Traveller era un castrato grigio dalla criniera e dalla coda nere. Probabilmente non era un purosangue, nonostante gli storici abbiano fatto ricostruzioni incredibili per riuscire ad attribuirgli un’ascendenza aristocratica, e uno di loro sia arrivato persino a sostenere che discendeva da Diomed, il famoso inglese vincitore di Derby. Comunque aveva l’intelligenza del purosangue, coraggio e un’incredibile resistenza. “Con lui non occorre né la frusta né lo sprone” scrisse a Lee il suo proprietario, “ed è pronto ad andare ovunque.”
Mi alzai presto e andai in biblioteca a cercare notizie sull’Elavil. Il testo sui medicinali diceva che si trattava di un antidepressivo triadico relativamente leggero, con effetto sedativo, e che era frequentemente usato nei casi di insonnia. Aveva una lunga serie di effetti collaterali minori e alcuni più importanti. Era controindicato per pazienti con disturbi cardiaci e per chiunque avesse già dimostrato intolleranza ai componenti. Non diceva nulla riguardo a sognare soldati morti. In effetti, se Richard avesse continuato a somministrarglielo Annie non avrebbe dovuto sognare per nulla. Gli antidepressivi triciclici aumentano la fase di sonno delta e diminuiscono quella REM, cioè quella durante la quale in genere si sogna.
Chiesi alla bibliotecaria che cosa ci fosse sui sogni. — Non molto — rispose Kate. — Alcune cose pseudoscientifiche e l’Interpretazione di Freud. No, aspetta, forse quella è fuori. — Premette alcuni tasti del computer e attese che la lista comparisse. — Sì, sarà fuori fino al nove aprile. Vuoi prenotarla?
— In realtà stavo cercando qualcosa di più attuale.
Premette altri tasti. — Abbiamo qualcosa nello scomparto S, ma niente di realmente attuale. Se sai esattamente cosa ti occorre posso cercarlo attraverso il collegamento interbiblioteche. Se non lo sai, penso che potresti andare alla Biblioteca del Congresso. Hai provato all’Istituto del Sonno? Hanno una biblioteca specialistica ottima.
— Proverò con lo scomparto S — risposi.
Kate aveva ragione. Non c’era molto, e quel poco era costituito da manuali di auto-interpretazione dei sogni. “Sognare una casa significa che siete sessualmente repressi” e cose del genere. I gatti erano il simbolo di istinti animali, le armi del sesso, i corpi morti invece di — sorpresa! — morte. I cavalli con le zampe anteriori troncate dal cannone non erano menzionati.
Chiesi a Kate se poteva tentare di mettere insieme per Broun una bibliografia sui sogni prodromici e tornai a casa.
Il telefono stava squillando quando aprii la porta. Avevo attivato la segreteria prima di uscire, quindi non avrebbe dovuto suonare più di due volte prima che questa partisse, ma ne contai tre mentre trafficavo con la chiave e un quarto mentre mi precipitavo su per le scale. Irruppi nello studio.
Broun stava riagganciando il ricevitore. — Chi era? — chiesi senza fiato.
— Nessuno — rispose lui tranquillo. — Chiunque fosse ha riagganciato prima che rispondessi. Jeff, vorrei che tu…
— Ha squillato quattro volte e tu eri lì. Perché allora non hai lasciato partire la dannata segreteria, se non volevi rispondere?
— Il dottor Stone e io stavamo esaminando del materiale sui sogni — rispose lui, sempre tranquillamente, e fece un cenno verso la poltrona. — Dottor Stone, penso che non conosciate il mio ricercatore Jeff Johnston. Jeff, il dottor Stone è il direttore dell’Istituto del Sonno.
L’uomo che era rimasto fermo in poltrona per tutto quel tempo si alzò e mi tese la mano. — Piacere — disse. Il mio primo pensiero fu che Richard l’aveva mandato per dirmi di stare lontano da Annie, ma mi accorsi che sorrideva con l’espressione educata e leggermente interrogativa che si usa con gli estranei, e anche Broun stava sorridendo. Il mio nome quindi non era stato menzionato fra di loro fino ad allora.
— Penso di conoscere un suo amico — proseguì lui. — Richard Madison?
Sì, era mio amico, prima che iniziasse a tentare di convincere i suoi pazienti di essere matti. Prima che iniziasse a sedurre i suoi pazienti.
— Eravamo compagni di stanza al college — dissi.
