studio, ancora incapace di scacciare la sensazione che fosse molto tardi. La segreteria stava lampeggiando a veloci scatti intermittenti; probabilmente a causa di ciò che avevo schiacciato ancora addormentato. Mi chiesi che cosa avrebbe mai udito un povero diavolo che stesse chiamando. Rimisi le cose a posto e sbadigliai. Ancora non ero del tutto sveglio mi ci voleva un caffè.

— Vuoi del caffè? — chiesi ad Annie, che rimaneva in piedi nel vano della porta, tranquilla e riposata, era bellissima.

— No — rispose.

Ero ancora vicino al telefono. — Sono stato in pensiero per te. Ho provato a chiamarti un po’ di volte. Hai fatto un altro sogno?

— No — rispose ancora. — I sogni sono cessati.

— Cessati? — feci. — Così senza niente? — Evidentemente non ero ancora sveglio.

La segreteria stava ancora lampeggiando. Premetti il pulsante e udii il nastro partire. — Annie se n’è andata — diceva Richard. — Penso che stia venendo da te. Devi convincerla a ritornare. È ammalata. L’ho fatto solo per aiutarla. Non mi restava altra scelta.

— Fatto cosa? — chiesi.

Lei tirò fuori qualcosa dalla borsa. — Mi metteva queste nel cibo — disse, e mi tese due capsule dentro a un sacchettino di plastica. Una delle capsule era rotta e aveva depositato della polvere biancastra sul fondo del sacchetto.

— Che cosa sono? — chiesi. — Elavil?

— Thorazine — rispose. — Ho trovato la boccetta nella sua borsa medica.

Thorazine. Una medicina forte abbastanza da fermare un cavallo a metà del balzo. — Richard ti ha dato quelle? — feci, fissando stupidamente il sacchetto di plastica.

— Sì — rispose. Sedette in poltrona. — Ha iniziato a mettermele nel cibo dopo che tornai da Arlington.

Quando l’avevo chiamata le avevo chiesto se avesse dormito, e lei aveva detto che Richard le aveva dato una tazza di tè e l’aveva mandata a letto. Era così assonnata che a malapena riusciva a rispondermi. Perché Richard aveva messo il Thorazine nel tè. — Il Thorazine si usa negli ospedali psichiatrici. Con i pazienti fuori controllo.

— Lo so — disse lei.

— Quante capsule te ne ha date?

— Non lo so. Lui… Io non ho mangiato niente ieri sera e per tutta la giornata di oggi.

L’avevo portata ad Arlington tre giorni prima. Non poteva aver preso quella sostanza per più di due giorni e mezzo, e quindi non poteva averne troppa in circolazione, ma che dosi aveva somministrato Richard? Qualsiasi dose era già troppo.

— Annie, senti, lascia che chiami l’ospedale. Loro sapranno che cosa fare. Dobbiamo farti togliere quella roba dalla circolazione.

— Jeff, raccontami che cosa ne è stato del cavallo — disse lei tranquilla. — Il cavallo grigio che ho visto nel sogno. Non era solo caduto in avanti sulle ginocchia, vero? — Le guardai le mani, aspettandomi di vederle aggrappate convulsamente ai braccioli della poltrona. Invece le riposavano calme in grembo. — Per favore dimmelo.

Mi inginocchiai di fronte a lei e le presi le mani. — Annie, il sogno non è importante. Ciò che è importante è che hai una droga pericolosa in circolazione. Io non so che cosa possa provocare, ma dobbiamo scoprirlo. Ci possono essere conseguenze anche per averla sospesa d’improvviso. Dobbiamo andare in ospedale. Loro sapranno che cosa fare.

— No — rispose, ancora tranquilla. — Mi daranno qualcosa per impedirmi di sognare.

— No, non è così. Tenteranno di toglierti i residui del Thorazine dal sangue e poi ti faranno dei test per capire esattamente quanta ne hai presa, e per quanto tempo. Come facciamo a essere sicuri che Richard non abbia continuato a somministrartela per settimane? E se il Thorazine non fosse l’unica cosa che ti ha dato?

— Non capisci. Mi metteranno in trattamento.

— Non potranno farti nulla senza il tuo consenso.

— Richard l’ha fatto. Io non posso entrare in ospedale. I sogni sono importanti. Sono la cosa più importante.

