PUGNO-DI-DIO

Avevano planato in una zona isolata della regione selvaggia, attorniata da basse colline. I rilievi celavano il finto orizzonte e la luce del giorno smorzava lo splendore dell’Arco. Il panorama era simile a quello di un qualunque mondo umano. L’erba non era proprio erba, però era verde e formava un tappeto soffice. C’erano terriccio e roccia, e cespugli ricchi di un verde fogliame che si contorcevano tutti sulla loro destra.

La vegetazione, come Louis aveva già osservato, era paurosamente simile a quella terrestre. Le fratte erano al punto giusto e le radure erano dove avrebbero dovuto trovarsi delle radure. Secondo gli strumenti dei volocicli le piante erano di tipo terrestre anche dal punto di vista molecolare. Poiché Louis e Speaker discendevano da un qualche virus dell’antichità, gli alberi di questo mondo avrebbero potuto chiamarli fratelli.

Un albero gigantesco si era sviluppato su un angolo di quarantacinque gradi, con una corona di foglie ricadenti verso un solo lato. Le radici rispuntavano dal suolo e ricrescevano verso il cielo, formando un altro angolo di quarantacinque gradi… Louis aveva visto qualcosa di simile su Gummidgy; ma questa serie di triangoli era di un verde brillante e la corteccia era bruna: i colori della vita sulla Terra. Louis le battezzò radici a gomito.

Nessus si aggirava nel breve tratto di foreste raccogliendo piante e insetti per analizzarli poi nel laboratorio. Indossava la sua vacuum-tuta, un pallone trasparente con tre stivali e due specie di guanti applicabili alla bocca. Non c’era niente sul Mondo ad Anello che potesse attaccarlo senza prima lacerare quello schermo protettivo, nessun animale predatore e nessun insetto, e neppure un granello di polline o la spora di un fungo oppure una molecola di virus.

Teela Brown inforcava ancora il suo volociclo, con le mani leggermente appoggiate sui controlli. Gli angoli della bocca erano lievemente rialzati. Riusciva a mantenersi in equilibrio nonostante l’accelerazione del volociclo, rilassata ma all’erta, mettendo in risalto le linee sinuose del corpo, come in posa per una fotografia artistica. I suoi occhi verdi guardavano attraverso Louis e la barriera di colline per cercare l’infinito sull’orizzonte astratto dell’Anello.

— Non capisco — disse Speaker. — Si può sapere qual è il problema? Non dorme ma è in un curioso stato di incoscienza.

— Ipnosi da rotta — disse Louis Wu. — Ne verrà fuori da sola.

— Allora non è in pericolo?

— Adesso no. Temevo che cadesse dal veicolo, o che facesse qualche pazzia con le leve dei comandi. A terra è abbastanza al sicuro.

— Perché non si interessa a noi?

Louis si sforzò di spiegarglielo.


Nella cintura di asteroidi del Sole gli uomini trascorrono metà della loro vita pilotando fra le rocce le navi monoposto. Cercano le loro posizioni riferendosi alle stelle. Per ore e ore un minatore della Cintura osserva le stelle: gli archi guizzanti provocati dai motori a fusione, le deboli luci vaganti degli asteroidi più vicini, e i punti fissi rappresentati dalle stelle e dalle galassie. In mezzo a tanto splendore un uomo può perdere la sua anima. Solo più tardi comprende ciò che ha fatto il suo corpo, agendo in sua vece, e guidando la nave mentre la mente vagava in reami indimenticabili. È lo sguardo lontano. È pericoloso. Non sempre l’anima di un uomo fa ritorno.

Sul vasto altipiano di Mount Lookitthat, un uomo si ferma sull’orlo che si affaccia nel vuoto e guarda giù, verso l’infinito. La montagna è alta soltanto quaranta miglia; ma l’occhio umano, seguendo il fianco frastagliato della montagna, trova l’infinito nella spessa bruma che occulta la base del monte.

Il vuoto brumoso è bianco, informe, compatto. Si estende immutabile dal fianco rugoso del monte sino all’orizzonte del mondo. Il vuoto può ghermire la mente dell’uomo e prenderne possesso, lasciandolo agghiacciato ed estatico al confine dell’eternità finché non arrivi qualcuno a staccarlo. È quello che tutti chiamano trance dell’Altopiano.

