Per seguire lo kzin, lungo le scale, a Louis stavano scoppiando i polmoni. Speaker non correva, ma camminava molto più rapidamente di quanto riuscisse a fare un uomo. La stanza delle mappe era situata nella parte più alta del castello.
Lo kzin entrò nella sala, Louis si incantò sulla soglia. In uno spazio circolare di cinquanta metri di diametro, era sistemato il plastico dell’intero Mondo ad Anello. Il terrestre osservò attentamente i particolari: il modello era la riproduzione fedele, in miniatura, dell’immensa costruzione ruotante attorno a una stella. L’Anello, sospeso nell’aria, ruotava attorno al suo sole.
Speaker aveva finito di trangugiare il panino: — Ho passato qui la notte — disse. — Vieni, devo farti vedere molte cose.
Lo kzin si era avvicinato alla parete opposta alla porta, vicino a tre globi ruotanti: raffiguravano, in scala ridottissima, tre diversi pianeti. Tutti e tre sconosciuti. Ma i dettagli di ciascun pianeta erano perfetti e prodigiosamente reali: era come osservare tre veri pianeti che girassero nel cosmo. Sotto ogni globo, uno schermo era accostato a una grande carta geografica a sezione conica. Lo kzin stava già manovrando i pulsanti e le manopole. Louis osservò che ogni strumento era cesellato in argento.
— Prima ero riuscito a focalizzarlo — disse lo kzin. — Se potessi ricordarmi bene… — Toccò una manopola e l’immagine si allargò così rapida che Louis strinse convulsamente una mano come per soffocarla. — Voglio farti vedere la parete del margine. Grr, ancora un po’ più in là… — Maneggiò un’altra manopola, e l’immagine si allontanò. Stavano guardando il margine dell’Anello.
Da qualche parte dovevano essere collocati dei telescopi che inquadravano quella veduta. Dove? Sui rettangoli d’ombra?
Dall’alto si scorgevano montagne alte mille miglia. L’immagine si dilatò ancora. Le montagne sembravano naturali, e i loro contorni risaltavano netti contro lo spazio scuro, come se fossero state intagliate con un coltello.
Louis vide qualcosa che si allungava tra le vette: — Un acceleratore lineare.
— Sì — disse Speaker. — Non avendo le cabine-transfert, è l’unica via possibile per viaggiare attraverso questo mondo. Doveva essere il maggiore sistema di trasporto.
— Ma è alto mille miglia. Ci sono ascensori?
— Ho visto delle colonne elevatrici lungo la parete del bordo. Là, per esempio. — La serie di puntini rossi era una successione di nodi distanziati uno dall’altro, che i picchi montagnosi celavano alla vista di chi si trovava nella regione sottostante, un tubo sottile, appena visibile, che si dipartiva da uno dei nodi giù per i fianchi della montagna, fino allo strato di nuvole sul fondo dell’atmosfera.
— I nodi elettromagnetici si infittiscono intorno alle colonne-ascensori. Altrove arrivano a un’altitudine di un milione di chilometri. Una macchina può accelerare in caduta libera, costeggiare il bordo dell’Anello a una velocità di settecentosettanta miglia al secondo, per essere poi fermata vicino a un tubo-ascensore nei pressi di un altro raggruppamento di cerchi.
— Ci volevano dieci giorni per arrivare a destinazione. Senza contare le accelerazioni.
— Sciocchezze. Ci vogliono sessanta giorni per raggiungere Silvereyes, che è il mondo umano più lontano dalla Terra.
Aveva ragione. La zona abitata dal Mondo ad Anello era più vasta di quella dell’intero spazio abitato. Avevano costruito quel mondo per avere dello spazio.
— Hai visto qualche segno di attività? — chiese Louis. — C’è nessuno che usi ancora l’acceleratore?
— È una domanda insensata. Lascia che ti mostri.
La panoramica si restrinse, scivolò via di sghembo poi si ingrandì lentamente. Era notte. Le nubi si squarciavano sopra il paesaggio nero.
— Le luci di una città. Bene. — Louis deglutì. La sorpresa era arrivata troppo all’improvviso. — Allora non è tutto morto. Troveremo aiuto.
— Sarà difficile… ah!
— Per la mente di Finaglo!
