Lee non smise mai di amare i cavalli, fino alla fine. Una delle sue maggiori preoccupazioni in quell’ultima settimana, mentre Five Forks cadeva e Sheridan tagliava tutte le vie di fuga verso il nord, fu per i muli e i cavalli che stavano morendo di fame. Aveva dovuto destinare le loro razioni di granturco agli uomini.
La mattina della resa il colonnello John Haskell arrivò galoppando “come il vento” con la notizia che Fitz Lee aveva appena scoperto una possibile via di fuga. Il colonnello aveva solo un braccio, per cui non poté fermare il cavallo fino a che non fu parecchi metri oltre Lee. “Che cosa c’è?” gridò Lee, correndo verso il cavallo quasi strangolato. “Oh, perché l’hai fatto? Hai ucciso il tuo stupendo cavallo!”
Il taxi azzurro era fermo appena fuori dai cancelli del Parco. Mi lanciai oltre le terrazze in discesa, verso il cimitero. Non diedi nemmeno un’occhiata al Centro Visitatori o ai vialetti lastricati. C’era solo un posto in cui potevo trovarla.
Era in piedi sulla cima delle Alture di Mary, nel punto in cui Lee doveva aver sostato, con il cappotto grigio che si gonfiava di vento attorno alle gambe. Stava nevicando, fiocchi non grandi che cadevano di traverso con cattiveria, come una pioggia di colpi di fucile. Aveva in mano un dépliant, ma non lo guardava. Che cosa stava guardando? Il luccichio del sole sul metallo, le bandiere al vento, l’immobilità irreale, prima che gli uomini giù nella pianura aperta venissero fatti a pezzi, le bandiere abbattute a una a una e i cavalli trucidati? Oppure le tombe, sulle terrazze digradanti, file e file?
Arrivai su all’ultimo gradino, ansimando. — Stai bene? — chiesi, senza riuscire a respirare.
— Sì — rispose lei, e mi sorrise, il viso grave e gentile.
— Avresti dovuto svegliarmi — dissi — ti avrei portata io.
— Avevi bisogno di dormire un po’. Sono preoccupata per te. Rimani sveglio tutte le notti e non riposi mai.
Si girò e guardò il declivio solcato dalle file di tombe.
— Questo cimitero non fu costruito che fino a dopo la guerra — dissi, parlando ancora con difficoltà. — Non è come se avessero sepolto qui i caduti subito dopo la battaglia. È diventato cimitero nazionale solo nel 1865. Molti soldati sepolti qui probabilmente non sono nemmeno morti in guerra.
Lei abbassò gli occhi sul vialetto lastricato. C’erano lastre di granito sistemate fra i mattoni. Si chinò a togliere la neve da una di queste. — Qui è dove sono sepolti i soldati sconosciuti, vero?
— Nessuna di queste tombe appartiene a soldati confederati — dissi. — E non vengono nemmeno tutti dalla battaglia di Fredericksburg. I soldati confederati sono tutti sepolti nel cimitero della città.
Si rialzò e guardò il dépliant. — Qui dice che ci sono sepolti più di dodicimila soldati senza nome — disse — ma in realtà non ce ne sono, sai. Non ce n’è nessuno.
Le presi di mano il dépliant e finsi di leggerlo. La neve aveva sciolto l’inchiostro in grosse macchie.
— Hai detto che nessuno sa cosa sia successo alla gallina, ma non è vero — disse. — Io so che cosa è successo. È stata uccisa. Uno dei soldati le ha tirato il collo per mangiare.
— Non puoi saperlo. Forse è scappata nei boschi ed è diventata una gallina selvatica. Forse una ragazza l’ha trovata e tenuta con sé.
— Il dépliant dice che nessuno sa che cosa sia successo al soldato sepolto sotto questa lastra, ma anche questo non è vero. Dopo la guerra, quando lui non tornò a casa, le persone che lo stavano aspettando seppero. Seppero che era morto perché non era tornato a casa.
— Alcuni dei soldati non tornarono a casa dopo la guerra. Alcuni scapparono in California, nella corsa all’oro, e scrissero a casa lettere che si persero nella posta. Ma non erano morti.
