Lee sopravvisse due settimane a quel pomeriggio in Grace Church. Per la maggior parte del tempo giacque disteso, in silenzio, oppure sonnecchiò. Fuori pioveva e i fiumi intorno a Lexington andarono in piena, così che fu impossibile a Rob giungere al suo capezzale. Per diverse notti l’aurora boreale accese il cielo, come quella volta a Fredericksburg. Lee parlava molto poco, qualche volta mormorava parole sconnesse durante il sonno, e quando il medico gli disse “Deve affrettarsi a guarire: Traveller è da troppo tempo rinchiuso in stalla e ha bisogno di esercizio” lui si limitò a scuotere la testa, incapace di dire nulla.
Morì il dodici di ottobre, dicendo: “Togliete le tende”, e andò ad affrontare qualche nuova battaglia, senza portare con sé Traveller. Traveller seguì la processione funebre, a testa china, con un mantello nero che gli copriva il dorso. Poi fu portato a casa, ad aspettare la fine. Sognò qualche volta di Lee? Chissà se i cavalli sognano.
Quando arrivai a casa Broun era ancora seduto sul divanetto della veranda. Il siamese gli era balzato in grembo, e allora lui aveva appoggiato la segreteria telefonica da una parte per accarezzarlo.
Si alzò in piedi non appena entrai, facendo balzare il gatto al suolo, e mi venne incontro, mettendomi un braccio attorno alle spalle. Non mi chiese che cos’era successo e allora, proprio perché non me lo chiese, proprio perché non disse “Come hai potuto lasciarla andare? È ammalata. Ha bisogno di un medico’” io gli raccontai che l’avevo portata alla fermata del metrò, e poi gli raccontai tutto il resto.
Lui non disse “Sono solo sogni”, né mi raccontò le teorie che aveva raccolto in California. Disse solo, piano: — Fu una guerra terribile, la Guerra Civile. Così tanti ragazzi… Ho fatto male ad andare in California. Su una pista sbagliata, correndo dietro ai sogni di Lincoln, mentre avrei dovuto essere qui.
— Non è stata colpa tua — dissi, e poi andai a letto, nonostante fosse il primo pomeriggio, e dormii per due giorni. Quando mi svegliai, in studio c’era un elettricista, che aggiustava la segreteria telefonica.
— In caso lei chiamasse — disse Broun.
Portai le bozze a New York. Quando tornai, iniziammo il romanzo sui sogni di Lincoln. Feci per Broun il lavoro di gambe, lo accompagnai in macchina, andai a scovare fatti oscuri che non interessavano a nessuno, e sognai Annie.
Mentre ci trovavamo a Fredericksburg io non avevo sognato per nulla, come se i sogni di Annie bastassero per tutti e due, ma ora sognavo quasi tutte le notti, e nei sogni Annie stava bene. Sognai che aveva lasciato un messaggio sulla segreteria. “Sto bene” diceva, “non volevo che ti preoccupassi”.
“Dove sei?” chiesi io, anche se sapevo che si trattava solo di un messaggio, che lei non era lì. Non ero mai riuscito a liberarmi dell’abitudine di rispondere anche alla gente che non si trovava davvero lì. E allora, se io non c’ero riuscito, come potevo pretendere che Annie potesse, con Lee che le parlava notte dopo notte, raccontandole i suoi sogni?
“Sto bene, Jeff” mi disse lei in sogno. “Stanno occupandosi di me.” Non era un messaggio. Era davvero lei al telefono, e stava bene, stava bene. Era andata a casa, ritornata in quella casa con il lungo portico e l’albero di mele, e una volta ritornata era andata dal medico. “Pensavo che avessi paura che ti interrompessero i sogni”.
— E così, ma poi ho pensato a quello che tu avevi detto di Tom Tita. A che cosa sarebbe servito seguire Lee per tutta la Guerra Civile? Mi sarei solo fatta uccidere. La mia prima lealtà doveva essere verso me stessa.
— Allora era questo che significava il tuo messaggio — dissi, stringendo il ricevitore. — È questo che volevi dire quando hai scritto il nome di Tom Tita.
— Certo — rispose lei. — Che cosa credevi che significasse, altrimenti?
— Che eri chiusa dentro. Che non potevi uscire.
— Sto bene — disse lei. — Si stanno prendendo cura di me.
