IL CASTELLO DEI SOGNI

Louis sussultò, distolto dai suoi sogni dalla voce di Speaker. — Louis! Prendi il disintegratore dal mio volociclo, e scava una fossa. Teela, vieni a curarmi le ferite.

Mentre frugava nel veicolo di Speaker, Louis evitò di guardare lo kzin. Una sola occhiata era stata sufficiente. Speaker era ustionato su quasi tutto il corpo. Attraverso la pelliccia, ridotta in cenere oleosa, usciva uno strano liquido. Le ferite mettevano a nudo il rosso della carne viva. L’odore di bruciato era insopportabile.

Louis prese il disintegratore e si allontanò alla svelta, nauseato, vergognandosi della propria debolezza. Soffriva per le bruciature di Speaker. Teela, che non conosceva la sofferenza, era in grado di aiutare efficacemente lo kzin.

Louis puntò l’arma a terra. Calzava il casco per l’ossigeno. Non aveva fretta, perciò premette uno solo dei due grilletti. Scavò. La polvere gli impedì di vedere a quale velocità la terra si stesse forando. Il raggio colpiva il suolo, sollevando un piccolo uragano di elettroni che si trasformavano in particelle neutre. La roccia e il terriccio, ridotti in atomi dalla repulsione reciproca dei nuclei, gli piovevano addosso in forma di pulviscolo monoatomico.

Spense il disintegratore. La fossa era abbastanza larga. Si voltò. Il corpo di Speaker, disinfettato da Teela, rivelava la pelle nuda ramificata da vene violacee. La ragazza gli spruzzò una sostanza bianca che formava una leggerissima schiuma. La puzza di carne bruciata impedì a Louis di avvicinarsi.

— Fatto — disse Teela. Era una splendida infermiera.

Lo kzin sollevò lo sguardo verso Louis: — Ehi, ci vedo di nuovo! — La schiuma lo ricopriva dalla testa ai piedi.

— Perfetto — rispose il terrestre. Balzò sul suo volociclo, e aprì l’interfono. Sul video, osservò il burattinaio che se ne stava ingrugnato con le due teste reclinate e gli occhi chiusi.

— Sei tu?

— Nessus, so benissimo dove ti trovi.

— Che bravo. E dove sono?

— Alle nostre spalle. A cento miglia da qui.

— Volevi che facessi l’ardito pioniere? Piuttosto, che probabilità ho di poter tornare nella squadra?

— Per il momento, nessuna. In seguito, si vedrà.

Louis lo informò della scoperta dei fiori-specchio. E descrisse le gravi ferite riportate da Speaker. Le facce di Nessus si abbassarono sotto il livello del video. Scomparvero. Louis aspettò che il burattinaio ricomparisse. Poi chiuse. Nessus sarebbe rimasto appallottolato per un bel pezzo. Teneva enormemente alla sua pelle.

Controllò la distanza della stella del più vicino rettangolo d’ombra. Mancavano almeno otto ore al tramonto. Entrò nella fossa. Speaker stava già dormendo. Teela gli aveva praticato un’iniezione di iper-tranquillanti.

Louis provò a dormire. Sonnecchiò brevemente, svegliandosi di colpo per la luce del giorno. Le nuvole diradavano.

I girasoli esplodevano luce in tutta la zona. Il terrestre si rannicchiò in un angolo. Osservò lo kzin: la sostanza bianca si era condensata e formava una specie di cuscino spugnoso attorno al suo corpo.

Louis dormì sonni agitati. Si svegliò diverse volte, bagnato di freddi sudori. E finalmente il rettangolo d’ombra raggiunse il sole. Louis si mise a sedere, vegliando sugli altri.

Il burattinaio, il conquistatore del cosmo, continuava a volare lontano dalla zona dei fiori-specchio.

Svegliò Teela e lo kzin. Bisognava ripartire. Nell’oscurità, osservarono i girasoli: lunghi steli, petali larghi, piante dall’aspetto innocuo. Forse dormivano. Forse aspettavano la nuova alba per scatenare i loro riflessi ustionanti.