Il castello, il loro castello, fluttuava placidamente. Finestre, illuminazioni al neon, un incessante via vai di luci minuscole come pagliuzze che dovevano essere veicoli… palazzi sospesi in aria…
— Sono nastri. Accidenti! Stiamo guardando dei vecchi nastri. Credevo che si trattasse di una tramissione dal vivo. — Per un attimo delizioso, si erano illusi. Città in pieno fermento, appuntate con lo spillo su una carta geografica… ma erano immagini vecchie di secoli, antiche civiltà.
— Ci ho creduto anch’io, questa notte. Non sospettavo la verità finché non mi sono accorto che non riuscivo a individuare il cratere meteorico, lungo migliaia di chilometri, provocato dall’atterraggio della Liar.
Senza parole, Louis batté una mano sulla spalla nuda dello kzin; era così alta che ci arrivava a stento.
Lo kzin fece finta di ignorare la libertà che Louis si era preso. — Dopo avere localizzato il castello, le cose sono andate più alla svelta. Guarda. — Fece scivolare l’immagine panoramica verso Port. Era difficile cogliere i particolari. Poi si trovarono a guardare sopra un oceano nero. La telecamera sembrò retrocedere.
— Vedi? La baia di uno dei più vasti oceani è proprio sulla nostra rotta verso la parete dell’Anello. È più largo di qualsiasi oceano di Kzin o della Terra. Soltanto la baia è grande quanto il nostro oceano maggiore.
— Un altro ostacolo! Non possiamo aggirarlo?
— Forse. Ma c’è qualcosa che ci causerà un ritardo ancora peggiore. — Lo kzin toccò un’altra manopola.
— Ferma! Voglio dare un’occhiata a quei gruppi di isole.
Videro realizzazioni fantastiche. Speaker aveva focalizzato lo schermo sullo spazioporto, un vasto bordo che sporgeva sul margine verso lo spazio. Un enorme cilindro, dalle estremità smussate, era illuminato da mille finestrini e sostenuto da campi elettromagnetici. I campi riflettevano luminose sfumature pastello. — Il nastro è sovrapposto — disse lo kzin. — L’ho studiato a lungo, stanotte. Pare che i passeggeri passino direttamente sulla parete del bordo, come in un processo di osmosi.
— Sì. — Louis era molto depresso. La prominenza dello spazioporto si spingeva a una distanza tale che gli sembrava d’aver fatto, finora, solo pochi chilometri.
— Ho visto il decollo di una nave. Non usavano l’acceleratore lineare. Era proprio come aveva immaginato il mangia-foglie. Louis, mi stai a sentire?
Louis si scosse. — Scusa. Stavo pensando che il nostro viaggio si allunga di settecentomila miglia.
— Forse possiamo servirci del sistema di trasporto principale, la linea di acceleratori che si trova sulla parete del bordo.
— Non ci spero. Probabilmente è distrutto. La civiltà è in continua espansione, sempre che sia coadiuvata da un sistema di trasporti. Anche se riuscissimo a farlo funzionare, non troveremmo delle colonne-ascensori per scendere.
Sullo schermo, decine di carrelli scivolarono nel tunnel d’immissione fino alla camera d’equilibrio di un’astronave. Louis e Speaker pensarono di cambiare destinazione. Ma convennero che lo spazioporto restava ancora l’unica possibilità. E l’unica speranza.
— Hai individuato la montagna? — domandò il terrestre. — L’immenso Pugno-di-Dio?
— No. Strano, vero?
— Preoccupante, direi.
— Stanotte ho avuto una strana impressione. Che esistano luoghi segreti, su Ringworld.
— Se esistono, dovremo trovarli da soli. Non saranno sicuramente registrati sui nastri.
Un lieve ronzio, fuori dalla sala, fece voltare di scatto Louis e Speaker. Il terrestre sbatté le palpebre. Lo kzin allargò le orecchie. Sembrava il ron-ron di antichi macchinari che si mettevano improvvisamente in funzione.
Balzarono fuori dalla stanza delle mappe. Louis aveva imbracciato il laser a flash. In cima alle scale, sorridente, Teela si stava avvicinando. Louis chinò l’arma verso il pavimento.
— Accidenti — stava dicendo la ragazza. — Questi scaloni funzionano soltanto per la salita.
Louis le fece la domanda più ovvia: — Come sei riuscita ad avviarli?
