L’OCCHIO DELL’URAGANO

Lasciarono il castello dirigendosi verso Port, sotto la cappa grigia che in quella zona fungeva da cielo. Louis aveva la mano destra fasciata. Il pulsante di chiamata di Nessus si accese.

Vide la criniera arruffata del burattinaio, e il petto irsuto che si alzava e si abbassava in una lenta respirazione. Nessus sollevò una delle due teste: — Benvenuto, Louis. Novità?

Il terrestre gli parlò del castello, delle mappe, del sacerdote e del disco che si era fatto incandescente.

— Anche il mio traduttore è saltato — disse il burattinaio. — Anche quelli di Teela e di Speaker. Ora dovremo imparare la lingua dell’Anello.

— Che cosa è successo, secondo te?

— Posso solo immaginarlo. I dischi traduttori sono molto sensibili: un prodigio della tecnica burattinaia nel cosmo. Ebbene: si è prodotto un cortocircuito fra la tua voce e quella dell’indigeno. Sia tu che lui stavate dicendo madornali falsità.

— E allora?

— I dischi traduttori si sono messi a interpretare anche le sfumature nascoste nelle vostre parole. Che cosa ti diceva il prete?

— Aveva paura che tornassero gli Ingegneri, e che lo cacciassero come falso predicatore.

— Come pensavo. Per usare i dischi, bisogna essere sinceri e leali. Chiaro? Altrimenti, si fondono…

Nessus indicò l’orizzonte, invitando Louis a osservare il paesaggio. Davanti a loro, si stava preparando una bufera di fulmini che nasceva dal fondo di metallo dell’Anello. — Pensi che i campi sonici ci proteggeranno? — domandò Nessus. E cominciò a tremare di paura.

— Meglio volare ad altissima quota — propose Louis.

L’universo si oscurò. Poi divenne integralmente grigio. La flottiglia si torvava in mezzo alle nubi. I cirri fluttuavano attorno alla sfera del campo sonico di Louis. I volocicli sbucarono al di sopra della nuvolaglia irrompendo nella luce del sole.

Dall’orizzonte-infinito, un largo occhio blu guardò Louis. Se la testa di Dio avesse avuto le dimensioni della Luna terrestre, quell’occhio sarebbe stato della misura giusta.

Gli ci volle un po’ prima di riuscire a capire. Per un momento il suo cervello si rifiutò di crederci. Poi l’intera immagine cominciò a dissolversi, come un’olografia scarsamente illuminata. Nel confuso ronzio delle orecchie ebbe la sensazione che qualcuno stesse urlando.

Sono morto? si domandò.

È Nessus che sta urlando?

Era Teela. Teela, che non aveva mai avuto paura di niente, si nascondeva il viso tra le mani, cercando di celarsi a quell’immenso sguardo blu.

L’occhio era proprio davanti a loro, e li attirava.

Sono morto? È il Creatore venuto a giudicarmi? Ma quale Creatore? Fu costretto a decidere in quale Creatore credeva, ammesso che ce ne fosse uno.

Era un occhio bianco e azzurro, con le sopracciglia candide e la pupilla scura. Il bianco delle nuvole, l’azzurro della distanza. Sempre che l’occhio facesse parte dello stesso cielo.

— Louis! — strillò Teela. — Fai qualcosa!

Non sta succedendo niente, cercò di convincersi Louis. La gola gli si era trasformata in una colonna di ghiaccio. Sentì la mente come un insetto in trappola.

— Louis! — implorava Teela. La sua paura si trasformava in terrore. La ragazza si rivolse a Speaker: — Che cosa vedi, laggiù?

— Quello che vedi tu. Un occhio umano.

Loui avrebbe usato un termine diverso. Umano. Se l’occhio era una manifestazione soprannaturale, lo kzin avrebbe dovuto vedere un occhio kzinti. Oppure niente.

Louis virò decisamente a destra, per evitare l’Occhio. Speaker protestò, e disse che avrebbero attraversato la bufera di fulmini. Era in gioco il coraggio di tutta la sua razza.

— Ma perché vuoi attraversarla? — chiese Louis. — In un’ora possiamo circumnavigarla.

— Se hai paura, sganciati dalla formazione. Ti aspettiamo dopo l’Occhio.

— Voglio sapere cos’è.

Lo kzin sorrise in un ghigno pauroso, mostrando le zanne: — Sei vigliacco quasi come Nessus. Non vedi? È una formazione casuale di nubi.

— Io abolirei la parola casuale — disse Louis.

— E va bene. Allora è un Luna Park. — Speaker era in vena di scherzi: il pericolo accendeva il suo scarso humour: — Oppure è il quartier generale dell’Unione Optometristi. Con la tecnologia degli antichi Anellari, potrebbe essere qualsiasi cosa.

— Se solo sbatte una palpebra, ci schiaccia tutti!

L’ultimo a parlare era stato Nessus. Louis vide la schiena del burattinaio, e lo chiamò. Nessus si scosse, alzando prudentemente una testa: — Siamo in stato di emergenza? — domandò.

Louis non riusciva a guardare l’Occhio. — I nostri compagni hanno voglia di morire — disse. — Tu che cosa decidi?

