Può darsi che la vita non sia il dono più importante di cui l’uomo dispone, dopo tutto. Certo è che gli uomini talvolta decidono di giocarsela con grande facilità, e a condizioni tali da parere insensate: a meno che ci sia qualcos’altro, dietro, che a prima vista non si comprende. Centinaia di vite vengono offerte in cambio di un guadagno insignificante, o addirittura inesistente per i loro possessori: pochi metri di terreno coperto di grano, la conquista temporanea di un’altura, un declivio sterile battuto dal vento. E a volte nemmeno questo. A volte alcune vite vengono sacrificate, e nessuno ne ricava nulla.
Quelli erano veri cavalli, i cavalli che si allevavano un tempo in Virginia, Cavalli che la morte non fermava e che, sepolti presso il sacro recinto, restavano pronti a riprendere il galoppo non appena il loro compagno si fosse risvegliato e, sorgendo dalla tomba, li avesse spronati sulla piana erbosa in una corsa senza impronte, con tocco leggero.
Traveller morì di tetano due anni dopo la morte di Robert E. Lee. Lo scoprii un giorno di febbraio, il giorno in cui ero uscito a cercare dove fosse stato sepolto il figlio di Abramo Lincoln, Willie. Era più di un anno che mi davo da fare per rintracciare quella tomba, e quando finalmente la trovai, menzionata in una biografia di Mary Todd Lincoln, mi precipitai fuori dalla biblioteca con il libro ancora in mano. Suonarono tutti gli allarmi, naturalmente, e uno dei bibliotecari uscì sui gradini e mi gridò dietro: — Jeff, che succede? Ti senti male? Jeff!
Nevicava molto, quel giorno, un nevischio pesante di primavera Mi ci volle quasi un’ora per arrivare con la macchina fino al vecchio cimitero di Georgetown Non so che cosa mi aspettassi di trovare, forse un indizio per scoprire dov’era Annie, un messaggio che mi spiegasse che ne era stato di tutti loro, di Tom Tita e di Ben e dei soldati che erano morti nella Guerra Civile e che giacevano insieme sepolti sotto blocchi di granito.
Ma laggiù non trovai nulla, nemmeno la tomba di Willie Lincoln, e allora tornai a casa di Broun e presi dallo scaffale i quattro volumi della biografia di Lee, cercando di scoprire che ne era stato di Traveller.
Come per tutto il resto, da quando era iniziata quella faccenda, gli indizi erano molti e allo stesso tempo insufficienti. Ma alla fine trovai ciò che mi occorreva sapere, così come avevo ritrovato le notizie su Willie e come avevo capito ciò che stava causando i sogni di Annie. In fondo era quella la mia specialità, no? Ero pagato per ricercare fatti oscuri. Traveller era vissuto ancora due anni. Poi si era ferito con un chiodo e aveva preso il tetano. Avevano dovuto abbatterlo.
Ho incontrato Annie due anni fa, la sera della conferenza stampa di Broun. Si trattava in realtà di un ricevimento per annunciare la prossima pubblicazione del dodicesimo romanzo di Broun, Il Legame del Dovere, con una anticipazione di bozze per la stampa. Ma di bozze non ce n’erano, e il libro non era ancora terminato.
La conferenza stampa era stata organizzata per l’ultima settimana di marzo, ma alla fine di febbraio Broun stava ancora trafficando con la prima copia dattiloscritta, modificandone capitoli e poi modificando le modifiche, e una settimana prima del ricevimento mi aveva spedito nel West Virginia a cercare di scoprire quando esattamente Lee avesse comperato Traveller.
Si trattava di un dettaglio abbastanza insignificante per le sorti del libro, dal momento che comunque Lee cavalcava Traveller all’Antietam, nel settembre del 1862, ma proprio su quel genere di cose Broun si era continuamente intestardito nel corso dell’intera stesura, e mi aveva trasmesso la sua agitazione.
Gli erano successi contrattempi a non finire, durante la stesura di quel libro. Di solito scriveva i suoi romanzi sulla Guerra Civile con la regolarità di un orologio: ideazione, stesura del manoscritto, correzione bozze, e per questo motivo gli editori. Mc Laws e Herndon, si erano spinti a organizzare con largo anticipo la conferenza stampa, ancor prima di avere in mano la versione definitiva del dattiloscritto.
Anch’io mi sarei comportato così. Nei quattro anni in cui avevo lavorato come ricercatore per Broun, lui non aveva mai perduto un colpo. Ma con il Legame del Dovere ne aveva già persi parecchi, e quando lo chiamai dal West Virginia stava ancora apportando modifiche importanti.
— Sto pensando di aggiungere un capitolo all’inizio, Jeff — mi disse. — Per spiegare come mai Ben Freeman si arruola.
— Pensavo che a quest’ora avessi già spedito la copia corretta.
— E l’ho spedita, ragazzo. Tre settimane fa. Ma poi ho iniziato a tormentarmi su Ben. Si arruola così, senza ragione. Tu avresti fatto lo stesso?
— No, ma un sacco di reclute sì. Ascolta, sto chiamando perché ho incontrato delle difficoltà con Traveller. In una lettera a una delle figlie, Lee dice di aver comprato Traveller nell’autunno del 1861, ma i dati di qui dicono che lo comprò solo nel ’62, durante la campagna di Carolina.
— Devono aver avuto almeno una ragione per arruolarsi — ribatté Broun. — Se facessi innamorare Ben di una ragazza che è legata a qualcun altro?
