E IL SUO EQUIPAGGIO ETEROGENEO

Louis Wu conosceva diverse persone che, quando si servivano delle cabine-transfert, chiudevano gli occhi. Il salto improvviso nella scena della vita procurava loro un senso di vertigine. Secondo Louis erano tutte sciocchezze; aveva qualche amico ancora più strano.

Tenne gli occhi ben aperti e compose il numero. Gli alien che lo stavano osservando scomparvero. Qualcuno gridò: — Ehi! È ritornato!

La folla si accalcò alla porta. Louis dovette spingere con forza per aprirla. — Maledetti pazzi, tutti quanti! Nessuno se n’è andato a casa? — Allargò le braccia, e li spinse con forza per farsi strada, come uno spazzaneve. — Sgomberate, cafoni! Stanno arrivando altri ospiti!

— Magnifico! — gli strepitò una voce negli orecchi. Mani anomime cercarono di afferrare la sua infilandogli tra le dita un bicchiere a bulbo. Louis abbracciò sette o otto invitati sorridendo al loro benvenuto.

Louis Wu. Visto da lontano aveva l’aspetto di un orientale dalla pelle gialla e i capelli bianchi. Il ricco mantello blu era drappeggiato con una tale noncuranza che sembrava ostacolargli i movimenti.

Ma da vicino era tutto un trucco. La pelle non era bruno giallastra, ma aveva un caldo colore giallo cromo, il colore di un fumetto Fu Manchu. Il codino era troppo grosso, non canuto per l’età, ma di un bianco purissimo con un tocco sublimale di blu, il colore di una stella nana. Come usavano tutti i cittadini di quel mondo uniforme, anche Louis Wu si truccava con i colori cosmetici.

Uno della massa. Lo si vedeva a prima vista. I suoi lineamenti non erano né caucasici né negroidi e neppure mongoloidi, pur conservando le tracce di tutte e tre le razze: una semplice mescolanza di quelle caratteristiche acquisita col passare dei secoli. Afferrò il bicchiere a bulbo sorridendo ai suoi ospiti. Il suo sguardo incontrò un paio di occhi d’argento a pochi centimetri dai suoi.

Una certa Teela Brown gli era finita, non si sa come, naso contro naso, petto contro petto. La sua pelle azzurra era ricoperta da una reticella di fili argentei; l’ondeggiante acconciatura lanciava fiamme come un falò. Le sue pupille erano specchi convessi. Aveva vent’anni. Louis aveva già chiacchierato con lei; era una conservatrice superficiale, piena di clichés e facile agli entusiasmi. Però, molto carina.

— Volevo chiederti — gli disse, — come sei riuscito a fare venire qui un Trinoc.

— Non dirmi che è ancora qui.

— No. È stato costretto a ritornare a casa perché gli si stava esaurendo l’aria.

— Una bugiola innocente — l’informò Louis. — I generatori d’aria dei Trinocs durano per settimane. Be’, se vuoi saperlo, una volta questo Trinoc è stato mio ospite e mio prigioniero per un paio di settimane. La sua nave, insieme a tutto l’equipaggio, era andata distrutta al limite dello spazio conosciuto, e io sono stato costretto a portarlo a Margravia e a installare per lui un abitacolo alle sue condizioni ambientali.

Gli occhi della ragazza esprimevano una stupita ammirazione. Louis fu piacevolmente sorpreso nel notare che si trovavano alla stessa altezza dei suoi: la fragile bellezza di Teela Brown la faceva apparire più piccola di quanto non fosse. Gli occhi di lei scivolarono dietro le spalle di Louis e si sgranarono ancora di più. Louis si voltò e sogghignò.

Nessus, il burattinaio, stava trotterellando fuori della cabina-transfert.


Louis ci aveva pensato nello stesso momento in cui avevano lasciato il Krushenko. Aveva tentato di persuadere Nessus a dire qualcosa sulla destinazione. Ma il burattinaio temeva l’interferenza di eventuali spie.

