La matematica dell’iperspazio presenta molte singolarità. Ognuna di esse circonda le masse esistenti entro l’universo einsteiniano. Al di fuori di tali singolarità le navi possono viaggiare più velocemente della luce; ma se tentano di penetrarvi scompaiono nel nulla.
La Long Shot, distante ormai dal Sole circa otto ore-luce, si trovava al di là della singolarità che circonda il Sistema.
E Louis Wu si trovò in caduta libera.
Provava una certa tensione agli intestini e un senso di malessere allo stomaco, come se fosse sul punto di vomitare. I disturbi sarebbero passati. C’era un’urgenza paradossale di volare…
Si era trovato più volte in caduta linera nell’immensa sfera trasparente dell’Hotel Outbound, che ruotava intorno alla Luna. Qui si correva il pericolo di sfasciare qualcosa di importanza vitale, anche solo con un urto leggero delle braccia.
Aveva deciso di accelerare ancora a meno di due gravità. Per cinque giorni aveva lavorato, mangiato e dormito nel sedile di pilotaggio. Si sentiva sciatto e sporco. Pur avendo dormito cinquanta ore, era esausto.
Il futuro era nebuloso. Secondo le sue previsioni, la nota dominante della spedizione sarebbe stata rappresentata dal disagio.
Negli spazi profondi, il cielo non appariva molto diverso da quello di una notte di luna. Nel sistema solare i pianeti aggiungono ben poco alla visione normale di un cielo stellato. Una stella particolarmente brillante occhieggiava dal sud galattico: il Sole.
Louis manovrò i controlli per la conversione di volo. La Long Shot ruotò su se stessa e le stelle vennero a trovarsi sotto la plancia di pilotaggio.
Ventisette, trecentododici, mille costante… erano le coordinate che Nessus gli aveva dato. Erano i punti di riferimento della migrazione dei burattinai. Adesso, Louis si rendeva conto che non si trovavano nella direzione della Nebulosa di Magellano. Il burattinaio gli aveva mentito.
Però, pensò Louis, era distante circa duecento anni-luce. E si trovava lungo l’asse galattico. Forse i burattinai avevano deciso di spostarsi oltre la Galassia seguendo la via più breve, viaggiando la di sopra del piano galattico per raggiungere la Nebulosa Minore. Inoltre avrebbero evitato i detriti interstellari: planetoidi, nubi di polvere, concentrazioni di idrogeno…
Non importava un gran che. Le mani di Louis sfarfallarono sul quadro degli strumenti, come quelle di un pianista in procinto di iniziare un concerto.
Perse quota. La Long Shot sparì.
Louis cercò di non guardare il pavimento trasparente. Aveva già smesso di chiedersi per quale ragione quella enorme finestra non fosse schermata. La visione del Punto Cieco aveva ridotto alla pazzia molti uomini in gamba. Ma c’era anche chi aveva la forza di sopportarlo. Il pilota della Long Shot doveva essere uno di loro.
Si preoccupò invece di controllare l’indicatore di massa: una sfera trasparente situata sopra il quadro degli strumenti, con molte linee azzurre che si irradiavano dal centro della sfera. Il centro era di dimensioni superiori al normale. Louis si riaccomodò sul sedile e si mise a osservare le linee.
Cambiavano in maniera evidente. Louis riusciva a seguire il percorso della linea che si spostava lungo la curvatura della sfera. Era una cosa insolita e snervante. Alle normali velocità a iperpropulsione le linee sarebbero rimaste immobili per ore intere.
Louis allungò la mano sinistra sull’interruttore del panico.
La scanalatura del ristorante automatico, alla sua destra, gli servì un caffè dal gusto strano, e a parte, uno spuntino con pane, carne e formaggio. La programmazione della cucina automatica doveva essere in ritardo di centinaia di anni. Le linee radiali dell’indicatore di massa si allargarono e di spostarono velocemente come la lancetta dei minuti in un orologio, per poi restringersi fino a scomparire. Una confusa linea azzurra si formò in fondo alla sfera, allungandosi sempre più… Louis fece scattare l’interruttore del panico.
Una stella, una sconosciuta gigante rossa, fiammeggiò sotto i suoi piedi.
— Troppo presto — si stizzì Louis. — Troppo presto, maledetta! — Sulle navi normali si doveva controllare l’indicatore di massa soltanto ogni sei ore. Sulla Long Shot tutto avveniva in un batter d’occhio.