Poi c’è l’orizzonte del Mondo ad Anello…

— Ma è tutta auto-ipnosi — disse Louis. Guardò la ragazza negli occhi. Lei si agitava senza posa. — Probabilmente dovrei portarla via di qua, ma perché correre rischi? Lasciatela dormire.

— Io non capisco l’ipnosi — disse Speaker. — So che cos’è ma non la capisco.

Louis sorrise: — Non mi sorprende. Gli Kzin non sono buoni soggetti per l’ipnosi. E nemmeno i burattinai. — Nessus aveva smesso di collezionare i campioni di vita alien e si era unito silenziosamente a loro. — Cos’hai scoperto su quelle piante?

— Si avvicinano molto alla vita della Terra — rispose il burattinaio. — Eppure sono diverse, più di quanto non sembri.

— Una maggiore evoluzione, intendi dire?

— Forse. E poi, sull’Anello, una forma di vita differenziata trova uno spazio maggiore per crescere. Il punto importante è che le piante e gli insetti sono abbastanza simili per attaccarci.

— E viceversa?

— Oh, sì. Qualche forma è commestibile per me. Altre serviranno a riempire la pancia a voi. Dovrete analizzarle individualmente, prima di tutto per controllare se sono velenose e poi per provarne il sapore. Però la cucina del tuo volociclo può usare tranquillamente tutte le piante che troviamo.

— Quindi non moriremo di fame.

— È l’unico vantaggio che abbiamo, e non ci compensa certo del pericolo. Se i nostri tecnici avessero provveduto a imballare a bordo della Liar un’esca per i germi stellari!

— Un’esca per i germi delle stelle?

— Un congegno inventato migliaia di anni fa. Stimola nel sole locale l’emissione di segnali elettromagnetici che attraggono i semi delle stelle. Se avessimo un aggeggio come quello potremmo attrarre verso questo astro i semi stellari, e poi trasmettere i nostri problemi a qualsiasi nave Outsider che lo segue.

— Ma i semi stellari viaggiano alla velocità della luce. Ci vorrebbero degli anni.

— Per quanto a lungo si debba aspettare, non possiamo rinunciare alla sicurezza della nave!

— E per te questa sarebbe una vita interessante? — sbuffò Louis. Gettò un’occhiata a Speaker incontrandone lo sguardo.

Speaker-agli-Animali, raggomitolato per terra poco distante, fissava un punto dietro le sue spalle, ridacchiando come il Gatto di Alice nel Paese delle Meraviglie; poi si alzò con un gesto apparentemente indolente, e con un balzo si dileguò in mezzo agli arbusti.

Louis si voltò a guardare in quella direzione. Sapeva che doveva essere successo qualcosa di importante. Ma che cosa? E perché? Diede una scrollata di spalle.

Teela, sempre a cavalcioni sul sedile sagomato del suo volociclo, sembrò animarsi per l’accelerazione… come se stesse ancora volando. Louis ricordò le rare volte durante le quali era stato ipnotizzato da un terapista. Era come recitare una parte. Rincuorato dalla rosea assenza della responsabilità, sapeva che tutto ciò che stava facendo con l’ipnotizzatore non era altro che un gioco che si poteva interrompere in qualunque momento. Ma per una ragione o per l’altra non l’aveva mai fatto.

Tutto a un tratto gli occhi di Teela ripresero vita. Scosse la testa, poi si voltò: — Louis! Come siamo scesi a terra?

— Nel solito modo.

Gli porse le braccia come fa un bambino in cima a un muro. Louis l’afferrò alla vita e la fece scivolare giù dal volociclo. Il contatto della ragazza gli diede la scossa lungo la spina dorsale, e il calore cominciò a salirgli all’inguine e al plesso solare. Lasciò le mani dove si trovavano.

— Ricordo solo che eravamo in aria, a un miglio di altezza — disse Teela.

— D’ora in avanti, tieni gli occhi lontani dall’orizzonte.

— Che cosa ho fatto, mi sono addormentata sul volociclo? — rise lei scuotendo la testa. I capelli le si agitarono come una soffice nuvola. — E voi, tutti spaventati! Mi dispiace, Louis. Dov’è Speaker?

— A caccia di un coniglio — disse Louis. — Ehi! Perché non ci alleniamo un po’, visto che ne abbiamo l’occasione?