— Allora vieni a casa mia — aveva suggerito Louis.

— E i tuoi ospiti?

— Non sono certo nel mio ufficio. E il mio ufficio è assolutamente a prova di micro-spie. E poi, pensa alla sensazione che farai al party.

L’effetto fu proprio come Louis aveva desiderato. Di colpo, nel salone, non si sentì alcun rumore al di fuori del tuc-tuc-tuc degli zoccoli del burattinaio. Dietro di lui balzò nella realtà Speaker-agli-Animali. Lo kzin si mise ad osservare la marea di visi umani che circondavano la cabina. Poi, lentamente, sfoderò i denti.

Qualcuno versò metà del suo whisky nel vaso di una palma. Magnifico gesto. Da un ramo, una orchieda-vivente Gummidgy si agitò, stizzita. Gli ospiti sgattaiolarono lontano dalla cabina-transfert. I commenti erano: «Sì, ti senti bene. Li vedo anch’io.» «Pillole antisbornia? Fammi dare un’occhiata nella borsa.» «È un party ben riuscito, vero?» «Caro vecchio Louis.» «Come ha chiamato quella cosa?»

Non sapevano cosa farsene, di Nessus. I più fingevano di ignorarne la presenza, e non osavano fare commenti temendo di fare la figura dei pazzi. La loro reazione di fronte a Speaker fu ancora più singolare. Lo kzin, che una volta era considerato il nemico più pericoloso del genere umano, veniva trattato con lo stesso timore reverenziale con il quale ci si rivolge agli eroi.

— Vieni con me — disse Louis Wu al burattinaio. Con un briciolo di fortuna lo kzin sarebbe riuscito a seguirli. — Scusateci — urlò energicamente facendosi strada in mezzo alla ressa. In risposta alle domande eccitate o imbarazzate, si limitò a sogghignare tra sé.


Louis sbarrò la porta dell’ufficio, e mise in funzione il dispositivo anti-microspie. — Perfetto. Chi vuole da bere?

— Se vuoi scaldare il bourbon, io lo berrei — disse lo kzin. — Altrimenti posso berlo ugualmente.

— Nessus, tu?

— Un succo di verdura mi va bene. Hai del succo di carota caldo?

— Puah! — fece Louis. Ma diede istruzioni al bar che servì un bulbo colmo di succo di carota bollente.

Mentre Nessus si riposava sulla gamba posteriore piegata, lo kzin si lasciò cadere pesantemente sul posapiedi gonfiato ad aria. Il più antico nemico dell’uomo era piuttosto ridicolo, in bilico su un posapiedi troppo piccolo per la sua mole.

— Parlami della proverbiale prudenza dei burattinai — disse Louis. — Me ne sono scordato.

— Forse non sono stato molto leale con te, Louis. La mia specie mi ritiene pazzo.

— Oh! Magnifico. - Louis sorbì dal bulbo un sorso del suo cocktail di vodka, succo di fragole canine e ghiaccio tritato.

Lo kzin sbatteva la coda: — Perché dovremmo metterci in viaggio con un maniaco? Tu, poi, devi essere il più pazzo di tutti per voler viaggire con un kzin.

— Ti allarmi per poco — rispose Nessus con voce morbida, persuasiva, insopportabilmente sensuale. — Gli uomini non hanno mai conosciuto un burattinaio che non fosse considerato pazzo dalla propria specie.

— Un burattinaio pazzo, uno kzin nel pieno della sua maturità, e io. Sarebbe bene che il quarto fosse uno psichiatra.

— No, Louis. Non sono previsti psichiatri.

— Be’, perché no?

