Durante la battaglia di Wilderness, Lee gridò alla divisione del Texas di mettersi in formazione di attacco e poi spronò Traveller attraverso un varco fino a portarsi in testa. — Tornate indietro, generale Lee! — gridarono i soldati. — Tornate indietro — Un sergente riuscì ad afferrare le briglie di Traveller e il generale Gregg arrivò al galoppo per condurlo indietro. I soldati fermarono l’attacco e gridarono — Noi non andremo avanti se voi non tornerete indietro — ma Lee sembrava non sentirli.
Quando fummo di nuovo in albergo ci mettemmo a leggere le bozze, io seduto nella poltrona verde con i piedi sul letto, Annie appoggiata ai cuscini con il manoscritto sulle ginocchia. Broun era arrivato finalmente alla fine della battaglia e ora ci trovavamo in un ospedale da campo vicino a Winchester, dove Ben era stato portato a causa del piede ferito e dove veniva accudito da un’infermiera di sedici anni, di nome Nelly.
In questi capitoli Broun aveva introdotto molti personaggi nuovi: un chirurgo stremato dal lavoro e sempre ubriaco, che era stato dottore di cavalli prima della guerra, una arcigna infermiera professionale chiamata signora Macklin, un soldato chiamato Caleb che aveva poco più di quindici anni.
In teoria non sarebbe stato bene inserire così tanti personaggi nuovi mentre il libro si avviava alla conclusione, ma Broun non aveva avuto scelta. Come Lee, aveva fatto morire quasi tutti e ora si trattava di mandare in campo i vecchi e i ragazzi. E le donne.
— Dove ti hanno sparato? — lesse Annie, disse il ragazzo del letto accanto a Ben. — A me nel piede.
— Anche a me — fece Ben, girando lentamente la testa per guardarlo. Temeva che girando la testa troppo in fretta sarebbe svenuto, come gli era successo sul carro. L’assistente dell’ambulanza lo aveva spinto su troppo in fretta, e dalla posizione in cui si trovava lui vedeva il sangue colare giù dal carro sulla strada polverosa. Aveva pensato che si trattasse del suo sangue, e dopo averne visto cadere molto di più di quanto una sola persona ne possa mai avere, era svenuto.
Aveva ripreso conoscenza mentre lo stavano portando su per le scale, ma poi una di loro, una donna imponente dall’aspetto meschino, gli aveva fatto urtare il piede contro la ringhiera, e allora era svenuto di nuovo.
— Non sono messo male — disse il ragazzo con un certo orgoglio. Aveva una faccia simpatica e cotta dal sole. — E ritornerò là in mezzo non appena mi molleranno da qui. Mi chiamo Caleb. E tu?
Ben tentò di rispondergli, ma improvvisamente si fece scuro e udì il lamento di un cavallo. Il cuore si mise a battere più forte. — Malachi? — disse.
— Prometti che mi terrai la mano — disse una voce debole, e Ben per un attimo temette di essere stato lui a parlare; ma la voce proseguì — Non potrà succedermi niente finché tu mi terrai la mano. — Ben sapeva che non era vero, e così seppe anche che quella non era la sua voce. Il cavallo nitrì di nuovo, e questa volta lui capì che si trattava di un urlo.
— Lo prometto — disse una voce di ragazza, gravemente, gentilmente e poi fu mattino e la ragazza era china su di lui dicendo — Ti ho portato la medicina. Riesci a sederti per berla?
Era bellissima. Aveva capelli chiari e leggeri, raccolti dietro in una crocchia. Quando si piegò, per posare la bottiglietta scura su una sedia, Ben vide la scriminatura sottile. Indossava un grembiale e un vestito grigio che forse era stato blu.
— Ma certo che posso sedermi, per te — disse il ragazzo chiamato Caleb. Era già seduto sopra le coperte. — Per te potrei anche alzarmi da questo letto e andare a ballare, ma tu danzeresti con me? No. Tu mi stai spezzando il cuore, Miss Nelly, lo sai, vero?
— Io non credo che tu sia ancora pronto per ballare — disse Nelly, versando il laudano nel cucchiaio. La gamba di Caleb era fasciata con spesse pezze di lino, ma Ben poteva vedere che all’estremità non c’era il piede. Si chiese se anche lui non l’avesse già perso.
Ben inghiottì il laudano.
— Voglio ballare con te proprio oggi — disse Caleb, afferrando la mano di Nelly. — Possiamo spingere i letti contro le pareti, Miss Nelly, e tu — agitò la mano verso Ben — potrai suonare la fisarmonica.
— Nelly! Vieni via di lì! — disse una voce di donna. La proprietario della voce venne a piazzarsi ai piedi del letto, dove Ben poteva vederla. Era la donna che gli aveva urtato il piede mentre lo portavano su dalle scale.
