Lee comprese l’inevitabilità della resa prima di tutti i suoi generali. Quando arrivarono a quell’ultimo frutteto metà della sua armata era già stata distrutta. Nulla rimaneva della fanteria se non poche brigate e i corpi di Longstreet e di Gordon, e nessuno di loro aveva mangiato nulla ormai da giorni. Tuttavia, quando egli mostrò la prima lettera di Grant con le proposte per la resa, Longstreet scattò: — Non ancora — e quando chiese a Venable che risposta avrebbe dovuto mandare questi rispose rigido: — Io non manderei nessuna risposta a una lettera simile.
— Invece una risposta bisogna mandarla — disse Lee.
L’ultima notte prima della resa dormì, da solo, sotto un albero di mele, tenendo in pugno le redini di Traveller.
Continuammo a leggere le bozze nella caffetteria, il giorno seguente, come se nulla fosse accaduto e noi dovessimo fare quello per tutte le mattine della nostra vita. Durante la notte la neve si era traformata in una pioggia gelata.
— Per questo pomeriggio dovremmo aver finito — dissi — e quindi domani potremo consegnarle all’editore, a New York. Cosa si prevede per il tempo? — chiesi alla nostra cameriera.
— Sta piovendo forte a nord di qui. Dei camionisti appena arrivati parlavano di inondazioni.
Annie sbadigliò. Era bellissima, riposata, le guance rosee come quella notte in cui era venuta da me a cercare aiuto. Le presi la mano.
— Perché non torni a letto? — dissi. — Hai un mucchio di sonno da recuperare. Io chiamerò Mc Laws e Herndon. — La cameriera si accigliò. — E le informazioni autostradali.
Tornammo in camera. Chiamai la segreteria telefonica per assicurarmi che Broun non avesse improvvisamente deciso di tornar a casa. C’era un messaggio. “Centro!” diceva Broun, con voce eccitata. “Sapevo di essere sulla pista giusta. La clinica del sonno sta studiando alcuni pazienti con la tubercolosi ai quali la febbre provoca una quantità maggiore di sonno REM. Tutti sognano di venir sepolti vivi. Dicono di avere perfino la sensazione della terra fredda e umida che viene spalata sopra di loro. I medici dicono che si tratta di sudore notturno, ma io ho parlato con loro e molti mi hanno detto di aver iniziato ad avere questi sogni prima di qualsiasi altro sintomo della malattia imminente.
E non è tutto qui: man mano che la malattia progredisce i sogni diventano più chiari e meno simbolici e loro iniziano a sognare i loro stessi sintomi, febbri e accessi di tosse e sangue, e a volte la loro stessa morte, il funerale, la bara. Ecco perché Lincoln sognò della bara quell’ultima settimana. La sua acromegalia stava peggiorando.
“Ma ora viene la parte migliore. Uno dei pazienti è questo ragazzo che stava leggendo L’Isola del Tesoro. Gli ho chiesto se gli piaceva e lui ha risposto che Robert Louis Stevenson era il suo eroe, perché aveva avuto la TBC da ragazzo. E perché Stevenson una volta sognò di essere sepolto vivo, come lui. Robert Louis Stevenson aveva fatto il suo stesso sogno più di cento anni prima!”
Non diceva dove si trovasse. Aveva un ricevimento il sabato e un appuntamento con un neurologo il lunedì. Sarebbe arrivato a casa il martedì, se avesse finito di esplorare la faccenda dei sogni prodromici.
L’agente di Broun aveva lasciato un altro messaggio. “Ho detto a Mc Laws e Herndon che le bozze sarebbero arrivate lunedì al più tardi. Devi portarle anche se non riesci a contattare Broun.”
Prima ancora che lei avesse finito di parlare, interveniva Richard: “Devi metterti immediatamente in contatto con me”.
— Te lo puoi scordare — dissi io, e riappesi. Presi le bozze e ritornai nella stanza di Annie. Lei dormiva, fuori dalle coperte, le gambe raggomitolate contro il corpo. Si teneva il braccio sinistro, come se le dolesse. Presi la coperta piegata che stava ai piedi del letto e gliela distesi sopra.
C’erano ancora solo poche pagine del Legame del Dovere da controllare. La signora Macklin aveva rotto il polso di Nelly tentando di strapparla dal letto del suo soldatino morto. Il chirurgo ubriaco aveva dovuto smettere un momento di segare braccia per sistemarle il suo e steccarglielo. La signora Macklin avrebbe voluto rimandarla a casa. — Non serve a nulla che tu stia qui — le disse.