Lavorammo sul libro tutta l’estate. In autunno uscì Il Legame del Dovere e andammo a New York a promuovere il libro. — Sono contenta di vedere Broun che ha un così bell’aspetto — mi disse la sua agente al ricevimento di Mc Laws e Herndon. — Temevo che tutto quel correre su e giù per la California fosse troppo, per lui, ma ora lo vedo proprio bene. E non sai come sono sollevata al vedere questo libro stampato, finalmente — aggiunse, passando il dito su una locandina. — Sai che mi chiamò, dopo che le bozze erano state consegnate, perché voleva cambiare la fine? Voleva far sposare Ben e Nelly. Ci puoi credere?
— Quando ti chiamò?
— Non ricordo esattamente. Dopo che tu avevi consegnato le bozze. Per fortuna, chiamò prima me e non Mc Laws e Herndon. Riuscii a convincerlo che non avrebbe funzionato.
— No, credo di no.
— Cioè, voglio dire, era ovvio fin dall’inizio che lei era innamorata di quel ragazzo che poi è morto, come si chiamava?
Rimanemmo a New York fin dopo Natale, partecipando a incontri e dibattiti televisivi. Il giorno in cui tornammo a casa, mentre ero dalla vicina a riprendere il gatto, Broun ebbe un attacco cardiaco. Fu una cosa molto leggera. Non rimasero danni al cuore. Rimase in ospedale solo una settimana, e più dell’attacco di cuore lo sconvolse il fatto che una battagliera infermiera gli aveva rasato la barba.
— Non hai avuto alcun sintomo? — gli chiesi. Era nel letto d’ospedale, appoggiato a una pila di cuscini.
— Una piccola indigestione — rispose. — O quella che pensavo fosse indigestione.
— Non ti faceva male il braccio? O il polso?
— No — ribadì. — Ho pensato che avevo mangiato troppo.
— Non avevi sognato nulla?
— Ero sveglio quando mi arrivò, ragazzo — mi fece notare con gentilezza.
— Prima dell’attacco — quasi gridai. — Che cosa avevi sognato?
Il suo medico personale mi trascinò fuori in corridoio. — So che sei sotto stress, ma lo è anche lui. — Guardò la cartella di Broun. — E lo sono anch’io. Non voglio che gli venga un terzo attacco mentre lo sto curando.
— Un terzo? — dissi.
— Certo — rispose lui, sempre leggendo il foglio. Poi alzò gli occhi e vide la mia espressione. — Ma come? Vecchio figlio di buona donna, non ti aveva detto niente! È stato tre anni fa — andò indietro di parecchi fogli sulla cartella — in settembre. Il ventotto settembre. Tu eri fuori città, mi pare. Mi aveva detto di averti chiamato.
Tre anni fa in settembre io ero a Springfield, a vedere la tomba di Lincoln, e Broun mi stava facendo impazzire con indicazioni e consigli. E poi d’un tratto aveva smesso, le chiamate si erano interrotte, e quand’ero tornato a casa l’avevo trovato disposto a lasciarmi fare il lavoro di gambe in sua vece.
— È stato grave il primo? — chiesi.
— Grave abbastanza da spaventarlo. Era convinto di stare per morire. Ecco perché pensavo che te l’avesse detto. — Richiuse il fascicolo e se lo mise sotto il braccio. — Ora, sono d’accordo che dovrebbe essere insultato per non avertelo detto, ma come suo medico ti permetterò di vederlo di nuovo solo se mi assicuri che non gliene farai parola, almeno finché non starà meglio. Deve aver avuto le sue ragioni per tacere.
— Certo — dissi.
Ritornai in stanza e mi scusai per aver gridato. — Non ho fatto alcun sogno prima dell’attacco — disse Broun. — Non ho avuto nessun avvertimento.
— Annie li ebbe — dissi. — I sogni stavano tentando di metterla in guardia. Solo che lei non volle ascoltare.
Si appoggiò indietro. — Se avessi sognato di trovarmi su una barca, navigando verso una riva nebbiosa e incerta, nemmeno io avrei ascoltato. Se Lincoln mi avesse lasciato sognare i suoi sogni, non c’è cosa al mondo che avrebbe potuto fermarmi. Nemmeno qualcuno che amavo.
— Anche se avresti finito per avere un attacco cardiaco? Anche se tutto ciò avrebbe finito per ucciderti?
— Anche in quel caso — disse lui dolcemente. — Forse lei ora sta bene. Forse è andata da un dottore quando è arrivata a casa, come aveva promesso.
