Quella notte, mentre si concedeva a lui nel buio, la sentì mormorare: — Ti amo. Vengo con te perché ti amo.
— Anch’io ti amo — rispose lui assonnato ma gentile. Poi comprese e le disse: — Era questo che ti riservavi di dire?
— Mm, mm.
— Mi seguirai per duecento anni-luce perché non resisti al pensiero di lasciarmi andare?
— Aaah! — Teela sbadigliò.
— Camera da letto luce diffusa — fece Louis. La stanza fu invasa da una tenue luce azzurra.
Si distaccarono un istante per occupare ognuno la propria zona-sonno. Per prepararsi al viaggio nello spazio si erano tolti le tinture cosmetiche e avevano disfatto le acconciature dei capelli. Adesso il codino di Louis era liscio e nero, sul grigio cuoio capelluto; i capelli erano tagliati a spazzola. La pelle di tonalità giallo-bruna e gli occhi scuri, leggermente obliqui, trasformavano considerevolmente il suo aspetto.
La metamorfosi di Teela era altrettanto drastica. Portava i capelli annodati dietro la nuca in modo da lasciare il viso scoperto. La pelle aveva il pallore tipico dei nordici. I grandi occhi scuri e la bocca, piccola e seria, dominavano il viso ovale; il naso era tanto minuscolo da passare quasi inosservato.
Si abbandonava al campo-sonno come una macchia di olio sull’acqua, completamente rilassata.
— Tu non sei mai andata oltre la Luna.
Lei fece segno di sì.
— Io non sono il più grande amatore del mondo. L’hai detto tu.
Teela Brown non aveva reticenze. In due giorni e due notti non aveva mai mentito, né velato la verità e tanto meno eluso le domande. Louis doveva immaginarlo. Teela gli aveva parlato dei suoi amori. Louis le aveva raccontato poco delle sue esperienze personali e lei sembrava avere accettato la sua riservatezza. Teela però non aveva segreti. E fu così che le fece la più maledetta delle domande.
— Perché proprio me? — chiese Louis.
— Non lo so — gli confessò. — Che sia un caso di Karma? Tu sei un eroe, lo sai.
Louis era l’unico uomo vivente che avesse avuto i primi contatti con una specie alien. Avrebbe mai dimenticato l’episodio con i Trinocs?
Fece un altro tentativo. — Senti, io conosco il più grande amatore del mondo. È un amico mio. Amare è il suo hobby. Scrive libri su quell’argomento. È laureato in fisiologia e psicologia. Durante gli scorsi trent’anni è stato…
Teela si stava tappando gli orecchi con le mani. — No, piantala — disse.
— Voglio solo che tu non vada a farti ammazzare da qualche parte. Sei troppo giovane.
Lei aveva di nuovo l’aria interrogativa. Le traspariva dagli occhi ogni volta che Louis usava le parole della lingua universale in una successione senza senso. Frustata al cuore? Ammazzata da qualche parte? Louis sospirò tra sé: — Camera da letto-conversazione — disse, e qualcosa accadde nel campo-sonno. Le due zone di equilibrio stabile, che impedivano a Louis e a Teela di cadere al di fuori del campo-sonno, si mossero contemporaneamente e si fusero in una sola. Louis e Teela ne seguirono il movimento scivolando verso il centro del campo. I loro corpi si urtarono, aggrappandosi l’uno all’altro.
— Veramente avevo sonno, Louis. Ma non importa…
— Pensa alla tua intimità prima di lasciarti andare nel paese dei sogni. Il mezzo spaziale è un po’ ristretto.
— Vuoi dire che non potremo fare l’amore? Accidenti, Louis! Non me ne importa niente se ci vedono. Sono alien.
— A me importa.
Lei gli rivolse di nuovo quello sguardo colmo di incomprensione. — Supponi che non siano degli alien. In quel caso faresti obiezioni?
— Un po’, sì.