— Annie…

— No, devi ascoltarmi, Jeff. Ho pensato che mi stesse dando qualcosa dopo la tua telefonata. Quando mi alzai per rispondere ero stordita, e poi quando mi domandasti se Richard mi aveva dato qualcosa capii che doveva essere così. Ma non te lo dissi.

— Perché no? — le chiesi piano.

— Perché aveva fatto cessare i sogni. — Le sue mani erano ghiacciate. Le sfregai gentilmente fra le mie. — Quando chiamasti io avevo dormito per tutto il pomeriggio, e non avevo fatto nessun sogno. Mi parlasti dell’Ordine Speciale 191 e io non volevo nemmeno sentire. Volevo solo tornare a dormire. Volevo dormire per sempre.

— Era per il Thorazine — intervenni.

— Volevo dormire per sempre, ma non potevo. Persino sotto l’effetto del Thorazine, persino mentre stavo dormendo, sapevo che i sogni erano importanti e che io devo continuare a farli. È per questo che sono venuta qui. Perché sapevo che tu mi potevi aiutare. Sapevo che avresti potuto spiegarmi che cosa significano i miei sogni.

— Annie, ascolta. — La guardai ansiosamente dentro gli occhi azzurro-grigi, tentando di vedere se non fossero dilatati. Non lo erano. Erano chiari e ben svegli. Forse era vero, aveva preso il Thorazine solo per un paio di giorni. — Mi vuoi lasciare almeno chiamare il medico di Broun? Non è uno psichiatra o qualcosa del genere. È un medico generico.

— Avvertirà Richard.

— No, non lo farà — le risposi, augurandomi che fosse davvero così. Se gli avessi raccontato che Richard aveva dato del Thorazine a una delle sue pazienti senza che lei lo sapesse, avrebbe pensato immediatamente che si trattava di una paziente psichiatrica. Avrebbe chiamato Richard e questi gli avrebbe raccontato che lei era estremamente instabile, che soffriva di delirio di persecuzione. Avrebbe usato la sua voce da Bravo Psichiatra e il medico di Broun gli avrebbe creduto. E allora? Avrebbe riportato Annie all’Istituto del Sonno oppure avrebbe fatto sì che Richard venisse qui a prenderla.

— Almeno lascia che ti faccia un po’ di caffè — dissi, dandole un colpetto sulle mani. — Dobbiamo toglierti quella porcheria dalla circolazione.

Lei strinse le dita attorno alle mie. — Raccontami del cavallo. Ti prego.

— Era il cavallo di D.H. Hill. Fu ucciso da una palla di cannone che lo colpì dal basso. — Le tenevo le mani come se mi aspettassi di venire respinto da un momento all’altro. — Le sue zampe anteriori vennero letteralmente spazzate via.

— E Lee vide questo?

— Sì — risposi.

— Non volevo crederci, quando mi raccontasti di Tom Tita e della camicia rossa di Hill e dell’ordine perduto — disse, la voce ancora calma, ma le dita più strette attorno alle mie. — Ma sapevo che era vero, anche sotto l’effetto del Thorazine. Avevo capito subito, fin da quella sera al ricevimento, non appena mi raccontasti di Arlington House, ma non volevo crederci.

Chinò la testa, fin quasi a toccare le nostre mani. — Quel poveretto! — disse. — Il Thorazine mi faceva dormire in continuazione e anche mentre ero sveglia mi sembrava di dormire. Era meraviglioso. Non ero più riuscita a dormire per la paura di sognare ancora il soldato morto nel frutteto e ora dormivo e dormivo e non sognavo nulla. Era meraviglioso. Ero così felice che Richard me l’avesse dato.

Alzò gli occhi a guardarmi. — Ma persino mentre dormivo continuavo a pensare com’era terribile che a quei tempi non avessero il Thorazine, che non ci fosse nulla a impedire quegli orribili sogni. Lui dovette continuare a sognarli, notte dopo notte, finché ebbe paura anche solo di andare a letto. — Stava stringendomi le mani tanto da farmi male. — Ecco perché io devo continuare a sognare, ecco perché sono venuta da te. Mi devi aiutare a sognare. Così lui potrà dormire almeno un poco.

— Chi? — chiesi, ma sapevo già la risposta.

— Robert Lee. Sono i suoi sogni, non è così? — disse lei, ma non era una domanda. — Io sto facendo i sogni di Robert Lee.