Il vento era caduto e la neve ora scendeva lentamente, coprendo i numeri incisi sulle lastre ai nostri piedi, seppellendo i ragazzi dai capelli gialli e dalle braccia spalancate, sciogliendo l’inchiostro sui foglietti agganciati alle loro maniche.
— Che cosa succede a Ben nel Legame del Dovere? — chiese Annie.
Non avevo idea di come Broun avesse fatto finire il libro. Aveva ucciso Malachi e Toby e Caleb. Magari aveva scatenato un’epidedia di tifo nell’ultimo capitolo e ucciso anche tutti gli altri. — Non lo so — dissi.
— Muore?
— Muore? Ben? Ma lui è l’eroe. Certo che non muore. Sposa Nelly e tornano insieme a Hillsboro, fanno dieci bambini e vivono felici e contenti. A Broun piace il lieto fine.
La lastra ora era completamente coperta dalla neve. Non si riusciva più a distinguere il vialetto.
— Mi dispiace di averti trascinato in tutto questo, Jeff — disse lei, con lo sguardo ancora sulla lastra. — Avevo bisogno del tuo aiuto. Non ho nemmeno pensato a cosa avrebbe significato per te. — Alzò gli occhi a guardarmi. — Ho fatto un altro sogno.
— Quando? Questo pomeriggio? È per questo che sei venuta qui da sola?
— La notte scorsa — disse. — Non te l’ho detto.
— Perché non volevi svegliarmi?
— Perché non volevo averlo fatto. Perché sapevo già che cosa significava.
— Non sei obbligata a dirmi i tuoi sogni — cercai di rassicurarla. — Lascia che ti porti in albergo. Sta iniziando a nevicare di più. Prenderai la polmonite.
— Sapevi che quando Willie Lincoln rimase a letto con la polmonite Bud Taft gli tenne la mano per tutto il tempo?
— Annie…
— Bud una volta si addormentò e Lincoln lo prese in braccio e lo portò in un’altra stanza. Non avrebbe dovuto farlo. Willie avrebbe potuto chiamarlo.
— Bud era solo un ragazzino — dissi io.
— Proprio prima di morire, Willie strinse la mano di Bud e pronunciò il suo nome. — Guardò ancora la neve che scendeva sulle tombe. — Che cosa accadde a Lee dopo la guerra?
— Visse ancora per anni. Divenne presidente del Washington College. Miley gli fece il ritratto e i turisti andavano a visitarlo e strappavano un pelo dalla coda di Traveller. Lee diceva che ormai pareva un pollo spennato. Portava i bambini a fare un giro su Traveller e lasciava che gli mettessero margherite sulla criniera. Vissero per anni.
— Penso che la guerra sia quasi finita — disse lei. — Penso che sia questo il significato dell’ultimo sogno.
— Sapevi che Traveller salvò la vita di Lee, proprio qui? — feci, con il tono involontario di una guida turistica. — Arrivò una granata e Traveller si impennò, facendola passare sotto di sé. Avrebbero potuto morire entrambi.
Lei non mi sentiva nemmeno.
— Stavo dormendo — disse, guardando la neve cadere sulle tombe. — Nel sogno. Stavo dormendo all’aperto, sotto il melo, nel letto che avevo da piccola, che però nel sogno aveva un copriletto bianco e verde. Stavo dormendo e il farmacista venne a svegliarmi e mi disse che era ora di andare, allora mi alzai e mi vestii. Misi il vestito con la cintura rossa che indossavo a Pasqua quando avevo dieci anni, e un mantello azzurro. Sapevo che dovevo sembrare più graziosa possibile e all’ultimo minuto, quando ero ormai vestita e tutti mi stavano aspettando, mi fermai e feci il letto. Chiesi al farmacista di aiutarmi. Anche lui stava vestendosi. Stava mettendosi i polsini, ma si interruppe per aiutarmi, e mentre facevamo il letto continuava a piangere. «È ora di andare» disse poi. E durante tutto il sogno ho avuto la sensazione che fosse la mattina di Pasqua.
Si interruppe e si girò per guardarmi, con aria d’attesa, aspettando il mio aiuto. E io non potevo aiutarla più di quanto Ben potesse impedire di portar via il corpo di Caleb.