— È una persona valida — disse il dottor Stone, lasciando cadere la mano come se io l’avessi scossa via. — Sta conducendo attualmente delle ricerche sull’insonnia, mi pare.
Sta approffittandosi attualmente di una delle sue pazienti, pensai, ma questo non può dirlo al suo capo, quindi forse non era quella la ragione per cui il dottor Stone si trovava lì.
— Lo conosce bene? — chiesi.
— Sono stato in California gli ultimi sei mesi, a lavorare su una ricerca di neurologia. L’ho incontrato al mio ritorno, ma non ho ancora avuto occasione di discutere con lui il suo lavoro — disse, ancora sorridendo, e sedette di nuovo. — Ero arrivato solo da pochi giorni quando il signor Broun mi ha telefonato chiedendomi di venire a spiegargli i sogni di Lincoln. Ne sono stato lusingato, naturalmente, ma temo di non aver potuto essere d’aiuto. Non so che cosa significano quei sogni. Come del resto qualsiasi altro sogno. Se davvero i sogni significano qualcosa.
— Mi ha detto cose molto, molto interessanti — intervenne Broun. — Siediti, ragazzo. Voglio che senta anche tu. Avevo chiamato per strada di ritorno da New York, lasciandoti un messaggio e dicendoti che il dottore sarebbe venuto, ma penso che tu non l’abbia sentito. — Accennò all’unica altra sedia dello studio, una seggiola zoppicante, di legno, che lui usava di solito per arrivare agli scaffali più alti. La sedia era completamente occupata da un’alta pila di libri, sulla cui sommità dormiva profondamente il suo gatto.
— Sono stato in biblioteca a cercare qualcosa sui sogni senza ricavarne nulla — dissi allora, rilassandomi un poco — e così nemmeno io so ancora che cosa significano i sogni di Lincoln. — O perché tu ti trovi qui, aggiunsi fra me. Broun si era incuriosito per lo strano comportamento di Richard la sera del ricevimento. Forse aveva invitato il dottor Stone per cercare di capire perché Richard avesse reagito così violentemente alle sue domande su Lincoln; o forse stava semplicemente tentando di “andare fino in fondo in questa faccenda dei sogni”.
— Dica a Jeff quello che mi stava spiegando prima su Freud — fece impaziente Broun.
Il dottor Stone sprofondò nelle comodità della poltrona di cuoio, posò tranquillamente le mani sui braccioli e sorrise. — Come stavo dicendo al signor Broun, l’interpretazione dei sogni non è una scienza, nonostante Freud abbia tentato di farla apparire tale. Egli sosteneva che i sogni rappresentano il livello in cui le persone tentano simbolicamente di rivivere i traumi e le emozioni che non riescono ad affrontare da svegli. Un freudiano direbbe che il sogno di Lincoln è la rappresentazione simbolica dei segreti desideri e delle paure di Lincoln, che non solo la bara ma anche le scale, la guardia e qualsiasi altra cosa nel sogno sono simboli che ne nascondono il reale significato.
Andai verso la sedia, feci smontare il gatto e iniziai ad appoggiare i libri per terra. Il gatto si avvicinò alla poltrona di cuoio, esaminò con aria critica il grembo del dottor Stone e poi sdegnosamente si diresse verso il fuoco.
— Che sarebbe? — chiesi.
— Sono uno scienziato, non uno psichiatra. Non credo che i sogni abbiano un “reale” significato. Essi costituiscono un processo fisico e qualsiasi “realtà” abbiano si trova nel fisico. Freud non ha fatto nessun tentativo per comprendere questo aspetto. Riteneva che la chiave per capire i sogni fosse nel loro contenuto e costruì un elaborato sistema di simboli per spiegarne le immagini. Nel sogno di Lincoln, per esempio, le scale rappresentano la discesa nell’inconscio, da cui Lincoln è contemporaneamente attratto e spavantato, come ci indica il pianto che ode. La guardia e il panno sul viso del cadavere sono entrambi simboli della sua non volontà di scoprire il segreto che il suo inconscio custodisce.
Pensai ad Annie in piedi nella neve che diceva: “Richard dice che il foglio bianco sulla manica del soldato simboleggia il messaggio che il mio inconscio mi sta mandando, solo che io ho troppa paura per leggerlo”.
— E il cadavere e la bara? — chiesi.
— Be’, la bara è l’utero, naturalmente. L’intero sogno simboleggia il desiderio di Lincoln di ritornare nella sicurezza dell’utero — sorrise. — Secondo quanto direbbero i freudiani.
