Speaker fece scattare la sirena d’allarme. L’ululato andava e veniva su frequenze multiple. Louis era curioso di sapere se il burattinaio avrebbe risposto. Nessus stava già urlando: — Pronto! Pronto!
— Ci stanno attaccando — gli spiegò Speaker. — Qualcosa trascina i nostri veicoli. Cosa suggerisci?
Era impossibile indovinare i pensieri di Nessus. Le sue numerose labbra si contraevano nervosamente senza dire parola. Era in grado di aiutarli? O si sarebbe lasciato prendere dal panico?
— Inserite i videofoni. Siete feriti?
— No, ma siamo bloccati — rispose Louis. — Non possiamo saltare giù dai volocicli perché siamo troppo alti e troppo veloci. Ci stanno portando verso il gruppo di palazzi illuminati, ti ricordi?
— Sì. — Il burattinaio stava riflettendo. — Dev’essere un segnale clandestino sovrapposto a quelli dei nostri strumenti. Speaker, dammi i dati.
Speker glieli passò, mentre si avvicinavano sempre più al centro della città.
A un certo punto Louis li interruppe. — Stiamo passando sopra la zona periferica con le strade illuminate.
— Sei sicuro che si tratti di lampade stradali?
— Sì e no. Tutte le porte delle case riflettono una forte luce arancione. Credo che sia l’illuminazione stradale. L’energia si è indebolita.
— Siamo diretti al grande edificio centrale.
— Lo vedo. Un doppio cono illuminato in cima.
— Proprio quello.
— Proviamo a interferire nel segnale clandestino. Louis, collega il tuo volociclo al mio.
Louis aprì il circuito di collegamento. Sentì che il volocicli sbatteva violentemente. Subito dopo mancò l’energia.
Intorno a lui cominciarono a esplodere i palloni frenati. Lo stringevano come un paio di mani giunte. Louis era immobilizzato, non riusciva a muovere le mani né a girare la testa.
— Sto cadendo — riferì. Gli era rimasta la mano sulla leva del circuito di collegamento, schiacciata sotto la pressione dei palloni. Louis attese ancora, nella speranza che il circuito resistesse. Ma le case si stavano avvicinando troppo. Fu costretto a guidare a mano.
Non successe nulla, continuava solo a cadere.
Con un tono tranquillo, frutto di pura millanteria, disse a Speaker: — È inutile che colleghi il circuito, tanto non funziona — e rimase col viso impassibile e gli occhi ben aperti. Si aspettava che il Mondo ad Anello lo colpisse a morte.
Il volociclo frenò e capotò, lasciando Louis a testa in giù, sotto un peso di cinque gravità.
Perse i sensi.
Rinvenne. Era ancora a testa in giù, trattenuto fra i palloni. La testa gli batteva. Ebbe la folle visione del Grande Burattinaio che imprecava cercando di non ingarbugliare i fili della marionetta Louis che, intanto, ciondolava a testa in giù.
La parte inferiore del palazzo, formato da un cono rovesciato, spalancò una fessura orizzontale. I volocicli vennero calamitati, inghiottiti, inglobati nell’interno. I palloni strinsero anche Speaker. Il terrestre aggrottò le sopracciglia con maligna soddisfazione: era tanto avvilito che la compagnia di un’altra marionetta gli faceva piacere.
— Sono palloni che formano un campo elettromagnetico — stava spiegando Nessus. — Sostengono i metalli, ma non il protoplasma. Il risultato è che ora siete penzoloni.
— Consolante lezione teorica — commentò Louis. Si dimenò per liberarsi. Ma temette di precipitare, e si fermò.
Alle loro spalle, l’apertura orizzontale si chiuse sull’oscurità completa. Speaker ebbe un urlo spaventoso: — Accidenti, il motore scotta. Deve essere bruciato… Addio volocicli!
Louis si sforzava di vedere qualcosa. Poteva girare la testa, ma le guance gli fregavano la pelle della faccia. Senza speranza, allungò la mano verso il cruscotto. Trovò l’interruttore e due fanali sprigionarono fasci di luce bianchissima contro la parete ricurva.
Una dozzina di veicoli pendevano dal soffitto invisibile. Alcuni sembravano zaini-jet a propulsione. Altri erano aerocar, fra i quali spiccava una specie di autocarro volante dalla carcassa trasparente.
— I campi elettromagnetici dei vostri volocicli — diceva Nessus, — sono saltati.
— Una prigione — disse Louis a fior di labbra. Si sentiva la testa gonfia.
— Se è una prigione — brontolò lo kzin — come mai non c’è nemmeno un paralizzatore?
— Meglio così — intervenne il burattinaio. — Forse potrai usare la scavatrice Slaver.
Louis si guardò intorno. Uno degli zaini-jet, di tipo arcaico, era occupato da uno scheletro paurosamente candido. Uno scheletro umano, vestito con abiti vivacemente colorati.
Gli altri veicoli erano vuoti. Le ossa dovevano essere state eliminate. Louis vide sotto di sé diverse botole, e alcune scale a chiocciola che portavano a una costruzione concentrica. Le porte non potevano che essere quelle di celle.