Mc Laws e Herndon lo avrebbero di certo ucciso se lui avesse anche solo proposto di aggiungere nuovi personaggi. — Io penso che l’inizio vada bene così — dissi. — Non è necessario che Ben abbia una ragione precisa per arruolarsi. Nessuno allora ce l’aveva. La maggior parte delle reclute della Guerra Civile non avrebbe saputo nemmeno dirti per che cosa si stava combattendo, figuriamoci le loro personali ragioni. Io lascerei perdere e terrei le cose come stanno, e questo anche per quanto riguarda Traveller. Andrò domani a Lewisburg a controllare nei dati del municipio, ma sono sicuro che Lee non comprò il cavallo nel 1861.
— Arriverai a casa in tempo per il ricevimento? — chiese Broun.
— Pensavo che lo avessero rinviato, dal momento che siamo in ritardo con il libro.
— Gli inviti erano già partiti. Fa’ in modo di essere qui, ragazzo. Ho bisogno di te per spiegare come mai questo dannato libro mi sta prendendo così tanto.
Avrei voluto chiedergli esattamente la stessa cosa, ma non lo feci. Invece passai al setaccio la sede della contea di Greenbrier, per tre giorni, tentando di trovare una nota, qualcosa che definisse la faccenda; alla fine tornai a casa guidando attraverso una tremenda bufera di neve, arrivando in tempo per il ricevimento.
— Hai l’aspetto di uno che arriva direttamente dal fronte, ragazzo mio — mi accolse Broun quando arrivai, nel tardo pomeriggio.
— E infatti — ribattei, levandomi la giacca a vento. La neve mi aveva inseguito per tutta la strada, e nel tratto finale si era tramutata in una insidiosa pioggia gelata. Guardavo con sollievo il caminetto acceso del suo studio. — Ho scoperto quello che volevi sapere su Traveller.
— Bene, bene — rispose, togliendo una pila di libri dalla poltrona e piazzandola di fronte al fuoco. Poi sistemò la mia giacca bagnata sullo schienale. — Sono contento che tu sia qui, Jeff. Penso di aver finalmente trovato la soluzione per il libro. Sapevi che Lincoln aveva sognato il proprio assassinio?
— Sì — risposi, chiedendomi cosa mai avesse a che fare questo con un romanzo sull’Antietam. — Sognò di vedere il proprio cadavere alla Casa Bianca, vero?
— Sognò di svegliarsi nell’udire un pianto — disse Broun, togliendo il gatto dall’altra poltrona di cuoio e mettendola a sua volta di fronte al fuoco. Sembrava non aver fretta, nonostante la conferenza stampa dovesse iniziare alle sette. Indossava il cardigan grigio malconcio che abitualmente portava quando scriveva e un paio di pantaloni sformati, e sembrava non essersi rasato da giorni. Forse la conferenza stampa era stata annullata, alla fine.
Mi invitò a sedere con un cenno. — Quando scese le scale non vide nessuno — proseguì — ma c’era un cadavere disteso in una bara nella Sala Orientale. Il viso del morto era coperto da un panno nero, e Lincoln chiese alla guardia in piedi alla porta di chi si trattasse, e la guardia rispose “Il Presidente. È stato assassinato.”
Mi stava guardando con occhi animati, aspettando che dicessi qualcosa, ma io non avevo proprio idea di cosa potessi dire. — Aveva fatto questo sogno… un mese circa prima di morire, vero? — tentai, esitante.
— Due settimane. Il due di aprile. L’avevo già letto da qualche parte, ma appena dopo la tua partenza l’agente di Mc Laws e Herndon ha chiamato perché voleva sapere quale libro avevo in programma, dopo Il Legame del Dovere. Voleva metterlo nella presentazione della conferenza stampa di stasera. Le ho detto che non lo sapevo, ma subito dopo ho iniziato a pensare a un libro su Lincoln.
Il libro su Lincoln. Ecco di che si trattava. Forse avrei dovuto esserne contento, perché se incominciava a pensare a un nuovo libro avrebbe smesso di pasticciare sul Legame del Dovere. Il problema era che il libro su Lincoln non sarebbe stato un nuovo libro, Broun lo chiamava il libro della sua crisi di maturità, anche se aveva iniziato a scriverlo solo raggiunta la sessantina. — Avevo paura di morire prima di riuscire a scrivere qualcosa di importante, e ho ancora paura. Non sono ancora riuscito a capire da che parte abbordare la dannata faccenda — mi aveva detto ridendo la prima volta che mi ero presentato da lui per il lavoro, ed ero convinto che dicesse sul serio. Un anno dopo aveva iniziato di nuovo a lavorarci, ma senza andare oltre un abbozzo ancora troppo generale.
— Domani voglio che tu vada ad Arlington, Jeff. — Si grattò la barba ispida che gli copriva le guance. — Devo sapere se Willie Lincoln è stato sepolto là.
— È sepolto a Springfield. Nella tomba di famiglia.
— Non dove è sepolto adesso. Durante la Guerra Civile. Il corpo fu trasportato a Springfield solo nel 1865, quando Lincoln venne assassinato. Willie morì nel 1862. Voglio sapere dove rimase sepolto in quei tre anni.
Non avevo idea di che cosa Willie Lincoln avesse a che fare con il sogno premonitore di Lincoln, ma ero troppo stanco per indagare. — Non è stata confermata la conferenza stampa, vero? — chiesi, sperando contro ogni evidenza che l’avessero rinviata. — Le strade sono in condizioni terribili.
— È confermata. — Broun diede un’occhiata all’orologio. — Devo vestirmi. Quei dannati giornalisti sono sempre in anticipo. — Il mio sguardo dovette mostrargli chiaramente come mi sentivo, perché disse: — Non occorrerà che tu scenda in battaglia prima delle otto, e mi occuperò io delle scaramucce iniziali. Perche non provi a fare un sonnellino?
— Penso che ti prenderò in parola — risposi, e mi sollevai a fatica dalla poltrona.