— Ma questa non è affatto la sua interpretazione — intervenne Broun.
— No — rispose il dottor Stone. — A mio parere l’interpretazione dei sogni, così com’è praticata dalla maggior parte degli psichiatri freudiani, inclusi quelli del mio Istituto, non è nulla di più di un metodo per indovinare, valido come qualunque altro. Io penso che tentare di capire il “’reale” significato di un sogno senza riferimento allo stato fisico del paziente sia incoerente così come tentare di capire ciò che “significa” una febbre senza studiare il corpo.
Nonostante pensassi ancora che poteva essere stato Richard a mandarlo, mi ritrovai ad apprezzare il dottor Stone. Egli diceva “io penso’” e “a mio parere”, senza dare l’impressione di conoscere automaticamente e inequivocabilmente le risposte su quella faccenda dei sogni. Se Annie gli avesse raccontato il proprio sogno, almeno lui non le avrebbe detto che era pazza, e avrebbe magari potuto aiutarla. Forse se l’avessi chiamata per dirle che lui era tornato dalla California, lei avrebbe cambiato medico e si sarebbe sottratta alle grinfie di Richard.
— I sogni sono il sintomo di processi fisici — stava dicendo il dottor Stone. — Essi non “significano” nulla. Lincoln avrebbe potuto fare quel sogno per le più varie ragioni. Avrebbe potuto essere andato a un funerale, quel giorno, oppure aver visto un carro funebre. Oppure poteva essergli tornato in mente qualcuno morto di recente.
— Willie — disse Broun. — Il figlio di Lincoln. Era morto alla Casa Bianca. La sua bara era stata messa nella Sala Orientale.
— Esattamente — fece il dottor Stone, con aria compiaciuta. — Avrebbe potuto essere un sogno su Willie. La persona nella bara avrebbe potuto rappresentare sia Willie che le paure di Lincoln di venire assassinato. La combinazione di due persone in una è molto frequente nei sogni. È chiamata condensazione.
Pensai ad Annie e al fatto che aveva combinato i due generali, A P. Hill e D.H. Hill, in uno solo.
— Oppure — proseguì, appoggiandosi indietro sullo schienale, — avrebbe potuto essere qualcosa che aveva mangiato.
— Così lei non potrebbe affermare che una persona è psicologicamente disturbata semplicemente esaminando i suoi sogni?
— Difficilmente — rispose il dottor Stone. — Se fosse così, saremmo tutti ben classificabili. Ricordo un sogno che usavo fare in cui mi vedevo adoperare un pungolo da animale sui miei pazienti. — Si mise a ridere. — No, i sogni da soli non possono costituire una prova sufficiente di disturbo psicologico. Perché?
Mi resi conto, troppo tardi, che non avrei dovuto arrivare a questo. — Qualcuno ha detto a Broun che i sogni di Lincoln indicano che questi stava per avere un collasso psicologico.
— Davvero? Dev’essere stato un profano, perché uno psichiatra non avrebbe mai tentato una diagnosi sulle sole basi di un sogno.
E invece uno psichiatra — uno dei suoi psichiatri, tra l’altro — l’aveva fatto, e mi sarebbe piaciuto raccontargli che il dottor Richard Madison, quel valido studioso che stava facendo ricerche sull’insonnia, aveva fatto ancora di più, ma dirgli questo significava dirgli di Annie, e io non ero ancora pronto a farlo, almeno non finché non l’avessi conosciuto un po’ meglio.
— Ha detto che i sogni possono essere anche causati dal cibo? — mi affrettai a dire, prima che Broun potesse raccontargli chi era stato a diagnosticare la pazzia di Lincoln. — È davvero così? Ci si possono procurare incubi mangiando cibo messicano prima di andare a letto?
— Certamente. Il cibo libera alcuni enzimi, e ciò dà l’avvio a…
Il telefono squillò. Mi voltai a fissare la segreteria. Broun mise giù la penna. Il dottor Stone si piegò in avanti, sulla poltrona, guardandoci entrambi.
— Vuoi sentire? — chiese Broun.
— No — feci io. Premetti il pulsante per ricevere il messaggio senza voce. — Sarà solo la bibliotecaria. Mi ha promesso di cercare informazioni sui sogni di Lincoln. La richiamerò più tardi.
Il telefono squillò una seconda volta e là luce rossa si accese. Udii il clic quando il nastro iniziò a girare, comunicando allo sconosciuto interlocutore che non c’era nessuno in casa e che lo si pregava di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico. Chi poteva essere? Annie che diceva “ho fatto un altro sogno”? Oppure Richard, che mi ordinava di smetterla di interferire con il suo trattamento? La luce rossa si spense.
