RINGWORLD, IL MONDO AD ANELLO

Il mondo dei burattinai si era spostato pressappoco alla velocità della luce. Speaker aveva girato al sud della Galassia, in rapporto alla stella K9, nell’iperspazio, con il risultato che la Liar, dopo aver superato il Punto Cieco, si stava dirigendo verso il sistema di Ringworld, cioè Mondo ad Anello.

La stella K9 era un punto splendente simile al Sole. Tuttavia, questa stella rivelava un alone appena visibile.

Speaker portò i motori a fusione al massimo della potenza. Fece inclinare i dischi propulsori all’esterno del piano dell’ala, allineandoli all’asse della nave per aggiungere la loro spinta a quella dei motori a razzo. La Liar fece marcia indietro nel sistema, e decelerò a circa duecento gravità.

Teela non se ne accorse neppure, e Louis non glielo disse. Non voleva preoccuparla. Se la gravità della cabina si fosse interrotta anche solo un attimo si sarebbero spiaccicati come insetti.

La gravità della cabina funzionò perfettamente. In tutto il sistema di sopravvivenza aleggiava la vibrazione muta dei motori a fusione. Il rumore sordo dei propulsori cercava di penetrare a forza attraverso l’unica apertura disponibile, il condotto dei cavi conduttori largo appena quanto la coscia di un uomo.

Anche in iperpropulsione, Speaker preferiva pilotare una nave trasparente. Il soggiorno e la cabina di controllo, le pareti e i pavimenti curvi che si inserivano gli uni dentro gli altri, erano trasparenti al punto da sembrare inesistenti. In quel vuoto fittizio gli unici blocchi solidi erano rappresentati da Speaker sul suo sedile di pilotaggio, il banco a ferro di cavallo, gli archi delle porte bordati dal neon, il gruppetto dei sedili disposti intorno al tavolo del soggiorno, il blocco opaco delle cabine di poppa; e naturalmente il piano triangolare dell’ala. Intorno c’erano le stelle. L’universo sembrava vicinissimo… e immobile. La stella con l’anello era a poppa, nascosta dietro le cabine che ne impedivano la visuale mentre si allargava sempre più.

L’aria era permeata dall’odore di ozono e di burattinaio.

Nessus avrebbe dovuto essere rattrappito per il terrore. Appariva invece perfettamente a suo agio, seduto con gli altri al tavolo del soggiorno.

Finché non fossero riusciti a comunicare con Ringworld, la loro presenza in quel sistema avrebbe saputo di brigantaggio. Sino a quel momento non c’era stato alcun segno che fossero stati scoperti.

— I ricevitori sono aperti — disse Speaker. — Se tentano di comunicare sulle frequenze elettromagnetiche, ce ne accorgeremo.

— E non se usano le frequenze normali? — ribatté Louis.

— Hai ragione. Molte razze hanno usato la linea dell’idrogeno freddo per sondare menti estranee.

— Come i Kdatlyno. Sono stati abili a beccarvi.

— E noi siamo stati bravi a domarli.

— Ricordati — intervenne Nessus, — che l’orbita in caduta libera non deve incrociare con l’Anello.

— L’hai ripetuto un sacco di volte, Nessus. Ho una memoria eccellente.

— Gli abitanti dell’Anello non ci devono considerare un pericolo. Spero che non te lo scorderai.

— Sei un burattinaio. Non ti fidi di nessuno — rispose Speaker.

— Calmatevi — fece Louis annoiato. Quella disputa era l’ultima seccatura che aveva voglia di sopportare. Se ne andò nella sua cabina, a dormire.

Passarono le ore. La Liar cadeva lentamente verso la stella inanellata, preceduta da due fiammate di luce luminosa come quella di una Nova.

Speaker non rivelò alcun segno di luce di coesione in urto con la nave. Gli abitanti dell’Anello non avevano ancora avvistato la Liar, oppure non conosceva i laser da scandaglio.

Durante la settimana nell’iperspazio, Speaker aveva condiviso con gli umani le sue ore di ozio. Louis e Teela avevano preso gusto a frequentare la cabina dello kzin, sia per la sua gravità un poco più alta che per i panorami olografici di giungle giallo-arancio e di antiche fortezze alien; e un po’ anche per l’aspro e mutevole sentore di una razza diversa. La loro cabina era decorata con immagini di indescrivibili città e di mari coltivati ad alghe sviluppate geneticamente. Quella cabina piaceva più allo kzin che a loro.