Il burattinaio accennò ad appallottolarsi. Poi sciolse le membra, e rimase a fissare l’uragano che si avvicinava: — Non può essere una tromba d’aria — concluse. — Sul Mondo ad Anello, l’atmosfera mantiene sempre la stessa temperatura e la stessa velocità. Quindi non esistono le trombe d’aria.

— Chi te lo garantisce? La scienza burattinaia?

— Certo. Ma quassù, niente è sicuro. — Nessus si guardò una testa con l’altra testa, come se ammiccasse a se stesso: — Ci sono! È un vuoto d’aria creato artificialmente.

Louis guardò l’Occhio. E rabbrividì. La palpebra si stava abbassando, poi si sollevò con un movimento terrificante. Il terrestre ricordò scene apocalittiche, lette in qualche microfilm, o immaginate durante i viaggi nel cosmo.

— Dipende dalla velocità di rotazione dell’Anello — disse il burattinaio. — La forza centripeta fa abbassare la coltre di nubi più scura, quella che forma la pelpebra. La forza centrifuga la fa alzare. Ti convince la mia teoria?

— Per niente.

Poi, all’improvviso, Louis capì: — Accidenti! È un foro nello spessore dell’Anello… una meteora l’ha bucato!

— Forse hai ragione. Dobbiamo andare a vedere.

Il panico superstizioso di Louis era già soltanto un ricordo. La calma analitica del burattinaio era contagiosa e rassicurante. Louis fissò l’Occhio, questa volta senza timore: — Sì, andiamo.

— Non è altro che aria in un vacuum parziale — disse Nessus.

— D’accordo. Voleremo tutti nell’Occhio del ciclone.


L’Occhio era lungo almeno cento miglia, e alto quaranta. Man mano che si avvicinavano il suo contorno si tingeva di azzurro, e i vari strati diventavano visibili. Un tunnel di venti vorticosi, abbastanza compatto, formava l’immagine di un occhio umano. E assomigliava sempre a un occhio quando si lanciarono nell’iride.

Sembrava di cadere nell’occhio di Dio. L’effetto era talmente spaventoso da diventare quasi comico. Louis non sapeva se ridere o piangere, oppure se fare marcia indietro.

Ormai erano dentro.

Si calarono in un corridoio nero rischiarato ogni tanto dai lampi. Per un breve tratto trovarono aria tersa. Oltre la zona dell’iride le nuvole opache turbinarono intorno a loro, spostandosi a una velocità superiore a quella di un normale uragano.

— Il mangia-foglie aveva ragione — ruggì Speaker. — È solo bufera.

— Che ridere! È stato l’unico a non lasciarsi cogliere dal panico. Immagino che i burattinai non siano superstiziosi — gridò Louis.

— Vedo qualcosa davanti a noi! — gridò Teela.

Un buco nel tunnel. Louis fece una smorfia, e tenne le mani appoggiate ai comandi. Su quel buco poteva turbinare un risucchio infernale.

Si sentiva meno diffidente, meno teso di quanto non fosse al momento di entrare nell’Occhio. Che cosa diavolo poteva capitare se persino quel fifone di un burattinaio lo aveva rassicurato?

Si avvicinarono. Sorvolarono l’apertura circolare, in un vortice di lampi, nel risucchio pauroso che tentava di scagliare lontano i volocicli come pagliuzze insignificanti. La bufera mugghiava negli orecchi dei quattro esploratori, benché i campi sonici ne attenuassero l’impeto.

Le pareti dell’imbuto si illuminavano ai raggi catodici provocati dalle correnti differenziali in un vacuum quasi assoluto. Le nubi ruotavano. Ammassi giganteschi di polvere si contorcevano. I volocicli scomparivano nell’immensità, poi ricomparivano, abbaglianti nella luce, oppure opachi nel buio, verso la stretta apertura che si apriva sul fondo, a miglia e miglia di distanza… Il veicolo di Teela venne ghermito da una folata.

Louis osservò la ragazza. Teela stava per svenire. Le usciva il sangue dal naso. E chiamava, a bocca spalancata, senza voce. Louis si morse il labbro a sangue. Guardò in fondo all’imbuto, una specie di gorgo di uno scarico nauseabondo. Il volociclo di Teela precipitò nel vuoto, in un turbinio di spruzzi. Una scia di vapori, poi più nulla.

Qualche minuto dopo, Louis si risvegliò dall’intontimento. Premette il pulsante di chiamate per Nessus: — Cosa possiamo fare?

Sullo schermo, Teela stava a faccia in giù, con i capelli spioventi. Era svenuta. Il suo veicolo sfuggiva ai controlli.

— Dobbiamo aspettare che si riprenda — rispose il burattinaio. — Poi le dirò che cosa deve fare per tornare alla propulsione normale.

— Ma intanto, non possiamo aiutarla?

— Stai tranquillo. Il volociclo eviterà gli ostacoli. E non precipiterà. Il pericolo maggiore è la mancanza di ossigeno al cervello. Ma credo che non succederà.

— Accidenti, Nessus. L’anossia è pericolosissima…

— Sì. Ma Teela è fortunata.

Strano: il burattinaio si nascondeva a palla solo quando il pericolo era relativo. Nei momenti drammatici, sapeva mantenersi più calmo degli altri.

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