— Ti stavo parlando del mio amico. Il più grande amatore del mondo. Be’, ha una collega — disse Louis, — che mi ha riferito qualcosa di ciò che le stava insegnando. Ci vuole la gravità — aggiunse. — Campo-sonno. — Riacquistarono il peso.
— Stai cambiando discorso — fece Teela.
— Sì. Ora basta.
— D’accordo, ma tieni bene in mente una cosa. Il tuo amico burattinaio potrebbe avere bisogno di quattro specie diverse, invece di tre. Ti potrebbe capitare un Trinoc al mio posto.
— Che prospettiva orrenda. Ora lo facciamo in tre fasi, partendo da una posizione a gambe divaricate…
— Come?
— Ora ti mostro…
Il mattino dopo Louis si sentiva piuttosto soddisfatto di viaggiare con Teela. Quando il dubbio lo riassalì, era troppo tardi. Sarebbe stato troppo tardi per molto tempo.
Gli Outsiders commerciavano in informazioni. Compravano e vendevano a prezzo alto, ma quello che compravano lo rivendevano a più riprese perché la loro sfera commerciale era l’intera Galassia. Il loro credito presso le banche umane era virtualmente illimitato.
Probabilmente la loro evoluzione aveva avuto origine in qualche immensa e gelida luna di gas. In un mondo molto simile a Nereide, la luna maggiore di Nettuno. Ora vivevano negli spazi interstellari su navi grandi come città, azionate da meccanismi diversi: l’energia a fotoni o motori basati su teorie impossibili per la scienza umana. Se in un sistema planetario esistevano clienti potenziali, gli Outsiders affittavano lo spazio per crearvi i loro centri commerciali, con zone di riposo e di ricreazione, oltre alle aree destinate allo scarico delle merci. Cinquecento anni prima avevano preso in affitto Nereide.
— Credo che sia l’area più vasta del loro commercio — disse Louis Wu. — Laggiù. — Indicò un punto con la mano, tenendo l’altra sui controlli della nave-trasporto.
Nereide era una pianura gelida e rocciosa sotto la luce chiara delle stelle. Il Sole era un grosso punto bianco dal quale scaturiva tanta luce quanto da una luna piena; questa luce illuminava un labirinto di costruzioni emisferiche e uno sciame di piccole navi a razzo per il servizio trasporti dalla Terra all’orbita, con i compartimenti passeggeri che si affacciavano sullo spazio; ma più della metà della pianura era occupata da mura basse disposte in forma regolare.
Speaker-agli-Animali, alle spalle di Louis, chiese: — Mi piacerebbe sapere a che servono. Per difesa, forse?
— Sono aree di riscaldamento — ripose Louis. — Gli Outsiders vivono per mezzo della termoelettricità. Si stendono, con la testa al sole, riparando la coda all’ombra. La differenza di temperatura tra le due estremità produce corrente. Le mura servono per creare maggiori zone d’ombra.
Durante le dieci ore di volo, Nessus si era calmato. Trotterellava intorno al sistema di sopravvivenza, ispezionando qua e là, frugando in ogni angolo con le due teste. Ogni tanto faceva osservazioni o rispondeva alle domande. La sua tuta pressurizzata, un pallone informe fornito di una imbottitura per proteggere la zazzera, aveva l’aria di essere comoda e leggera. Gli involucri che contenevano i generatori d’aria e di cibo erano incredibilmente piccoli.
Prima della partenza aveva regalato loro una specie di momento magico. Tutto ad un tratto, la cabina era stata inondata da una musica meravigliosa, ricca di toni minori, come il richiamo nostalgico di un sex-computer impazzito. Era Nessus che zufolava. Con le gole ricche di nervature e di muscoli che usava al posto delle mani, era un’orchestra ambulante.
Il burattinaio aveva insistito perché fosse Louis a pilotare la nave. La sua fiducia nell’abilità dell’umano era tale che non si era nemmeno allacciato le cinghie di sicurezza. Louis aveva il sospetto che sulla nave esistessero dispositivi di sicurezza segreti.