— Mi ha già detto questo una volta — rispose Nelly. — Lei ha il suo dovere. Io ho il mio — e continuò a lavorare finché l’ospedale rimase in piedi, il che non fu ancora per molto. Gli eserciti superarono Winchester e l’ospedale dovette essere trasferito e infine smantellato. I soldati che non potevano camminare vennero trasportati via sui carri. Quando il battaglione di Ben li raggiunse per proseguire la sua via verso Fredericksburg, Ben andò con loro.
— No — esclamò Nelly, quando lui le disse che stava partendo.
Annie sedette sul letto e gridò. Sobbalzai come se mi avessero sparato. Balzai in piedi, facendo cadere le bozze. Avevo un piede addormentato e rischiai di cadere sul letto. Lei gridò di nuovo e tese le braccia come per tenermi lontano. Le afferrai per i polsi. — Svegliati, Annie. Stai facendo un brutto sogno. Svegliati!
Sentivo il battito del suo cuore attraverso le vene dei polsi, velocissimo e leggero. — No! — gridò lei, e la sua voce era disperata. Tentò di strapparsi alla mia stretta.
— Annie, svegliati! È solo un sogno.
— Ho così freddo — disse, e per un attimo pensai che fosse sveglia. — Fa tanto freddo, nella chiesa. — Stava tramando e il respiro le usciva in ansiti, come dopo una lunga corsa. — L’incontro è stato così lungo.
Quale incontro? Non l’incontro con Longstreet a Gettysburg. Quello era stato in una scuola, non in una chiesa. La chiesa di Dunker? Certo non stava sognando Antietam, non ora, quando i sogni avrebbero dovuto essere finiti.
— Loro non riuscivano a decidere… alla fine io ho detto… così freddo! — Stava battendo i denti. Le lasciai andare i polsi e le avvolsi la coperta alle spalle. Tirai il copriletto sulle gambe.
— Su che cos’era l’incontro?
Tentò di dire qualcosa nonostante i denti le battessero ancora, poi chiuse gli occhi e si girò sul fianco. Si lamentò e si mosse, come se il braccio le dolesse. Allora con l’altra mano afferrò il gomito e mormorò qualcosa che io non riuscii a capire. Poi si voltò di nuovo, sempre tenendosi il braccio, e disse chiaramente — Dite a Hill di venire.
E allora seppi di che chiesa si trattava, chiusi gli occhi.
Dormì ancora per un’ora. Io rimasi seduto accanto a lei per un attimo, poi andai nell’altra stanza, zoppicando sul piede ancora intorpidito, strappai le coperte dal mio letto e le misi su di lei.
Il telefono suonò. Era la moglie del veterinario con un messaggio. Il dottor Barton aveva chiamato dalla conferenza dove si trovava. Voleva farmi sapere due cose. Una era che aveva parlato di me con alcuni suoi colleghi e uno aveva menzionato un articolo sull’acromegalia recentemente apparso su una rivista scientifica. Pensava che l’informazione mi potesse essere utile. La moglie non sapeva il nome della rivista, stava solo riferendo il messaggio. La seconda cosa era che finalmente era riuscito a parlare con sua sorella. Questa non ricordava che il padre le avesse mai detto di aver sognato bare o barche, e pensava che in caso contrario l’avrebbe saputo. Lui si interessava molto ai sogni, a causa dei suoi studi sugli egizi. Aveva invece avuto per molti mesi prima di morire un sogno che lui riteneva essere un avvertimento della propria morte. Aveva sognato di giacere senza vita sotto l’albero di mele del suo cortile.
— Di che cosa è morto? — chiesi. — L’acromegalia?
— No — rispose la moglie del veterinario. — Di un attacco di cuore.
— Quali sintomi aveva? Intendo dire, prima dell’attacco di cuore?
— Mio Dio, non saprei. Viveva con la sorella di Hank e noi non lo vedevamo spesso. Si lamentava che il braccio gli faceva molto male, questo lo so perché la sorella di Hank pensava che fosse artrite, ma il medico poi le disse che si era trattato probabilmente di angina; mi ricordo che si sfregava continuamente il polso.
La ringraziai per i messaggi e riappesi. Poi andai alla finestra, e rimasi là in piedi, a guardare il Rappahannock. La mia diletta Annie.