Avevano provato a dividere un pasto con lo kzin. Speaker mangiava come un lupo famelico, lamentandosi perché il cibo degli umani emanava un odore di immondizie bruciate.

Adesso Teela e Speaker chiacchieravano a bassa voce, seduti a una estremità del tavolo. Louis tendeva l’orecchio, nel silenzio, al brontolio lontano dei motori a fusione.

— Nessus, forse tu sai qualcosa del Punto Cieco che noi non sappiamo.

— Non capisco la domanda.

— L’iperspazio ti terrorizza. Questo… rientro nello spazio, invece, non ti spaventa. La tua specie ha costruito la Long Shot; dovete conoscere qualcosa che noi ignoriamo.

— Forse sì. Forse sappiamo qualcosa.

— Cosa? A meno che non si tratti di uno dei tuoi preziosi segreti.

Speaker e Teela si erano messi ad ascoltare. Gli orecchi di Speaker, che quando si appiattivano sparivano nel pelo, si erano allargati come trasparenti parasoli rosa.

— Noi non abbiamo una parte immortale — disse Nessus. — Lo hanno provato i nostri scienziati. Abbiamo paura di morire perché la nostra morte è eterna.

— E allora?

— Nel Punto Cieco le navi spariscono. Nessuno burattinaio si è mai avvicinato troppo a una singolarità in stato di iperpropulsione. Tuttavia le nostre navi sparivano. Ho fiducia nei tecnici che hanno costruito la Liar. E ho fiducia nella gravità della cabina. Ma anche i tecnici temono il Punto Cieco.

C’era stata una notte in cui Louis aveva dormito male, tormentato da sogni fantastici, Teela e Louis avevano scoperto di non poter fare vita in comune. Lei non conosceva la paura. Louis aveva il sospetto che nulla l’avrebbe mai spaventata. Era semplicemente annoiata.

Quella sera, la stella con l’Anello sbucò fuori al di là della poppa, dove si trovavano le cabine e la stanza di soggiorno. L’astro era luminoso quasi quanto il Sole. Si annidava dentro un alone azzurro, sottile come un segno di matita.

Speaker accese lo schermoscopio. Si avvicinarono tutti alle sue spalle per osservare insieme a lui. Lo kzin centrò la linea azzurra della superficie interna dell’Anello e girò la manopola dell’ingrandimento…

Uno dei tanti interrogativi si risolse da sé quasi immediatamente.

— C’è qualcosa sul bordo — disse Louis.

— Centra il telescopio — ordinò Nessus.

L’orlo dell’Anello s’ingrandì. Una parete dell’Anello era rivolta verso l’astro. Quella esterna, che guardava verso lo spazio, risaltava nera in confronto all’azzurro del cielo, illuminato dai raggi della stella. La superficie del bordo era bassa, ma solo in paragone alla grandezza dell’Anello.

— Se l’Anello è largo un milione di miglia — calcolò Louis, — il bordo deve essere alto perlomeno un migliaio. Ora lo sappiamo. È quello che trattiene l’aria all’interno.

— E funziona?

— Credo di sì. L’Anello ruota a gravità. Ci deve essere una leggera dispersione ogni mille anni, ma può essere sostituita.

— Mi incuriosisce l’interno.

Speaker manovrò il pulsante di controllo, e l’immagine scivolò via. Poi riapparve, come uno spettrogramma bianco-azzurro che si delineò gradualmente. Apparve l’orlo, un po’ offuscato, di un blu vivo. Lo kzin mise a fuoco. La parete dell’orlo era inclinata all’esterno.

Nessus allungava le due teste sopra la spalla di Speaker: — Non puoi ingrandire di più? — chiese.

L’immagine si dilatò, precisando un paesaggio irregolare, solcato da rilievi come rocce lunari. Teela batté le mani:

— Che bello! Montagne…

— Tentiamo un contatto? — propose il burattinaio.

Speaker controllò il computer principale. — Ci avviciniamo a circa trenta miglia al secondo. La velocità è sufficientemente bassa?

— Sì. Inizia la trasmissione.

Nessun raggio laser, in quel momento, colpiva la Liar.