— Che ne dici di una passeggiata nei boschi?

— Ottima idea. — I suoi occhi incontrarono quelli di lei ed entrambi capirono di aver letto il pensiero l’uno dell’altro. Pescò nel bagagliaio del volociclo e tirò fuori una coperta di lana. — Pronto.

— Mi sorprendete — disse Nessus. — Nessuna specie intelligente conosciuta si accoppia tanto spesso come fate voi. Andate, dunque. State attenti a dove vi sedete. Ricordatevi che siete in mezzo a forme di vita sconosciute.


— Lo sapevi — disse Louis, — che una volta la parola nudo aveva lo stesso significato di indifeso?

Togliendosi gli abiti gli sembrava di spogliarsi anche della sua incolumità. L’Anello aveva una sfera biologica attiva e matura, con insetti e batteri e altre cose fornite di denti per mangiare carne protoplasmica.

— No — rispose Teela. Rimase nuda sulla coperta e stirò le braccia contro il sole. — Si sta bene. Sai che, di giorno, non ti avevi mai visto nudo?

— Nemmeno io. Dovrei aggiungere che sei maledettamente bella. Qui, ti faccio vedere qualcosa. — Sollevò una mano verso il petto: — Accidenti…

— Io non vedo niente.

— Non c’è più. Ecco il guaio della droga stimolante. Ho poca memoria. Le cicatrici spariscono e dopo un po’… — Si tracciò una riga attraverso il torace, ma non trovò niente. — Un cercatore di Gummidgy mi ha fatto uno squarcio dalla spalla all’ombelico. Se avesse fatto un altro passo avanti mi avrebbe spaccato in due. Ma prima ha deciso di inghiottire il pezzo del mio corpo che si era preso. Dovevo essere avvelenato, per lui, perché si arrotolò come una palla urlante e morì. — Si guardò il petto: — Non c’è rimasto niente, neanche un segno.

— Povero Louis. Non ho segni nemmeno io.

— Ma tu sei un’anomalia statistica. E poi hai solo vent’anni…

— Ah.

— Mmm. Sei morbida.

— Altre memorie perdute?

— Ho fatto un errore, una volta, con un raggio da scavi… — Le guidò la mano.

Subito dopo si girò sulla schiena e Teela si irrigidì quando lui le sfiorò le cosce. Si guardarono per un lungo, ardente e incomparabile istante prima di incominciare a muoversi.

Quando la donna è in preda all’orgasmo crescente sembra che risplenda di una gloria angelica…

… Qualcosa della dimensione di un coniglio balzò fuori dagli alberi e sgambettò sul petto di Louis scomparendo nel sottobosco. Un istante dopo apparve Speaker-agli-Animali. — Scusatemi — fece lo kzin, e sparì dietro la pista calda.


Quando fecero ritorno ai volocicli, il pelo intorno alla bocca di Speaker era macchiato di rosso. — È la prima volta in vita mia — dichiarò con calma soddisfazione, — che vado a caccia usando come arma niente altro che i denti e gli artigli.

— È l’ora di discutere il problema dei nativi — disse Nessus.

Teela li guardò meravigliata. — Nativi?

Louis le spiegò.

— Ma perché siamo scappati? Come potevano farci del male? Erano proprio umani?

Louis rispose all’ultima domanda, quella che lo infastidiva di più. — Non vedo come possano esserlo. Che cosa ci sta a fare un uomo tanto lontano dallo spazio umano?

— Non c’è alcun dubbio — interloquì Speaker. — Fidati dei tuoi sensi, Louis. Forse scopriremo che la loro razza si differenzia dalla tua o da quella di Teela. Ma sono umani.

— Come puoi esserne tanto sicuro?

— Per il loro odore. L’ho sentito quando abbiamo disinserito il campo sonico. Era l’odore di una moltitudine di esseri umani. Fidati del mio naso, Louis.

Louis accettò il suo giudizio. Un naso kzinti era il naso di un carnivoro cacciatore.

— Che si tratti di evoluzione parallela? — suggerì.

— Sciocchezze — disse Nessus.

— Giusto. — La figura umana era adatta come creatore di attrezzi, ma poteva adattarsi anche ad altre configurazioni. Le menti si sviluppano in qualsiasi genere di corpo.