Louis gettò un’occhiata sul disco rosso, brillante ma un po’ offuscato sul fondo stellato.
— Accidenti! Sono di nuovo uscito dallo spazio conosciuto!
Fece di nuovo virare la nave per vedere le stelle. Un cielo ignoto ondeggiò sotto di lui. — Sono mie, tutte mie! — Louis ridacchiò fregandosi le mani. Nei suoi ritiri Louis Wu sapeva divertirsi da solo.
La gigante rossa riapparve, e Louis manovrò in modo da spostarsi di altri novanta gradi. Aveva avvicinato troppo l’astronave alla stella e adesso era costretto a girarle intorno.
Era sulla sua rotta da un’ora e mezzo.
Dopo tre ore sparì di nuovo. Louis controllò per essere sicuro di trovarsi in uno spazio libero, e chiuse le calotte dei cruscotti. Infine si allungò sul sedile.
— Ah. Mi sento due cipolle bollite al posto degli occhi.
Si liberò dalle cinghie di sicurezza e si lasciò andare, sospeso in aria, flettendo la mano destra. Per tre ore aveva pilotato con la mano stretta sulla leva dell’iperguida. Aveva il braccio intorpidito. Si servì dei piuoli per gli esercizi isometrici. I muscoli intorpiditi si sciolsero. Ma si sentiva ancora stanco.
Doveva svegliare Teela? Sarebbe stato piacevole fare una chiacchierata con lei. Buona idea. La prossima volta che partirò per un ritiro voglio portare una donna in condizione di stasi. Si ottiene il meglio dei due mondi. Però il suo aspetto era quello di un uomo emerso da un cimitero inondato. No, non era adatto alla gentil compagnia. Oh, be’.
Non doveva farla salire a bordo per i suoi interessi personali. Era contento che se ne fosse rimasta di sopra, in quei due giorni. Sembrava la riedizione della storia con Paula Cherenkov, riveduta e corretta da un lieto fine. Forse era meglio così.
C’era ancora qualcosa di poco chiaro nei riguardi di Teela. Non si trattava soltanto della sua giovane età. Louis aveva amici di tutte le età, e qualcuno tra i più giovani era veramente maturo. Certamente soffrivano. Come se la sofferenza fosse parte integrante del processo della conoscenza. Il che era anche probabile.
No, in Teela si notava un’insufficienza di trasporto contemplativo, una incapacità di sentire le sofferenze altrui…
Eppure era capace di intuire il piacere dell’altro e di corrispondergli creando piacere a sua volta. Era un’amante meravigliosa: bella da far male, quasi nuova all’arte dell’amore, sensuale come una gatta e incredibilmente libera da complessi inibitori… Doti che certamente non le davano la qualifica di esploratrice.
Teela aveva avuto una vita vuota e felice. Non si era mai trovata in una situazione veramente difficile, né aveva mai sofferto. Se avessero dovuto affrontare una situazione di emergenza, probabilmente si sarebbe lasciata sopraffare dal panico.
— Ma me la sono presa io per amante — disse tra sé Louis. — Accidenti a Nessus! — Se un giorno Teela si fosse trovata in difficoltà, Nessus l’avrebbe respinta come si fa con gli iettatori!
Era stato un errore portarla. Era una responsabilità che lo costringeva a sprecare troppo tempo per proteggerla invece di difendere se stesso.
Quali situazioni pericolose stavano per affrontare? I burattinai erano buoni affaristi. Non pagavano mai più del dovuto. La Long Shot rappresentava un compenso di valore inaudito. A Louis balenò il triste sospetto che sarebbe stato duro guadagnarsela.
— Basta per oggi — si disse.
E ritornò al suo posto di guida. Fece un sonnellino di un’ora sotto l’azione dell’apparecchio soporifero. Quando si risvegliò, corresse la rotta e puntò di nuovo verso il Punto Cieco.
Le coordinate del burattinaio delimitavano una piccola sezione quadrata. A quella distanza dal Sole circoscrivevano un cubo con i lati lunghi mezzo anno-luce. Forse in un punto di quel cubo viaggiava una flotta di navi. Se gli strumenti non lo avevano ingannato anche Louis Wu e la sua astronave dovevano trovarsi entro quello spazio.
Dietro a lui, in lontananza, un grappolo di stelle si estendeva su una distanza di settanta anni-luce. Lo spazio conosciuto era piccolo e molto lontano.