— Funzionano quando ci si appoggia contro. L’ho scoperto per caso.
— Per caso, eh? Io ho fatto quindici rampe di scale, stamattina. E tu quanti gradini hai fatto, prima della scoperta?
— Io? Neanche uno. Volevo fare colazione. Sono inciampata sul primo gradino, e mi sono afferrata alla balaustra. — La ragazza osservò la faccia scura dello kzin e di Louis. — Be’, non è colpa mia se sono più fortunata di voi…
— Lascia perdere. Hai trovato una cucina funzionante?
— No, purtroppo. Allora, mi sono fermata a osservare la gente sulla piazza.
— La gente? Quale gente?
— Ah, non so. Entrano in fila, marciano. Sono centinaia. — Il sorriso di Teela Brown, bellissima nello stupore del risveglio, sembrava più luminoso del solito. — E tutti stanno cantando. — Guardò dalla finestra: — Sono ancora lì.
Guardarono. Migliaia di individui camminavano sulla piazza. — Sembra che stiano adorando il castello — disse Speaker.
— Forse siamo capitati in un giorno speciale — azzardò Louis. — Magari un giorno festivo.
— Può darsi che sia successo qualcosa di speciale — disse Teela. — L’arrivo di qualcuno… noi, per esempio.
— Oppure, la presenza di quel filo — sussurrò lo kzin.
— Allora l’hai visto anche tu — disse Louis.
— Sì. E non ci ho capito niente. Louis, era quel filo che volevi farmi vedere?
Il terrestre non rispose. Pensò alla distanza di sei milioni di miglia fra una zona d’ombra e l’altra. Pensò a sei milioni di miglia di filo metallico fatto a pezzi nello scontro con la Liar. Una matassa enorme di filo che stava cadendo sul Mondo ad Anello, lentamente, con un drappeggio sul paesaggio, come una pioggia sottile.
Speaker si mordeva un labbro, pensieroso: — Immaginate se proprio oggi tornassero i costruttori di Ringworld. Se apparissero oggi, scendendo in volo dal castello sospeso. Louis, che ne dici?
— Il gioco degli dèi, vero?
— L’idea è sua — disse Speaker a Teela. E indicava Louis Wu. — Recitando la parte dei costruttori, possiamo avere qualche successo con i nativi. Io sarei il Grande Ingegnere, tu e Louis i miei sacerdoti. Nessus rappresenterebbe un dèmone nostro prigioniero.
— No — disse Louis. — Sarebbe una cosa troppo azzardata.
— Ieri ne eri entusiasta.
— Ieri non eri così spelacchiato. Non puoi recitare la parte di un Dio-Ingegnere, col pelo bruciato e il sedere rosa!
Lo kzin si infuriò. Non intendeva essere preso in giro. Agguantò il terrestre per il bavero, e lo scosse duramente: — Ma se facessi a pezzi qualche umano, sarei più convincente, come Dio della guerra!
— Calma — disse Louis. Tentò di liberarsi dalla stretta dell’orso spaziale. — E smettila di ruggire. Speaker, bisogna aspettare che ti ricresca il pelo. E poi, bisogna convincere Nessus.
— Il burattinaio non serve a niente.
— Ma possiede il tasp!
— Ti dico che è inutile. Ci mettiamo in contatto con i nativi?
— Tu rimarrai qui. Vedi se riesci a cavare fuori ancora qualcosa dalla stanza delle mappe. Teela e io… — S’interruppe. — A proposito, Teela, hai visto le mappe?
— Cosa?
— Fattele mostrare da Speaker. Scenderò da solo. Potete controllarmi per mezzo del disco comunicatore, e venirmi in aiuto in caso di guai. Speaker, voglio il tuo laser a flash.
Lo kzin brontolò ma gli consegnò l’arma. Gli rimaneva sempre il disintegratore Slaver.
Li guardò, da trecento metri di altezza. Il silenzio reverenziale si mutava in un mormorio di meraviglia. Mille individui alzavano le facce verso Louis Wu, un punto che si staccava nel riquadro dell’immensa finestra del castello. Agitò un braccio, in segno di saluto. Il mormorio si spense di colpo. E ricominciarono i canti. Va meglio di quel che sperassi.