Speaker era salito a bordo con una stufa a micro-onde, e con un assortimento di cibi crudi probabilmente di origine kzinti. Louis si era aspettato che la tuta pressurizzata dello kzin fosse una specie di armatura medioevale. Invece consisteva in un pallone multiplo, trasparente, con uno zaino incredibilmente pesante e un elmetto a boccia con i controlli della lingua montati all’interno, dall’aria esoterica. Sebbene lo zaino non contenesse armi, sembrava egualmente un’attrezzatura da guerra. Nessus aveva insistito per farglielo lasciare nel deposito.
Lo kzin aveva dormicchiato per la maggior parte del viaggio.
E adesso erano tutti in piedi alle spalle di Louis. — Mi accosterò alla nave Outsider — disse il terrestre.
— No. Portaci verso est. La Long Shot è parcheggiata in un’area isolata.
— A che scopo? Hai paura di essere spiato dagli Outsiders?
— No. La Long Shot ha i motori a fusione invece dei propulsori. Il calore che sprigiona durante il decollo e l’atterraggio disturberà gli Outsiders.
— Perché si chiama Long Shot?
— È il nome che le ha dato Beowulf Shaeffer, l’unico essere senziente che abbia mai guidato questa nave. È stato lui a ritrarre le olografie dell’esplosione del Nucleo.
— Long Shot, Campo Lungo, non è un termine da giocatori d’azzardo?
— Forse non aveva illusioni sul suo ritorno. A proposito, devo dirti che non ho mai pilotato un mezzo spaziale con i motori a fusione. La mia nave viaggia per mezzo di propulsori a non-reazione, come questa.
— Devi imparare — rispose Nessus.
— Aspetta — interloquì Speaker, — io m’intendo di astronavi con motori a fusione. Perciò sarò io a pilotare la Long Shot.
— È impossibile. Il sedile di pilotaggio è disegnato per il corpo umano. I quadri di controllo sono installati secondo l’uso umano.
Lo kzin emise rabbiosi gorgoglii dal profondo della gola.
— Là, Louis. Avanti a noi.
La Long Shot era una sfera trasparente che superava i trecento metri di diametro. Volando in circolo attorno a quel bestione, Louis notò che sulla superficie non esisteva un solo centimetro libero dai macchinari verde-bronzei per il cambio nell’iperspazio. Lo scafo era il modello n. 4 della General Products, facilmente riconoscibile. Veniva generalmente usato per trasportare intere colonie prefabbricate. Non assomigliava a una nave spaziale. Era la copia, enormemente ingrandita, di qualche primitivo satellite orbitale costruito da una razza le cui limitate risorse e la scarsa tecnologia richiedevano che ogni più piccola parte di spazio venisse sfruttata.
— Dove ci posiamo? — s’informò Louis. — In cima alla nave?
— La cabina è nella parte inferiore. Atterra sotto lo scafo.
Louis puntò la nave verso il ghiaccio scuro, planando con cautela sotto la pancia della Long Shot.
Le luci del sistema di sopravvivenza brillavano attraverso l’astronave. Louis vide due stanzette: quella sottostante conteneva a malapena il sedile di pilotaggio, l’indicatore di massa e un banco a ferro di cavallo sul quale erano sistemati gli strumenti. La stanza superiore aveva le medesime dimensioni. Sentì lo kzin salire dietro di lui.
— Interessante — disse lo kzin. — Immagino che Louis vorrà pilotare nello scompartimento di sotto. E noi staremo in quello di sopra.
— Sì. Sistemare tre sedili di pilotaggio in uno spazio così limitato comportava difficoltà considerevoli. Ogni sedile è dotato di un campo statico per la massima sicurezza. Dato che viaggeremo in condizioni di stasi, la mancanza di spazio ha poca importanza.
Lo kzin sbuffò. Louis lo sentì allontanarsi. Aspettò che la nave si stabilizzasse, poi chiuse una serie di interruttori.
— C’è una cosa che voglio puntualizzare — disse. — Teela e io prendiamo in due la paga che Speaker riceve da solo.
— Vuoi un compenso extra?