Tentare la radiazione elettromagnetica era più difficile. Si doveva consultare l’intero spettro, partendo dal colore sprigionato dalla zona scura dell’Anello. Provarono. La banda da ventun centimetri era vuota; e altrettanto vuoti erano i suoi multipli semplici e i divisori. A quel punto, Speaker poteva giocare a mosca cieca con i suoi ricevitori.

La Liar stava trasmettando i suoi messaggi sulla frequenza di assorbimento dell’idrogeno, inondando la superficie interna dell’Anello con raggi a dieci frequenze diverse, e trasmettendo in Morse-universale a scariche alternate.

— Il pilota automatico ci tradurrà gli eventuali messaggi — disse Nessus. — Concentra le trasmissioni sull’orlo. Se hanno un astroporto, dovrebbe trovarsi lungo il bordo. Far scendere un mezzo spaziale altrove sarebbe pericoloso.

Speaker brontolò nella Lingua dell’Eroe qualcosa che, dal tono, sembrava un insulto.

— Roba da uscire dai gangheri! — sbraitò poi lo kzin. — Ci voltano le spalle come per invitarci ad attaccarli!

— Non credo — disse Nessus. — Se non riesci a captare le trasmissioni radio vuoi dire che non le usano.

— Non usano laser, non usano radio, niente iper-onda. Si può sapere con che cosa trasmettono? Per telepatia? Lettere? Specchi?

— Con i pappagalli — suggerì Louis ridacchiando. — Pappagalli smisurati, allevati appositamente con polmoni enormi. Sono troppo grossi per volare. Non fanno altro che appollaiarsi in cima alle colline e strillarsi le notizie a vicenda.

Speaker si voltò a fissare Louis negli occhi.

— Sono quattro ore che cerco di mettermi in contatto. Sono quattro ore che mi ignorano. Il loro disprezzo è assoluto. Sono stato tanto fermo che mi tremano tutti i muscoli, ho il pelo arruffato, gli occhi ormai si rifiutano di mettersi a fuoco. Se non fosse per il tuo aiuto, Louis, mi darei alla disperazione.

— Possibile che la loro civiltà sia finita? — mormorò Nessus assorto nelle fantasticherie.

— Forse sono tutti morti — disse Speaker con cattiveria. — Atterriamo, e vediamo come stanno le cose.

Nessus sussultò, impaurito. — Sbarcare su un mondo che forse ha distrutto la sua stessa specie? Sei matto?

— Non c’è altro modo per saperlo!

— Naturale — intervenne Teela. — Non avremo fatto tutta questa strada per volargli intorno!

— Speaker, insisti nelle comunicazioni.

— Niente affatto. Per me, ho finito.

S’intromise Louis Wu per fare da intermediario: — Calma i bollenti spiriti, fratello Pelo. Speaker ha ragione. Gli anellari non hanno niente da dirci. Altrimenti lo sapremmo già.

— Ma che possiamo fare, se non continuare a provare?

— Andare avanti nel nostro lavoro. Dài loro il tempo di prendere una decisione.

Riluttante, il burattinaio acconsentì.


Non era possibile rendersi conto delle dimensioni dell’Anello. Col passare delle ore cambiava posizione troppo lentamente. Con la gravità della cabina, era impossibile accorgersi dello spostamento. Il tempo passava in vacuum e Louis, per la prima volta da quando aveva lasciato la Terra, era sul punto di rosicchiarsi le unghie.

Finalmente la Liar si trovò a fianco dell’Anello. Speaker azionò i propulsori spingendo a forza la nave in un’orbita intorno al sole: poi li mandò alla deriva, giù verso l’orlo.

Adesso si sentiva il movimento.

Il bordo di Ringworld cresceva, trasformandosi da una linea scura e confusa che occultava la vista di molte stelle in una parete nera, alta un centinaio di miglia, priva di tratti precisi, eretta davanti alla Liar. A cinquecento miglia di distanza, la parete ostruiva una fetta di cielo di novanta gradi, e ruotava alla infernale velocità di settecentosettanta miglia al secondo. I suoi due bordi convergevano nei punti di fuga della prospettiva, diventando punti all’infinito alle due estremità dell’universo; e da ogni punto all’infinito partiva una dritta linea sottile.