Si alzarono in volo. Louis si annullò in un lungo sonno da drogato. Si svegliò che era ancora buio, e osservò la zona. I girasoli stavano diradando. Verso Spinward nacque uno strano chiarore.

Louis osservò, stordito. Pensò a una lucciola gigante, imprigionata nel campo sonico. Poi sorrise di sé. La luce si fece più forte, contro lo sfondo scuro dell’Anello, vagando nello spazio.

Chiamò Speaker: — Che cosa vedi, laggiù?

— Quello che vedi tu.

— Andiamo a dare un’occhiata?

— D’accordo.

Virarono in direzione della luce. Le girarono attorno, come pesciolini curiosi che osservano una bottiglia calare sul fondo. Era una costruzione di dieci piani, sospesa a trecento metri dal suolo.

— Un castello sul Mondo ad Anello? — si stupì Teela.

Un’unica, immensa finestra si apriva sulla facciata, la comprendeva interamente, formando in una curva la parete e il soffitto del castello. Nella luce dell’interno, videro un labirinto di tavoli disposti a cerchio. Nello spazio vuoto, al centro dell’incommensurabile salone, si alzava una scultura in filo metallico.

Sotto il castello, una città immersa nel buio. Speaker vi passò sopra a volo radente, osservandola rapidamente nella mezza luce dell’Arco. Risalì. Disse che la città somigliava a Zignamuclickclick.

— Deve avere una sorgente di energia autonoma — rifletté Louis.

— Ancora in azione da quando è scomparsa la civiltà degli Anellari? — La domanda di Teela sembrò ragionevole. — Louis, Speaker… guardate!

I volocicli passarono sotto il castello. Louis si spaventò: la massa del castello, sospesa sopra di lui, lo sconcertò. La parete inferiore del castello brillava di finestre illuminate. Pazzesco, pensò Louis. Chi aveva costruito il castello? E come? Che cosa lo teneva sospeso? Lo stomaco gli si contrasse. Vinse la nausea. Guardò ancora, e scoprì una piscina sfarzosamente illuminata.

Era vuota. L’incavo della piscina era rivolto verso il suolo. Come avrebbe potuto restarvi l’acqua, con la forza di gravità dell’Anello? Lo chiese a Speaker. Lo kzin non seppe che cosa rispondere.

Sul fondo della piscina era depositato un enorme scheletro: ossa lunghissime, femori piatti, tibie, e un cranio allungato dall’aspetto mostruoso.

— È un bandersnatch Jinziano — disse Teela. — Mio padre era cacciatore. Aveva allestito la camera dei trofei nella carcassa di uno di questi animali.

— Che cosa può avere spinto gli Anellari a portare i bandersnatch nel loro mondo?

— Perché sono decorativi — rispose Teela con prontezza.

— Stai scherzando? — disse Louis. — Sono orrendi. Animali da incubo.

Be’, in fondo, perché no? Perché i costruttori non avrebbero dovuto razziare centinaia di sistemi astrali per popolare il loro mondo artificiale? Se, per ipotesi, avevano le navi con i motori a fusione, potevano anche farlo. Era ovvio che ogni cosa vivente del Mondo ad Anello vi era stata trasportata da qualche altre luogo. Girasoli, bandersnatch. E che altro?

Girasoli (Speaker in fiamme per una luce riflessa, che urlava nell’interfono).

Città galleggianti nell’aria (sempre in procinto di cadere con risultati disastrosi).

Badersnatch (intelligenti e pericolosi. Lo sarebbero stati anche lì; i bandersnatch non cambiano).

E la morte? La morte era sempre la stessa, ovunque.

Rifecero il giro esterno del castello in cerca di aperture. Le finestre, rettangoli e ottagoni, sfere e cristalli sul pavimento, erano tutte chiuse. Trovarono un posteggio per veicoli volanti con una porta immensa, costruita come un ponte levatoio che serviva da rampa di atterraggio; era alzata e chiusa, proprio come un ponte levatoio. Trovarono una scala mobile a spirale lunga cento metri sospesa come una molla da materasso alla punta più bassa del castello. L’estremità terminava all’aria aperta. Qualche forza l’aveva strappata via, lasciando travi e pioli spaccati. Conduceva a una porta sprangata.