— Oh. dimenticavo di chiederti un favore, prima — fece Broun. — Potresti chiamare Richard Madison per accertarti che venga anche lui, stasera? La sua ragazza mi ha detto che ci sarebbero stati, ma preferirei che tu glielo ricordassi.
I sogni di Lincoln e poi il corpo di Willie Lincoln e ora il mio vecchio compagno di stanza in collegio. Smisi definitivamente di fingere di sapere di cosa stesse parlando.
— Ha telefonato mentre eri via — aggiunse Broun, grattandosi ancora la barba — Dicendo che doveva immediatamente mettersi in contatto con te. Gli ho detto che non avevi un numero per farti rintracciare, ma che di solito chiamavi e che ti avrei passato un messaggio, ma lui ha detto solo di chiederti di chiamarlo, però poi io non ho potuto dirtelo e allora l’ho richiamato per dirgli che saresti stato a casa stasera.
Ci doveva essere una logica, da qualche parte. — L’hai invitato al ricevimento? — chiesi.
— Ho invitato la sua ragazza. Richard non era in casa Lei mi ha detto che lui si trovava all’Istituto del Sonno, e allora io le ho chiesto cosa ci facesse laggiù, e lei «Spiega alle persone che cosa significano i loro sogni»; così, dopo aver riattaccato, ho incominciato a pensare al sogno di Lincoln e a che cosa ne avrebbe detto uno psichiatra: allora l’ho richiamata e li ho invitati entrambi, così potrò chiederglielo. Ma dal momento che non ho parlato direttamente con Richard e siccome poi lui voleva parlare a te, penso che sarebbe una buona idea se lo sentissi per accertarti che verranno davvero. E poi farai bene ad andare a coricarti, ragazzo. Hai l’aspetto di uno che sta per crollare.
Uscì. Rimasi fermo davanti al fuoco per un minuto, chiedendomi cosa mai Richard volesse da me. Eravamo stati buoni amici quando eravamo compagni di stanza al Duke, ma poi ci eravamo rivisti a malapena un paio di volte nei sei anni trascorsi dalla laurea. Lui era andato a New York per l’internato e poi era tornato a Washington per entrare nell’Istituto del Sonno, il che significava che era troppo impegnato per fare altro. Mi aveva chiamato esattamente una volta durante l’anno precedente, per farmi un’offerta di lavoro. Uno dei suoi pazienti, un pezzo grosso del Pentagono, stava facendo una ricerca sugli effetti a lungo termine della guerra del Vietnam e aveva bisogno di un ricercatore.
— Non mi interessa — avevo detto. — Non ho ancora capito tutti gli effetti a lungo termine della Guerra Civile.
— Sarebbe un incarico in cui potresti fare qualcosa di importante, invece di sprecare il tuo tempo a scovare fatti oscuri di cui non importa nulla a nessuno per qualche schiavista di scrittore — aveva ribattuto lui.
Avevo giusto impiegato l’intera giornata cercando di scoprire perché il generale Longstreet calzasse pantofole da camera all’Antietam. Avevo scoperto che aveva le vesciche ai piedi, un fatto che Richard avrebbe sicuramente classificato come “fatto oscuro di cui non importa nulla a nessuno”. A Longstreet importava comunque molto, dal momento che si trovava in guerra, e importava anche a Broun, e per questo motivo io stavo lavorando per lui, ma non avevo voglia di provare a spiegarlo a Richard.
— Se questo lavoro al Pentagono è così importante, che ci fa il tipo fra i tuoi pazienti? — chiesi invece.
— Ha un disturbo del sonno.
— Bene, io al contrario dormo magnificamente — avevo concluso. — Digli grazie, ma… no grazie. — Mi chiesi se anche questa volta chiamasse per una proposta di lavoro. Broun aveva detto che Richard non gli aveva spiegato nulla, per cui probabilmente si trattava di quello, e io non ero in condizioni tali da starlo a sentire.
Decisi quindi di lasciar perdere, fare una doccia e poi tentare di dormire, ma mi ritrovai a pensare ancora a Richard, per cui decisi di chiamarlo e farla finita. Tornai nello studio di Broun per usare il telefono. Magari mi avrebbe risposto la ragazza di cui aveva parlato Broun, ma non fu così. Rispose Richard, e non aveva proposte di lavoro.
— Dove diavolo sei stato? Ti ho cercato dappertutto — disse.
— Ero nel West Virginia — risposi. — A parlare di un cavallo con un uomo. Di cosa mi volevi parlare?
— Niente. Comunque ormai è tardi. Broun aveva detto che mi avrebbe fatto richiamare — fece, quasi con tono di accusa. Perché dovevo continuamente trovarmi dentro a conversazioni di cui non capivo né capo né coda?
— Mi dispiace. Sono appena arrivato. Ma ascolta, possiamo comunque parlarne stasera al ricevimento.
Ci fu silenzio dall’altro capo.
— Verrai, vero? — aggiunsi. — Broun è davvero ansioso di parlare con te dei sogni di Lincoln.
— Non posso venire. Non se ne parla nemmeno. Ho un paziente che…
— La casa è sulla strada per l’Istituto del Sonno. Puoi dare questo numero e ti possono chiamare qui, se ci sarà un’emergenza. Mi piacerebbe davvero vederti, e voglio conoscere questa tua nuova ragazza.
Altro silenzio. Alla fine disse — Non credo che Annie potrebbe…
— Venire con te? Ma certo che potrebbe. Mi prenderò personalmente cura di lei mentre tu parlerai con Broun. Le racconterò tutto dei tuoi giorni ruggenti al Duke.
— No. Di’ al tuo capo che mi dispiace, ma non potrei raccontargli niente sui sogni di Lincoln che lui abbia interesse a sentire.