Broun ricominciò a lavorare al libro su Lincoln non appena fu tornato a casa, in aperta sfida agli ordini del medico. — Finirò questo dannato libro, fosse pure l’ultima cosa che faccio — dichiarò, grattandosi il mento ispido. Stava tentando di farsi crescere un’altra volta la barba.
— E sarà così, questa volta, con questo ritmo — ribattei. — Almeno lasciami fare il lavoro di gambe.
— Bene — rispose, e mi mandò alla Casa Bianca a prendere note sulla Sala degli Ospiti, drappeggiata di cremisi, dove era morto Willie Lincoln, e sulle scale che Lincoln aveva disceso nel sogno, e sulla Sala Orientale, dove la bara di Willie e poi quella di suo padre erano state poste.
Stavo facendo un nuovo sogno, in quel periodo. Sognavo di svegliarmi al suono di un pianto, ma di scendere le scale senza trovare nessuno. C’era una sentinella sulla porta della veranda, e io gli chiedevo “Chi è morto alla Casa Bianca?”, ma quando la sentinella si voltava per rispondermi vedevo che era Annie. Indossava il cappotto grigio ed era bellissima, fresca e riposata.
— Stai bene? — le chiedevo. — Sei stata da un medico?
— Un medico?
— Un medico — dicevo affannosamente. — I sogni erano un avvertimento.
— Lo so. Stavano tentando di metterci in guardia contro l’attacco di cuore di Broun, ma noi non li abbiamo capiti. Ci ostinavamo sugli indizi sbagliati.
— Broun non avrà un altro attacco di cuore, vero?
Lei scuoteva la testa. — I sogni sono finiti.
— E tu stai bene?
Allora mi sorrideva, un sorriso dolce senz’ombra di tristezza. — Sto bene.
In aprile Broun dovette rientrare in ospedale per dolori al petto. — Ho pensato a quello che poteva causare i sogni di Annie — disse, mentre giaceva appoggiato ai cuscini. Rifiutava assolutamente di essere avvicinato dalle infermiere per paura che gli tagliassero la barba, e aveva un aspetto terribile, trasandato e ambiguo.
— Ti ricordi Sognilandia?
— I pazzi di San Diego?
— Sì — disse. — Se ti ricordi, avevano la teoria per cui i morti dormono in pace finché qualcosa non li disturba, come Willie Lincoln quando venne riesumato, e allora a quel punto iniziano a sognare. Bene, e se qualcosa del genere fosse capitato a Lee? Se avessero mosso il suo corpo, e per questa ragione lui avesse incominciato a sognare?
— Il corpo di Lee non è mai stato mosso — risposi. — È ancora sepolto nella cappella di Lexington.
— Forse i sogni non erano causati dall’angina. Forse iniziarono quando il suo corpo venne disturbato in qualche modo. Il corpo di sua figlia Annie venne mosso?
— No. È ancora sepolta nel Nord Carolina, dove morì.
Rimase in silenzio per un po’, fissando la porta con sospetto ogni volta che vedeva passare un’infermiera, e poi disse — Il corpo di Lincoln fu spostato. Dapprima lo portarono a Springfield, dopo il funerale, fermandosi a ogni dannato villaggio e incrocio che c’era lungo la strada. — Si tirò su sui cuscini, e la linea dell’ECG sullo schermo alle sue spalle ebbe un sobbalzo. — E poi ci fu quel piano di rapimento e per precauzione lo spostarono dalla tomba e lo misero in un passaggio del Memorial Hall.
— Annie non aveva i sogni di Lincoln — dissi con voce calma, argomentativa, tenendo d’occhio la linea sullo schermo. — Erano i sogni di Lee.
— Nel 1901 misero di nuovo Lincoln nella tomba. In tutto lo spostarono quattro volte, senza contare il treno del funerale. — Lo schermo si riempì di picchi pericolosi. — E se quei pazzi di Sognilandia avessero ragione e tutto quel movimento davvero l’ha svegliato?
— Non erano i sogni di Lincoln — ripetei — erano i sogni di Lee.
— Può darsi — disse lui, sedendosi con un movimento che mandò i picchi fuori dallo schermo. — Vorrei che mi portassi dei libri.
Chiese libri per tutti e tre i giorni seguenti e alla fine della settimana metà della sua libreria stava nella stanza d’ospedale. — Ho ricostruito tutto — mi annunciò. Era ormai in grado di sedersi senza sconvolgere l’ECG. — Erano i sogni di Lincoln.