Niente indicava la presenza della flotta. Non sapeva nemmeno che cosa doveva localizzare. Andò a svegliare Nessus.
Ancorato con i denti a una spalliera per gli esercizi fisici, Nessus fece capolino al di sopra della spalla di Louis. — Ho bisogno di certe stelle come punto di riferimento. Centra quel gigante bianco-verde, e proiettalo sullo schermoscopio…
La cabina di pilotaggio sembrava affollata. Louis si chinò sul quadro degli strumenti per proteggere i pulsanti dagli zoccoli negligenti del burattinaio.
— Spettroanalisi… Sì. Ora il blu e il giallo s’incrociano alle due…
— Ho i miei rilevamenti. Sposta a 348,72.
— Nessus, che cosa stiamo cercando, con esattezza? Le fiamme della fusione? No, voi utilizzate i propellenti.
— Usa lo schermoscopio. Quando lo vedrai, capirai.
Sullo schermoscopio apparve una spruzzata di stelle sconosciute. Louis aumentò l’ingrandimento finché… — Cinque puntini disposti a pentagono regolare. Esatto?
— Ecco la nostra destinazione.
— Bene. Fammi controllare la distanza… Maledizione! Ci deve essere un errore, Nessus. Sono troppo lontane.
Nessun commento.
— Be’, non possono essere navi anche se il distanziometro non funziona. La flotta dei burattinai dovrebbe spostarsi a una velocità di poco inferiore a quella della luce. Si noterebbe lo spostamento.
Cinque stupide stelle in un pentagono di forma regolare. Distanti un quinto di anno-luce e assolutamente invisibili a occhio nudo. Nell’ingrandimento potevano anche essere pianeti a grandezza naturale. Una stella appariva di un azzurro più pallido, un po’ meno vivida delle altre.
Una Rosetta di Kempler. Veramente strano.
Prendete tre o più masse uguali. Situatele sulle punte di un poligono equilatero e date loro un’eguale velocità rispetto al loro centro di massa.
La forma assume un equilibrio stabile. Le orbite delle masse possono essere circolari o ellittiche. Al centro della forma può essere situata un’altra massa; oppure può essere vuoto. Non ha importanza. La forma è stabile. Ma non era facile che cinque masse cadessero per pura combinazione all’interno di una Rosetta di Kempler.
— È pazzesco — mormorò Louis. — È qualcosa di unico. Nessuno ha mai trovato una Rosetta di Kempler… — La fece scomparire dallo schermo.
Lassù, tra le stelle, che cosa poteva illuminare quegli oggetti?
— Ah, no — esclamò Louis Wu. — Non riuscirai mai a farmelo credere. Mi prendi proprio per un idiota?
— Che cosa non vuoi credere?
— Sai benissimo a cosa penso!
— Come ti pare. Quella è la nostra destinazione, Louis. Se ci porterai là, una nave si affiancherà a noi, uniformando la sua velocità alla nostra…
La nave dell’appuntamento era uno scafo n. 3, un cilindro con i terminali arrotondati e la pancia laminata, senza finestrini e dipinta in rosa violento. Non si notavano aperture per i motori che dovevano essere del tipo a non-reazione, propulsori come quelli usati dagli umani o forse qualcosa di più progredito.
Per ordine di Nessus, Louis aveva aspettato che l’altra nave completasse le manovre. Se la Long Shot avesse voltato soltanto per mezzo dell’energia di fusione ci avrebbe messo dei mesi per raggiungere la velocità della flotta dei burattinai. La nave burattinaia aveva eseguito la manovra in meno di un’ora, apparendo all’improvviso a fianco della Long Shot mentre il suo tunnel di accesso già stava per raggiungere la camera di equilibrio come un serpente di vetro.
Sbarcare era un problema. Non c’era abbastanza spazio per liberare l’equipaggio, tutto insieme, dal campo statico. E, fatto più importante ancora, quella era l’ultima occasione per Speaker di impossessarsi della nave.
— Non credi che obbedirà al mio tasp, Louis?
— No. Penso che affronterà il rischio di un’altra scossa al momento di rubare la nave. Ti dico io cosa si potrebbe fare…
Disinnescarono il quadro-strumenti dai motori della Long Shot. Non c’era nulla che lo kzin non potesse riparare con quel briciolo di intuizione meccanica che qualunque artigiano possiede. Ma non ne avrebbe avuto il tempo…
Louis tenne d’occhio il burattinaio mentre si inoltrava nel tunnel. Nessus portava con sé la tuta pressurizzata di Speaker. Teneva gli occhi serrati. Ed era un peccato, perché la vista era stupenda.