— La prossima volta lo farai fare a un’altra! — abbaiò. — Abbiamo un altro carico che sta arrivando, e tu stai qui a flirtare con questi. — Diede un’occhiataccia a Caleb. — Hai svegliato tutti quanti con le tue urla, la notte scorsa.
Lui le sorrise. — Ho sognato che Miss Nelly non voleva sposarmi — disse.
— Non puoi sposare Nelly — Ben tentò di dire — perché io l’amo.
Nelly posò la bottiglietta del laudano sulla sedia e sparì dalla visuale di Ben. Caleb gettò le gambe giù dal bordo del letto e si sporse per prendere la bottiglia. — Ho sognato che Miss Nelly diceva di non volermi sposare e che la vecchia signora Macklin diceva che mi avrebbe sposato lei. — Schiacciò l’occhio a Ben. — È stato un incubo, ecco cos’è stato.
Guardai Annie che leggeva, e sul capo chino sopra il manoscritto vedevo la scriminatura dei capelli.
— È la guerra — aveva detto Broun quando mi ero rifiutato di ammettere che Ben si fosse innamorato di Nelly dopo soltanto una giornata in ospedale. — Una cucchiaiata di laudano e Ben farebbe qualsiasi cosa per lei — avevo ribattuto io, e Broun aveva risposto — La gente faceva cose del genere in guerra, si innamorava, sacrificava la propria vita.
Può darsi che fosse la guerra. Ormai l’avevamo attraversata quasi tutta insieme: Fredericksburg e Chancellorsville e Brandy Station. Le avevo spiegato i suoi sogni, le avevo tenuto la mano mentre dormiva, avevo asciugato le sue lacrime. Tutto ciò doveva aver creato sentimenti di amicizia, di affetto. Ma sapevo che non era vero. Io l’avevo amata fin dal momento in cui l’avevo vista in piedi nella veranda, nel suo cappotto grigio.
Insistetti per cercare un ristorante dove servissero pollo fritto, come se fosse stata quella la vera ragione per cui ci eravamo diretti a Shenandoah. Annie portò a casa un ossicino con molta polpa per il gatto.
— Lo ucciderai con la tua gentilezza — le dissi. — Non si devono dare ai gatti le ossa del pollo. — Il gatto non si trovava da nessuna parte. Era venuto verso la macchina, quel pomeriggio, al nostro ritorno, miagolando risentito, ma ora non si trovava sulla scala e nemmeno di fronte alla caffetteria.
— Ritornerà — dissi. — I gatti ritornano sempre.
— Tom Tita non tornò. Era rinchiuso. Non riuscì a liberarsi.
— Questo gatto non è rinchiuso. Probabilmente ha trovato qualche altro protettore che gli porta da mangiare. E d’altra parte nemmeno Tom Tita ce la mise proprio tutta per uscire. Stava benissimo nella sua soffitta con tutti quei topi, e quando Markie Williams lo fece uscire non si gettò a rincorrere Lee. Anzi, non sentì nemmeno la mancanza di Lee, giusto il tempo di scoprire che anche i soldati dell’Unione gli avrebbero dato da mangiare.
— Ma Lee sentì la sua mancanza — disse lei. — I gatti non hanno nessun senso di lealtà, vero?
— La loro prima lealtà è verso se stessi. Che cosa sarebbe servito a Tom Tita seguire Lee attraverso la Guerra Civile? Sarebbe solo rimasto ucciso. E invece i soldati dell’Unione si presero cura di lui, proprio come qualcuno si sta prendendo cura di questo gatto, proprio ora.
— Hai ragione — disse lei. — Qualcuno sta certo prendendosi cura di lui, e lui sta benissimo — ma staccò la polpa dall’osso di pollo e la lasciò vicino al gradino, prima di salire la scala.
Andò a letto alle otto, e io tentai di chiamare Broun al Westgate a San Diego. Di nuovo non ebbi risposta. Chiamai la segreteria telefonica.
“Sono ancora a San Diego, Jeff” disse Broun. “Non sono riuscito a incontrare l’endocrinologo, perché è stato chiamato fuori città. Mentre lo aspetto ho deciso di andare in un posto chiamato Sognilandia. Dev’essere un covo di matti, ma non si sa mai.” Aspettai, pensando che ora arrivasse un messaggio di Richard, ma non c’era inciso più nulla.
Annie bussò lievemente alla mia porta. — Ho fatto un sogno con una gallina — disse.
— Sei sicura che si trattasse di uno dei sogni di Lee e non di quello che abbiamo mangiato? — le chiesi, sollevato per non averle inflitto anche Brandy Station.