Quando Annie si svegliò dissi, con il tono più naturale che potevo: — Si prevede che il tempo peggiori, questa notte. Forse è meglio partire nel pomeriggio.
— Pensavo che avessi detto domani — fece.
— È vero, ma non vorrei incontrare una tormenta, come mi è successo tornando dalla Virginia.
Si alzò, ancora stringendo il braccio. — E le bozze?
— Possiamo fermarci da qualche parte a pranzare e finirle. Rimangono solo poche pagine.
Stava guardando il mucchio disordinato di coperte. — Che cosa è successo? — chiese. — Ho fatto un altro sogno? — Si voltò verso di me, il viso innocente e fiducioso, come se questo sogno fosse uguale a tutti gli altri e io le raccontassi di Antietam o delle Nuove Avventure di Little Hen. Non c’era nulla sul suo viso a mostrare che lei si era resa conto che qualcosa non andava, che con la resa i sogni avrebbero dovuto finire. Finire.
— Non lo so — dissi, e misi di lato le coperte per appoggiare la sua valigia sul letto. — Hai mormorato qualcosa sul freddo un paio di volte. Allora ti ho messo delle coperte in più e ho rincalzato il copriletto.
— Ho ancora un po’ freddo — disse, e rabbrividì. Iniziò a prendere le sue cose dall’armadio e a metterle in valigia, e io notai che ora, da sveglia, usava entrambe le mani, ma si muoveva un po’ rigida, come se le facesse male la schiena.
— Vado a sistemare le cose di sotto — dissi.
— Aspetta un attimo. E il dottor Barton? Non dovevamo aspettare che tornasse a casa?
— Ha chiamato — risposi. — Sua sorella gli ha detto che il padre non ha mai menzionato sogni particolari. — Chiusi la porta e discesi, pensando a com’era stato facile, facile come svuotarle una capsula nel cibo. Per il suo stesso bene.
Attraversai la strada fino alla cabina del telefono e chiamai l’ospedale. — Ho un’amica che sta male — dissi, ma poi mi fermai. Non sarei mai riuscito a farla entrare in ospedale. Avrebbero voluto sapere il nome del suo medico, avrebbero fatto compilare migliaia di schede e mentre io le riempivo lei avrebbe preso un taxi e sarebbe scomparsa.
Chiamai l’Istituto del Sonno e chiesi del dottor Stone. — Mi dispiace — disse la segretaria — il dottor Stone è in California. Vuole lasciare un messaggio? — Chiamai l’albergo di Broun a Los Angeles. Se n’era andato. Insistetti per sapere dove, ma l’impiegato ripeté solo — Il signor Broun è partito.
Aveva lasciato l’albergo, e io non sapevo dove si tenesse il ricevimento, quel giorno, o quale neurologo dovesse incontrare lunedì, così avrei dovuto aspettare martedì, che era fra tre giorni.
Annie insistette per pranzare alla caffetteria per salutare la cameriera dai capelli rossi, ma lei non c’era. La sua bambina si era ammalata, ci disse la proprietaria. — Allora le dica addio da parte mia — le chiese Annie, e poi proseguimmo con le bozze come se non fossimo tagliati fuori ormai da tutti, la retroguardia distrutta a Sayler’s Creek, Sheridan già ad Appomattox Station, Meade che incalzava avanzando veloce, e Grant che già scriveva i termini della resa.
— No — esclamò Nelly quando glielo disse, e lui poté sentire la disperazione nella sua voce. E questa volta era lui a provocarla, e non c’era nulla che potesse fare. — Il battaglione non ti prenderà. Non puoi nemmeno marciare.
— Posso camminare abbastanza bene — fece Ben. — Forse non mi prenderanno subito, ma verrà un momento in cui mi prenderanno e saranno contenti di me.
— Perché vuoi farlo?
— Devo. Non so perché. È lo stesso di quando mi sono arruolato. So solo che devo.
— Non saprò mai che cosa ti è successo — disse lei.
— Ci ho pensato. — Trasse dalla tasca della camicia un foglio di carta ripiegato. — Un mio amico mi ha detto di mettere il nome e cognome nello stivale, ma non funziona. L’altra volta lo stivale è stato sparato via dal colpo, e il nome con lui. Voglio che lo tenga tu.
— A che cosa servirà?