— Stiamo perdendo tempo — disse Speaker. — Il problema non è sapere come sono arrivati gli uomini fin qui, ma come prendere i primi contatti. Per noi qualunque contatto sarà il primo.

Louis si rese conto che aveva ragione. I volocicli si spostavano più velocemente di qualsiasi servizio di trasmissione informativa in possesso dei nativi. A meno che non avessero semafori…

— Dobbiamo sapere qualcosa — proseguì Speaker, — sul comportamento degli umani allo stato selvaggio. Louis? Teela?

— Io conosco un po’ di antropologia — fece Louis.

— Allora, quando ci metteremo in contatto, parlerai tu in nostro nome. Speriamo che il nostro auto-pilota faccia una buona traduzione.

Avevano l’impressione di essere in aria da pochi minuti, quando la foresta lasciò il passo al terreno coltivato. Pochi istanti dopo, Teela avvistò la città.

Aveva le caratteristiche di un’antica città terrestre. C’erano molti larghi edifici di pochi piani, addensati l’uno accanto all’altro in una massa continua. Alcune torri alte e snelle si ergevano al di sopra dell’agglomerato di case ed erano unite tra di loro per mezzo di rampe tornanti che dovevano servire per le auto da superficie. Quella non era certamente una caratteristica terrestre. Sulla Terra, le città di quell’epoca avevano gli eliporti.

— Scommetto che è vuota — disse Louis.

Si trattava di una supposizione, ma era giusta. Se ne accorsero non appena la sorvolarono. Ai suoi tempi, la città doveva essere stata di una bellezza straordinaria. Molti palazzi non aveva le fondamenta basate sul suolo ma rimanevano sospesi in aria, congiunti alla terra e agli altri edifici per mezzo di scale e piloni ad ascensore. Senza peso di gravità, liberi da restrizioni orizzontali e verticali, questi castelli di sogno fluttuanti nell’aria avevano una grande varietà di dimensioni e di forme.

Ora i volocicli stavano volando sopra delle macerie. Gli edifici sospesi in aria erano crollati sulle case più in basso, ridotti in uno sbriciolamento di mattoni, vetri e acciaio fatto a pezzi, scalinate contorte e torri per gli ascensori che ancora si ergevano nell’aria.

Ancora una volta Louis si domandò chi fossero gli abitanti. I tecnici umani non avrebbero costruito castelli in aria; erano troppo attaccati alla sicurezza.

— Devono essere caduti tutti in una volta — disse Nessus. — Non vedo segni di riparazioni, neanche un tentativo. Una mancanza di energia, senza dubbio. Speaker, gli Kzin farebbero delle costruzioni così pazzesche?

— Noi non siamo degli appassionati delle altezze. Forse gli umani sì, se avessero disprezzato la loro vita.

— La droga per ringiovanire — esclamò Louis. — Ecco la risposta. Non avevano la droga.

— Sì, questo fatto poteva renderli più incoscienti. Può darsi che avessero da proteggere una vita più breve — congetturò il burattinaio. — È di cattivo presagio, non vi pare? Se si preoccupano tanto poco della propria vita, figuriamoci della nostra.

— Ti stai fasciando la testa ancor prima di averla rotta.

— Lo verremo a sapere anche troppo presto. Speaker, vedi l’ultimo palazzo, quello color crema e con le finestre rotte?

Lo avevano superato in volo, mentre il burattinaio stava parlando. Louis, al quale era toccato il turno di pilotaggio, fece un giro su se stesso per dare un’altra occhiata.

— Avevo ragione. Vedi, Speaker? C’è del fumo.

La costruzione era una colonna a torciglione artisticamente scolpita, alta venti piani, con file di finestre ovali dalle quali uscivano nel vento gli sbuffi di un fumo grigio e denso.

La torre era circondata da altre case di un piano o due demolite da un rullo cilindrico che sembrava dover essere precipitato dal cielo.

Dietro la torre si intravedevano i rettangoli di terra coltivata. Al momento dell’atterraggio dei volocicli, alcune figure umanoidi si precipitarono di corsa dai campi all’interno della torre.

Macerie. Niente si era salvato. La mancanza di energia, con i disastri che ne erano conseguiti, doveva essersi verificata durante le generazioni passate. Poi, erano sopraggiunti il vandalismo, la pioggia e tutte le corrosioni provocate da inferiori forme di vita, l’ossidazione dei metalli e qualcosa d’altro. Qualcosa che nella preistoria della Terra aveva lasciato tumuli e villaggi per la gioia dei futuri archeologi.