Era musica monotona, su dodici toni: musica sacra, lenta e solenne, caratterizzata dalle ripetizioni di gruppi di note. Priva di armonia. Eppure grandiosa. Un nativo dirigeva il coro, agitando le braccia dal piedestallo situato al centro della piazza. Ma nessuno lo seguiva. Tutti guardavano in alto, verso l’apparizione.
Louis corse al suo volociclo. Voleva eseguire una discesa trionfale. Infatti, lentamente, ieraticamente, si calò sulla piazza, vicino al piedestallo che sorreggeva una specie di altare.
Scese ancora. Louis osservò la testa del direttore del coro, e per poco non mandò il veicolo a fracassarsi contro il piedestallo. Era un cranio rosa, quello che aveva visto. L’unico, nella marea di teste simili a fiori d’oro, di facce coperte di pelo biondo. Il viso del direttore era rasato, come quello di Louis.
Con le palme rivolte in basso, il direttore filò l’ultima nota del canto, poi lo troncò. L’eco del coro risuonò dagli angoli della piazza. Louis scese, accanto al direttore — o al sacerdote? — in silenzio.
Era alto quanto Louis Wu. Troppo alto per essere un nativo. La pelle del viso e del cranio era così pallida da sembrare trasparente. Doveva essersi rasato molte ore prima con un rasoio poco affilato, e gli stava già spuntando una peluria corta e ispida che ombreggiava di grigio il viso.
Si mise a parlare con una nota di biasimo, o perlomeno così sembrava. Il disco di Louis tradusse immediatamente:
— Siete arrivati, finalmente.
— Non sapevamo di essere attesi — rispose Louis Wu con sincerità.
— Tu ti lasci crescere i capelli in testa — disse il prete.
— Ciò mi fa presumere che tu non sia un purosangue, o Ingegnere.
Così stavano le cose! La stirpe degli Ingegneri doveva essere pelata. Oppure… gli Ingegneri usavano la crema depilatoria, o qualcosa di altrettanto sbigativo, per una questione di moda? Il prete assomigliava al ritratto di metallo della sala dei banchetti.
— Il mio sangue non ti riguarda — disse Louis aggirando l’ostacolo. — Siete sulla nostra rotta. Che cosa potere riferirci sulla via da seguire?
Il prete era sconcertato. — Tu chiedi un’informazione a me? Tu, un Ingegnere?
— Non sono un Ingegnere. — Louis teneva la mano sul congegno del campo sonico.
Il prete era confuso. — Allora perché sei parzialmente senza peli? Come fai a volare? Che cosa vuoi? Sei venuto per rubarmi la congregazione?
L’ultima domanda sembrava la più importante. — Siamo diretti alla parete del bordo. Vogliamo informazioni, da voi.
— Le risposte le troverai in Paradiso.
— Non mancarmi di rispetto — disse Louis nello stesso tono.
— Ma sei arrivato direttamente dal Paradiso! Ti ho visto!
— Ah, il castello. Ci siamo passati ma non ci ha detto gran che. Per esempio, gli Ingegneri sono pelati sul serio?
— Qualche volta ho pensato che si radessero, come me. Però il tuo mento sembra pelato per natura.
— Mi depilo. — Louis si guardò attorno, osservando quel mare di facce di fiori d’oro, pieni di rispetto.
— Che cosa credono? Non mi pare che condividano i tuoi dubbi.
— Ci vedono parlare da pari a pari, nel linguaggio degli Ingegneri. Vorrei continuare così, se non ti dispiace. — Ora il prete usava modi più da cospiratore che da nemico.
— Rafforzerà la tua posizione nei loro confronti? Penso di sì — disse Louis. Il prete temeva seriamente di perdere la sua congregazione… come farebbe ogni altro prete, se il suo dio sorgesse in vita cercando di usurpargli il posto. — Sono in grado di capirci?
— Forse una parola su dieci.
— Che cosa era il castello che chiami Paradiso? — domandò.
— La leggenda racconta di Zrillir — rispose il prete, — e del suo sistema di governo su tutti i territori sottostanti il Paradiso. Su questo piedestallo era innalzata la sua statua, a grandezza naturale. Le terre procuravano al Paradiso tutte le cose ghiotte che ti posso elencare, se credi, perché ce ne tramandiamo i nomi a memoria. Oggi non esistono più. Devo dirtele…?
— No, grazie. Che cosa è successo?