Aveva ricostruito tutto, in effetti. Mi spiegò che era stato Lincoln a sognare, non Lee, e i loro sogni in un certo modo si rassomigliavano. Entrambi avevano certo sognato Gettysburg e Appomattox. Lincoln aveva saputo dell’Ordine Speciale 191 prima ancora di Lee, e il gatto non doveva per forza essere Tom Tita. Avrebbe potuto essere uno dei gattini di Lincoln. Lincoln amava i gattini. Aveva ricostruito tutto.
— E anche se fossero stati i sogni di Lincoln, cosa cambierebbe? — esclamai quando non ce la feci più. — Che cosa proverebbe?
— Lincoln tentò di salvare il pony di Willie dalle stalle incendiate. Ecco che cos’è in realtà la casa in fiamme, non Chancellorsville.
— Non erano i sogni di Lincoln, dannazione — gridai. — Erano i sogni di Lee.
— Lo so — fece lui piano, e la linea del’ECG sopra la sua testa uscì dallo schermo. — Lo so che non erano i sogni di Lincoln.
— E allora perché hai fatto tutto questo?
— Perché allora lei sarebbe stata a posto. Se fossero stati avvertimenti mandati da Lincoln, avrebbero preso la forma di barche, e non di frutteti di mele. Ho pensato che se fossi riuscito a dimostrare che erano i sogni di Lincoln, avrei anche dimostrato che lei ora sta bene.
— Non bisogna farlo agitare — disse il dottore di Broun, trascinadomi di nuovo fuori dalla stanza e dentro uno studio vuoto. L’ECO aveva gettato l’allarme nella postazione delle infermiere e tutti si erano messi a correre.
— Lo so — dissi.
— Tu comunque non hai un aspetto migliore del suo — aggiunse. — Come dormi?
— Non dormo — risposi. Quando dormivo sognavo di Annie. Era sotto al porticato di Arlington, con le braccia attorno al mio collo, e piangeva, e io ripetevo — Non voglio che tu vada via.
— Vuoi che ti prescriva qualcosa per dormire?
— Sì, magari del Thorazine?
Non capì lo scherzo. Tirò fuori il blocchetto delle prescrizioni. — Chi è il tuo medico abituale?
— Non ce l’ho. Vuoi dire il mio medico di famiglia? È nel Connecticut.
— Non mi piace scrivere medicinali senza vedere la cartella del paziente. — Scrisse in fretta qualcosa. — Per ora ti darò qualcosa di leggero e poi aspetterò di vedere la tua cartella prima di passare ad altro. Hai qualche disturbo cronico, come diabete o soffio cardiaco?
— No. — Gli diedi il nome del mio medico. — Quanto ci vorrà perché arrivi la cartella?
— Dipende. Se è sul computer solo pochi giorni. Altrimenti, anche alcune settimane. Perché? Non riesci a dormire proprio per nulla?
— No — dissi, e misi in tasca la ricetta senza guardarla. Ma Annie aveva avuto seri problemi a dormire. Tanto seri che Richard le aveva dato immediatamente l’Elavil. Non aveva fatto nessun ECG. Mi aveva detto in quel messaggio sulla segreteria che l’ECG era appena arrivato dal laboratorio, ma gli elettrocardiogrammi non sono esami da laboratorio. Il medico di Broun li leggeva immediatamente, appena fuori dalla macchina. Aveva detto che gli esami di Annie mostravano un soffio cardiaco funzionale, ma come aveva potuto vederli, se ci voleva quasi un mese perché arrivassero? Annie aveva detto che lui le aveva prescritto l’Elavil immediatamente. Richard non aveva fatto nessun ECG e non aveva aspettato la cartella clinica dal medico di famiglia. L’Elavil aveva fatto peggiorare i sogni, ma lui non l’aveva sospeso a quel punto. L’aveva sospeso quando era arrivata la cartella, quando aveva visto che lei soffriva di disturbi cardiaci e che lui aveva fatto un errore a farle prendere l’Elavil immediatamente.
Era stato preso dal panico e mi aveva chiamato, ma io non ero a casa. Ero nel West Virginia. Che sarebbe successo se io invece ci fossi stato? Mi avrebbe detto la verità, che era stato così impaziente e preoccupato che aveva fatto uno sbaglio terribile, che quando aveva saputo dei sogni e ciò che stavano facendo ad Annie tutto ciò a cui era riuscito a pensare era stato fermarli, e come diavolo avrebbe potuto attendere la cartella clinica quando ci poteva mettere anche un mese ad arrivare? Oppure avrebbe usato la sua voce da Buon Psichiatra anche con me, anche in quel momento?