Dopo la caduta dell’energia, gli abitanti non avevano restaurato la città, ma non l’avevano abbandonata. Erano rimasti lì a vivere in mezzo alle rovine.

I loro rifiuti si erano accumulati.

Immondizie. Scatole vuote. Polvere. Avanzi di cibo, ossa e foglie. Utensili rotti. La sporcizia era ammonticchiata perché la gente era troppo pigra o troppo oberata dal lavoro per avere il tempo di eliminarla.

Quella che in origine doveva essere l’entrata della torre era già seppellita dall’immondizia, tanto si era alzato il livello del suolo. Quando i volocicli si posarono su quell’ammasso di sporcizia, cinque umanoidi oltrepassarono a grandi passi e con grande dignità una finestra del secondo piano.

Era una doppia finestra panoramica abbastanza larga per una processione di quel genere. Il davanzale e l’architrave erano decorati con quaranta teschi apparentemente umani.

Gli indigeni giunsero vicino ai veicoli. Esitarono, visibilmente dubbiosi su chi dovesse prendere l’iniziativa. Il loro aspetto era umano, ma non in maniera assoluta.

Erano di statura più bassa di Louis Wu. La pelle appariva chiarissima, di un bianco quasi evanescente. Avevano torsi piuttosto corti e gambe lunghe. Camminavano con le braccia piegate tutti alla medesima maniera; avevano dita eccezionalmente lunghe e sottili. I loro capelli erano ancora più straordinari delle mani. Tutti e cinque i dignitari avevano chiome biondo cenere della stessa tonalità. I capelli erano lunghi e le barbe ricoprivano completamente il viso ad eccezione degli occhi.

— Che tipi irsuti - sussurrò Teela.

— Rimanete sui vostri veicoli — ordinò Speaker a bassa voce. — Aspettate che ci raggiungano. Poi smontate. Immagino che tutti abbiamo i dischi di comunicazione, vero?

Louis applicò il suo sul lato interno del polso sinistro. I dischi erano collegati all’auto-pilota a bordo della Liar. Funzionavano a una distanza anche superiore a quella e l’autopilota della nave era in grado di tradurre qualunque nuovo linguaggio.

Ma non c’era modo di controllare quei maledetti aggeggi se non mettendoli alla prova. E c’erano quei teschi…

Altri nativi si stavano riversando nell’area dell’ex-parcheggio. Molti di loro si mostravano esitanti di fronte a quella specie di confronto-tra-progressi, e si affollavano in circolo. Una folla normale si sarebbe persa in congetture, scommesse e discussioni. Questa, invece, era immersa in un silenzio innaturale.

Forse fu proprio la presenza di un uditorio che spinse i dignitari a prendere una decisione. Per il primo approccio scelsero Louis Wu.

Quattro di loro indossavano abiti informi di un marrone stinto; l’abito del quinto, invece, pur essendo tagliato alla stessa maniera degli altri e forse anche dello stesso tessuto lanoso, era di un color rosa sbiadito.

Fu il più magro di tutti a parlare. Il tatuaggio di un uccello azzurro gli ornava il dorso di una mano.

Louis rispose.

L’uomo dalla mano tatuata fece un discorso di poche parole. Era una fortuna. L’auto-pilota probabilmente aveva bisogno di dati prima di essere in grado di farne la traduzione.

Louis rispose.

L’uomo parlò di nuovo. I suoi quattro compagni si mantenevano in un dignitoso silenzio.

Ben presto i dischi completarono parole e frasi…

— Abbiamo chiamato la montagna Pugno-di-Dio. — L’indigeno stava puntando il dito direttamente in direzione delle stelle. — Perché? E perché no, per favore, Ingegnere?

Louis ascoltò e imparò. L’auto-pilota era un traduttore ineccepibile. A poco a poco venne fuori il quadro di un villaggio agricolo, la cui vita si svolgeva tra le rovine di quella che un tempo era stata una città possente…

— È vero, Zignamuclickclick non è più larga e lunga quanto era una volta. Però le nostre dimore sono migliori di quelle che potremmo fare noi. Anche se un tetto è aperto al cielo, il pavimento rimane asciutto durante un breve acquazzone. Gli edifici si possono riscaldare con facilità. Si possono difendere bene in caso di guerra, ed è difficile raderli al suolo incendiandoli. Perciò, Ingegnere, anche se al mattino andiamo a lavorare i campi, di notte facciamo ritorno alle nostre dimore ai confini di Zignamuclickclick. Perché affaticarci a costruire nuove case quando quelle antiche ci servono di più?