— Non ho fatto la scelta a caso. — Il burattinaio bevve un sorso con una bocca e parlò con l’altra: — Il viaggio che ci siamo prefissi ha lo scopo di beneficare la mia specie. Perciò è stato scelto un rappresentante abbastanza pazzo da affrontare un mondo sconosciuto e nello stesso tempo abbastanza sano di mente per sopravvivere. Si dà il caso che io rientri in questa categoria. C’è una ragione per includere uno kzin. Speaker, quanto sto per dirti è un segreto. Abbiamo tenuto in osservazione la tua specie per un considerevole periodo di tempo. Vi conoscevamo già da prima del vostro attacco all’umanità.

— Meno male che non vi siete fatti vedere — brontolò lo kzin.

— Senza dubbio. In un primo tempo ci eravamo convinti che la specie kzinti era inutile e pericolosa. Iniziammo una serie di ricerche per determinare la possibilità di sterminarla senza esporci a pericoli.

— Ho una gran voglia di farti un nodo con quei due colli!

— Tu non mi farai nessun nodo!

Lo kzin si alzò.

— È giusto. Siediti, Speaker. Non ci guadagni niente ad ammazzare un burattinaio.

Lo kzin si rimise a sedere. Il piccolo cuscino non si gonfiò nemmeno questa volta.

— Il progetto fu accantonato — continuò Nessus. — Avevamo scoperto che le guerre tra Uomini e Kzin riuscivano a contenere l’espansione degli Kzin, rendendoli meno pericolosi. Continuammo ad osservarvi. Per sei volte avete attaccato il mondo degli uomini. Sei volte siete stati sconfitti, perdendo, in ogni guerra, quasi due terzi della popolazione maschile. Devo fare commenti sul livello di intelligenza da voi dimostrato? No? Comunque, non avete mai veramente corso il pericolo di essere sterminati. Le vostre stupide femmine erano state largamente risparmiate dalla guerra, e le nuove generazioni hanno contribuito a rimpiazzare le perdite. Tuttavia avete sicuramente disperso un impero costruito nel corso di migliaia di anni. Era chiaro che gli Kzin si stavano sviluppando ad un ritmo velocissimo.

— Sviluppando?

Nessus gracchiò una parola nella Lingua dell’Eroe. Louis fece un sobbalzo. Non avrebbe mai sospettato che le gole del burattinaio fossero capaci di fare una cosa simile.

— Sì — disse Speaker-agli-Animali. — Credo che sia proprio come dici tu; ma non riesco a capire il significato della parola che tu usi.

— L’evoluzione dipende dalla sopravvivenza dei più forti. Per molte centinaia di anni kzin, i membri più forti della tua specie erano quelli che avevano l’ingegno o la pazienza di evitare i duelli o i combattimenti con gli esseri umani. I risultati sono evidenti. Da quasi duecento anni kzin, siete in pace con gli uomini.

Speaker trangugiò un po’ del suo bourbon bollente. La coda, rosa e pelata come quella di un topo, sbatteva inquieta.

— La tua specie è stata decimata — disse il burattinaio. — Tutti gli Kzin oggi viventi discendono da coloro che sono sfuggiti alla morte durante le guerre tra gli Uomini e gli Kzin. Noi pensiamo che gli Kzin, oggi, posseggono l’intelligenza o il trasporto contemplativo, oppure l’auto-controllo necessario per trattare con le razze a loro alien.

— E così metti a repentaglio la vita affiancandoti a uno kzin.

— Sì — disse Nessus, e fu scosso da un brivido. — Il motivo è serio. Se riesco a dimostrare il valore del mio coraggio, avrò il permesso di procreare.

— È un impegno difficile da mantenere — disse Louis.

— C’è anche un’altra ragione per assoldare uno kzin. Dovremo affrontare strane condizioni ambientali, dense di pericoli. Chi mi proteggerà? Chi ne ha maggiori possibilità di uno kzin?

— Per proteggere un burattinaio?

— Ti sembra una follia?

— Si — rispose Speaker. — Oltretutto stimola anche il mio senso dell’umorismo.