E che cos’altro avrei potuto aspettarmi? L’avevo portata qui, in una città che era un cimitero, e le avevo raccontato di altri cimiteri — Arlington e Chancellorsville e Gettysburg — e, come se non fosse abbastanza, ogni sera le avevo letto un libro sul tema del Dovere, centinaia e centinaia di pagine su gente che si era arruolata senza sapere perché, di gente che ormai doveva arrivare fino alla fine malgrado non avesse messo in conto, prima, di poter anche morire.
Dove pensavo che ci avrebbe condotti, questa strada “dopo la seconda svolta per Manassas, verso Chancellorsville”, se non precisamente qui? Avrei dovuto saperlo fin dall’inizio, che per portarla via da Arlington, per aiutarla a superare Fredericksburg e la morte di Jackson e persino Gettysburg sarei dovuto arrivare qui, che tutte le strade su cui Traveller aveva portato Lee dovevano convergere qui, in un frutteto vicino ad Appomattox Court House. Aveva sognato un frutteto fin dalla prima volta, un frutteto e una casa con un porticato. Avrei dovuto capirlo fin da allora.
Lee aveva perso un terzo dei suoi uomini a Sayler’s Creek. Il giorno seguente, il sette di aprile, Grant scrisse offrendo le condizioni della resa. Sheridan si stava spostando a nord-ovest per bloccare la ritirata ad Appomattox Station e Meade attaccava la retroguardia. La fanteria non era forte abbastanza per aprirsi la via combattendo. La sola possibilità era di tentare la fuga verso ovest, fra le montagne, scivolando sul fianco dell’esercito dell’Unione, e per i due giorni successivi ci avevano provato.
All’alba del nove aprile, la domenica delle Palme, tentarono di rompere il cerchio presso Appomattox Station, ma l’attacco fallì. Lee si incontrò con i propri ufficiali in un frutteto ad Appomattox Court House e disse loro che avrebbe preparato un incontro con il generale Grant. I termini della resa furono firmati nella casa di Wilmer McLean, un uomo che originariamente abitava vicino all’incrocio di Manassas e che dopo la seconda battaglia di Bull Run si era trasferito nel piccolo paese di Appomattox Court House, dove “il rumore di una battaglia non li avrebbe mai raggiunti”. La casa era una fattoria a due piani, di mattoni, e aveva un porticato dal tetto di legno che correva lungo tutta la facciata.
— Non possiamo rimanere qui con questa neve — dissi. — Si sta facendo buio. Perché non andiamo a cena? La nostra cameriera non saprà che fare, senza le nostre tazze da riempire.
Annie era a capo scoperto e i suoi capelli si stavano bagnando. Già le ciocche umide si arricciavano attorno alle guance.
— Ti prego — disse, e tese il braccio verso di me, ed era già così lontana, lontana come Ben era stato da Nelly, allontanato non dal morto che giaceva fra di loro ma dal proprio dolore.
Forse Annie aveva ragione, e il sogno significava che la guerra era quasi terminata. Forse anche i sogni erano quasi terminati, e allora tutti e due avremmo potuto tornare a casa, liberi. Ad Appomattox Lee aveva ottenuto da Grant che gli uomini potessero conservare i propri cavalli.
— Non era Pasqua — le dissi, guardando giù verso le tombe, oltre i negozi di souvenir e i tetti e gli alberi fino alla linea del fiume, chiedendomi se Lee stesse pensando a Traveller quando aveva chiesto a Grant di non confiscare i cavalli. — Era la domenica delle Palme.
Lee si era alzato e vestito con i suoi abiti migliori, l’uniforme e la cintura rossa e il mantello militare azzurro perché, come disse, era probabile che lo facessero prigioniero. “Non mi rimane altro da fare che andare a incontrare il generale Grant” aveva detto agli ufficiali, “mentre preferirei mille volte la morte.” Ascoltò le opinioni di Longstreet e degli altri ufficiali e poi si diresse a cavallo alla casa di Mc Lean. Lungo la strada vide Sam McGowan, il suo ufficiale di collegamento, che si stava cambiando i panni infangati per indossare l’uniforme, e intanto piangeva come un bambino.