— Sono sicura — rispose. Si appoggiò alla porta. Indossava la vestaglia azzurra sopra alla camicia da notte e i suoi occhi erano più azzurri di quanto avessi mai notato. I capelli corti erano ancora arruffati dal sonno. Era bellissima. — La gallina era sotto il porticato. Si muoveva come se fosse di casa. Lee aveva una gallina?
— Aveva un cavallo — dissi — aveva un gatto. Mi rifiuto di credere che avesse una gallina. Mi sembra che questo sia un sogno proprio tuo, provocato dal pollo sudista che abbiamo mangiato a cena. Te l’avevo detto che sarei riuscito in ogni caso a provocarti brutti sogni.
Ritornò a letto. Misi la catenella alla porta sul corridoio e vi spinsi contro la poltrona, bilanciando il solito libro sul bracciolo. Corressi bozze per un po’, lessi per un altro po’ il Freeman, sonnecchiai, ma non riuscii a dormire davvero, nonostante nelle ultime due notti avessi dormito al massimo tre ore. E fu un bene.
Annie uscì dal letto, infilò la vestaglia e si annodò la cintura, con un fare così calmo che all’inizio pensai fosse sveglia. Spostò la poltrona dalla porta e il libro cadde, facendo sul tappeto un rumore più attutito di quanto mi aspettassi. Allungò la mano verso la catenella.
— Dove stai andando, Annie? — dissi piano.
— È colpa mia — fece lei. Sganciò la catena.
— Non è colpa tua. Forza, torniamo a letto. — Rimisi a posto la chiusura e la guidai dolcemente verso il letto, sfiorandola appena. Lei non resistette. Vicino al letto si fermò e si tolse la vestaglia.
— Che cosa gli è successo? — chiese.
Alla gallina? A Tom Tita? O a tutti quei ragazzi dai capelli gialli?
— Li troveremo — risposi. Entrò nel letto e si stese. Le rimboccai la coperta. Quindici minuti dopo accadde tutto da capo. Dopo averla rimessa a letto incastrai lo schienale della poltrona sotto la maniglia e attesi.
Questa volta passò mezz’ora, e poi lei si alzò di nuovo, infilò la vestaglia, legò la cintura e tentò di spostare la poltrona. Non ci riuscì. Si voltò a guardarmi. — Che cosa gli è successo? — disse irritata, come se io glielo stessi nascondendo.
— Li troveremo — dissi io, e di nuovo la guidai verso il letto, appoggiandole lievemente la mano sul braccio; ma questa volta a mezza via si fermò e fece due passi verso le finestre.
— Colpa mia — disse piano. — Colpa mia.
Eravamo di nuovo a Gettysburg, nel bosco che sembrava un forno, a guardare i soldati di Pickett che cercavano di ritirarsi dal muro.
— Colpa mia — sussurrò, fece qualche passo in avanti, barcollando, e cadde sulle ginocchia, col viso fra le mani.
— Che cos’è, Annie? — dissi, inginocchiandomi al suo fianco. — È Gettysburg? È Pickett’s Charge?
Lei tolse le mani dal viso e sedette sui talloni, guardando la scena invisibile.
— Riesci a svegliarti, Annie? Riesci a dirmi che cosa stai sognando?
Allungò un braccio in avanti, verso qualche cosa sul pavimento di fronte a lei, poi lo ritrasse. — Lei è morta, vero?
Rimase inginocchiata là per più di un’ora, con me che ogni tanto venivo assalito dai crampi e dovevo cambiare posizione, sempre inginocchiato, parlandole, cercando di svegliarla, tentando di riportarla a letto. Alla fine la presi in braccio e la trasportai, mettendomi le sue braccia al collo per non farla cadere e togliendole quando fu sul letto.
— Che cosa gli è successo? — chiese quando la coprii.
— Non lo so — dissi. — Ma lo scoprirò. Te lo prometto.
Cinque minuti più tardi si alzò di nuovo, rimise la vestaglia e si diresse alla porta.
— Annie, ti devi svegliare — dissi con voce stanca.
Lei si interruppe mentre spingeva la poltrona, si rialzò, guardò prima la porta e poi me. — L’ho fatto di nuovo? Sono uscita?
— Ci hai provato in tutti i modi — le dissi. — Dov’eri? A Gettysburg?
— No — fece lei, sedendo sulla poltrona. — Ero di nuovo ad Arlington. C’era neve, come nel primo sogno, e io stavo cercando il gatto. Sapevo che era andato sotto l’albero di mele, così uscii per andarlo a prendere e inciampai in qualcosa. Era un soldato dell’Unione. Giaceva a faccia in giù, con il fucile sotto al corpo e il nome agganciato alla manica.