— Caduta libera — disse Teela quando Louis le aprì la calotta del sedile. — Non mi sento troppo bene. Guidami tu, per favore. Che cosa sta succedendo? Siamo arrivati?
Louis le narrò alcuni particolari mentre la conduceva verso la camera di equilibrio. Lei ascoltava, ma Louis immaginò che tutta la sua attenzione fosse concentrata sulla bocca del suo stomaco. Aveva l’aria di essere in preda a un acuto malessere. — Sull’altra nave troverai la gravità — le disse.
Gli occhi di lei si posarono sulla Rosetta che Louis le stava indicando. Adesso era visibile a occhio nudo. Lei lo guardò con aria interrogativa; quel movimento le diede un giramento di testa e Louis vide l’espressione del suo viso mutare, un attimo prima che lei si infilasse nella camera di equilibrio.
Le Rosette di Kempler erano una cosa, ma il mal di caduta libera era qualcosa di molto diverso. Louis la osservò attentamente mentre si allontanava verso le stelle sconosciute.
La Long Shot, accostandosi lentamente in iperpropulsione, si era fermata alla distanza di mezz’ora-luce dalla flotta dei burattinai: una distanza di poco inferiore a quella media tra la Terra e Giove. La flotta si stava spostando a una velocità favolosa, tanto che la luce della sua propulsione colpiva la Long Shot da molto lontano. Quando la Long Shot si era fermata, la Rosetta era troppo piccola. Era appena visibile quando Teela aveva lasciato la camera di equilibrio. Adesso era di una grandezza impressionante e continuava a dilatarsi a velocità incredibile.
Difficilmente avrebbe visto uno scenario più bello.
La nave burattinaia era un robot. Oltre la camera di equilibrio si trovava il sistema di sopravvivenza, costituito da un’unica grande stanza. Quattro sedili di emergenza, sagomati per ricevere occupanti diversi, erano piazzati uno di fronte all’altro attorno a una specie di mensola di ristoro.
Non c’erano finestre.
C’era la gravità, con grande sollievo di Louis. Non era esattamente uguale a quella terrestre, e l’aria non era proprio quella che si respirava sulla Terra. La pressione era un tantino troppo alta. Per la stanza aleggiavano odori non sgradevoli ma strani. Louis percepì odore di ozono, di idrocarboni, di burattinaio… di decine di burattinai… e altri odori che non sperava di riuscire a individuare.
Non esistevano angoli. Le pareti curve si fondevano col pavimento e col soffitto; i sedili e la mensola da ristoro sembravano semifusi. Nel mondo dei burattinai non esisteva niente di duro o di spigoloso, nulla che potesse graffiare o provocare contusioni.
Nessus si distese mollemente nel suo sedile. Era completamente a suo agio, e anche ridicolo.
— Non ne vuole sapere di parlare? — chiese Teela ridendo.
— Nossignora — disse il burattinaio. — Dovrei ricominciare tutto da capo ogni volta che arriva uno di voi. Sono certo che vi sarete chiesti…
— Sono mondi volanti — lo interruppe lo kzin.
— E Rosette di Kempler — aggiunse Louis. Un ronzio appena percettibile gli annunciò che l’astronave si stava muovendo. Insieme a Speaker mise il bagaglio nel deposito, poi raggiunse gli altri.
— Quanto ci metteremo? — domandò Louis al burattinaio.
— Un’ora, fino al momento dello sbarco. Allora vi parlerò per sommi capi della nostra destinazione finale.
— Sarà una faccenda piuttosto lunga. Va bene, parla. Che significano quei mondi volanti? Non mi sembra prudente disseminarli a destra e a manca con tanta disinvoltura.
— Invece è prudente, Louis — rispose il burattinaio serissimo. — È molto più sicuro di questo sicurissimo mezzo spaziale. Noi siamo degli esperti nel trasferimento dei mondi.
— Esperti? Ma come è possibile?
— Per spiegartelo dovrei parlarti di calore… e di controllo della popolazione.
— Grrr. Comincio a capire. Più numerosi sono i burattinai, maggiore è il calore prodotto.