Mi voltai di nuovo verso il dottore. — Stava dicendo?
— La digestione può avere effetto sui sogni perché gli enzimi liberati nel sangue innescano reazioni chimiche cerebrali.
— E le droghe? — chiesi. — Anche le droghe causano modificazioni chimiche nel sangue, vero? I sogni di Lincoln avrebbero potuto essere causati da una qualche droga che stava prendendo?
— Sì, certo. Il laudano per esempio…
— E l’Elavil? Potrebbe provocare dei sogni?
Egli aggrottò la fronte. — No, al contrario l’Elavil reprime il ciclo dei sogni. Così fanno tutti gli antidepressivi, e naturalmente i barbiturici: Seconal, Fenobarbitolo, Nembutal. Il paziente di solito non sogna per nulla, quando è in trattamento con una di queste sostanze. Naturalmente, quando le sospende, il numero e la vivezza aumentano improvvisamente, e quindi da questo punto di vista si potrebbe affermare che causano sogni. Ma naturalmente si tratta di medicinali moderni — aggiunse, guardando Broun. — Lincoln non ne avrebbe certo potuto prendere.
— Che cosa vuol dire, aumentare in vivezza? — chiesi.
— La sostanza produce un deficit di sogni che viene compensato da un numero anomalo di questi quando il paziente la sospende. Il paziente sperimenta ciò che chiamiamo una “tempesta di sogni”, per parecchi giorni; potenti, spaventosi incubi che si succedono rapidamente l’un l’altro. È la stessa cosa di quando un paziente viene privato del sonno. Di solito noi mettiamo in guardia contro la sospensione improvvisa di antidepressivi e sedativi per evitare di innescare una “tempesta di sogni”. — Mi scoccò un’occhiata acuta come certune di Broun. — Sta prendendo dell’Elavil?
— No — risposi. — Lincoln soffrì d’insonnia dopo la morte di Willie. Pensavo che forse il suo medico gli prescrisse qualcosa per dormire che gli provocò brutti sogni, così ho cercato al termine “insonnia” e ho trovato che l’Elavil è indicato come trattamento; ma naturalmente ho sbagliato secolo. — Mi alzai. — Parlando di sonno e droghe e di digestione, c’è qualcuno che gradirebbe del caffè? O anche il caffè provoca brutti sogni?
— In effetti, si è dimostrato che la caffeina ha precisi effetti sui sogni.
— Allora lo farò decaffeinato — dissi, e scesi in cucina.
Broun aveva un altro telefono, laggiù, con una linea separata. Chiamai il numero dello studio e, prima che potesse squillare, formai il codice a distanza che mi avrebbe letto il messaggio. L’unico messaggio inciso era quello di Broun. “Sto tornando da New York, Jeff. Dovrei essere lì per le dieci. Mi incontrerò con un certo dottor Stone dell’Istituto del Sonno alle undici. Era in California per una ricerca, e pensavo di sentire ciò che ha da dire sui sogni di Lincoln.
Misi su il caffè e tentai di chiamare Annie. Non ci fu risposta. Trovai un vassoio e vi sistemai tazze termiche, una brocca di crema di latte e una zuccheriera. Poi provai ancora con il numero di Annie. E ancora non ebbi risposta.
Sta dormendo, mi dissi. Il suo inconscio sta cercando di recuperare il sonno REM che ha perso quando prendeva l’Elavil. Era una spiegazione abbastanza logica. Quando Richard le ha sospeso l’Elavil lei ha avuto una “tempesta di sogni”, ecco tutto. I soldati unionisti morti e il cavallo con le zampe spezzate erano solo il suo inconscio che tentava di recuperare il tempo perduto. Quando quel deficit fosse stato colmato lei avrebbe smesso di sognare messaggi perduti e fucili Springfield, e non ci sarebbe stato più nulla da temere.
Ma io le avevo chiesto: “Quando ti ha sospeso l’Elavil Richard?” e lei mi aveva risposto dopo che i sogni si erano fatti improvvisamente più chiari e più spaventosi, non prima. Inoltre, la “tempesta di sogni” avrebbe dovuto durare solo pochi giorni. Annie aveva fatto il sogno sull’Antietam almeno due settimane dopo che Richard le aveva sospeso l’Elavil. E aveva sognato i soldati morti per più di un anno.