Secondo l’opinione del burattinaio, il cambio dell’iperpropulsione al secondo quantum di energia era rara come un elefante bianco. Con quella propulsione una nave viaggiava alla velocità di un anno-luce in un minuto e un quarto, mentre i comuni mezzi spaziali coprivano la stessa distanza in tre giorni. I mezzi normali però avevano lo scompartimento per il carico.

— Abbiamo installato il motore nello scafo numero quattro della General Products, il più grande costruito dalla nostra compagnia. Quando i nostri scienziati hanno terminato il lavoro, quasi tutta la parte interna dello scafo era piena di macchinari per l’iperpropulsione. Il nostro viaggio di andata sarà un po’ affollato.

— Un viaggio sperimentale — disse lo kzin. — È stato collaudato?

— Ha fatto un viaggio di andata e ritorno al centro della Galassia.

Ma era stato l’unico viaggio! I burattinai non potevano collaudarlo personalmente, né trovare altre razze che lo facessero al loro posto, perché erano in piena migrazione. In pratica, la nave non avrebbe trasportato nessun carico, sebbene superasse un miglio di diametro.

— Tutto ciò mi procurerebbe un nome — osservò lo kzin. — Un nome! Devo vedere la tua nave in azione.

— La vedrai durante il viaggio nello spazio.

— Che nome potrei scegliere? Forse… — lo kzin disse una parola esotica.

Il burattinaio gli rispose nella medesima lingua.

Louis si agitò. Non era in grado di seguire la Lingua dell’Eroe. Considerò l’eventualità di lasciare che se la sbrigassero tra di loro, poi ebbe un’idea migliore. Tirò fuori dalla tasca l’olografia del burattinaio e la lanciò attraverso la stanza fino alla pancia della montagna pelosa.

Lo kzin la prese con delicatezza tra le dita nere e carnose: — Mi sembra una stella circondata da un anello — osservò. — Che cos’è?

— Fa parte della nostra destinazione — rispose il burattinaio. — Non posso dirti di più, per ora.

— È piuttosto misteriosa. Be’, quando si parte?

— Entro un paio di giorni. I miei agenti stanno cercando un quarto membro qualificato.

— Così, ci tocca aspettare i loro comodi. Louis, vogliamo tornare dai tuoi ospiti?

Louis si alzò. — Certo, andiamo a dar loro un po’ di emozione. Speaker, prima voglio darti un suggerimento. Non prenderla come un assalto alla tua dignità. È solo un’idea…


Il prato era tenuto secondo l’antica usanza inglese: semenza e rullo per cinquecento anni. Cinquecento anni finiti in un crollo della borsa in seguito al quale Louis Wu si era ritrovato con un sacco di quattrini mentre una venerabile famiglia baronale era finita sul lastrico. L’erba era verde, brillante e autentica; nessuno ne aveva mai alterato i geni alla ricerca di dubbi risultati. In fondo al declivio, sul campo da tennis, figurine minuscole correvano e saltavano agitando con energia i loro scacciamosche fuori misura.

— La ginnastica è una cosa meravigliosa — disse Louis. — Sarei capace di starmene qui a guardare tutto il giorno.

La risata di Teela lo colse alla sprovvista. Pensò pigramente ai milioni di battute che lei non aveva mai sentito, quelle antiche che nessuno ricordava più. Il novantanove per cento delle battute che Louis aveva imparato dovevano essere ormai fuori moda. Passato e presente difficilmente si amalgamano.

Il barista oscillò, inclinandosi. Louis teneva la testa appoggiata in grembo a Teela e, poiché tentava di raggiungere il quadro dei pulsanti senza levarsi a sedere, il barista-robot si chinò ancora di più. Premendo i tasti, Louis ordinò due mochas, poi afferrò i bulbi depositati dalla scanalatura e ne porse uno a Teela.

— Assomigli a una ragazza che conobbi una volta — disse. — Hai mai sentito parlare di Paula Cherenkov?

— La fumettista? Quella di Boston?