Perché le aveva somministrato il Thorazine? Per tentare di fermare i sogni? Il Thorazine avrebbe potuto fermare un treno, e non era controindicato. (Nota: sono stati riferiti casi di morte improvvisa apparentemente dovuta ad arresto cardiaco, ma non ci sono prove sufficienti per stabilire collegamenti tra le morti e l’assunzione del medicinale). Oppure glielo aveva somministrato per impedirle di ritornare all’Istituto, dove avrebbe potuto riferire al dottor Stone di aver preso una medicina esplicitamente controindicata per pazienti con disturbi cardiaci? Perché Longstreet non aveva mandato le sue truppe in appoggio a Pickett?
Lee non disse mai nulla, dopo la guerra, che potesse far capire che lui considerava il comportamento di Longstreet a Gettysburg nient’altro che “l’errore di un bravo soldato”. Ma appena dopo la battaglia, quando il colonnello Venable aveva detto amaramente: — Vi ho udito ordinare al generale Longstreet di mandare la divisione di Hood — anche Lee l’aveva biasimato. E io biasimavo Richard. Sto facendo solo il mio dovere di medico. È per il tuo bene.
Presi la mia ricetta dalla tasca e la guardai. Il medico di Broun mi aveva prescritto l’Elavil.
A luglio finalmente Broun lasciò che gli eseguissero il by-pass che finora aveva rifiutato. Ne uscì benissimo, felice perché non gli avevano tagliato la barba mentre era sotto anestesia, ma non mostrò alcun interesse a riprendere il lavoro sul libro di Lincoln.
Mi mandò a Springfield, sostenendo che non poteva andare avanti con il libro finché non avesse saputo dov’era stato sepolto Willie Lincoln. Passai quasi un mese laggiù tentando di scoprirlo, poi tornai e iniziai a controllare tutti i registri dei cimiteri del Dipartimento di Columbia. Avevo usato la ricetta per l’Elavil mentre mi trovavo a Springfield. I sogni erano completamente scomparsi e l’Elavil aveva bloccato il sonno REM come da indicazioni.
Broun ancora non stava lavorando al libro, nonostante il problema della sepoltura di Willie fosse un dettaglio che avrebbe potuto aggiungere in un secondo tempo. Mi fece fare un mucchio di ricerche che poi non guardò nemmeno e in autunno iniziò ad avere di nuovo dolori al petto.
In ottobre insistette perché lo portassi al Lincoln Memorial. — Non credo che sia una buona idea — dissi. — Ci sono molti gradini. E sai che devi andarci piano con i gradini.
Salì le scale disdegnando il mio aiuto ed entrò nel memoriale per guardare la statua di Lincoln. — Lo sai qual è la cosa a cui nessuno ha pensato in tutto quel girovagare per la California? — mi disse guardando Lincoln che sedeva sulla grande poltrona di marmo con le sue orecchie troppo grandi e il naso largo e le gambe troppo lunghe, le mani troppo grandi posate sui braccioli freddi. — Che lui stava mentendo riguardo ai sogni.
— Mentendo? — chiesi.
— Lui amava l’Unione — spiegò. — Avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarla, anche inventarsi un sogno su una barca e una riva incerta per tenersi il Gabinetto. — Le parole echeggiavano nella sala vuota. — Avrebbe sacrificato il suo stesso figlio per salvare la sua preziosa Unione.
— Non sacrificò lui Willie — dissi io. — Amava Willie. Non avrebbe mai fatto nulla che potesse nuocergli. Willie morì di febbre tifoidea.
— Avrebbe dovuto rimanere a casa a curarlo invece di andarsene in giro su qualche campo di battaglia — fece lui.
— Che cosa stai dicendo? — dissi. — Non stava andandosene in giro. Rimase tutto il tempo a fianco di Willie.
— Non avrei mai dovuto andare in California — disse Broun, sempre guardando Lincoln. — Avrei dovuto restare a casa.
— Non è stata colpa tua — dissi io.
Lasciò che lo aiutassi a discendere le scale. Giunto alla fine si voltò e guardò il memoriale. — È passato un anno, vero?
— Un anno e mezzo — dissi.
Avevo quasi terminato l’Elavil. Chiamai il medico di Broun perché mi facesse una nuova ricetta.