Il gatto di Broun mi aveva seguito in cucina. Guardai nel frigorifero alla ricerca di qualcosa lasciato dai camerieri e trovai mezzo piatto di tartine umidicce con insalata di gamberetti. Lo posai sul pavimento e cercai ancora di chiamare Annie; poi salii di sopra con il vassoio.
Stavano parlando dei sogni prodromici. — Un certo dottor Gordon ha fatto uno studio sui sogni prodromici un paio di anni fa, a Stanford, su pazienti tubercolotici — diceva il dottor Stone, — ma non penso che sia arrivato a nulla di definitivo. La ricerca su cui stavo lavorando in California…
Si fermò quando io entrai, Broun si alzò e iniziò a impilare carte e libri sul tavolo per far posto al vassoio. Lo posai.
— Il dottor Stone stava giusto per raccontarmi della sua ricerca — disse Broun.
— Sì — fece il dottore. — La ricerca californiana prevedeva l’uso di una sonda su parti differenti del cervello. La sonda produce un differenziale elettrico che a sua volta invia lo stimolo a una regione localizzata del cervello e il paziente, che è sotto anestesia locale, ci dice che cosa sta pensando. Qualche volta si tratta di un ricordo, qualche volta un odore o un sapore, qualche volta un’emozione.
“La sonda è usata a caso e tocca un gran numero di parti in un tempo molto breve, troppo breve perché il paziente possa rispondere individualmente allo stimolo. Allora noi gli chiediamo di descrivere tutto quello che vede e paragoniamo la trascrizione di questi racconti con quella dei racconti di sogni ottenuti con metodi tradizionali. Siamo arrivati a una corrispondenza statisticamente significativa. E l’aspetto più interessante è che sebbene noi sappiamo che non c’è connessione fra le immagini il paziente le collega tutte in un sogno coerente che può essere narrato.”
Bene, e con questo potevo lasciar perdere l’idea di suggerire ad Annie di cambiare medico. Il dottor Stone forse non le avrebbe detto che lei era pazza, ma avrebbe potuto decidere che il modo migliore per arrivare al “reale” significato dei suoi sogni era di metterla su un tavolo operatorio e aprirle la testa. Ciò che le serviva era un medico che ascoltasse i suoi sogni e tentasse di capire che cosa poteva causarli, invece di tentare di imporle le proprie personali teorie; stavo iniziando a credere che non esistesse un medico simile.
— Vuol dire che il cervello di Lincoln ebbe una specie di shock elettrico, vide una bara e poi costruì il resto della storia? — chiese Broun.
— Costruì è la parola sbagliata — rispose il dottor Stone. — Dobbiamo ricordare che sebbene il sogno avvenga a livello inconscio il ricordo di esso è nella mente conscia. Il sogno viene tradotto nella mente conscia, e può darsi che durante il processo di traduzione esso prenda la sua forma narrativa. Potrebbe essere lo stesso tipo di processo che avviene quando guardiamo un film. Noi vediamo in realtà fotogrammi separati, ma ci sembrano immagini in movimento. Persistenza della visione, è chiamata. Può darsi che ci sia una corrispondente persistenza che traduce impulsi separati nel sogno che poi ricordiamo.
Broun versò una tazza di caffè e me la porse. — Questi impulsi — disse — da dove provengono?
— I primi risultati del nostro studio indicano che il cervello elabora il materiale immesso durante il giorno per immagazzinarlo.
Broun gli tese una tazza di caffè. — Lo prende con qualcosa? — chiese.
Il dottor Stone si chinò in avanti, facendo scricchiolare il cuoio della poltrona, e allungò la mano. — Niente, grazie — disse. — Stiamo anche raccogliendo informazioni sugli stimoli esterni che possono incidere sul contenuto dei sogni. A tutti è capitato di sentire in sogno un urlo che si è rivelato il suono della sveglia o il gatto che stava miagolando o qualcosa del genere.
Broun si versò il caffè e aggiunse della crema. — Che cosa può dirmi dei sogni ricorrenti? — chiese. — Dopo la morte di Willie Lincoln sognò di lui per mesi.
— Lo stesso sogno?
— Non saprei — fece Broun. Posò la tazza e frugò fra i suoi fogli. — “La morte di Willie l’aveva sconvolto, tormentandogli il sonno finché il viso del ragazzino non venne in sogno a tranquillizzarlo” — lesse. — Così dice il Lewis. E Randall dice che sognava che Willie fosse ancora vivo.