— Sì. Oggi vive su We Made It.

— È la mia trisavola. Una volta siamo andati a trovarla.

— Mi ha dato una frustata al cuore, tempo fa. Sembri la sua gemella.

La risata sommessa di Teela emanò strane vibrazioni che gli rimbalzarono piacevolmente lungo le vertebre. — Ti prometto di non procurarti un’altra sferzata al cuore, se mi spieghi cos’è.

Louis ci pensò su. La frase l’aveva coniata lui stesso. Non gli era mai capitato di spiegarne il significato. Tutti capivano che cosa intendeva dire.

Il mattino era placido e sereno. Se fosse andato a letto in quel preciso momento avrebbe dormito venti ore. Il veleno della fatica gli stava logorando le forze.

Il grembo di Teela era un comodo appoggio per la testa. Molte, fra gli invitati di Louis, erano donne. Alcune erano state per lui mogli o amanti.

Durante la prima parte del ricevimento, aveva festeggiato il suo compleanno in privato, con tre donne che una volta avevano accupato un posto importante nella sua vita, e viceversa.

Erano tre o quattro? No, tre. Ormai gli sembrava di essersi immunizzato dalle frustate al cuore. Duecento anni di vita avevano scalfito la sua personalità. Ora lasciava che la sua testa riposasse pigramente in grembo a una sconosciuta che era la sosia di Paula Cherenkov.

— Mi innamorai di lei — cominciò a raccontare. — Ci eravamo frequentati per anni. Una volta chiacchierammo per una notte intera, e paf! mi ritrovai innamorato. Pensavo che anche lei li amasse.

Non andammo a letto, quella notte… insieme, voglio dire. Le chiesi di sposarmi. Lei mi respinse. Si stava costruendo una carriera. Non aveva il tempo per sposarsi, disse. Però progettammo un viaggio al Parco Nazionale del Rio delle Amazzoni. Fu un alternarsi di docce calde e fredde. Avevo già i biglietti e le prenotazioni per l’albergo. Non ti è mai capitato di innamorarti così pazzamente di qualcuno da convincerti di non esserne degna?

— Mai.

— Ero giovane. Impiegai due giorni per convincermi di essere degno di Paula. E ci riuscii, anche. Poi lei mi chiamò per disdire il viaggio. Non ricordo neppure il perché. Doveva avere le sue buone ragioni. Quella settimana la portai fuori a cena un paio di volte. Non accadde nulla. Probabilmente non immaginava il mio stato d’animo. Andavo su e giù come uno yo-yo. Poi lei smorzò il fuoco. Le piacevo. Ci si divertiva, insieme. Era meglio rimanere buoni amici.

— Ma che cos’era la frustata al cuore?

Louis levò lo sguardo verso Teela Brown. Gli occhi d’argento, privi di espressione, incontrarono il suo sguardo e Louis si rese conto che la ragazza non aveva capito una sola parola.

Louis aveva avuto a che fare con gli alien. Per istinto o per esperienza aveva imparato a intuire quando i suoi concetti erano troppo estranei alla loro mentalità. Era la stessa fondamentale difficoltà che si incontrava nel tradurre certe espressioni.

Che abisso spaventoso separava Louis Wu da una ragazza ventenne! Era davvero invecchiato in modo così assoluto? E se lo era, Louis Wu era ancora umano?

Teela, col suo sguardo vuoto, aspettava una spiegazione.

— Maledizione! — imprecò Louis e si rialzò in piedi. Alcune gocce di fango scivolarono lentamente lungo il mantello.

Nessus, il burattinaio, si stava esibendo in una dissertazione sull’etica. Si interruppe, mentre stava parlando con tutt’e due le bocche, per rispondere a una domanda di Louis. No, non una parola da parte dei suoi agenti.