— Ti ha aiutato a dormire? — chiese lui. — Non ti ha causato effetti collaterali, vero?
— No — risposi.
— La tua cartella è arrivata. Voglio controllarla, e poi ti chiamerò. A proposito, Broun è ancora interessato ai sogni di Lincoln?
— Non lo so.
— Bene, perché se lo fosse ho qui un articolo di uno psichiatra, un certo dottor Madison. Espone la teoria secondo cui attraverso i sogni si può giungere a provocarsi l’ulcera e l’asma…
— E l’attacco cardiaco?
— Sì. Interessante. — Mi lesse il titolo del saggio e della rivista. — C’è scritto anche che il dottor Madison si è laureato alla Duke University. Anche tu sei andato alla Duke, vero? Forse lo conosci. Richard Madison.
Longstreet se la cavò bene dopo la guerra, nonostante le critiche secondo cui il fallimento di Pickett’s Charge era stato colpa sua, e divenne presidente di una fabbrica di cotone e poi ambasciatore in Turchia. Scrisse diversi articoli e un libro, difendendo il proprio comportamento a Gettysburg, finché giunse a convincere probabilmente anche se stesso di aver fatto la cosa giusta e di non poter essere biasimato per nulla.
— No — dissi. — Non lo conosco. — Iniziai a prendere l’Elavil due compresse per volta.
Dopo la gita al Lincoln Memorial Broun aveva messo da parte il libro su Lincoln, aveva riposto in una scatola tutte le ricerche e le prime stesure e me l’aveva fatta portare in soffitta. Io passavo la maggior parte del mio tempo in biblioteca. Stavo ancora cercando di scoprire dove fosse stato sepolto Willie Lincoln, nonostante a Broun non interessasse più. Controllai tutti i registri dei cimiteri a Washington e chiamai persino Arlington, pensando che forse il comandante Meigs aveva fatto seppellire Willie nel prato di fronte la casa di Lee.
Terminai di nuovo l’Elavil, ma questa volta non richiamai il medico. Non sognavo molto, e quando mi succedeva Annie non c’era. Sognavo di un luogo dove non ero mai stato, un luogo con verdi colline e bianchi recinti. Per qualche ragione, pensai che si trattasse del West Virginia.
A febbraio scoprii che cos’era successo a Willie Lincoln. Era stato sepolto all’Oak Hill Cemetery a Georgetown, in una cappella appartenente a William Thomas Carrol, un esponente della Corte Suprema amico di famiglia dei Lincoln.
L’informazione era in una biografia di Mary Todd Lincoln che si trovava in biblioteca, e non appena la lessi chiusi di scatto il libro, lo afferrai e corsi fuori. Gli allarmi squillarono e Kate corse a sua volta sui gradini, gridando — Jeff, che succede? Stai bene? — Non le risposi. Balzai in macchina e mi diressi a tutta velocità al cimitero.
I vialetti stretti tra le tombe erano coperti di neve, così alta che la maggior parte delle lapidi scompariva. Tuttavia uscii dall’auto e avanzai a piedi, affondando, fino a giungere alla tomba che cercavo. Come se pensassi che Willie fosse ancora là, come se pensassi che, disturbato nel suo sonno, mi avrebbe rivelato dove si trovava Annie e che cosa le era successo.
Ma lui non era là. Era a Springfield, dove giaceva di fianco a suo padre. Avevo pensato che trovando la sua prima tomba avrei saputo che cosa era successo a Willie. Ma questo non lo sapevo forse già? Gli era successa la stessa cosa che a tutti gli altri: Ben e Tom Tita e Little Hen. Erano morti durante la guerra. Il pony di Willie era bruciato vivo e Annie Lee era morta di una febbre, ma erano tutti caduti della Guerra Civile ed erano tutti sepolti a Fredericksburg, insieme con il braccio di Stonewall Jackson, sotto una lastra di granito non più grande di un pezzo di carta. Sapevo che cos’era successo a tutti, tranne che ad Annie. E a Traveller. Così tornai indietro fra la neve, risalii in macchina e guidai fino a casa. Andai subito a prendere il Freeman.
Sapevo che Traveller era sopravvissuto a Lee perché ricordavo di aver letto che aveva seguito la processione funebre; dopo di che, però, non veniva più menzionato da Freeman né dal Davis e nemmeno nei ricordi del figlio di Lee, Robert Jr.