Annie e io scendemmo la collina, lei tenendomi per mano, i gradini già scivolosi e le tombe confuse nell’oscurità imminente. Il taxi era ancora là, con il motore acceso e i tergicristalli in funzione, paziente come un cavallo.
Lo mandai a casa e portai Annie alla caffetteria e poi le raccontai degli ultimi giorni prima della resa. La nostra cameriera ci versava in continuazione liquido bollente, che faceva annebbiare i vetri impedendoci di vedere la neve scura di fuori.
— Dicono che domani dovrebbe alzarsi la temperatura e incominciare a piovere, ma io non ci credo — disse la cameriera. — Spero che non dobbiate andare da nessuna parte.
— No — dissi, desiderando crederci. — Non dobbiamo andare da nessuna parte.
Portai Annie in camera e la misi a letto. — Io rimarrò qui — le dissi, come se lei stesse per partire, e le tenni la mano fino a che non si addormentò. Allora finii le bozze che stavo controllando il giorno prima e poi andai a mettermi vicino alla finestra, aspettando.
Lei giaceva perfettamente immobile sotto la coperta, una mano sul petto, l’altra allungata al fianco, le guance pallide come il marmo. Dopo un tempo che mi sembrò lunghissimo, si alzò a sedere, a ginocchia alte, il copriletto che ricadeva come una crinolina, e si prese il viso fra le mani.
— Che cosa c’è? — chiesi. — Che cosa hai sognato?
Mi guardò e tentò di parlare, e gli occhi le si riempirono di lacrime.
— Era Appomattox? — chiesi.
Fece cenno di sì, guardando fisso davanti a sé, le lacrime che iniziavano a scendere, e non dovette dirmi che cosa aveva sognato. Lo sapevo già.
Si incontrarono nel soggiorno della casa di Mc Lean, nel primo pomeriggio. Grant disse a Lee di averlo già visto, in Messico, e di aver sempre desiderato conoscerlo. Si scusò per essere in uniforme da campo e con gli stivali infangati. Lui e Lee discussero le condizioni della resa, e Grant fece del suo meglio per “lasciarli andar via bene”, come gli aveva raccomandato Lincoln.
Lee disse a Grant che nell’esercito confederato le unità di cavalleria e di artiglieria utilizzavano cavalli di proprietà personale e chiese che fosse loro consentito di conservarli, dato che la maggior parte degli uomini era costituita da piccoli agricoltori che ne avrebbero avuto bisogno per le semine di primavera. Furono presi accordi perché l’esercito di Lee si avvalesse delle provviste alimentari dell’Unione. I termini della resa furono scritti e firmati.
Quando fu tutto finito, Lee uscì dalla casa e rimase in piedi accanto a Traveller, mentre l’aiutante sistemava le briglie. Lee stesso fece scivolare il morso al suo posto e poi rimase ad accarezzare, senza vederla, la nobile fronte grigia. Quindi montò sul cavallo che l’aveva portato “da Fredericksburg, l’ultimo giorno a Chancellorsville, a Pennsylvania, a Gettysburg e poi ancora a Rappahannock” e tornò verso il frutteto per dire tutto ai suoi uomini. “Uomini, abbiamo combattuto insieme per tutta questa guerra, e io ho fatto tutto ciò che ho potuto”.
Gli uomini, la maggior parte ragazzi, a piedi nudi e affamati e morti di stanchezza, i suoi uomini gli si fecero intorno gridando “Noi continueremo a combattere per te, generale!” e “Ti vorremo sempre bene!” e “Addio!”, ma la maggior parte di loro non riuscì a parlare e allungava le mani per toccare la criniera di Traveller, i fianchi setosi. Lee guardava di fronte a sé, il viso fisso, gli occhi pieni di lacrime, ma Traveller continuò a scuotere la testa, mentre avanzava lungo le file schierate, come se quegli applausi fossero per lui.
— Va tutto bene — le dissi. — Non sognerai più. La guerra è finita.
Lei mi tese le braccia e allora io la circondai con le mie, la tenni stretta e non la lasciai più andare.