Stringeva convulsamente la cintura della vestaglia allo stesso modo in cui aveva stretto la violetta africana di Broun nella veranda, la prima sera. — Mi chinai per prenderlo, ma quando lo feci mi accorsi che la manica non era azzurra, era bianca. E allora vidi che non si trattava di un soldato morto, ma di una ragazza con la camicia da notte bianca, addormentata sotto all’albero di mele.
Non mi chiese che cosa quel sogno significasse. Sedette per un poco nella poltrona, guardando verso il centro della stanza come se potesse ancora vedere il melo e la ragazza addormentata.
— Mi dispiace di aver camminato di nuovo, Jeff — disse. — Forse dovresti legarmi al letto. — Si tolse la vestaglia e si coricò, le braccia rigide lungo i fianchi come se volesse fermamente non muoversi più.
Giacque a quel modo per tutta la notte. Non riuscivo a capire se stesse dormendo; non si mosse quando raccolsi il Freeman dal pavimento, andai nella mia camera a prendere gli altri tre volumi, chiusi a chiave la porta di comunicazione e vi tirai contro il tavolo, spostai la lampada presso la poltrona e iniziai a leggere.
Non c’erano molti riferimenti in indice ad Annie Lee, nonostante si trattasse della figlia prediletta di Lee. Cominciai dall’ultimo. “Ho giurato a me stesso che sarei andato e penso ora di doverlo fare, perché non ho più molto tempo” aveva scritto al figlio Rooney nel 1870. “Voglio poter testimoniare del sonno quieto di Annie.” Era morta durante la guerra a White Sulphur Springs, nel nord Carolina. Aveva ventitré anni.
— Era un uomo buono — aveva detto Annie. I suoi soldati lo amavano, i suoi figli lo amavano, e lui aveva dovuto sacrificarli alla guerra, tutti, persino la figlia prediletta. Annie Lee era morta di una febbre, ma era una vittima della Guerra Civile come qualsiasi soldato, morta giovane e lontano da casa. Almeno Lee ebbe il conforto di sapere dove era stata sepolta. Era andato a visitare la tomba nel 1870. “Voglio poter testimoniare del sonno quieto di Annie.”
Pover’uomo. Quando aveva ricevuto la lettera che gli annunciava la morte di sua figlia non aveva mostrato nessuna emozione. L’aveva letta e poi aveva continuato a sbrigare la corrispondenza ufficiale con il suo attendente. Ma quando quest’ultimo, dopo essere stato congedato, ritornò nella tenda all’improvviso lo trovò che piangeva.
Erano le quattro, l’una in California. Chiamai Broun al Westgate, poi al numero di Los Angeles, chiamai le informazioni per avere il numero di Sognilandia. Non ebbi risposta da nessuna parte.
Poco prima dell’alba Annie si alzò dal letto e indossò la vestaglia. Feci immediatamente il gesto di fermarla, temendo che stesse di nuovo camminando nel sonno. Ma lei si avvicinò alla finestra. — Hai trovato il significato del sogno? — chiese.
Allora le raccontai di Annie Lee. — Morì nel 1862 — dissi. — Appena prima di Fredericksburg.
— Willie Lincoln morì nel 1862. Era il figlio prediletto di Lincoln — disse lei, sfregandosi le braccia con le mani. — Di che cosa è morta?
— Non lo so esattamente. Una febbre.
— Pover’uomo — fece lei, e io mi chiesi di quale dei due stesse parlando, a chi realmente pensasse.
Passammo la mattinata tentando di dormire, non riuscendovi ci andammo a vedere ciò che rimaneva delle attrazioni turistiche cittadine, la bottega di farmacista di Hugh Mercer. Osservammo le pillole argentee e le bottigliette scure di laudano e le ricette scritte a mano per preparati contro le febbri.
Il resto della giornata lo trascorremmo in biblioteca, mentre Annie prendeva note su Lincoln, io cercavo di scoprire la causa della morte di Annie Lee. Nessuno sembrava saperlo. Però trovai la gallina. Si chiamava Little Hen. Era entrata un giorno, sbucando non si capì da dove, nella tenda di Lee e lui la tenne con sé per più di un anno. E ogni giorno lei deponeva un uovo sotto la branda di Lee e svolazzava, andando a sedersi sul posteriore di Traveller, la qual cosa divertiva molto i soldati.
Dopo pranzo ci guardammo intorno per cercare il gatto, ma non lo trovammo da nessuna parte. Il mucchietto di avanzi di pollo che Annie aveva lasciato la sera prima ai piedi della scala era ancora là. — È sicuramente acciambellato da qualche parte, al caldo — dissi — a prepararsi al freddo che pare debba assalirci domani. — Tornammo in camera e io barricai le porte, come se tentassi di chiudere fuori i sogni.