— Che Finaglo se la porti via! Vado a sfondare una finestra — disse Teela.

— Ferma! — le ordinò Louis. Era sicuro che l’avrebbe fatto. — Speaker, adopera il disintegratore. Facci entrare.

Speaker tirò fuori la scavatrice Slaver, alla luce che irrompeva dalla grande finestra panoramica.

Louis conosceva il funzionamento del disintegratore. Tutti gli oggetti che capitavano entro il suo raggio acquistavano improvvisamente una carica positiva tanto forte da scinderli. I burattinai avevano modificato l’arma aggiungendo un secondo raggio parallelo per eliminare la carica dei fotoni. Louis non si era servito del secondo raggio per scavare la buca nel campo dei girasoli e sapeva che non sarebbe stato di alcuna utilità neanche in questo caso.

Avrebbe dovuto immaginare che Speaker, invece, se ne sarebbe servito ad ogni occasione.

Due punti della grande finestra ottagonale, distanti pochi centimetri l’uno dall’altro, acquistarono due cariche opposte, con una differenza potenziale tra di loro.

Il lampo fu abbagliante. Louis serrò gli occhi accecato dalle lacrime e dal dolore. Un rombo di tuono scoppiò improvviso. Nella calma attonita che ne seguì, Louis sentì le particelle di sabbia conficcarglisi nel collo, nelle spalle e sul dorso delle mani. Rimase a occhi chiusi.

— Dovevi provarlo — disse.

— Funziona alla perfezione. Ci sarà molto utile.

— Tanti auguri. Non puntarlo contro paparino, se no si arrabbia.

— Non fare lo screanzato, Louis.

I suoi occhi riacquistarono la vista. Trovò migliaia di minuscole schegge di vetro sul suo corpo e sul veicolo. Vetro volante! Il campo sonico doveva avere trattenuto le particelle, lasciandole poi cadere su tutte le superfici orizzontali.

Teela era già sospesa in aria in una cavità grande quanto una sala da ballo. Gli altri la seguirono.


Louis si svegliò a poco a poco, provando una sensazione di grande benessere. Giaceva appoggiato sul braccio sopra una morbida superficie. Il braccio gli si era intorpidito.

Si girò dall’altra parte e aprì gli occhi.

Si trovava in un letto, col viso rivolto verso un alto soffitto bianco. Sentì un intoppo sotto le costole. Era il gomito di Teela.

Già, era vero. Avevano scoperto il letto la sera precedente; un letto largo come un campo da mini-golf, in una camera enorme che sarebbe appartenuta al seminterrato se il castello fosse stato in posizione consueta.

A quel punto avevano già ammirato molte cose stupefacenti.

Era un castello autentico, con una sensazionale sala da banchetti. I tavoli era disposti intorno a un tavolo centrale a forma di anello piazzato sopra una piattaforma rialzata. Al centro dell’anello era situata una poltrona dall’alto schienale, simile a un trono. Teela, che aveva voluto provarla, aveva scoperto la maniera per sollevarla tra il pavimento e il soffitto, e di mettere in funzione un riproduttore acustico che amplificava la voce dell’occupante del trono, dandole un tono imperativo. La poltrona ruotava insieme alla scultura che la sovrastava.

Si trattava di una scultura leggerissima e con molti spazi vuoti. Aveva l’aspetto di una forma astratta, ma quando Teela cominciò a farla ruotare apparve chiaro che era un ritratto.

Rappresentava la testa di un uomo, completamente calvo.

Era un indigeno proveniente da una comunità i cui membri portavano il viso e il cranio rasati? Oppure apparteneva a un’altra razza che viveva lontano, in qualche parte dell’Anello? Forse non l’avrebbero mai saputo. Il viso era decisamente umano: bello, con i tratti forti, il viso di un uomo di comando.