Improvvisamente mi sentii esausto. — Allora vieni a dirglielo tu. Senti — feci — non è necessario che ti fermi per tutto il tempo. Il ricevimento inizia alle otto. Puoi venire a parlare con Broun e poi essere per le nove già a letto con questa signorina Annie a osservare i suoi Rapid Eye Movements e tutto il resto che voi psichiatri usate fare. Ti prego. Se tu non verrai, Broun mi manderà nell’Indiana con questo tempo a scoprire quali incubi aveva Lincoln da piccolo. Fallo per me, il tuo vecchio compagno di stanza.
— Non potrò rimanere oltre le nove.
— Non c’è problema — lo assicurai, dandogli l’indirizzo di Broun e riappendendo prima che potesse dire di no. Poi mi sedetti di fronte al fuoco. Il gatto mi balzò sulle ginocchia e io rimasi ad accarezzarlo, pensando che avrei dovuto alzarmi e andare a coricarmi.
Mi svegliò Broun. — Quanto tempo ho dormito? — feci, sfregandomi gli occhi per tentare di svegliarmi definitivamente. Quale che fosse il tempo, mi sentivo peggio di prima.
— Sono le sei e mezzo — disse Broun. Si era cambiato, indossando una giacca da pranzo sopra una camicia a pieghe e una cravatta sottile. Non si era ancora rasato. Forse tentava di farsi crescere la barba. Un’idea terribile; quei peli ispidi e grigiastri sembravano cancellare ogni altro colore dal suo viso, dandogli un aspetto trasandato e ambiguo, come un commerciante di cavalli poco onesto. — Mi dispiace averti svegliato, ma volevo mostrarti questo. — Mi mise fra le mani un plico di fogli dattiloscritti.
— Di che si tratta? — chiesi. — Willie Lincoln?
Stava smuovendo le braci a cui si era ridotto il fuoco mentre dormivo. — È la prima scena, quella che ti dicevo. Non ce la facevo proprio a vedere Ben arruolarsi senza una ragione al mondo, così l’ho riscritta.
— Mc Laws e Herndon lo sanno? — Il gatto di Broun saltò giù dalle mie ginocchia e iniziò a cercare di prendere l’attizzatoio.
— Andrò da loro domani mattina, ma volevo che tu gli dessi prima un’occhiata. Ben doveva avere un motivo per arruolarsi.
— Perché? E allora, quando più avanti si innamora di Nelly? Anche per quello, non c’è motivo. Lei gli somministra un cucchiaio di laudanum ed ecco che lui è pronto a fare qualsiasi cosa per lei.
Il gatto era riuscito ad afferrare l’attizzatoio, ma Broun sembrò non notarlo. Fissava il fuoco. — Era la guerra. La gente faceva cose del genere durante quella guerra, si innamorava, andava a morire…
— Si arruolava — proseguii io. — La maggior parte delle reclute della Guerra Civile non aveva alcun motivo per arruolarsi. Semplicemente, c’era una guerra e loro sceglievano di schierarsi da una parte o dall’altra. — Gli tesi indietro i fogli. — Non credo che ci sia bisogno di una nuova scena.
Lui rimise l’attizzatoio al suo posto. Il gatto si piazzò di fronte all’arnese, sbattendo la coda. — In ogni modo, vorrei che la leggessi — fece lui. — Hai chiamato il tuo amico?
— Sì.
— Verrà?
— Non sono sicuro. Penso di sì.
— Bene. Bene. Risolveremo questa faccenda dei sogni. Chiamami non appena arriva. — Si diresse alla porta. — Vado a controllare i camerieri.
— Non faresti meglio a raderti?
— Radermi? — esclamò lui, come se avessi detto un’eresia. — Non vedi che sto facendomi crescere i favoriti? — Si mise in posa, le mani nei risvolti della giacca. — Come Lincoln.
— Non assomigli a Lincoln — sogghignai. — Assomigli a Grant dopo una sbronza.
— Potrei dire lo stesso di te, ragazzo mio — fece lui, e andò al piano di sotto a parlare con i camerieri.
Tentai di dedicarmi alla nuova scena, pensando che anche a me sarebbe piaciuto risolvere qualcuno dei miei sogni. Mi sentivo più stanco di quanto non fossi prima del riposo. Non riuscivo nemmeno a mettere a fuoco il dattiloscrìtto. I giornalisti sarebbero arrivati a minuti, e allora avrei dovuto rimanere ore appoggiato a una parete, spiegando a quello di turno come mai il libro di Broun non fosse ancora pronto, e poi il giorno dopo sarei andato ad Arlington a vagare nella neve alla ricerca della tomba di Willie Lincoln.
Però, se avessi potuto scoprire prima dove era stato sepolto, forse il giorno dopo mi sarei risparmiato di andare a spazzare neve dalle scritte di vecchie lapidi. Posai i fogli della nuova scena e cercai Gli Anni della Guerra di Sandburg.
Broun non ha mai creduto nelle librerie; usa tenere i libri dappertutto, sparsi per la casa, e non appena ne ha finito uno lo infila nello scaffale più vicino. Mi offrii una volta di organizzargliene una e lui rispose: — So esattamente dove si trovano tutti. — Forse lui lo sapeva, ma io no, così senza dire più niente li avevo risistemati — Grant e la campagna dell’Ovest nella grande sala da pranzo al piano superiore, Lee nella veranda chiusa, Lincoln nello studio. — Non era servito a molto, perché Broun continuava a lasciare i libri dove gli capitava, però era meglio di niente. Avevo almeno una possibilità di trovare ciò che mi occorreva. Di solito, ma non questa volta.