Speaker-agli-Animali se ne stava tutto sbracato, come una collina arancione sull’erba. Due donne gli stavano grattando il pelo dietro alle orecchie. Le bizzarre orecchie dello kzin, che potevano allargarsi come parasoli cinesi o appiattirsi contro la testa, erano spalancate. Louis ne poté vedere il disegno tatuato sulla superficie.

— Allora — gli gridò Louis. — Non sono stato brillante?

— Sicuro — brontolò lo kzin senza scomporsi.

Louis rise tra sé. Uno kzin è un animaletto timido, no? chi ha paura di uno kzin che si fa dare una grattatina? Era un sistema per mettersi a proprio agio. Non c’è niente di pericoloso in un topo di campagna che se la gode a farsi grattare gli orecchi.

— Qui stanno facendo la giostra — borbottò lo kzin sonnacchioso. — Un maschio fa gli approcci con la femmina grattando me e cercando di capire se anche lei gradirebbe le medesime attenzioni. I due se ne vanno insieme. Un’altra femmina si affretta a sostituirli. Come deve essere interessante appartenere a una razza con due sessi.

— Qualche volta rende le cose maledettamente complicate.

— Sul serio?

La ragazza che si trovava dietro la spalla sinistra dello kzin, una giovane tinta di nero-spaziale e ornata con un ricamo di stelle e i capelli bianco-ghiaccio fluenti come la coda di una cometa, alzò gli occhi dalla sua occupazione. — Teela, prendi il mio posto — disse gaiamente: — Ho fame.

Compiacente, Teela si inginocchiò dietro il testone arancio. Louis cominciò: — Teela Brown, ti presento Speaker. Siate…

Dalle vicinanze giunse uno strepito di suoi discordanti.

— … felici insieme. Cosa diavolo è? Ah, Nessus. Cosa…?

I suoi provenivano dalle straordinarie gole del burattinaio. Ora Nessus cercava di attirare l’attenzione dando rudi spintoni a Louis e alla ragazza. — Sei Teela Jandrova Brown, numero di identità IKLUGGTYN?

La ragazza trasalì, ma senza timore. — È questo il mio nome. Non ricordo il numero d’identità. Che cosa succede?

— È una settimana che setacciamo la Terra per trovarti. Ora ti pesco per puro caso! Strapazzerò i miei agenti!

— Oh! No — fece Louis sottovoce.

Teela si rialzò, vagamente imbarazzata. — Non mi stavo nascondendo… Di che si tratta?

— Un momento! — Louis si intromise. — Nessus, è evidente che Teela Brown non è un’esploratrice. Scova qualcun altro.

— Ma, Louis…

— Aspetta. — Lo kzin si era levato a sedere. — Louis, lascia che l’erbivoro scelga i membri della sua squadra.

— Ma guardatela!

— Guarda te stesso. Alto appena due metri, troppo sottile persino come umano. Sei un esploratore? E Nessus?

— Che cosa diavolo sta succedendo? — domandò Teela.

Nessus insistette: — Teela Brown, abbiamo una proposta. Non sei obbligata ad accettare e nemmeno a darmi ascolto, però la nostra proposta potrebbe interessarti.


La discussione proseguì nell’ufficio di Louis. — Le sue qualifiche corrispondono a quelle richieste — insisteva Nessus. — Dobbiamo prenderla in considerazione.

— Non sarà l’unica esistente sulla Terra!

— No, Louis, certo che no. Ma non siamo riusciti a metterci in contatto con nessun altro.

— Vorrei sapere perché sono oggetto di tanta considerazione.

Il burattinaio disse che Teela Brown non provava alcun interesse particolare per il cosmo. Non era mai andata oltre la Luna e non aveva nessuna intenzione di superare i confini dello spazio conosciuto. L’iperpropulsione al II quantum non stimolava la sua cupidigia. A un certo punto Teela cominciò a mostrarsi confusa e seccata. Louis interruppe di nuovo il burattinaio.

— Nessus, quali sono le qualifiche che la rendono adatta alla nostra impresa?