Sembrava di entrare in un altro universo: un universo di rettilinei, di angoli e di altre figure geometriche. Louis sgranò gli occhi, ipnotizzato dal punto di fuga. Che cosa era quello: l’inizio o la fine? In quel punto d’incontro la parete sorgeva o spariva?

…Dal punto all’infinito qualcosa venne verso di loro.

Era una sporgenza che avanzava come un’altra astrazione lungo il bordo della parete. Prima videro la sporgenza, e poi una serie di anelli perpendicolari che sembravano lanciati contro la Liar. Louis chiuse istintivamente gli occhi, e sentì un gemito spaventoso. Pensò alla morte. Ma quando riaprì gli occhi, gli anelli stavano passando via in una successione costante.

Nessus si era arrotolato a palla. Teela, accanto alla parete, guardava fuori, con avidità, attraverso la trasparenza dello scafo. Speaker era rimasto impavido al quadro-comandi. Ma poteva essere stato lui a gemere di paura.

Nessus si srotolò. E guardò l’Anello che diventava sempre più grande. — Speaker — disse, — dobbiamo uniformare la nostra velocità a quella dell’Anello.

La forza centrifuga è illusoria, una manifestazione della legge d’inerzia. Reale è invece la forza centripeta, una forza applicata ad angoli retti al vettore di velocità di una massa. La massa resiste, e tende a spostarsi sulla linea retta. Ringworld aveva la tendenza a spostarsi di lato, a causa della legge d’inerzia. Per uniformarsi alla sua velocità, la Liar doveva battere quella forza centrifuga.

Speaker ci riuscì. La nave si librò il bordo dell’Anello, in equilibrio su 0,992 gravità di spinta.

Apparve lo spazioporto: una linea informe sulla quale erano posate due astronavi dalla linea insolita. Una delle navi era smontata, e mostrava la sua intima struttura agli occhi stupefatti dell’equipaggio della Liar. L’altra nave era intera: migliaia di oblò brillavano, nella penombra, come una spruzzatina di canditi cristallini sopra una torta. Le due navi erano spaventosamente grandi. E scure. Tutto lo spazioporto era buio. Forse, gli abitanti dell’Anello non avevano bisogno di luce nelle frequenze visibili. Lo spazioporto sembrava deserto.

— Che ci fanno quegli anelli? — domandò Teela.

— Direi che è un cannone elettromagnetico — rispose Louis, pensieroso. — Serve per il decollo.

— Non credo — disse Nessus. — Secondo me, serve per l’atterraggio.

— Puoi spiegarmi come funziona?

— Posso immaginare che la nave, prima di scendere, si metta a venticinque miglia sopra l’orlo. Non ha bisogno di uniformarsi alla velocità dell’Anello. Ci pensa il cannone elettromagnetico.

— Credo di capire — disse Louis. — Le bobine elettromagnetiche captano la nave, e le impongono la velocità dell’Anello.

— Mi congratulo con i loro ingegneri — commentò Speaker.

Teela sembrava avvilita: — Quante cose sapete, voi.

— Ma no — sorrise Louis. — Facciamo supposizioni.

— Quanta energia consumiamo in questo momento? — chiese Nessus.

— Gli strumenti non registrano niente. Niente macchie radioattive, niente attività elettromagnetiche su larga scala.

— Che cosa suggerisci?

— Può darsi che le attrezzature dello spazioporto siano in funzione. Possiamo verificarlo portandoci all’imbocco dell’acceleratore, ed entrandovi.

Nessus si riappallottolò.

— Non funziona — disse Louis. — Potrebbe esserci un segnale chiave che da l’avvio all’azione, e noi non lo conosciamo. Magari reagisce soltanto a uno scafo metallico. Se tentiamo di passare alla velocità di Ringworld potremmo urtare una delle bobine facendo saltare tutto all’aria.

— Ho pilotato delle navi nelle medesime condizioni.

— Molto tempo fa?

— Troppo, forse. Non importa.

— Entriamo dalla parte di sotto — propose Louis. Il burattinaio si srotolò di colpo.

Si librarono sopra la superficie di Ringworld, uniformandosi alla sua velocità con una spinta di 9,94 metri al secondo.

— Riflettori — ordinò Nessus.

Le luci dei riflettori si accesero. I raggi, lunghi cinquecento miglia, frugarono nel buio. Quando colpirono la parete posteriore dell’Anello non vennero riflessi. Erano le luci che servivano per gli atterraggi. Nessus parve deluso e preoccupato. Speaker sogghignò:

— Hai ancora fiducia nei tuoi tecnici, burattinaio?