Gli Anni della Guerra di Sandburg non era dove l’avevo messo l’ultima volta, e non c’era nemmeno Oates. Mi ci volle un’ora per ritrovarli, Oates nel bagno al piano superiore, Sandburg giù in veranda sotto una delle violette africane di Broun. Prima che riuscissi a tornare su nello studio per consultarli una giovane inviata di People mi si parò davanti cercando di torchiarmi sul prossimo libro di Broun.
— Di che cosa tratta? — chiese.
— Antietam — risposi. — È nel fascicolo per la stampa.
— Non l’ultimo. Quello nuovo che sta per iniziare.
— Ha le mie stesse possibilità di indovinarlo — risposi, e riuscii ad indirizzarla verso Broun in persona; potei così tornare nello studio con i libri che avevo trovato e cercare di Willie Lincoln. Era morto nel 1862, all’età di undici anni. Un ricevimento era in corso nei saloni della Casa Bianca, mentre lui giaceva morente al piano di sopra. E probabilmente il campanello della porta aveva continuato a suonare annunciando gli ospiti, pensai, e in quel momento stesso il campanello suonò.
Erano altri giornalisti, poi qualcuno dei camerieri e poi ancora giornalisti. Iniziai a dubitare che Richard sarebbe mai venuto, dopo tutto, ma quando il campanello suonò di nuovo era lui. Con Annie.
— Non possiamo fermarci per molto — disse Richard ancor prima di passare la soglia. Aveva un aspetto stanco e tirato, il che non costituiva buona pubblicità per l’Istituto del Sonno. Mi chiesi se il suo aspetto esausto avesse qualcosa a che fare con il fatto di avermi cercato, mentre io ero via nel West Virginia.
— Sono contento che siate riusciti a venire — dissi, voltandomi verso Annie. — Sono Jeff Johnston. Dividevo la stanza con questo signore prima che lui diventasse uno psichiatra di grido.
— Sono felice di conoscerti, Jeff — fece lei gravemente.
Non era per nulla come mi ero aspettato. Gli appuntamenti di Richard erano stati con piccole infermiere provocanti ai tempi della scuola di medicina, e poi con Donne di Washington in Carriera da quando aveva iniziato a lavorare all’Istituto. Non aveva mai nemmeno degnato di uno sguardo qualcuno del tipo di Annie. Era minuta, con capelli biondi e corti e grandi occhi grigio-azzurri. Aveva addosso un giaccone grigio pesante e scarpe dal tacco basso, e sembrava una diciottenne.
— Il ricevimento è al piano di sopra — dissi. — È una specie di zoo, ma…
— Non abbiamo molto tempo — ripeté Richard, senza però guardare l’orologio. Guardò invece Annie, come se fosse lei quella che aveva fretta. Lei però sembrava assolutamente tranquilla.
— Che ne dici se trascinassi Broun quaggiù? — proposi, temendo dentro di me di non riuscire a sottrarlo ai giornalisti. — Intanto potete accomodarvi nella veranda — e così dicendo li guidai all’interno.
Era, come tutte le altre stanze della casa, un luogo dove Broun poteva spargere libri, nonostante originariamente fosse dedicata alle piante tropicali. Aveva le vetrate larghe di una serra e una stufa che la teneva a dieci gradi in più del resto della casa. Broun aveva piazzato una fila di violette africane sul tavolo di fronte ai vetri e sistemato un antico divanetto di vimini e un paio di poltrone, ma il resto dello spazio era ingombro di libri. — Datemi i cappotti.
— No — fece Richard, gettando intorno uno sguardo ansioso. — No. Ci fermiamo solo poco.
Salii le scale di corsa e individuai Broun. I camerieri avevano appena distribuito il primo piatto, così per un poco lui sarebbe stato libero. Gli dissi che Richard si trovava di sotto ma aveva una grande fretta e cercai di guidarlo vero le scale, ma l’inviata di People gli si appiccicò e per cinque minuti buoni lo tenne invischiato.
Li trovammo ancora là, ma per un pelo. Richard era sulla porta della veranda e stava dicendo — Sono quasi le nove. Penso che…
— Sono felice di conoscerla, dottor Madison. Così lei è il vecchio compagno di stanza di Jeff — disse Broun, piazzandosi fra Richard e la porta d’ingresso. — E lei dev’essere Annie. Ci siamo parlati al telefono.
— Sì — rispose lei. — Desideravo davvero conoscerla, signor Broun.
— Mi pare che desiderasse parlarmi di Àbramo Lincoln — intervenne Richard, interrompendola prima che finisse di pronunciare il nome di Broun.
— È così — rispose Broun. — Le sono davvero grato di essere venuto. Ho fatto qualche ricerca su Lincoln. Faceva sogni estremamente strani — sorrise rivolgendosi ad Annie — e dal momento che lei mi ha accennato che il dottor Madison spiega alle persone il significato dei loro sogni, ho pensato che forse potrebbe spiegare a me quello dei sogni di Lincoln. — Tornò a volgersi a Richard. — Avete cenato? C’è un magnifico buffet di sopra, almeno se i giornalisti non hanno ancora divorato tutto. Aragoste e prosciutto e delle stupende tartine di gamberetti che…
— Purtroppo non abbiamo molto tempo — disse Richard, guardando Annie. — Ho spiegato a Jeff al telefono che temevo di non poterla aiutare. Non si possono analizzare i sogni di qualcuno semplicemente ascoltando un racconto indiretto. Bisogna conoscere tutto di quella persona.
— E Broun conosce tutto — intervenni.
— Mi servirebbero più che altro informazioni sulle moderne teorie che riguardano i sogni — riprese Broun, prendendo Richard sottobraccio. — Prometto di prenderle soltanto pochi minuti. Possiamo salire tutti nel mio studio. Prenderemo qualcosa da mangiare passando e…
— Non credo che… — fece Richard, con un altro sguardo ansioso ad Annie.