Due alien spaventosi e due quasi-umani, sbarbati e altissimi; quattro uccelli di metallo e senza ali che facevano discorsi inarticolati e sentivano per mezzo di dischi metallici… non c’era da meravigliarsi se i nativi li avevano presi per i costruttori del Mondo ad Anello. Louis non fece nulla per correggere tale impressione. Ci sarebbero voluti giorni interi per spiegare quale era la loro provenienza; e la squadra si trovava lì per imparare e non per insegnare.

«Questa torre, Ingegnere, è la sede del governo. Qui governiamo più di mille persone. Potremmo erigere un palazzo più bello di questa torre? Abbiamo sprangato i piani superiori per mantenere calda la parte che usiamo. Una volta difendevamo la torre facendo cadere le pietre dai piani superiori. Ricordo che il problema più grave era rappresentato dalla paura di stare in alto… Tuttavia desideriamo che ritornino i giorni del miracolo, quando migliaia di persone abitavano questa città e gli edifici rimanevano sospesi in aria. Noi speriamo nella vostra decisione di fare ritornare quei bei tempi. Forse ti degnerai di dirci se è vero?

— È abbastanza vero — disse Louis.

— Ritorneranno i vecchi tempi?

Louis diede una risposta sperando che non fosse troppo impegnativa. Sentì la delusione dell’altro o forse l’immaginò.

L’umanoide modulava la voce come se stesse recitando poesie. L’auto-pilota traduceva le parole pronunciate da Louis nello stesso tono cantante. Louis riusciva a sentire anche gli altri dischi traduttori, uno che parlava dolcemente nella lingua burattinaia, mentre l’altro brontolava arrotando la erre nella Lingua dell’Eroe.

Louis fece alcune domande…

— No, Ingegnere, non siano gente assetata di sangue. I teschi? Basta passeggiare per Zignamuclickclick per trovarseli sotto i piedi. A quanto si racconta, sono rimasti lì dal tempo della caduta della città. Li usiamo per il loro significato simbolico. — Il portavoce alzò solennemente la mano voltando verso Louis il dorso con l’uccello tatuato.

E tutti i presenti gridarono una parola intraducibile. Era la prima volta che qualcun altro parlava, oltre il portavoce. A Louis era sfuggito qualcosa, e lo sapeva.

— Mostraci un miracolo — stava dicendo il portavoce. — Non abbiamo dubbi sul vostro potere. Ma può darsi che non passiate mai più da queste parti. Vorremmo un ricordo da tramandare ai nostri figli.

Louis si mise a riflettere. Avevano già volato come gli uccelli; era un giochetto che non avrebbe fatto alcun effetto una seconda volta. Che dire della manna che cadeva dalle scanalature della cucina automatica? Poteva causare allergie per certi cibi. La differenza tra cibo e immondizia era soltanto una questione culturale. C’era chi mangiava le locuste col miele e chi lumache arrostite alla griglia; ciò che da qualcuno era considerato formaggio per un altro poteva essere latte andato a male. No, era meglio non tentare… E il laser a raggi intermittenti?

Mentre Louis stava cercando nel bagagliaio del suo volociclo, il margine della prima ombra sfiorò il bordo del sole. Con l’oscurità, la dimostrazione avrebbe suscitato un’impressione più forte.

Louis puntò l’arma verso l’alto. Il bersaglio era una sagoma che sporgeva dal tetto della torre. Sembrava un grondone surreale. Il pollice di Louis scattò, e il grondone risplendette di luce viola. L’indice si sollevò e il raggio si restrinse fino a diventare una matita di luce verde. Sul grondone germogliò un ardente nucleo bianco.

Si aspettava un applauso.

— Tu combatti con la luce — disse l’uomo dalla mano tatuata. — È proibito.

La folla urlò e poi ripiombò in un silenzio improvviso.

— Non lo sapevamo.

— Non lo sapevate? E come è possibile? Non avete innalzato l’Arco a simbolo della Convenzione Sociale con l’Uomo?