— Ammetto che avrebbero dovuto prevedere questa evenienza.

— Tranquillo. Ci penso io.

Lo kzin mise in funzione i quattro motori, lasciando aperti quelli anteriori. L’idrogeno fluì velocemente nei condotti, uscendo semi-combusto dagli ugelli. La temperatura dell’idrogeno scese al minimo, aumentando enormemente il potere luminoso. Con leggere spinte, la nave cominciò a scendere sul lato inferiore dell’Anello.

La superficie visibile non era piatta. Scendeva e risaliva in affossamenti e rilievi, come se fosse scolpita al rovescio.

— Dove vedi un rialzo — spiegò Louis a Teela, — c’è un mare. Gli affossamenti corrispondono alle montagne. Noi li vediamo dalla parte opposta… come una foto in negativo.

Le formazioni era piccole. Si ingrandivano man mano che la Liar, lasciandosi trascinare dal movimento dell’Anello, scendeva.

Per molti secoli, le navi da turismo avevano usato quel sistema per posarsi sulla Luna. L’effetto era quasi lo stesso: voragini e picchi, privi di atmosfera, dai contorni in bianco e nero illuminati dai riflettori delle navi. C’era però una differenza. A qualunque altezza, al di sopra della Luna, si poteva scorgere l’orizzonte, nitido e spigoloso contro lo spazio nero, che discendeva in una lieve curva.

Sull’orizzonte di Ringworld non esistevano punte né curve. Era una linea retta, geometrica, incredibilmente lontana. A stento la si poteva scorgere perché la configurazione era nera contro il nero.

Louis fu colto da un brivido. Cominciava a rendersi contro delle dimensioni di Ringworld. Era sgradevole, come tutti i processi della conoscenza. Distolse gli occhi da quel tremendo orizzonte e li volse verso la superficie sopra di loro, che corrispondeva alla superficie inferiore dell’Anello.

— I mari sembrano della medesima grandezza — osservò Nessus.

— Guarda — disse Teela, — c’è un fiume. Deve essere un fiume. Ma non ho visto nessun grande oceano.

Di mari ce n’erano in abbondanza, anche Louis lo vedeva… a meno che non si sbagliasse, e sempre che quelle protuberanze fossero veramente mari. Pur non avendo tutti le medesime dimensioni, sembravano distribuiti con regolarità in modo che nessuna regione rimanesse senza acqua. — È monotono. I fondali sono poco profondi.

— Sì — disse Nessus.

— La scarsa profondità dei mari ci dà la prova che gli Anellari non sono abitanti marini. Sfruttano gli oceani solo in superficie, come noi.

— Però le rive sono frastagliate — disse Teela. — Che cosa significa?

— Si tratta di baie. Baie a disposizione di tutti.

— Anche se i tuoi Anellari sono abitanti terricoli non temono la navigazione. Altrimenti non avrebbero bisogno delle baie — disse Nessus. — Louis, questa gente assomiglia agli umani. Gli Kzin odiano l’acqua, e la mia specie ha il terrore di annegare.

C’è un sacco di cose da imparare su un mondo, pensava Louis. Un giorno o l’altro avrebbe scritto una monografia sull’argomento…

— Che bellezza scolpire il proprio mondo su ordinazione — esclamò Teela.

Scorsero qualcosa davanti a loro. Una protuberanza più vistosa: una specie di pinna spiccava nella luce emanata dai motori; doveva occupare un’area di centinaia di miglia quadrate.

Se gli altri erano mari, questo era un oceano, il re degli oceani. Scorreva davanti a loro, interminabile. E il suo fondale non era piatto ma sembrava una carta topografica dell’Oceano Pacifico: vallate e crinali, secche, abissi e vette tanto alte da formare isole.

— Hanno voluto conservare la vita del loro mare — suppose Teela. — Avevano bisogno di un solo oceano. La pinna deve servire a mantere una temperatura gelida in profondità. È un radiatore.

Un oceano non molto profondo ma abbastanza vasto da ingoiare la Terra.

— Ne ho abbastanza — disse ad un tratto lo kzin. — Ora dobbiamo vedere la superficie interna.

Загрузка...