— Ma sì, ha ragione — disse Broun, tenendo saldamente il braccio di Richard. — Perché la sua giovane accompagnatrice dovrebbe annoiarsi ad ascoltare un mucchio di aride teorie quando può invece divertirsi a un ricevimento? Jeff, le terrai compagnia tu, vero? Falle assaggiare qualcuna di quelle splendide tartine e dello champagne.
Richard guardò Annie come se si aspettasse una resistenza, ma lei non disse nulla e lui mi sembrò sollevato.
— Jeff si prenderà cura di lei — fece Broun con calore, e con la sua aria più convincente. — Vero, Jeff?
— Mi prenderò cura di lei — dissi, guardandola. — Lo prometto.
— Il sogno che mi sta causando problemi è un sogno che Lincoln fece due settimane prima del suo assassinio — iniziò Broun, conducendo con decisione Richard su per le scale e verso il suo studio. — Sognò di svegliarsi alla Casa Bianca e di sentire qualcuno che piangeva. Quando scese le scale… — Scomparvero nel brusio e nell’affollamento che c’era su dalle scale. Mi voltai a guardare Annie. Era ferma e guardava in su, verso di loro.
— Ti piacerebbe salire al ricevimento? — dissi. — Broun rimarrà sconvolto se saprà che non hai assaggiato nemmeno una tartina di gamberetti.
Lei sorrise e scosse la testa. — Non credo che Richard si fermerà troppo.
— Già, non sembra entusiasta alla prospettiva di analizzare i sogni di Lincoln. — La guidai di nuovo nella veranda. — Aveva davvero una grossa fretta. È uno dei suoi pazienti che gli dà tutte queste preoccupazioni?
Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. — Sì — fece. — Richard mi ha detto che sei uno storico.
— Ti ha anche spiegato che secondo lui sono pazzo perché spreco la vita a ricercare fatti oscuri che non interessano a nessuno?
— No — rispose lei, continuando a osservare la pioggia che stava trasformandosi in nevischio. — Quello è un termine che riserva a me, in questo periodo. — Si voltò e mi guardò dritto in faccia. — Sono una sua paziente. Ho un disturbo del sonno.
— Ah — feci io. — Vuoi darmi il tuo cappotto? — fu tutto quello che seppi aggiungere. — Broun tiene questa stanza più calda di un forno.
Me lo tese, e io uscii per appenderlo in anticamera, cercando di capire quello che mi aveva appena detto. Richard non mi aveva contraddetto quando l’avevo chiamata la sua ragazza, e Broun mi aveva detto che era stata lei a rispondergli dall’appartamento di Richard, ma se lei era una sua paziente, cosa gli saltava in mente di andarci a vivere insieme?
Quando rientrai nella veranda stava osservando le violette africane. Mi avvicinai alla finestra e guardai fuori, cercando qualcosa da dire. Non potevo certo chiederle se andava a letto con Richard o se i suoi disturbi del sonno avevano qualcosa a che fare con lui.
— Dovrò andare al Cimitero Nazionale di Arlington con questo tempaccio, domani — feci. — Devo trovare il luogo in cui venne sepolto Willie Lincoln, per Broun. Willie era uno dei ragazzi di Lincoln. Morì durante la guerra.
— Sei tu che fai tutte le ricerche sulla Guerra Civile per conto di Broun? — chiese Annie, prendendo in mano una delle violette africane.
— La maggior parte del lavoro di gambe. Vedi, quando Broun mi assunse, i primi tempi non mi lasciava neppur mettere il naso nelle sue ricerche. Mi ci volle quasi un anno per convincerlo a lasciarmi fare il lavoro in giro, e ora vorrei non esser riuscito a convincerlo così bene. Sembra proprio che stia nevicando, là fuori.
Lei posò la piantina sul tavolo, al suo posto, e poi alzò lo sguardo su di me. — Raccontami della Guerra Civile — disse.
— Che cosa vuoi sapere? — chiesi. In quel momento desiderai aver fatto quel famoso sonnellino così da poter riversare tutto il mio spirito nella conversazione, raccontandole aneddoti della guerra che avrebbero potuto cancellare quell’espressione un po’ triste dai suoi occhi azzurro-grigi. — Sono un esperto dell’Antietam. Il giorno più sanguinoso di tutta la Guerra Civile. Forse il giorno più importante, anche se Broun non sarebbe d’accordo. Il generale Lee aveva bisogno di una vittoria, perché così l’Inghilterra avrebbe riconosciuto la Confederazione, e allora invase il Maryland, solo che la cosa non funzionò. Dovette ritirarsi in Virginia e…
Mi fermai. Stavo annoiando me stesso, e lo sa il cielo che effetto potevo avere su Annie, che probabilmente non aveva mai sentito parlare di Antietam. — Qualcosa su Robert E. Lee? O sul suo cavallo? So praticamente tutto del suo dannato cavallo.
Lei scostò i corti capelli dalla fronte e sorrise. — Raccontami dei soldati — disse.
— I soldati, eh? Bene, per la maggior parte si trattava di ragazzi di campagna, senza istruzione. E molto giovani. L’età media dei soldati della Guerra Civile era di ventitré anni.
— Io ho ventitré anni.
— Non credo che ti saresti dovuta preoccupare più di tanto. Non arruolavano le donne nella Guerra Civile — dissi — anche se probabilmente presto ci sarebbero dovuti arrivare, se solo la guerra fosse andata avanti ancora un po’. L’esercito della Confederazione era ridotto a vecchi e ragazzini di tredici anni. Se ti interessano i soldati, ce ne sono centinaia sepolti ad Arlington — dissi. — Vuoi venire con me, laggiù, domani?
Prese in mano un altro vaso di violette e seguì con le dita le nervature pelose delle foglie. — Ad Arlington? — fece.