Ben la rivide seduta accanto al letto di Caleb, a tenergli la mano fredda. — Dopo che la guerra è finita tu mostra questa carta e indica uno dei corpi e di’ ‘È lui’ e allora metteranno il mio nome su una tomba e anche il cognome, così tutti sapranno che cosa mi è successo.
— Va bene — disse lei.
Dopo che se ne fu andato aprì il foglietto di carta e lo lesse. “Toby Banks” c’era scritto. “Big Sewell Mountain, Virginia.”
Annie si fermò.
— Adesso ricordo di aver sognato — disse. — Questa mattina. Ero in una chiesa, mi pare, la chiesa presbiteriana del mio paese, e stavano raccogliendo le offerte, ma non era un servizio religioso. Era un incontro non so per cosa.
Un incontro in sagrestia. Alla Grace Church.
— Non me lo ricordo bene. Non era come gli altri sogni. — Un accenno di panico le tornò sul viso, mentre si sforzava di ricordare. — Faceva freddo. Ricordo di aver pensato che avrei dovuto indossare il cappotto più pesante e speravo che smettessero di discutere così sarei potuta tornare a casa.
Stavano discutendo sulla raccolta di cinquantacinque dollari per il pastore. L’incontro era proseguito per tre ore e alla fine Lee aveva detto “Darò io la somma” per far terminare quella discussione. Lee indossava solo il mantello militare e dovette tornare a casa sotto la pioggia gelida.
La famiglia lo stava aspettando per andare a cena. Lui si sedette pesantemente sul divano, stringendosi il braccio sinistro, e sua moglie disse; scherzosamente — Dove sei stato? Ti abbiamo aspettato per un secolo — e gli chiese di rendere grazie. Lui si alzò e sembrò voler dire qualcosa, poi cadde sul divano.
— Che cos’è? — chiese Annie.
— Probabilmente la chiesa di Dunker ad Antietam. Andiamo.
— Non ho salutato il gatto. — Insistette per arrivare alla scala esterna. La bestiola non c’era e il mucchietto di avanzi era mezzo sepolto dalla neve — E se gli fosse successo qualcosa, Jeff? — disse Annie, sfregandosi il polso.
— Non gli è successo nulla. È raggomitolato da qualche parte al calduccio, magari in una soffitta piena di topi. Non ha senso star qui a cercarlo. Vieni, andiamo.
Dormì per tutto il viaggio come se avesse preso un sonnifero. Non si svegliò nemmeno quando mi fermai a far benzina vicino a Woodbridge. Lassù pioveva, una pioggia gelata che pareva autunnale e che avrebbe potuto trasformarsi in neve da un momento all’altro.
Entrai nella stazione di servizio e chiamai la segreteria. “Centro!” disse Broun. “Sapevo di essere sulla pista giusta.” Non avevo cancellato il messaggio. Lo riascoltai di nuovo, per intero, tentando di capire da qualche indizio dove Broun si trovasse.
L’agente di Broun disse “Ho detto a Mc Laws e Herndon che le bozze sarebbero arrivate mercoledì al più tardi. Devi portarle anche se non riesci a contattare Broun.”
“Devi chiamarmi immediatamente” disse Richard. Prima avevo riappeso a questo punto, ma ora ascoltai ancora sperando che Broun avesse chiamato di nuovo per dirmi dove si trovasse. Per paura di mancare la chiamata non feci andare avanti il nastro in fretta. “Ho appena avuto i risultati degli esami dal laboratorio. C’è un problema nell’elettrocardiogramma. Non so dirti di preciso cosa possa essere. Hai notato dolori al petto? Dolori al polso o alla schiena o lungo il braccio? Se IÌ dolore si sposta potrebbe avere un infarto miocardico in qualsiasi momento. Devi tornare immediatamente.” Non c’erano altri messaggi. La macchina arrivò alla fine e si spense da sola.
Il numero dell’agente di Broun sulla costa occidentale era occupato. Comperai una tazza di caffè da asportare e tornai alla macchina. Annie dormiva ancora, raggomitolata sul sedile con il braccio sinistro stretto al corpo. I capelli erano indietro e scoprivano le guance arrossate. Tolsi il coperchio dalla tazza, la misi fra le ginocchia e avviai il motore. Annie si mosse leggermente e spostò l’altro braccio a reggere il sinistro. — Togliete le tende — mormorò.
Voltai la macchina. Dopo qualche istante aprii la portiera e versai il caffè per terra, poi tornai nella stazione e chiamai Richard.