Scesi in veranda e trovai il Robert E. Lee di Sanborn. Tornai nello studio e controllai i libri che Broun aveva impilato sulla scrivania e sulla poltrona di cuoio, sempre cercando il nome di Traveller. Pierson raccontava, di passaggio, che Traveller era stato messo in pensione nella fattoria di un amico, perché la signora Lee stava troppo male per occuparsi di lui. In Uomini e Cavalli Lovesay diceva che “era vissuto ancora per due anni, aspettando fedelmente il padrone che non sarebbe più tornato.” Hinsdale diceva che era rimasto nella stalla che Lee aveva fatto costruire per lui, finché si era ferito con un chiodo e aveva preso il tetano, e avevano dovuto abbatterlo.
Rimasi a fissare quelle pagine per un po’, poi tornai all’ultimo capitolo del Freeman, nonostante ormai sapessi tutto quello che dovevo sapere: Traveller aveva avuto la sfortuna di sopravvivere alla persona che amava, l’aveva aspettata per quasi due anni, e che cosa avesse fatto in quei due anni non importava, non più di sapere dove Willie Lincoln era rimasto sepolto durante gli ultimi tre anni della guerra; e poi era morto. Freeman non avrebbe potuto dirmi nulla più di questo, ma ugualmente tornai a consultarlo, trascrivendo tutti i numeri delle pagine indicate nell’indice sotto “Traveller”, come se fossero i numeri delle tombe di qualche soldato, perché non potevo sopportare l’idea che Freeman, che aveva amato Lee tanto da scrivere quattro volumi su di lui, avesse dimenticato Traveller. E infatti non lo aveva dimenticato.
Era in una delle appendici al primo volume. Diceva che Traveller era morto di tetano ed era stato sepolto nel campus dell’Università di Lee. In seguito le sue ossa erano state riesumate dalle Figlie della Confederazione e poste nel basamento della Lee Memorial Chapel. Vicino alla tomba di Lee.
A marzo accompagnai Broun dal medico, a farsi visitare, e lui ne uscì con la definitiva sentenza di guarigione.
— Mi ha detto che posso fare tutto ciò che voglio, salire scale, scrivere libri — disse mentre tornavamo a casa. — Voglio scrivere un libro su Robert Lee. — Aspettò di vedere le mie reazioni.
— E su Traveller — dissi.
— E su Traveller, certo.
Iniziammo a lavorare sul nuovo libro. Broun mi mandò ad Arlington a prendere note sul porticato e sul salotto e sulla soffitta dove Tom Tita era rimasto imprigionato. Quel giorno ci doveva essere un funerale militare, e i passi carrabili erano stati bloccati. Dovetti parcheggiare sullo spiazzo esterno e salire a piedi la collina. Era una giornata tiepida, la prima dopo quasi due mesi, e la neve caduta in febbraio stava incominciando a sciogliersi. Ruscelletti scorrevano lungo i viali in discesa.
Anche Cutsis Walk era bloccato. Dovevo attraversare il prato per arrivare ad Arlington House. Allora mi spinsi fino alle tombe. Gli operai avevano calpestato la neve, qua e là, e in quei punti si vedeva ormai l’erba. A fianco della fossa scavata di fresco la neve ammonticchiata era sporca e stava sciogliendosi rapidamente.
Gli operai se n’erano andati probabilmente a pranzo, o a fumare una sigaretta. Avevano lasciato una lastra di metallo, sotto un albero vicino, con un foglio di carta agganciato. Doveva esserci scritto il nome della persona per cui quella tomba veniva preparata, e provai l’impulso di arrivare fino all’albero per leggerlo. Ma il terreno era troppo molle, temevo cedesse sotto ai miei passi e io mi ritrovassi improvvisamente a calpestare tutti quei corpi martoriati.
— Ha qualcosa a che fare con Arlington e un soldato senza nome e un messaggio — Annie aveva detto, tentando di capire il sogno. — Penso che stia tentando di espiare — e io avrei dovuto chiederle — In che modo tenta di espiare? — invece di sgridarla. Perché era vero che quei sogni erano una espiazione.
Lui stava tentando di metterla in guardia. Sua figlia Annie era morta, e lui non aveva potuto fare nulla per salvarla. Non aveva potuto fare nulla per salvare nessuno di loro, Stonewall Jackson e i soldati scalzi che aveva dovuto rimandare in battaglia e la Confederazione. Ma poteva salvare Annie. Gli ricordava sua figlia, e aveva ventitré anni. Lui stava tentando di avvertirla.