— Il nostro studio ha mostrato che la maggior parte dei sogni ricorrenti non sono affatto lo stesso sogno. Abbiamo usato la sonda a caso, stimolando ripetutamente una parte precisa del cervello nel corso di ogni test. Dopo ogni volta il paziente ha riferito di aver fatto lo stesso sogno, ma quando si chiedevano i dettagli ne usciva un sogno totalmente differente, che egli continuava a sostenere essere lo stesso. Di nuovo la persistenza del sogno. Lincoln aveva naturalmente una grande quantità di immagini di Willie da vivo immagazzinate in memoria che potevano essere stimolate.
— E il sogno riguardante il proprio assassinio? — chiesi io. — Questo almeno non può essere la conseguenza di aver ficcato tutte le esperienze del giorno in una qualche specie di file mentale, o no? Tutti i particolari corrispondono: la bara nella Sala Orientale, la guardia, il panno nero sulla faccia del cadavere.
— Perché la sua mente conscia faceva in modo che corrispondessero. Ricordi: noi non abbiamo idea di come fosse realmente il sogno. — Si voltò e sorrise di lato a Broun, poi tornò a guardarmi. — Ciò che noi abbiamo è il racconto di Lincoln del suo sogno, che è qualcosa di completamente diverso.
— Elaborazione secondaria — dissi.
— Sì — fece lui, con espressione piacevolmente stupita. — Lei ha davvero fatto un mucchio di ricerche, vero? Il reale sogno di Lincoln sarebbe stato una sequenza di immagini staccate, uno scalone, un ricordo di Willie nella sua bara, un panno di qualche specie, tovagliolo o fazzoletto o qualcos’altro. Non necessariamente nero, e neppure necessariamente un panno, tra l’altro. Avrebbe potuto essere un pezzo di carta.
Un pezzo di carta, un gatto, un fucile Springfield. Non mi convince, dottor Stone.
— …e nel processo di far emergere il sogno dall’inconscio e di raccontarlo il sogno acquisisce una coerenza e un impatto emozionale che non aveva affatto. — Appoggiò entrambe le mani sui braccioli, aggiungendo — Ho paura che dovrò tornare all’Istituto.
— E se io sognassi di essere al piano superiore della Casa Bianca e sentissi piangere, senza riuscire a vedere nessuno? — chiesi. — E se scendendo trovassi una bara nella Sala Orientale?
Broun afferrò la tazza. Un po’ di caffè si versò sui suoi fogli.
— Direi che ha passato tutto il giorno a fare ricerche sui sogni di Lincoln — disse il dottor Stone.
— Hai sognato qualcosa del genere? — mi chiese Broun, ancora tenendo la tazza per un angolo del manico. Altro caffè si sperse.
— No — dissi io. — Così lei pensa che il sogno di Lincoln sul proprio assassinio non significhi nulla, nemmeno dopo quello che successe due settimane più tardi? Pensa che sia stata tutta questione di ciò che aveva fatto durante il giorno e aveva mangiato la sera?
— Temo di sì. — Il dottor Stone si alzò e posò la tazza sul vassoio. — So che forse questa non è la cosa che lei voleva sentire, specialmente se pensa di scrivere un romanzo sull’argomento. Una delle difficoltà maggiori che incontro nelle mie ricerche è che la gente vuole credere che i propri sogni significano qualcosa, ma proprio quelle ricerche sembrano indicare il contrario.
Tu non l’hai vista in piedi nella neve, pensai. Non hai visto quell’espressione sul suo viso. Io non so che cosa stia provocandole quei sogni, ma certo non si tratta di stimoli casuali o di indigestione. I sogni di Annie significano davvero qualcosa. C’è un motivo per cui lei continua a farli, e io lo scoprirò.
— Mi è stato di grande aiuto, dottor Stone — diceva intanto Broun. — La ringrazio per avermi concesso così tanto del suo tempo. So che è molto occupato.
Accompagnò il dottore al piano inferiore. Aspettai che giungessero almeno in fondo alle scale e poi andai a schiacciare il pulsante della segreteria. Non c’era alcun messaggio.
Tentai di chiamare Annie. Non rispose. Il gatto di Broun balzò sul tavolo e, infilata la testa nella tazza, prese a leccare con circospezione il caffè. Misi giù il ricevitore e lo presi per la collottola per sbatterlo giù.
— Mi pare che tu non sia rimasto convinto delle teorie del dottor Stone — disse Broun dalla porta.
— No — feci io, depositando il gatto sul pavimento. — E tu?