— Voglio qualcosa che a voi non serve più. Qualcosa che la tua razza ha abbandonato. — Aveva colto il momento adatto per contrattare. Non si illudeva, ma valeva la pena di tentare. — Voglio sapere la posizione precisa del pianeta dei burattinai.
Le teste di Nessus si chinarono, poi si voltarono a guardarsi faccia a faccia. Per un attimo Nessus sgranò gli occhi prima di chiedere: — Per quale ragione?
— Una volta la posizione del tuo mondo era il segreto più ambito di tutto l’universo conosciuto. Perfino la tua specie avrebbe pagato una fortuna per conservare quel segreto — disse Louis. — I cacciatori del Cosmo hanno perlustrato tutte le stelle del tipo G e K nella speranza di trovare il vostro mondo. Anche oggi, Teela e io potremmo vendere l’informazione a una rete informativa per un sacco di quattrini.
— E se si trovasse al di fuori dello spazio conosciuto?
— Eh! — fece Louis. — Il mio insegnante di storia se lo chiedeva in continuazione. L’informazione vale tuttora una bella cifra.
— Prima di partire per la destinazione definitiva — rispose prudentemente Nessus, — conoscerai le coordinate del mondo burattinaio. Sono sicuro che l’informazione ti sorprenderà più di quel che ti aspetti. — Il burattinaio si guardò attentamente negli occhi. Poi si riscosse da quella strana posizione. — Voglio attirare la tua attenzione sulle quattro proiezioni coniche…
— Boh! — Louis aveva già notato i coni con le aperture rivolte verso l’interno della cabina. — Sarebbero questi i motori a fusione?
— Esatto. Come vedrai, questa sfera funziona come una nave spinta da propulsori a non-reazione, ad eccezione del fatto che all’interno non esiste gravità. I nostri disegnatori avevano poco spazio da sfruttare. Quanto al funzionamento del cambio nell’iperspazio al II quantum, voglio metterti in guardia su…
— Ho un’arma allungabile — uscì fuori a dire Speaker. — Vi consiglio la calma.
Ci volle un momento prima che gli altri comprendessero il significato di quelle parole. Louis si voltò, evitando movimenti repentini.
Lo kzin stava in piedi contro la parete curva. In un pugno teneva un oggetto simile all’impugnatura di una corda per saltare. A tre metri dall’impugnatura, che lo kzin reggeva all’altezza degli occhi, brillava una pallina incandescente. Il filo metallico che univa la palla all’impugnatura era troppo sottile per essere visibile, ma Louis non dubitava della sua esistenza. Protetto e teso da un campo statico Slaver, il filo poteva tagliare i metalli compreso quello del sedile di Louis. E lo kzin aveva scelto la posizione ideale per colpire gli altri in qualunque punto della cabina si trovassero.
Ai piedi dello kzin, Louis scorse un quarto di carcassa alien, non bene identificata, che era stata squartata e, naturalmente, spolpata.
— Avrei preferito un’arma più misericordiosa — fece Speaker. — L’ideale sarebbe stato un tramortitore, ma non ho avuto il tempo di procurarmene uno. Louis, tira via le mani dai controlli e mettile dietro lo schienale.
Louis obbedì. Aveva pensato di approfittare della gravità. Ma se ci avesse provato, lo kzin lo avrebbe tagliato in due.
— Adesso, se state calmi, vi dico le mie intenzioni.
Louis stava calcolando le probabilità. La sfera incandescente serviva a indicare a Speaker l’estremità del filo invisibile. Ma se Louis fosse riuscito ad afferrare l’estremità del filo senza rimetterci le dita…
No. La sfera era troppo piccola.
— Mi sembra che i miei motivi siano evidenti — rispose Speaker. I segni neri intorno agli occhi lo facevano somigliare a un bandito dei cartoni animati. Lo kzin non era né troppo teso né troppo rilassato: — Ho l’intenzione di dare al mio mondo il monopolio della Long Shot. Sul suo modello costruiremo altre astronavi che ci daranno la superiorità nella prossima guerra tra gli Uomini e gli Kzin, purché gli uomini non abbiano anche loro il disegno della Long Shot. Vi basta?