Non fu necessario. Annie non camminò quella notte. Rimase distesa tranquilla e, guardandola, pensai che i sogni non dovevano essere così angoscianti, quella notte. Invece, quando me li raccontò, scoprii che erano peggiorati.
La sua casa era in fiamme e un messaggero a cavallo le tese un messaggio che lei tentò di aprire con una sola mano. Il foglio di carta era arrotolato attorno a tre sigari, che pure non riuscì ad afferrare perché aveva entrambe le mani bendate. Lo tese allora alla cameriera dai capelli rossi e questa non riuscì ad aprirlo nemmeno lei, aveva qualcosa che non andava alla mano, e poi non era la cameriera, era la ragazza con la camicia da notte bianca e il messaggio non era avvolto attorno ai sigari, era una lettera che Annie aveva paura a leggere.
Sognò poi che stava sotto il porticato di Arlington a discutere con Richard, il quale calzava pantofole. C’era anche il veterinario, che tendeva un messaggio a Richard e Richard lo strappava in mille pezzi, gettandoli poi per terra.
— Chi è il veterinario? — mi chiese.
— Non lo so — risposi. — Forse Pickett? Oppure Lonstreet?
— No — disse lei, amara. — Richard è sempre Longstreet.
Sognò di Gettysburg, della ritirata dei soldati che tornavano a gruppetti da una casa in fiamme verso il frutteto, alcuni portavano un pollo fra le braccia. Tentò di riformare il plotone sotto all’albero di mele, ma non poté perché Annie Lee stava dormendo laggiù.
Non ci furono né lacrime né movimenti durante i sogni; poi lei mi recitò quegli orrori con aria grave e io tentai di spiegarli meglio che potevo, ma lei non mi udiva nemmeno. Sembrava voler conservare tutta l’energia che le restava per i sogni e giaceva perfettamente immobile sotto al copriletto verde-bianco. Le sue guance non ardevano e anche la fronte e le mani, quando li toccai, erano freddi.
Nelle prime ore del mattino chiamai la segreteria telefonica. Richard disse “Le analisi di Annie mostrano un basso livello di serotonina, il che indica una depressione a sfondo suicida. Il simbolismo presente nei suoi sogni conferma questa tesi. Il fucile rappresenta il desiderio di fare del male, il soldato morto è evidentemente lei stessa.”
“Avevo ragione sulla vicenda di Sognilandia” disse Broun. “Era un covo di matti. Mi hanno detto che i sogni erano avvertimenti mandati da Willie Lincoln a suo padre e quando ho chiesto come faceva Willie Lincoln a mandare messaggi e perché, se i morti sanno quello che sta per succedere, non ci mandano sempre un avvertimento per evitare i disastri, hanno tirato fuori la teoria che i morti di solito dormono in pace, ma che il riposo di Willie era stato disturbato quando il padre l’aveva fatto riesumare.
“Mercoledì andrò in aereo a Sacramento in una clinica del sonno che si trova laggiù. Sarò a casa martedì, non so a che ora. Devo partecipare a un ricevimento a Los Angeles, sabato, e ho un appuntamento lunedì. Spero che ti stia andando tutto bene con le bozze, ragazzo, perché nei prossimi giorni sarà difficile mettersi in contatto con me.”
— Lo so — dissi.
Non riuscii a fare un sonno che fosse tale. — Sei riuscito a dormire un po’, Jeff? — mi chiese Annie a colazione. Lei pareva non esserci riuscita. Aveva il viso pallido e ombre scure attorno agli occhi. Sedeva rigida, come se le facesse male la schiena, e di tanto in tanto sfregava il braccio con la mano.
— Un po’. E tu?
— Starò benissimo — disse, e mi tese il fascio di manoscritti. Mentre la cameriera versava il caffè tentò di trovare il punto in cui ci eravamo interrotti.
— Sapete quel fronte di maltempo di cui si parlava? — disse la cameriera. — È rimasto fermo sul Midwest per qualche giorno, ma ora si è rimesso in moto. Sembra che avremo mezzo metro di neve stanotte. Vi pare possibile? In aprile.
— Dove siamo? — disse Annie dopo che se ne fu andata.
— Pagina seicentocinquantasei — risposi. — Dove comincia con “No, disse Nelly”. — Divisi il manoscritto in due parti, una solo di una cinquantina di pagine. Avevamo quasi finito. Che cosa avremmo fatto poi, mentre aspettavamo i sogni?
— No — disse Nelly, e Ben tentò di svegliarsi per aiutarla, ma era come tentare di spostare il cavallo che aveva schiacciato Malachi.