— Penso che alcune cose siano interessanti.
— Sull’indigestione di Lincoln o sull’usare un pungolo da animali contro i suoi pazienti?
— Sul fatto che il significato dei sogni di Lincoln fosse fisico. — Si sedette pesantemente sulla poltrona di cuoio. — E sulla persistenza dei sogni, su come prendiamo un certo numero di immagini separate fra di loro e ne facciamo un sogno lineare.
Immagini separate. Una pantofola, una camicia rossa, un cavallo con le zampe spezzate dal cannone. — Penso che sia tutto un mucchio di stronzate — dissi.
— Jeff, stai bene? Da quando sei tornato dalla Virginia mi sembra che ci sia qualcosa che ti preoccupa.
— Sono solo stanco. Non mi sono ancora ripreso dal viaggio — risposi, e poi mi chiesi perché non rispondevo invece “No, non sto bene. Sono fuori di me dalla preoccupazione. La giovane donna che hai conosciuto al ricevimento sta sognando di cose che non può sicuramente conoscere.” Forse non potevo dirlo al dottor Stone, ma a Broun sicuramente sì.
— Riesci a dormire bene? — Era seduto allo stesso modo del dottor Stone, i piedi appoggiati al pavimento e le mani sui braccioli della poltrona, e mi guardava.
— Certo. Perché?
— Pensavo che forse tu… quando Richard chiamò dall’Istituto insistendo per parlarti, mi venne l’idea che forse eri suo paziente, e poi oggi hai chiesto tutte quelle cose sull’Elavil che provoca brutti sogni. Pensavo che forse ti avesse dato qualche tranquillante.
— No — risposi. — Non sto prendendo nulla. E non faccio brutti sogni. — Ma Annie sì. E quello era il momento di dirglielo, di spiegargli il mio comportamento e quello di Richard e raccontargli i sogni di Annie. Il gatto spiccò un agile balzo sul tavolo, finendo direttamente dentro al caffè di Broun. Scattai per afferrare la tazza e i fogli di appunti contemporaneamente. Broun balzò dalla poltrona gettandosi a sua volta sul gatto. Misi in salvo i fogli.
— Broun — dissi, ma lui aveva afferrato il gatto per la collottola e lo stava mettendo fuori dalla porta. La chiuse in faccia al felino indignato e sedette di nuovo in poltrona.
— Sono contento che tu stia bene — disse. — Ero preoccupato per te. Sapevi che Lincoln aveva difficoltà nel dormire? Dopo la morte di Willie? Penso che avrebbe potuto impazzire. — Stava guardando oltre di me, ormai non mi vedeva più. — Fece disseppellire il corpo di Willie due volte, per poterlo guardare ancora in viso, lo sapevi?
— No — dissi.
— Pover’uomo. Stavo pensando a quel che avevi detto, sul sognare i sogni di Lincoln. Sarebbe una cosa straordinaria, vero?
— No, per niente — risposi, pensando ad Annie. — Sarebbe terribile — ma era chiaro che lui non mi ascoltava nemmeno.
— Mentre facevi quelle domande sul fare i sogni di Lincoln, tutto quello che riuscivo a pensare era come sarebbe straordinario per il libro se davvero tu li facessi — disse, sempre con lo sguardo fisso nel vuoto.
— Per il libro?
— Pensa, se tu facessi i sogni di Lincoln finalmente sapremmo che cosa davvero lui pensava, che cosa sentiva. Ciò che desidera ogni scrittore. — Batté le mani sui braccioli e si tirò su. — Jeff, voglio che tu vada in California per me.
— No.
Alzò finalmente lo sguardo su di me, e i suoi occhi acuti mi esaminarono, come la sera del ricevimento. — Perché no?
Suonò il telefono. Mi slanciai ad afferrare il ricevitore, facendo volar via la tazza del caffè, sperando che fosse Annie e insieme sperando che non lo fosse. Non volevo parlarle di fronte a Broun. Un minuto prima avevo desiderato dirgli tutto. E ancora lo volevo, ma non potevo. Lui pensava che il dottor Stone avesse “cose interessanti da dire” sul fatto che i sogni erano una serie di immagini separate. Pensava che sarebbe stato meraviglioso “per il libro” se io avessi fatto i sogni di Lincoln.