— Capisci, quindi, che il calore della nostra popolazione stava rendendo inabitabile il nostro mondo?
Smog, pensò Louis Wu. Motori a combustione interna. Bombe a fissione e missili a fusione nell’atmosfera. Scorie industriali nei laghi e negli oceani. Quanto basta per ucciderci con l’inquinamento provocato dai nostri stessi prodotti. Se non ci fosse stato il Ministero della Fertilità, la Terra starebbe morendo nella sua stessa dispersione di calore?
— È incredibile — disse Speaker-agli-Animali. — Perché non ve ne siete andati?
— Chi avrebbe rischiato la vita nello spazio? Solo uno come me. Dovremmo ricostruire mondi di pazzi?
— Inviate dei carghi di ovuli fertilizzati e congelati su navi con un equipaggio di pazzi.
— Le discussioni sul sesso mi imbarazzano. La nostra biologia non è adatta a simili metodi, ma senza dubbio potremmo studiare qualcosa di analogo… ma a che scopo? La nostra popolazione sarebbe sempre la stessa, e il nostro mondo continuerebbe a estinguersi per l’eccessiva emanazione di calore!
Senza preoccuparsi della sua sensibilità, Teela disse: — Mi piacerebbe guardare fuori.
Il burattinaio si stupì. — Ne sei sicura? Non soffri di vertigini?
— Su una nave burattinaia?
— Sì…ì. Ad ogni modo anche se guardi non aumenterai il pericolo. — Nessus pronunciò qualche parola nella sua lingua musicale, e la nave sparì.
Si vedevano a vicenda; quattro sedie ferme nel vuoto e una mensola da ristoro in mezzo a loro. Tutto il resto era spazio nero. Ma cinque mondi risplendevano di una abbagliante luce bianca dietro la chioma nera di Teela.
Erano tutti e cinque di uguale grandezza; forse il loro diametro era il doppio di quello della luna piena. Erano raggruppati a pentagramma. Quattro erano coronati da una raggiera di piccole luci fisse; soli orbitali che emanavano una luce solare artificiale, di un colore bianco giallastro. Questi quattro erano uguali e possedevano la medesima luminosità; opache sfere azzurre dove i continenti, a quella distanza, erano ancora invisibili. Ma il quinto…
Intorno al quinto mondo non c’erano luci orbitali; risplendeva di luce propria e le configurazioni dei continenti, distribuite a chiazze illuminate dalla luce solare, si alternavano a zone d’ombra così scure da risaltare sullo sfondo dello spazio, nero e punteggiato di stelle.
— Non ho mai visto niente di più bello — disse Teela, col pianto nella voce. E Louis, che aveva visto molte cose, era disposto a trovarsi d’accordo con lei.
— Incredibile — fece Speaker. — Non avrei mai osato credere a una cosa del genere. Hai mantenuto la parola con te stesso.
— I burattinai non hanno fiducia nelle navi spaziali — disse Louis con aria assente. Il solo pensiero che avrebbe potuto perdere la vista di quello spettacolo lo faceva rabbrividire. Il burattinaio poteva avere scelto qualcun altro e lui sarebbe morto senza vedere la Rosetta dei mondi burattinai…
— Ma come avete fatto?
— La nostra civiltà era agonizzante — disse Nessus. — Una conversione totale di energia ci aveva liberato di tutti di prodotti di scarto della civilizzazione, meno quelli del calore. Non ci rimaneva altra scelta se non trasferire il nostro mondo al di fuori del suo sistema primario.
— Non era pericoloso?
— Molto. Quell’anno abbiamo avuto molti casi di pazzia. Acquistammo dagli Outsiders un tipo di propulsione a non-reazione e a non-inerzia. Stiamo ancora pagandoli a rate. Spostammo due mondi agricoli; poi facemmo l’esperimento su altri mondi appartenenti al nostro sistema, però inservibili, usando i propulsori degli Outsiders.
— Ad ogni modo ci riusciste? Il vostro mondo fu spostato altrove?
— Sì. Nei millenni successivi, la nostra popolazione toccò il trilione. La scarsità di luce solare aveva resa necessaria l’illuminazione diurna nelle strade con una conseguente produzione di calore. Il nostro sole si stava comportando male. In breve scoprimmo che un sole rappresentava più una responsabilità che un vantaggio. Trasferimmo il nostro mondo alla distanza di una diecina di anni-luce, conservando quello originario come àncora. Avevamo bisogno di mondi agricoli, e sarebbe stato pericoloso far vagare il nostro pianeta a caso attraverso lo spazio. Altrimenti non ci sarebbe servito nessun sole.