— È morto — disse la signora Macklin. Aveva un tono impaziente, come se Nelly avesse fatto qualcosa di stupido.
— Lo so che è morto — disse Nelly, e il vuoto che risuonò nella sua voce svegliò completamente Ben. Si tirò su, nel letto. Il dolore gli morse la caviglia, facendogli aprire e richiudere la bocca come se stesse ansando, per soffocare le urla.
Girò la testa e guardò Nelly. Era seduta sulla sedia di legno di fianco al letto di Caleb, e gli teneva la mano, delicatamente, come aveva fatto ogni notte da quando lui era stato portato dentro. Le sue dita erano chiuse su quelle di lei, ma lui non sembrava affatto addormentato. Doveva essere morto nelle prime ore della notte.
— Non puoi fare nulla per lui — disse la signora Macklin, e afferrò Nelly per il polso.
— Lasciala andare — gridò Ben, e poi dovette respirare in fretta più volte, per non farsi sopraffare dal dolore. — Lasciala stare.
La signora Macklin lo ignorò. — Ci sono giù venti uomini mezzo morti e tu stai qui seduta — disse con tono d’accusa. — Lasciagli andare la mano. — Tenendola per il polso, la tirò in piedi con violenza e il braccio di Caleb si alzò di scatto, come in un saluto militare.
— No — disse Nelly disperatamente. — La prego — e Ben tentò di gettarsi contro la signora Macklin ma non ci riuscì. Il piede gli esplose in un male terribile, peggio che mai, e lui pensò che avrebbero dovuto tagliargli la gamba fino al ginocchio.
Quando aprì gli occhi di nuovo, Nelly era ancora seduta accanto al letto, ma il corpo del ragazzo non c’era più, e qualcuno aveva steso una coperta grigia sopra le tracce di sangue.
— Mi dispiace — disse Ben.
Nelly si sfregò il polso. Era rosso e gonfio. — Sai che cosa mi ha detto ieri? Mi ha detto che finché gli tenevo la mano faceva dei sogni bellissimi. — Sfregò di nuovo il polso, che divenne più rosso.
— Hai fatto del tuo meglio — disse Ben — Adesso lui non potrà più fare brutti sogni — e desiderò prenderle la mano e tenerla stretta ma sapeva che sarebbe di nuovo svenuto se avesse tentato di muoversi.
— Ho rotto la mia promessa — disse lei.
— Il mio amico Toby Banks di cui ti ho già parlato aveva promesso alla sua mamma di tornare a casa senza nemmeno un graffio. Ma certe promesse è proprio impossibile… tu hai fatto del tuo meglio. Dopo che lui è… — si fermò e gettò uno sguardo in giro, cercando un altro termine per dire ‘morto’ — dopo che lui è passato in gloria non ha potuto più sentire se lo tenevi per mano o no.
— Promettimi che non tornerai ad arruolarti quando il tuo piede guarirà — disse lei.
— Te lo prometto — rispose lui, ma lei continuò a rimanere seduta accanto al letto, sfregandosi il polso.
Dopo un poco la signora Macklin entrò e chiese di veder il polso di Nelly. — No — disse Nelly.
— È tutto gonfio — la signora Macklin sibilò irritata. — Io sono un’infermiera. È mio dovere…
Nelly balzò in piedi, rovesciando la sedia di legno. — Non venga a parlarmi di dovere — disse, stringendosi il braccio contro il petto come se fosse un bimbo — non quando mi ha impedito di fare il mio.
Annie interruppe la lettura. — Voglio andare ad Arlington — disse.
Eravamo già passati attraverso tutto questo. — Non c’è ragione di andare ad Arlington. Sappiamo che cosa significano i sogni. Lee incolpava se stesso per la morte di Annie. Forse pensava che non sarebbe accaduto se Annie fosse rimasta a casa, se non avessero dovuto lasciare Arlington. Sappiamo persino che cos’è il messaggio. È la lettera che annuncia la morte di Annie. Non c’è alcuna ragione di ritornare ad Arlington.
— Io devo… — Non finì la frase. — I sogni si svolgono in cerchio. È come quando continuavo a sognare del gatto, poi andammo ad Arlington e questo mi aiutò.
Aiutò chi? mi chiesi. Te o Lee? Lei lo stava aiutando a sognare, aiutando a dormire nella sua tomba di marmo a Lexington, e lui invece che cosa le stava facendo?
— Penso che stia cercando di espiare — aveva detto Annie. Lee aveva amato sua figlia. Sicuramente non avrebbe fatto nulla che potesse nuocere ad Annie. Desiderai poterlo credere. Desiderai poter credere che questa sua espiazione non avrebbe trascinato Annie attraverso la Guerra Civile fino a spezzare il cuore a entrambi.