Non è come il dottor Stone, dissi a me stesso, o come Richard. Non è mai stato altro che gentile con te. Se gli racconti di Annie si preoccuperà per lei quanto te e farà qualsiasi cosa in suo potere per aiutarla. Forse, o forse, pensai, la guarderà con i suoi piccoli occhi lucenti e dirà “Questo è quello che ogni scrittore ha sempre desiderato”. Non potevo rischiare. Non con Annie.
— Pronto — dissi cauto nel ricevitore.
— Salve, sono Kate dalla biblioteca. Come si scrive “prodromico”? Ho fatto passare tutto il nostro materiale e non ho trovato assolutamente nulla, quindi sto per chiamare la Biblioteca del Congresso, ma volevo accertarmi sul termine. Si scrive… — Sillabò lettera per lettera e io rimasi con il ricevitore all’orecchio, ascoltando a malapena.
Non potevo raccontargli di Annie, ma avrei dovuto dirgli qualcosa. Qualcosa per impedirgli di mandarmi a tremila miglia di distanza quando lei avrebbe potuto chiamarmi in ogni momento, aver bisogno di me.
— È proprio così — dissi a Kate, senza sapere se dicevo il vero. — Grazie. — Riappesi e iniziai ad asciugare il caffè con un tovagliolo di carta preso dal vassoio.
— Sono deciso a scoprire che cosa causava i sogni di Lincoln — disse Broun, sempre guardandomi. — C’è una persona a San Diego che lavora sui sogni profetici.
Gli appunti di Broun erano inzuppati. Tentai di asciugarli.
— Voglio che tu vada in aereo domani e gli parli dei sogni di Lincoln — disse ancora.
— E il tempo? Hanno detto alla radio stamattina che l’aeroporto è chiuso.
— Allora dopodomani.
— Ascolta, io davvero non capisco la ragione di tutto questo correre in giro. Voglio dire, allora perché non lo chiami, quel tipo? Non c’è nulla che potrebbe dire a me di persona e che non potrebbe dire a te al telefono, o no?
— Tu potrai guardarlo in faccia mentre parla — disse Broun, osservandomi trafficare con i fogli. — Potrai capire se dice la verità oppure no.
— E che differenza farebbe, in ogni caso? — ribattei, irritato. — Lincoln è morto, e questa persona non saprà dire che cosa ha causato i suoi sogni, non più del dottor Stone o di Richard. Non importa quanti esperti riuscirai a scovare, non saprai mai che cosa ha provocato quei sogni. Hai già avuto un sacco di spiegazioni. Che differenza farebbe?
— Ha fatto differenza per Lincoln — disse lui lentamente. — Fa differenza per me.
— La stessa differenza di sapere quando esattamente Lee aveva comprato Traveller? Non ti è servito saperlo. Non contava quando l’avesse comperato, in ogni caso era stato prima dell’Antietam. E invece mi hai mandato a frugare tutto il West Virginia a cercare ricevute, e ora vuoi buttarmi su un’altra inutile falsa pista, in California.
— Lascia perdere — fece lui, — Andrò io.
Abbassai gli occhi sui fogli di Broun, per paura che il sollievo mi si leggesse in faccia. I fogli inzuppati erano appiccicati insieme. Tentai di togliere la prima pagina e mi si lacerò a metà in mano. L’inchiostro era talmente dilavato che faticavo a leggere ciò che c’era scritto.
— Ascolta, io vorrei solo che riuscissi a conservare una certa prospettiva sulle cose. Ti sei lasciato totalmente prendere dal Legame del Dovere e guarda che cosa è successo. E ora ti stai facendo ossessionare da questo.
— Ho detto che ci andrò io, dannazione. — Si alzò. — Dammi quelle dannate pagine prima di rovinarle del tutto. E chiama Mc Laws e Herndon. Digli di aspettare con le bozze. Devo cambiare un’altra scena.
— Non puoi farlo — dissi. — Hanno già sistemato la stampa. Che cosa dovrei dirgli?
— Non mi interessa che cosa gli dici. Digli che sono ossessionato dal Legame del Dovere. — Afferrò gli appunti, che si lacerarono a metà senza rumore. Mi strappò di mano la metà che vi era rimasta. — Digli che pensi che io sia un po’ tocco, proprio come Lincoln dopo la morte di Willie. Digli che voglio riesumare il corpo per dargli un ultimo sguardo prima che vada in stampa. Come quel pazzo di Lincoln.
Quando scesi in cucina per chiamare Mc Laws e Herndon sentii sbattere la porta dello studio, e subito dopo il picchiettare irregolare della sua macchina da scrivere, che assomigliava al rumore delle scariche dei cecchini da oltre il fiume.