Richard e io eravamo stati compagni di stanza al Duke per quattro anni, e io non avevo mai nemmeno guardato nessuna delle sue ragazze, e questa sera mi ritrovavo a occuparmi di una di loro. — Arlington è un posto interessante da visitare — dissi, come se non avessi passato gli ultimi tre giorni a vivere di pillole per tenermi sveglio e di caffè, desiderando solo di tornare a casa a dormire fino a primavera. Come se lei non fosse stata la donna del mio vecchio compagno di stanza. — Vi sono un sacco di persone famose sepolte laggiù, e la casa è aperta al pubblico.
— La casa? — disse lei, piegandosi su un’altra delle violette.
— La casa di Robert Lee — spiegai. — Era la sua tenuta prima della guerra. Poi l’Unione la occupò. Seppellirono i soldati dell’Unione nel prato, per essere sicuri che lui non la riprendesse mai più indietro, e lui non la riprese. Nel 1864 la trasformarono in cimitero nazionale. Ho fatto molte ricerche su Robert Lee, ultimamente.
Lei mi stava fissando, e aveva infilato la mano nel vaso delle violette. — Possedeva un gatto? — disse.
Mi girai a guardare verso la porta, pensando che il siamese di Broun fosse entrato per sfuggire ai rumori del ricevimento, ma non ve n’era traccia. — Che cosa? — chiesi, guardando la sua mano.
— Robert Lee possedeva un gatto? Quando viveva ad Arlington?
Ero troppo stanco, ecco tutto. Se solo avessi potuto dormire, invece di cercare Willie Lincoln e parlare con i giornalisti, sarei stato in grado di capire il senso di tutto ciò: io che le chiedevo di uscire con me mentre era la ragazza di Richard, lei che mi chiedeva se Lee avesse un gatto mentre affondava le dita nella terra del vaso come se stesse scavando una tomba.
— Che specie di gatto? — dissi.
Aveva strappato la violetta dalle radici e la stringeva fra le dita. — Non so. Un gatto rosso. Con strisce più scure. Nel sogno era laggiù.
Dissi — Quale sogno? — e la guardai lasciar cadere il vaso vuoto, che si infranse ai suoi piedi.
— Ho continuato a fare questo sogno — rispose. — Sono nella mia casa, in piedi nel porticato, cercando di vedere il gatto. C’è neve, una neve pesante di primavera, e mi viene l’idea che sia rimasto sepolto nella neve, ma poi lo vedo nel frutteto, che avanza fra la neve con piccoli, buffi saltelli.
Non mi rendevo conto di ciò che stava succedendo, ma alla parola “frutteto” mi sedetti sul bracciolo del divano, gettando uno sguardo ansioso alle mie spalle per paura che Richard e Broun stessero arrivando. Ma le scale erano deserte.
— Lo chiamai, ma lui non mi diede retta, così andai a prenderlo. — Teneva le violette come se si trattasse di un mazzo, davanti a lei, e ne lacerava le foglie con movimenti assenti e disperati. — Arrivai agli alberi e tentai di prenderlo in braccio, ma lui mi sfuggì, allora feci per seguirlo e sentii qualche cosa sotto al piede… — Aveva ormai distrutto le foglie e stava iniziando con i fiori. — Era un soldato dell’Unione. Riuscii a vedere il braccio coperto dalla manica azzurra, che spuntava dalla neve. Stringeva ancora il fucile, e c’era un pezzo di carta appuntato sulla manica. Qualcuno l’aveva sepolto nel frutteto, ma non abbastanza profondo, e ora che la neve iniziava a sciogliersi era apparso il braccio. Mi chinai a prendere il foglio di carta, ma quando lo guardai mi accorsi che non c’era scritto nulla. Avevo pensato che potesse essere una sorta di messaggio, e così mi spaventai. Feci un passo indietro, e sotto il mio peso il terreno cedette.
Della violetta non rimaneva nulla se non le radici, coperte di terra, e lei le schiacciò nel pugno. — Era il berretto di un altro soldato. Non gli avevo calpestato la testa, ma potevo vederla, là dove la neve si era sciolta, giacere a faccia in giù. Aveva i capelli gialli, e il fucile era sotto di lui. Il gatto fece un salto in avanti e prese a leccargli il viso, proprio come faceva con me per svegliarmi.
“Chiunque fosse stato a seppellirli, aveva semplicemente gettato poche badilate di terra sui loro corpi, senza spostarli dal luogo dov’erano caduti, e poi la neve li aveva nascosti. Ma ora la neve si stava sciogliendo. Non riuscivo ancora a vederli, solo un piede o una mano qua e là, e non volevo calpestarli, ma ovunque camminassi sentivo i loro corpi sotto di me. E il gatto saltellava su di loro, tranquillamente. — Aveva lasciato cadere ciò che restava della violetta e fissava la porta oltre di me. — Erano sepolti lungo tutto il frutteto e il prato, fino ai gradini della casa.”
Udii qualcuno chiacchierare mentre scendeva le scale e per la prima volta nella serata mi mossi come se fossi perfettamente lucido. Balzai accanto ad Annie e spazzai con le mani il mucchietto di terra e di foglie lacere. Quando Richard entrò, il cappotto sul braccio, eravamo entrambi chini a raccogliere i pezzi di vaso, le teste vicine, e le mie mani erano sporche di terra quanto le sue.
Mi rialzai con in mano la terra e il vaso spezzato. — Avete scoperto che cosa provocava i sogni di Lincoln? — chiesi.
— No. Ti avevo detto che non sarei stato in grado di aiutarlo — rispose Richard. Guardò oltre di me, cercando Annie. — Dobbiamo andare. Prendi il cappotto.
— Lo prendo io — dissi, e mi diressi nell’atrio.