Louis osservò il soffitto, e ricordò quel viso. Il castello era stato una sede di governo. Tutto lo indicava: il trono, la sala dei banchetti, l’unica finestra, lo stesso edificio fluttuante sulla sua fonte autonoma di energia.

Più tardi avevano gironzolato lungo le sale e gli scaloni. Ogni particolare era decorato e disegnato con gusto e ricchezza. In fondo al castello, nella parte più bassa avevano scoperto la camera.

Dopo le incerte dormite sui sedili dei volocicli, e dopo gli amplessi barbaramente consumati dove capitava, quel letto era un ritorno alla Terra, alla civiltà, alle dolcezze lontane. Teela e Louis avevano lasciato che Speaker proseguisse da solo l’esplorazione.

Una parete trasparente della camera si affacciava sulla piscina. Lo scheletro bianchissimo del bandersnatch sembrava fissarlo con le orbite vuote. Louis non si lasciò impressionare.

La parete opposta guardava la città. Il terrestre si districò dalle braccia di Teela, e con tre capriole scese dal letto. Il pavimento, morbidissimo, sembrava coperto da una moquette fatta con i capelli degli indigeni. Louis rabbrividì come davanti a una pratica cannibalesca.

Si affacciò sopra la città. Gli edifici erano altissimi, ma in rovina. Migliaia di tonnellate di cemento e di ferro erano precipitate sotto una forza immane. Osservò le infinite tonalità di grigio, e immaginò di essere un antico sultano che contemplasse dall’alto i suoi domini. Ma non c’era più domini, né sudditi.

Qualcosa gli disturbava la visuale. Una sottile percezione che lo distraeva. Poi vide qualcosa svolazzare oltre la finestra. Guardò meglio: era un filo. Volgare filo. Un pezzo restava attaccato al cornicione, ma la maggior parte del filo scendeva dal cielo. Fino a scomparire.

Louis si sentiva sicuro e riposato, per la prima volta da quando un laser a raggi X aveva colpito la Liar. Osservò ancora il filo penzolante. Continuava a scendere, voluta dopo voluta, dal cielo grigio. Era tanto sottile che, nel movimento, diventava a tratti quasi invisibile. Si domandò quanto fosse lungo. Poi scosso da un brivido di terrore.

Lo riconobbe. E provò una paura ancestrale, profonda, inesprimibile. Come era possibile che li avesse seguiti fino al castello? Eppure era proprio il filo nel quale erano andati a urtare. Il filo che Speaker non era riuscito a tagliare. Per Finaglo! Era il filo metallico che delimitava la zona d’ombra!

Pensò di svegliare Teela. Ma la vide così beatamente immersa nel sonno e nei sogni, che sarebbe stata una cattiveria farla tornare alla realtà.

Uscì dalla camera. Percorse scale e corridoi, stanze misteriose, saloni immensi e cucine abbandonate. In qualche parte del castello avrebbe dovuto trovare Speaker. Non ne vedeva nemmeno l’ombra. Sospettò, per un attimo, che lo kzin si fosse smarrito nel labirinto. Poi lo incontrò, casualmente, sulla breccia che il disintegratore aveva prodotto nella finestra. Lo kzin tornava di suo volociclo, e masticava un panino.

— Niente cucina, nel castello dei sogni — disse Speaker. — Niente fornelli, raggi infrarossi, o cucine-robot. Niente da mangiare.

— Lascia perdere. Vieni, devo farti vedere una cosa.

— Sei pallido. Che ti succede?

— Vieni, ti dico.

Lo kzin, continuando a mangiare, lo seguì. La schiuma gommosa era stata eliminata. La pelle bruciata si era già cicatrizzata, e si stava squamando. Era una pelle lucida, sana e rosa — ammesso che il rosa, per gli Kzin, fosse il colore della buona salute.

— Insomma, Louis, dove mi porti?

— Accidenti, ho perso la strada. Non riesco a trovare lo scalone per la camera. — Si guardò attorno, smarrito.

— Allora vieni tu con me. Ho trovato la stanza delle mappe.

— No. Prima devo farti vedere il filo.

— Sono tornato ad essere il capo della squadra. Louis, è un ordine.

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