Nella voce del nativo si era insinuato un tono cantilenante. Doveva aver udito quel racconto tante volte, raccontarlo ripetutamente a sua volta…
— Il Paradiso è stato creato quando gli Ingegneri hanno costruito il Mondo e l’Arco. Chi governa il Paradiso, governa le terre da un confine all’altro. Zrillir ha governato durante molte vite, lanciando fiamme dal Paradiso quando era contrariato. Poi abbiamo sospettato che Zrillir non potesse più farlo.
«Il popolo ha smesso di obbedirgli, e ha cessato di inviargli il cibo. Ha distrutto la sua statua. Quando gli angeli di Zrillir lanciavano pietre dal Paradiso, la gente si scansava ridendo.
«Un giorno il popolo ha tentato di impossessarsi del Paradiso con le scale mobili. Ma Zrillir ha fatto crollare le scale e i suoi angeli se ne sono andati dal Paradiso su macchine volanti.
«In seguito ci siamo rammaricati della perdita di Zrillir. Il cielo era sempre nuvoloso e le messi crescevano striminzite. Abbiamo pregato affinché Zrillir ritornasse…
— Tu ci credi?
— Abbiamo dovuto smentire ogni cosa, quando sei venuto giù dal Paradiso in volo. Tu mi metti in una posizione molto imbarazzante. Forse Zrillir ha veramente l’intenzione di ritornare, e invia il suo bastardo per liberargli la strada dai falsi preti.
— Potrei rasarmi il cranio. Servirebbe?
— No. Non importa. Rivolgimi pure le domande che vuoi.
— Cosa puoi dirmi sulla fine della civiltà sul Mondo ad Anello?
L’imbarazzo del prete aumentò. — La civiltà sta per cadere?
Louis sospirò e, per la prima volta, osservò l’altare: una modesta costruzione in legno scuro sulla quale era scolpita una mappa in rilievo, con colline, fiume e un lago. I due lati più lunghi si giravano in alto, mentre i più corti formavano la base di un arco parabolico d’oro.
L’oro era ossidato. Ma dalla curva all’apice dell’arco pendeva una sfera d’oro appesa a un filo. Quell’oro era lucidissimo.
— La civiltà è in pericolo? A questo punto siamo arrivati. La tua venuta, il filo del sole… Sta cadendoci il sole addosso?
— Non credo. Vuoi dire che è tutta la mattina che il filo sta cadendo?
— Sì. Mi è stato insegnato che il sole è appeso all’Arco con un filo resistentissimo. Questo filo è forte. Lo sappiamo perché una ragazza ha cercato di raccoglierlo e di sbrogliarlo e il filo le ha tagliato le dita.
Louis fece un cenno negativo col capo. — Non sta cadendo — disse. E fra sé pensò: Nemmeno le zone d’ombra. Anche se si tagliano tutti i fili le ombre non urteranno mai contro il Mondo ad Anello. Gli Ingegneri avrebbero dato loro un afelio orbitale all’interno dell’Anello.
Con poche speranze domandò: — Che cosa sai del sistema di trasporto sul bordo? — E in quel momento comprese che c’era qualcosa di sbagliato. Aveva captato qualcosa che gli dava la percezione del disastro.
Il prete disse: — Ti dispiace ripetermelo?
Louis ripeté la domanda. Il sacerdote corrugò la fronte: — Il tuo aggeggio ha detto qualcos’altro, prima…
— Davvero? — balbettò Louis. E questa volta udì. Il traduttore usava un diverso tono di voce, e parlava in continuazione:
— Stai usando una limitata lunghezza d’onda… proibito… hai violato l’editto numero dodici, interferendo nella manutenzione…
Il disco che Louis teneva nella destra diventò incandescente. Lo lanciò via, più forte che riuscì. Il disco sprigionò violente fiammate sulle pietre della piazza. Louis si guardò la mano ustionata. Il prete stava abbassando la testa, con aria maestosa. Poi scese dal piedestallo, allontanandosi.
Louis manovrò le leve di controllo del volociclo, e si alzò verso la grande porta del Paradiso. Imprecava per la delusione, e per il dolore della bruciatura.
Era deluso soprattutto dal sacerdote, che non ricordava nulla dei costruttori. La sua educazione non-scientifica, inoltre, gli impediva di avere una conoscenza precisa del Mondo ad Anello e della sua civiltà perduta.