Broun stava scendendo le scale di corsa. — È ancora lì?
Indicai la veranda. Lui si affrettò a entrare e io lo seguii con il cappotto di Annie. — Sono davvero spiacente, dottor Madison — disse. — Quella dannata giornalista di People mi ha bloccato sulle scale. Ciò che intendevo dire…
— Mi ha chiesto un’opinione e io l’ho espressa — fece rigido Richard.
— È vero — disse subito Broun — e di questo la ringrazio. E può darsi che lei abbia ragione, e che Lincoln stesse per avere una crisi psicotica, ma deve ricordare che c’erano già stati parecchi attentati alla sua vita, così mi sembrerebbe normale che lui…
Richard strinse le spalle mentre si infilava il cappotto. — Vuole sentirmi dire che quei sogni erano normali. Bene, non è possibile. Un sogno come quello è chiaramente sintomo di una preoccupante nevrosi.
Guardai Annie. Non si era mossa. Era in piedi al mio fianco, le mani piene di terra e pezzi di vaso, con un’espressione sul viso che mi fece capire come quella frase non fosse nuova per lei.
— Lincoln avrebbe avuto bisogno di un aiuto immediato e adeguato — proseguì Richard — e lei non mi può indurre ad acconsentire a nessun’altra teoria. È mio dovere come medico di aiutare…
— Penso che Lincoln sia al di là di ogni aiuto, perfino per un dottore — disse Broun.
— Dobbiamo andare — fece Richard irritato, abbottonandosi il cappotto.
— Bene, anche se non siamo d’accordo, sono contento che sia venuto — fece Broun, mettendo il braccio attorno alle spalle di Richard. — Mi dispiace solo che non vi possiate fermare a cena. Quelle tartine di gamberetti sono davvero eccezionali. — E guidò Richard verso l’ingresso.
Tenevo in mano il giaccone grigio, chiedendomi se non stessi dormendo e sognando tutto questo. Annie si avvicinò e prese la giacca, e io l’aiutai ad indossarla. — Come si chiamava il gatto? — dissi. — Quello del sogno.
— Non lo so — disse lei. — Non è il mio gatto. — Abbassò gli occhi ad abbottonare la giacca. — Non è il mio sogno — aggiunse. — So che non mi crederai perché Richard non mi crede. Lui pensa che io stia per avere un attacco psicotico e anche tu probabilmente mi crederai pazza, ma quello non è il mio sogno. Io continuo a sognarlo, ma è il sogno di qualcun altro.
— Il suo… sta prendendo la macchina — intervenne Broun, entrando.
— Mi dispiace per le violette — disse Annie. — Stavo guardandone un vaso e…
— Niente di male, niente di male. — La guidò verso la porta e poi fuori, continuando a chiacchierare. — Sono davvero contento che sia potuta venire.
Quando rientrò nella veranda ero chino sulle ginocchia di fronte alla libreria, cercando il secondo volume del Freeman. — Ho avuto una bizzarra conversazione con il tuo amico, di sopra — disse. Sedette sul bracciolo del divanetto e fissò il mucchietto di terra che era stato la sua violetta. Poi si grattò la barba ispida; assomigliava più che mai a un commerciante di cavalli. — Mi ha detto che il sogno di Lincoln simboleggia un trauma profondo, probabilmente infantile.
Trovai La Volpe Grigia e cercai sull’indice “Gatti” e poi “Lee, animali domestici”. — Be’ che ti aspettavi da uno psichiatra? — risposi, desiderando che risalisse al ricevimento e mi lasciasse in pace a cercare di scoprire se Lee aveva avuto un gatto.
— Gli ho detto che il suo trauma profondo era presumibilmente la Guerra Civile, e che mi sembrava perfettamente normale, al suo posto, sognare di assassinii e di bare alla Casa Bianca. Sapevi che la bara di Willie era stata messa nella Sala Orientale?
— Robert Lee aveva mai avuto un gatto? — feci.
Broun mi guardò — Lincoln aveva gatti. Micini. Amava i micini.
— Lee. dannazione, non Lincoln. Quando viveva ad Arlington possedeva un gatto?
— Non lo so — rispose lui, nello stesso tono conciliante che aveva usato con Richard. — Forse potresti trovarlo sul Freeman.
— Già, forse, ma io non ho una dannata idea di dove trovare il Freeman. Tu tieni il volume uno nell’attico, il volume tre sotto il letto, e il volume quattro lo usi per strappare le pagine e metterle sui vasi delle violette africane. Se tu avessi una biblioteca come tutti gli altri, invece di questo dannato casino…
— Il tuo amico ha detto — proseguì Broun — che tutti quei corpi mezzo sepolti nella neve indicano che Lincoln era ossessionato dalla morte.
Alzai di scatto la testa. Lui mi stava osservando con i suoi occhietti brillanti di commerciante di cavalli, — Hai idea di che cosa stesse parlando? — chiese.
— No — risposi. Raccolsi i volumi e presi a risistemarli negli scaffali. — Vado a letto. Devo andare ad Arlington, domani mattina.
Anche lui si alzò, e mi diede un colpetto affettuoso sulle spalle. — Non preoccuparti — fece. — Posso aspettare. Sei appena tornato da un viaggio lungo e so che sei stanco. Vai a letto, ragazzo. Mi occupo io della gentaglia di sopra — La sua mano era ancora appoggiata sulla mia spalla, — Hai avuto occasione di leggere la scena che ti ho dato prima?
— No — risposi.
— Ho fatto litigare Ben con suo fratello, per una ragazza. Mi chiedo quanti soldati l’abbiano fatto davvero, di arruolarsi per una ragazza.
Abbassai gli occhi sul libro che avevo in mano. Era il volume due, quello che stavo cercando — Non lo so — dissi, e mi allontanai.