— Non ti dovresti preoccupare della nostra destinazione? — osservò Louis in tono sarcastico.
— Non mi preoccupo. — La domanda non aveva fatto presa. Come poteva uno kzin rilevare il sarcasmo? — Spogliatevi, così sarò sicuro che siete disarmati. Poi, ordinerò al burattinaio di indossare la tuta pressurizzata. Ci imbarcheremo noi due sulla Long Shot. Louis e Teela rimarranno qui. Prenderò i loro abiti, i bagagli e le tute. Renderò questa nave inservibile. Gli Outsiders, incuriositi dal fatto che non siete ritornati sulla Terra, verranno in vostro aiuto prima che il sistema di sopravvivenza si esaurisca. Ci siamo capiti?
Louis Wu si sentiva calmo e pronto ad approfittare del primo passo falso dello kzin… Osservò Teela Brown con la coda dell’occhio e si accorse che qualcosa di orribile stava per accadere. Teela si apprestava a balzare sullo kzin.
Speaker l’avrebbe tagliata in due.
Louis voleva fare la prima mossa.
— Non fare pazzie, Louis. Alzati lentamente e mettiti contro la parete. Sarei il primo… aaaah…
La frase di Speaker si perse in un lamento.
Louis si trattenne, colto di sorpresa da qualcosa che non riusciva a capire.
Speaker tirò indietro il testone arancio emettendo uno stridulo miagolio: uno strillo supersonico. Gettò via l’arma, allargando le zampe come per abbracciare l’universo. Il filo tagliente della sua arma-variabile tagliò di netto un serbatoio come se fosse stato di burro, e l’acqua cominciò a riversarsi nella cabina. Speaker non se ne accorse neppure. Non vedeva e non sentiva più.
— Prendi l’arma — disse Nessus.
Louis si avvicinò con cautela, pronto ad abbassarsi di scatto nel caso che l’arma colpisse nella sua direzione. Lo kzin la faceva dondolare quasi con gentilezza. Louis gliela tolse senza fatica. Premette di pulsante e la palla rossa si ritrasse fino all’impugnatura.
— Tienila — disse Nessus. Afferrò con le mandibole l’arma di Speaker e fece sdraiare lo kzin sul sedile di emergenza. Speaker non oppose resistenza: il suo sguardo si perdeva nel vuoto e il viso esprimeva una calma infinita.
— Che è successo? Cosa gli hai fatto?
Speaker, rilassato, fissava lontano facendo le fusa.
— Sta’ attento — disse Nessus. Si allontanò con cautela dal sedile sul quale era disteso lo kzin, mantenendo le due teste rigide, sempre puntate verso Speaker, e senza lasciarlo mai con gli occhi.
Improvvisamente lo sguardo dello kzin si rimise a fuoco spostandosi poi da Louis a Teela, da Teela a Nessus. Speaker emise un sordo brontolio lamentoso e si drizzò a sedere riprendendo di colpo a parlare in lingua universale.
— Molto, molto piacevole. Vorrei… — Troncò la frase e poi ricominciò da capo. — Qualunque cosa tu abbia fatto — disse rivolgendosi al burattinaio, — non riprovarci.
— Ti avevo giudicato un raffinato — gli rispose Nessus. — Ero nel giusto. Soltanto un raffinato ha paura di un tasp.
— Oh! — esclamò Teela.
E Louis: — Un tasp? — disse.
Il burattinaio si rivolse a Speaker-agli-Animali: — Userò il tasp ogni volta che mi costringerai a farlo. Se mi renderai le cose difficili, sarai succubo del tasp. Finché sarà chirurgicamente inserito nel mio corpo, sarai costretto a uccidermi per potertene impossessare. Ma il tasp ti incastrerà ugualmente.
— Molto astuto — disse Speaker. — Tattica brillante, anche se poco ortodossa. Non ti darò più fastidio.