— Ascolta — le dissi — hai sentito quello che ha detto la cameriera. Si prevede che il tempo peggiori, e in ogni caso il veterinario non è ancora tornato dalla sua conferenza. Penso che dovremmo aspettare fino al suo ritorno. In questo modo potremo anche finire le bozze. Poi potremo portarle a New York e durante il viaggio fermarci ad Arlington.
La cameriera ci portò le uova. — Sta nevicando a Charleston — disse. — L’ho appena sentito alla radio.
— Vedi? — dissi, come se questo definisse la questione.
Annie tagliò la pancetta ma non la mangiò. Continuò a tagliarla a striscioline sempre più piccole. — Non dovrebbe nevicare fino a stasera — disse. — Potresti parlare con il veterinario per telefono, Jeff. Potremmo finire le bozze a Washington. — Posò il coltello e si sfregò il polso.
— Annie, tu non sei nelle condizioni di andare ad Arlington o da nessun’altra parte. Non hai dormito per due giorni e quel polso ti fa chiaramente male.
Lei smise di sfregarlo. — Starò bene.
— Potresti averlo slogato quando hai sbattuto contro il parabrezza. Forse dovremmo andare a farlo vedere a un medico.
— No — rispose lei, e lo posò in grembo, come per nasconderlo. — Non è slogato.
— Ma ti fa male. E tu sei esausta. Siamo tutti e due troppo stanchi per decidere lucidamente. Penso che la cosa migliore per entrambi sarebbe prendere dell’aspirina e tentare di dormire un po’, e poi decideremo su Arlington.
— Va bene — disse lei, con un’aria, mi parve, sollevata.
Tornammo in albergo e Annie fece quel che le avevo detto, nonostante protestasse che il polso non le faceva davvero male e che non aveva bisogno dell’aspirina. Dopo che lei fu andata a letto chiamai l’agente di Broun sulla costa occidentale. Se qualcuno sapeva dove si trovasse Broun questi era lui, e ormai io pensavo davvero che fossimo troppo stanchi. Intendevo mettere la cosa nelle mani di Broun. Lui avrebbe saputo che cosa fare.
Il servizio informazioni del suo agente mi disse che si trovava a New York. Quando dissi che lo stavo cercando, mi diede un numero. Quello della segreteria telefonica.
Broun non aveva lasciato nessun messaggio nuovo. Richard sì. Avvolsi il nastro in fretta per sentire se dopo non ci fosse un altro messaggio oppure un numero di telefono e trovai una chiamata dell’agente di Broun. “Devi portare subito le bozze” diceva. “Mc Laws e Herndon stanno facendo scene da pazzi. E non sono gli unici. Tutti ti stanno cercando. Ho avuto una chiamata da tale dottor Stone, capo di…” si udì uno smuovere di fogli, “capo dell’Istituto del Sonno. Ha chiamato per dire di aver controllato la faccenda di Gordon per te e…”
La faccenda di Gordon? mi chiesi. Gordon? Non ricordavo nessuno con quel nome.
“…non ci sono prove cliniche della teoria del dottor Gordon per cui i sogni prefigurerebbero malattie. Dovresti chiamarlo per i particolari.”
Chiamai l’agente di Broun e le dissi che le bozze erano quasi pronte. — Non sai come posso mettermi in contatto con Broun, vero? — le chiesi. — Ci sono alcuni errori che vorrei controllare con lui, prima di consegnare le bozze.
— Tutto quello che ho è il numero del suo agente della costa occidentale — rispose. — Se riesci a sentirlo, fammi chiamare. Ho un mucchio di messaggi per lui. Che cosa sta facendo laggiù?
— Sta lavorando al nuovo libro sui sogni di Lincoln.
— Ah, bene — fece lei. — Temevo che stesse ancora pasticciando con Il Legame del Dovere. Oh, ancora una cosa, Jeff. C’è stata una chiamata per te. Un certo dottor Madison. Diceva che era molto urgente, ma io pensavo che tu fossi in California con Broun e gli ho detto così. Mi dispiace.
— Va benissimo. Mi sono tolto dalla circolazione per riuscire a finire le bozze. Quando ha chiamato?
— Dunque… due o tre giorni fa. Non ha lasciato il numero. Devo cercartelo sulla guida?
— No! — esclamai di getto, poi risi, cercando di non mostrare la mia tensione. — Devo assolutamente finire queste dannate bozze prima di parlare con chiunque. Se richiama digli che sono ancora in California, va bene?