— Quale arco?

Anche se il suo viso era nascosto dai capelli, lo sbalordimento dell’uomo era evidente.

— L’Arco sul mondo, o Costruttore!

Fu allora che Louis capì. E cominciò a ridere.

L’uomo capelluto gli sferrò un pugno sul naso.

Il colpo fu leggero, perché l’uomo era esile e le sue mani delicate. Ma gli fece male.

Louis non era avvezzo al dolore fisico. La gente del suo secolo non aveva mai provato un dolore più forte di quello provocato da un pestone su un piede, perché si faceva un larghissimo uso di anestetici e l’ausilio dei medici era anche troppo facilmente reperibile. La pratica degli sport come la lotta, il karaté, lo judo, lo jujitsu e il pugilato era stata messa al bando da molto tempo. Louis sapeva affrontare la morte ma non il dolore. Urlò, lasciando cadere il laser.

Il pubblico cominciò ad ammassarsi. Duecento umanoidi infuriati si trasformarono in dèmoni scatenati.

L’uomo che fungeva da portavoce aveva avvinghiato Louis Wu, immobilizzandolo con una forza isterica. Louis si liberò dalla stretta scattando freneticamente in avanti. Si trovava già a cavalcioni sul suo volociclo, con le mani sulla leva per il decollo, quando la ragione prevalse.

Gli altri volocicli dipendevano da lui. Se se la fosse svignata, i volocicli lo avrebbero seguito con o senza i loro passeggeri.

Teela Brown era già in aria. Assisteva alla lotta, con le sopracciglia corrugate dall’apprensione. Non le passava neanche per la mente di offrire il suo aiuto.

Speaker si agitava all’impazzata. Aveva già atterato mezza dozzina di nemici. Mentre Louis lo osservava, lo kzin brandì il suo laser a flash e colpì il cranio di un indigeno.

Gli uomini irsuti si affollarono intorno a lui e lo circondarono, indecisi sul da farsi.

Molte mani dalle lunghe dita tentavano di strappare Louis dal suo sedile. Stavano per sopraffarlo, benché Louis si aggrappasse al sedile con le mani e con le ginocchia. Di colpo gli venne in mente di inserire il campo sonico.

I nativi strillarono quando si sentirono spazzare via. Qualcuno di loro era ancora aggrappato alla sua schiena.

Louis lo spinse con forza lasciandolo cadere, staccò il campo sonico per poi reinserirlo nuovamente per buttarlo fuori.

Nessus, intanto, tentava di raggiungere il suo veicolo. I nativi sembravano temere la sua struttura fisica. Un solo umanoide gli sbarrava la strada, armato di una spranga strappata da qualche vecchio macchinario. Nessus si tirò indietro, nell’attimo in cui l’indigeno faceva calare la spranga.

Louis aprì la bocca per gridare. Poi osservò, in silenzio.

Il burattinaio si voltò in direzione del suo volociclo. Nessun indigeno tentò di fermarlo. Ma lo zoccolo posteriore di Nessus lasciava impronte di sangue sulla sporcizia indurita.

Speaker ebbe un gesto da umano, non da kzin: sputò ai piedi dei nativi. Poi balzò sul suo veicolo, tenendo il laser con la mano sinistra. Era insanguinato.

L’umanoide che aveva aggredito Nessus giaceva in una pozza di sangue. Louis guardò verso l’alto. Il burattinaio era già in volo. Louis si alzò, e vide che Speaker stava sparando con il laser a flash.

— Vieni con noi — gli gridò. — Non possono più farci del male.

— Possono usare il tuo laser — disse lo kzin.

— Non possono. Per loro è tabù.

Speaker ripose l’arma. Louis tirò un sospiro di sollievo. Si era aspettato che lo kzin spianasse la città. — Come si è creato un tabù del genere? Una guerra con armi a energia?

— Oppure un bandito armato dell’unico cannone laser esistente sull’Anello. Peccato che non possiamo chiederlo a nessuno.

— Ti sta sanguinando il naso.

Ora che ci pensava, il naso gli dava acutissime fitte. Mise in funzione il circuito che collegava il suo volociclo a quello di Speaker e si dispose a farsi una medicazione.

Sotto di loro, alla periferia di Zignamuclickclick, pullulava una folla pronta a linciarli.

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