— Maledizione! Qualcuno vuole spiegarmi che diavoleria è un tasp?
L’ignoranza di Louis sembrò sorprendere tutti. Fu Teela a rispondere: — Colpisce il centro del piacere del cervello.
— A distanza?
— Certo. Agisce proprio come una piccola scossa elettrica.
— Sei mai stata colpita da un tasp? Non che siano affari miei, naturalmente.
Lei sorrise davanti a tanta delicatezza. — Sì, so che cosa si prova. Un attimo di… be’, non so trovare la descrizione adatta. Ma non si può usare il tasp su se stessi. Serve solo contro chi non se lo aspetta. La polizia gira nei parchi per pescare i tasp-amatori.
— I vostri tasp — precisò Nessus, — inducono una corrente inferiore al minuto secondo. Il mio è di circa dieci secondi.
L’effetto su Speaker doveva essere stato formidabile. Tuttavia Louis intuiva che ci doveva essere sotto qualcos’altro. — Oh, oh! Questa è bella! Solo un burattinaio poteva circolare con un’arma che benefica i nemici.
— Però solo un raffinato come me poteva spaventarsi di fronte al piacere! Il burattinaio ha perfettamente ragione — disse Speaker. — Non si arrischierebbe a usare di nuovo il tasp. Mi piacerebbe tanto da trasformarmi in uno schiavo volontario. Io, uno kzin, schiavo di un erbivoro!
— Saliamo sulla Long Shot - disse Nessus con aria maestosa. — Abbiamo perso troppo tempo con le trivialità.
Louis fu il primo a salire.
Sentiva una gran voglia di fare qualche passo di danza sulla superficie rocciosa di Nereide. Non se ne sorprese. Sapeva come muoversi quando si trovava in un ambiente di bassa gravità. Il suo cervelietto gli suggeriva che, una volta messo piede nella camera di equilibrio della Long Shot, la gravità avrebbe subito una variazione. La gravità, invece, c’era e Louis incespicò. Per poco non cadde.
La cabina era semplice: piena di spigoli, ottimi per urtarci gomiti e ginocchia. Era sovraccarica di strumenti. I quadri di controllo erano sistemati alla bell’e meglio.
Però, più che semplice, la cabina era piccola. Al momento della costruzione della Long Shot, vi era stata indotta la gravità. I macchinari erano tanti. A malapena c’era il posto per il sedile di pilotaggio.
Louis si fece piccolo per entrare in quello spazio. Aprì l’arma dello kzin facendo uscire due metri di filo metallico.
Speaker salì muovendosi lentamente, in uno stato di semiincoscienza. Si arrampicò oltre la cabina di Louis, fino allo scomparto superiore che in origine doveva essere la sala ricreativa per l’unico pilota dell’astronave. Le attrezzature per la ginnastica e lo schermo di lettura erano stati sostituiti da tre sedili di emergenza. Speaker si arrampicò sul primo sedile.
Louis lo seguì, lungo la scaletta, reggendosi con una sola mano. Teneva bene in vista, con noncuranza, l’arma allungabile. Richiuse la calotta sul sedile dello kzin, e fece scattare un interruttore.
Il sedile si trasformò in un uovo dalla superficie a specchi. All’interno, il tempo sarebbe rimasto immutabile finché Louis non avesse disinserito il campo statico. Se la nave fosse entrata in collisione con un asteroide anti-materia, lo scafo si sarebbe dissolto in vapore ionizzato; ma il sedile non avrebbe perduto le sue rifiniture di specchi.
Louis si rilassò. La faccenda si era svolta come una danza rituale; ma lo scopo non aveva niente di irreale. Lo kzin aveva le sue buone ragioni per impossessarsi dell’astronave. Il tasp non aveva cambiato le sue intenzioni. Non si doveva permettere a Speaker di avere un’altra opportunità.
Louis ritornò alla cabina di pilotaggio. Mise in funzione il circuito interfonico tra le cabine: — Entrate — ordinò. Poco più di cento ore più tardi, erano già oltre il sistema solare.