I sogni erano terrificanti, pieni di immagini di morte e di moribondi. Volevano metterla in guardia, far sì che consultasse un medico prima che fosse troppo tardi, un avvertimento chiaro, facile da interpretare come il sogno di Lincoln di se stesso nella bara; ma nessuno lo capì. Tranne Annie, e lei non voleva ascoltare.
— È la guerra — aveva detto Broun. — La gente fa cose del genere in guerra, si sacrifica, si innamora. — Erano stati insieme notte dopo notte, battaglia dopo battaglia. Lei era destinata a innamorarsi di lui, non avrebbe potuto fare altrimenti. E dopo, anche quando capì che i sogni erano un avvertimento, anche quando gli avvertimenti divennero più chiari e terribili, quando Lee si sacrificò a sognare Appomattox di nuovo, a sognare persino la propria morte per salvare lei, per avvertire lei, lei non poté più lasciarlo.
Era rimasta con lui fino alla fine, come aveva promesso, e quando la neve si sarebbe sciolta un po’ di più sarei stato in grado di vedere il suo corpo, a faccia in giù, le braccia spalancate, il fucile Springfield ancora sotto di lei. Mi appoggiai al muretto, incapace di stare in piedi.
Vedevo le vetrate squadrate e bianche della metropolitana e oltre di loro, al di là del ponte, la tomba bianca e squadrata del Lincoln Memorial. Pensai alla statua che stava dentro, a Lincoln seduto con le sue lunghe gambe piegate davanti e le sue mani sui braccioli, con l’aspetto di un uomo che ha perso un figlio.
Lincoln era andato al cimitero di Georgetown e aveva fatto aprire la tomba due volte, tentando, io credo, di convincersi che Willie era davvero morto. Ma non era servito. Non era servito, e lui non poteva più dormire, e il suo dolore l’aveva quasi fatto impazzire. Finché alla fine, per usare le parole di Broun, il viso di Willie era venuto in sogno a confortarlo. Come il viso di Annie era venuto a confortare me, sebbene lei fosse morta.
Sebbene lei fosse morta.
Mi ci volle molto tempo per tornare sulla strada, saltellando come un gatto fra la neve alta e fra le tombe, e ancor più tempo per guidare fino a casa. Quando arrivai, Broun era nella veranda, a innaffiare le sue violette.
Rimasi sulla porta, il cappotto ancora indosso, guardandolo spargere acqua dai sottovasi già stracolmi. Non potrà mai assomigliare a Lincoln. Gli attacchi di cuore hanno invecchiato e in qualche modo rattristato la sua espressione e la sua barba, che alla fine, dopo quasi due anni, è diventata come voleva lui, è quasi completamente bianca. Assomiglia a Lee.
Mi stupii di come avessi fatto a non accorgermene prima, e del perché avessi conservato di lui l’immagine della sera del ricevimento, di una persona acuta e ambigua, di cui non fidarsi. Non è mai stato altro che gentile, con me. E in una serata di neve mi vendette ad Annie, che stava facendo i sogni di qualcun altro.
— Jeff si prenderà cura di lei — aveva detto Broun, come chi stia facendo uno scambio — non è vero, Jeff?
E io avevo risposto — Mi prenderò cura di lei, lo prometto.
Penso che una parte di me l’abbia biasimato per quello, durante tutto il tempo, nonostante non fosse mai stato altro che gentile con me e mi amasse tanto quanto Lincoln amava Willie e ora sia qui nella veranda non perché le violette abbiano bisogno d’acqua ma perché si chiedeva dove fossi, che cosa mi fosse successo.
L’ho biasimato per qualcosa che non era colpa sua. Era stato amore a prima vista. Non l’aveva forse chiamato, Lee, “il mio destriero” prima ancora di comprarlo?
Io le appartenni fin dall’attimo in cui la vidi, in piedi con il cappotto grigio, e lei mi portò, suo fedele compagno, da Fredericksburg a Chancellorsville a Gettysburg ad Appomattox, e infine mi lasciò indietro.
— Non avrei dovuto mandarti laggiù — sta dicendo Broun.
Non posso rispondere. Rimango sulla porta a capo chino, annichilito, vinto. Povero Traveller. Aveva capito che Lee era morto, oppure, povero muto animale, aveva aspettato tutti i giorni, per due anni, che tornasse?
— Che cosa è successo? — chiese Broun, allarmato. — Che cosa c’è che non va?
— Mi sono ferito con un chiodo.