— I miei agenti sono andati alla ricerca dei discendenti dei vincitori delle Lotterie per il Diritto alla Procreazione.

— Io me ne vado. Sei completamente pazzo.

— No, Louis. Ho ricevuto ordini da Ultimo in persona, colui che ci guida. La sua sanità di mente è fuori discussione. Posso spiegarvi?

Per gli esseri umani il problema del controllo delle nascite era stato risolto da molto tempo. Veniva inserito un minuscolo cristallo sotto la pelle dell’avambraccio del paziente. Entro un anno il cristallo si scioglieva. Per tutto quel periodo il paziente era sterile. Nei secoli precedenti erano stati usati metodi più primitivi.

Verso la metà del ventunesimo secolo si era riusciti a stabilizzare la popolazione della Terra sulla media degli ottanta bilioni. Il ministero per la Fertilità, una sottosezione delle Nazioni Unite, aveva fatto rispettare le leggi sul controllo delle nascite: due bambini a coppia, a giudizio del Ministero della Fertilità. Il ministero decideva chi poteva generare e quante volte. Poteva accordare a una coppia dei figli extra, negare un figlio a un’altra, basandosi sempre sulla desiderabilità dei geni.

— Incredibile — disse lo kzin.

— Perché? La Terra era maledettamente affollata con diciotto bilioni di persone prigioniere di una tecnologia primitiva. Con un milione di Stelle al colpo si poteva comprare il diritto alla Procreazione. Perché no? L’abilità nel far danaro era considerata un provato fattore di sopravvivenza. Inoltre stroncava i tentativi di corruzione.

«Chi non aveva consumato il suo Primo Diritto poteva battersi nell’arena per conquistarselo. Il vincitore guagnava il Secondo e il Terzo Diritto; lo sconfitto perdeva il Primo Diritto e la vita. Era anche un sistema di livellamento.

— Ho visto quei combattimenti nei vostri spettacoli. Credevo che lottassero per scherzo.

— No, facevano sul serio — rispose Louis.

Teela ridacchiò scioccamente.

— E le lotterie?

— Tutti potevano partecipare — disse Nessus. — Con un po’ di fortuna si potevano avere dieci o venti bambini… ammesso che ciò possa considerarsi una fortuna. Anche i criminali in carcere erano ammessi alle Lotterie dei Diritti alla Procreazione.

— Io ho avuto quattro figli — interloquì Louis Wu. — Uno per lotteria. Se foste arrivati prima ne avreste conosciuti tre.

— Mi sembra tutto strano e complicato. Quando la popolazione di Kzin aumenta troppo, noi…

— Attaccate il mondo umano più vicino.

— Niente affatto, Louis. Ci battiamo fra di noi. I nostri problemi demografici si risolvono da soli. Non siamo mai arrivati a un grado di sovraffollamento di due volte otto alla decima di umani, su un singolo pianeta!

— Comincio a capire — disse Teela Brown. — I miei genitori devono aver vinto tutti e due alla Lotteria. — Ebbe una risatina nervosa. — Altrimenti non sarei mai venuta al mondo. Mi viene da pensare che mio nonno…

— Tutti i tuoi antenati, per cinque generazioni, sono venuti al mondo in virtù dei biglietti vincenti.

— Davvero? Non lo sapevo.

— Le documentazioni sono chiarissime — l’assicurò Nessus.

Teela Brown, vivamente interessata, si sporse dalla sedia. Non le era mai capitato di vedere un burattinaio pazzo.

— Pensa alle lotterie, Louis. Pensa all’evoluzione. Per settecento anni il tuo popolo ha generato per mezzo dei numeri vincenti: due diritti a procreare per ogni persona, due bambini per ogni coppia. Ogni tanto uno poteva vincere un terzo diritto, o vedersi rifiutare il primo per ragioni plausibili come i geni dei diabetici o simili. Ma la maggior parte dell’umanità aveva due figli.

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