— Va bene. — Ci fu una pausa. Ero così abituato a parlare con la segreteria telefonica che per poco non digitai il codice per cancellare. — Jeff, tutti questi psichiatri stanno solo aiutando Broun con le sue ricerche, vero?
— Sì. Sta cercando di scoprire che cosa provocava i sogni di Lincoln.
— Ah, bene — fece lei. — Ha avuto tutti quei problemi con Il Legame del Dovere che pensavo… ero preoccupata per lui.
— Sta bene. Consegnerò le bozze a Mc Laws e Herndon lunedì.
Andai a controllare Annie. Era già addormentata, una mano che stringeva il polso. Mi chiesi se avessi fatto la cosa giusta, mandandola a dormire, o se la stavo solo consegnando a nuovi incubi. Capii come si dovette sentire Lee quando rimandò il figlio Rob in combattimento, ad Antietam. Le avevo detto che avrei tentato di dormire anch’io, ma dubitavo di riuscirci. Ero troppo preoccupato per lei. Mi tolsi le scarpe e mi sistemai sulla poltrona verde con gli ultimi fogli del Legame del Dovere.
— Vado al campo di battaglia, Jeff — disse Annie, chinandosi su di me. Indossava il cappotto grigio. — Continua a dormire.
— Ma sono aperti di notte? — dissi. Mi tirai su, spargendo i fogli dappertutto. Mi ero addormentato e lei aveva sognato di nuovo Fredericksburg. — Non credo che sia aperto di notte.
— Sono le tre — disse lei, prendendo la borsa e le chiavi della camera. — Continua a dormire.
Era quasi buio nella camera. Aveva spento la lampada presso il letto. Le tre. Non potevo lasciarla andare al campo di battaglia nel cuore della notte. Dovevo alzarmi e vestirmi e andare con lei.
— Vengo con te — dissi, e mi chinai per infilare le scarpe. — Aspettami.
— Continua a dormire — disse lei, e si chiuse la porta alle spalle.
Mi alzai, ancora convinto che fossero le tre di notte, e sorpreso di ritrovarmi vestito. Dovevo aver dormito tutto il pomeriggio e la sera, mentre Annie sognava di Fredericksburg o peggio. Addormentato in servizio. Un soldato sarebbe stato fucilato.
Afferrai il giaccone e mi gettai giù per la scala esterna, verso il parcheggio piccolo. La macchina era ancora là. Lei invece non c’era, rimasi a cercare per il parcheggio per un intero, stupido minuto, tentando di pensare dove potesse essere andata e cercando di capire bene che non erano le tre di notte.
Stava diventando buio e alcune auto avevano già acceso ì fari. Il maltempo che la cameriera aveva predetto era arrivato. C’era vento e il cielo era coperto di nubi. La cameriera aveva ragione, pensai, e avrei dato qualunque cosa perché fosse lì a versarmi una tazza di caffè, per potermi svegliare.
E dov’era Annie? Se fosse davvero andata al campo di battaglia? Se avesse preso un autobus per Arlington? e se invece t’osse semplicemente fuggita, per paura che io tentassi di fermare i sogni, per paura che le mettessi il Thorazine nel cibo come Richard?
Richard. Aveva chiamato l’agente di Broun. Chi altro aveva chiamato? Nessuno sa dove siamo, pensai disperatamente. Ma se Annie gli avesse raccontato il suo secondo sogno, e lui avesse capito che si trattava di Antietam? E non trovandoci ad Antietam avesse proseguito alla battaglia seguente? Che era Fredericksburg.
Salii di corsa le scale, attraversai l’entrata e arrivai ansimante al banco della ricezione. — Ha visto entrare un uomo, alto circa come me. vestito da medico?
L’impiegato sorrise. — Sta cercando la signora Davis? — fece, calcando sul signora. — Ci ha chiesto di chiamare un taxi.
Un taxi? Non era su un’auto con Richard, drogata e inerme, diretta a Washington. Aveva preso un taxi per Arlington perché io non l’avevo voluta portare. — Ha detto dove andava?
— A me non ha detto nulla — rispose lui. ancora sorridente. — Però, quando ha telefonato al taxi, l’ho sentita dire che voleva andare al campo di battaglia di Fredericksburg.
Feci le scale due alla volta, afferrai le chiavi della macchina le ridiscesi di corsa, verso il parcheggio. Ma prima ancora di aver guidato per due isolati, a tutto gas, avevo capito che era troppo tardi.
Lincoln perdonava le sentinelle che si addormentavano in servizio, dicendo che era difficile per ragazzi di campagna abbandonare le abitudini della fattoria. Ma non avrebbe mai perdonato me. Avevo lasciato Annie andare al campo di battaglia da sola, e stava iniziando a nevicare.