— Ecco! — esclamò Louis Wu. — Ecco perché nessuno ha mai rintracciato il mondo dei burattinai!
— Anche per questa ragione.
— Abbiamo esplorato ogni sole giallo nano esistente nello spazio conosciuto e qualcuno anche fuori. Aspetta un momento, Nessus. Qualcuno avrebbe dovuto scoprire i pianeti-fattoria: in una Rosetta di Kempler.
— Avete esplorato i soli sbagliati.
— Cosa? È evidente che provenite da un sole giallo nano.
— Sì. La nostra evoluzione è avvenuta sotto una stella nana dello stesso tipo di Procione. Saprai che Procione, tra mezzo milione di anni, si dilaterà sino a raggiungere lo stadio del gigante rosso.
— Per la tremenda mano di Finaglo! Il vostro sole si è trasformato in un gigante rosso?
— Poco dopo il trasferimento del nostro mondo, il sole iniziò il processo di espansione. A quei tempi i tuoi progenitori usavano ancora l’osso di antilope per combattere. Quando incominciaste a chiedervi dove si trovasse il nostro pianeta, esploraste le orbite dei soli sbagliati.
«Avevamo portato dai sistemi vicini alcuni pianeti abitabili, portando a quattro i mondi agricoli, e li sistemammo nella Rosetta di Kempler. Quando il sole cominciò a dilatarsi, fummo obbligati a spostarli simultaneamente e a rifornirli di sorgenti di ultravioletti per compensare le radiazioni diventate infrarosse. Capirai che quando giunse il momento di abbandonare la Galassia, duecento anni fa, eravamo già esperti nel trasferimento dei mondi.
La Rosetta si era ingrandita ancora. Adesso il mondo dei burattinai risplendeva sotto di loro e si dilatava come per inghiottirli.
Le stelle disseminate nei neri oceani erano cresciute di volume sino a diventare isolette. I continenti ardevano come incendi solari.
Tanto tempo prima Louis Wu si era arrestato sul vuoto confine dei Mount Lookitthat. Su quel mondo, il Fiume della Lunga Cascata sbocca nella cascata più grandiosa esistente nello spazio conosciuto. Louis, aguzzando la vista attraverso la vuota foschia, ne aveva seguito il percorso sino al punto in cui precipitava. Il biancore informe del vuoto aveva attanagliato la sua mente, e Louis Wu, semi-ipnotizzato, aveva giurato di vivere per sempre. Come avrebbe potuto vedere, altrimenti, ogni cosa esistente nell’universo?
Adesso riconfermò dentro di sé la decisione di allora. Il mondo dei burattinai gli si parava dinanzi agli occhi.
— Mi sento intimidito — disse Speaker. Sbatteva nervosamente la coda nuda e rosa, sebbene il viso peloso e la sua voce ringhiosa non lasciassero trasparire la minima emozione. — La vostra mancanza di coraggio meritava il nostro disprezzo, Nessus, ma il nostro disprezzo ci rendeva ciechi. Siete veramente pericolosi. Se ci aveste veramente temuti, la nostra stirpe sarebbe già finita per mano vostra. Possedete un potere spaventoso. Non saremmo stati in grado di fermarvi.
— Uno kzin non può spaventarsi di fronte a un erbivoro.
Nessus non aveva pronunciato quelle parole in senso ironico, ma Speaker reagì con rabbia. — Quale essere sensato non tremerebbe di fronte a un potere simile?
— Tu mi preoccupi. La paura è sorella dell’odio. Ci si aspetta sempre che uno kzin attacchi chi teme.
La conversazione stava prendendo una piega pericolosa. Con il peso di milioni di miglia sulle spalle, percorsi sulla Long Shot, e una distanza di centinaia di anni-luce dallo spazio, erano nelle mani dei burattinai. E se i burattinai avessero avuto una ragione per temerli…
Svelti, cambiamo argomento! Louis aprì bocca…
— Ehi ragazzi! — esclamò Teela. — Parlatemi ancora un po’ della Rosetta di Kempler.
I due alien parlarono contemporaneamente. Louis si chiedeva perché diavolo avesse pensato che Teela era un tipo superficiale.