Potevo sentire l’odore del granoturco, udirne le foglie smosse dalla brezza del mattino, e sapevo che i fucili erano pronti e che la carneficina sarebbe iniziata tra breve.

— Sì — dissi.

Portai ad Annie qualcosa da mangiare e le feci bere un po’ di caffè. Mi chiesi se avrei dovuto farla camminare su e giù per la stanza, per impedirle di addormentarsi, così come si fa dopo una dose eccessiva di farmaci, ma lei aveva dormito ormai per giorni. Maledissi il fatto che in casa non ci fosse nemmeno un manuale di medicina, per controllare gli effetti collaterali del Thorazine.

Il telefono squillò. — È Richard, lo so — disse lei. e mi prese di nuovo le mani. — Verrà a portarmi via.

La segreteria si mise in moto. — Non saprà dove trovarci — risposi. — Il messaggio dice che Broun è in California e penserà che io sono andato con lui.

— E se dovesse venire qui?

— Non rimarremo qui — dissi — Devo andare a Fredericksburg a fare delle ricerche per Broun. Puoi venire con me. E lui non avrà idea di dove cercarci.

Annie si era addormentata prima ancora che finissi di parlare, aggrappata alla mia mano, la testa reclinata contro la spalliera della poltrona, le guance rosee come quelle di un bimbo. Liberai dolcemente la mano dalle sue e andai a prenderle una coperta in camera mia e poi, finalmente completamente sveglio, preparai una valigetta e la misi insieme a quella di Annie nella macchina. Poi tornai nello studio a leggere le bozze.

Richard continuò a chiamare ogni dieci minuti nelle tre ore successive e poi smise. Allora spensi tutte le luci e scesi di sotto ad accertarmi che tutte le porte e finestre fossero ben chiuse. Entrai nella veranda buia e rimasi a guardare Richard che arrivava in macchina e parcheggiava sul lato opposto. Pensai a come era iniziata la Guerra Civile.

Lincoln aveva offerto a Lee di diventare comandante dell’esercito dell’Unione, ma lui non aveva potuto accettare, sebbene fosse contrario alla secessione e odiasse l’idea della guerra. “Non sono stato capace di darmi una ragione per alzare le mani sopra la mia gente, i miei figli, la mia casa” scrisse a sua sorella. “Lo so che mi biasimerai. Ma devi riuscire a volermi ancora bene e a credere che ho fatto quel che ho potuto per sostenere ciò che ritengo giusto.”

“Non avrei potuto scegliere nessun’altra strada senza disonore” scrisse dopo la guerra, dopo che aveva fatto morire duecentocinquantamila dei suoi stessi uomini; e Lincoln, quell’altro uomo buono su cui pesava un omicidio di massa, aveva detto: “Dobbiamo aver fede nel fatto che la giustizia dona la forza, e in quella fede compiere il nostro dovere così come lo possiamo concepire”.

Il nostro dovere così come lo possiamo concepire. “Ho dovuto farlo” aveva detto Richard, ed era andato a letto con la sua paziente e le aveva somministrato una medicina pericolosa senza dirglielo.

Io avevo promesso che mi sarei preso cura di lei. Non potevo fargliela passare franca, anche se si trattava del mio vecchio compagno di stanza. “Lui si arruolò, un giorno” aveva detto Ben, il personaggio di Broun, “e io seppi che dovevo fare altrettanto. Ed eccoci qui. nemici”.

Alle sette salii di sopra e svegliai Annie, Chiamai la signora accanto, che si occupava della casa, e le dissi che avevo cambiato idea e che stavo andando in California con Broun, e le chiesi se si poteva occupare del gatto, per cui avevo lasciato in cucina una scorta di cibo.

Poi dissi: — Potrebbe per favore avvertire la polizia che non siamo a casa? Broun di solito non si preoccupa di queste cose, ma c’è stata una macchina parcheggiata di fronte a casa, con dentro un uomo, fin da quando sono tornato dall’aeroporto ieri sera. Non saprei dire se stesse controllando la casa oppure no, e probabilmente è solo un’idea strampalata. Ma Broun ha in casa un mucchio di prime edizioni.

Quando la macchina della polizia si accostò a quella di Richard portai Annie giù in garage passando da dietro e insieme fuggimmo verso il sud, nella terra dei sogni.

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