Non era il caso di meravigliarsi se uno solo degli uomini attaccati agli zaini aveva avuto paura di staccarsene. Tutti gli altri, intrappolati nelle loro macchine, avevano preferito una caduta veloce piuttosto che aspettare di morire di sete.
— Non riesco a capire su che cosa si possa usare il disintegratore — disse Speaker.
— Invece io ci ho riflettuto.
— Scavare un buco nella parete non serve a niente. Idem per il soffitto, che non riuscirebbe a raggiungere comunque. Se colpisco il generatore del campo che ci trattiene, piomberemo da un’altezza di trenta metri. E se non lo fa, rimarremo qui appesi aspettando di morire di fame o finché non decideremo di darci l’addio e buttarci dai volocicli.
— Sì.
— Tutto qui? Solo sì?
— Uno di voi mi deve descrivere che cosa vede attorno a sé. Io vedo soltanto una parete ricurva.
Fecero a turno per descrivergli il gruppo conico di celle che intravedevano nel debole fascio di luci; anche Speaker accese i suoi fari, migliorando la situazione.
Ma quando finirono di elencare ogni cosa, erano ancora intrappolati, penzolanti su un trabocchetto mortale.
Louis sentiva l’urlo che ribolliva nel più profondo del suo essere, ancora controllato ma sempre più impellente. Presto sarebbe esploso… Gli venne il dubbio che Nessus volesse abbandonarli. Esistevano un sacco di ragioni perché il burattinaio se ne lavasse le mani, e nessuna perché li salvasse.
A meno che non s’illudesse ancora di trovare dei nativi civilizzati.
— I veicoli sospesi in aria e lo scheletro indicano che non c’è nessuno incaricato al funzionamento dei meccanismi — disse Speaker pensoso. — I campi che ci hanno incastrato devono avere raccolto alcuni veicoli dopo lo spopolamento della città. Ma a quel tempo, sull’Anello, non esistevano più veicoli. Quindi questi macchinari funzionano ancora perché l’energia non si è esaurita.
— Può darsi — disse Nessus. — Però ti avviso che qualcuno sta controllando la nostra conversazione.
Louis drizzò gli orecchi. Quelli di Speaker si aprirono a ventaglio. — Ci vuole una tecnica eccellente per intercettare un circuito chiuso.
— Riesci a capirci qualcosa?
— Conosco solo la sua provenienza. L’interferenza parte proprio da un punto vicino a voi. Magari la spia è sopra la vostra testa.
Louis tentò di guardare in alto. Niente da fare. Era sempre capovolto, con due palloni che lo premevano da ogni lato. — Allora, abbiamo trovato la civiltà — disse a voce alta.
— Forse. Lasciami pensare…
Il burattinaio se ne uscì a fischiettare musica di Beethoven, o dei Beatles. Secondo Louis, stava componendo per conto suo. Lo zufolamento non finiva più. Louis cominciava a sentire la testa battergli furiosamente.
Dopo un alternarsi di speranza e disperazione, il burattinaio si fece vivo di nuovo: — Niente disintegratore. Louis Wu, tocca a te. Discendi dalle scimmie, quindi ti arrampichi meglio dello kzin.
— Arrampicarmi?
— Le domande me le farai dopo. Aggancia il laser alla cintura: colpisci il pallone di fronte a te. Vedrai che si bucherà. Quando starai per cadere, afferra la tela del pallone. Poi ti arrampichi lungo la tela, sul volociclo.
— Tu stai dando i numeri.
— Numeri? Quali numeri… Non interrompermi, terrestre! Sto tentando di salvare la tua pelle. Dovrai distruggere l’arma che ha fatto saltare i motori. Probabilmente ce ne sono due. Una è sopra la fessura d’ingresso. L’altra, non so. Ma sono identiche.
— Se lo dici tu, scommetto che sono diverse. Ma il guaio è che io non ce la faccio ad arrampicarmi lungo la tela…
— Speri che ci si arrampichi Speaker?
— Ma i gatti sono capaci di arrampicarsi!
— Non vi abbandonerò — disse Nessus. — Aspetterò, per ora. Può darsi che vi venga in mente un piano migliore del mio.
Louis non riusciva a rendersi conto del passare del tempo. Tutto era immutabile. Si sentiva, in lontananza, soltanto lo zufolio di Nessus.
Alla fine, cominciò a contare i battiti del suo cuore. Settantadue al minuto, calcolò. Pochi minuti dopo disse: — Settantadue. Uno. Cosa sto facendo?
— Parli con me?
— Maledizione, Speaker, non lo sopporto. Preferisco morire subito senza aspettare di impazzire.
Cominciò a spingere le braccia con forza.
— Louis, comando io. Ti ordino di rimanere calmo.
— Scusa. — Louis cominciò a spingere le braccia ritmicamente, riposandosi ogni tanto.
— Il suggerimento del burattinaio è un suicidio, Louis.
— Può darsi. — Eccolo, il laser a flash. Con altri due strattoni lo liberò dalla cintura e lo puntò. Avrebbe bruciato la sua immagine nel cruscotto, ma non se stesso.
Fece fuoco.
Il pallone si sgonfiò pian piano. L’altro pallone, alle spalle di Louis, lo spinse in avanti verso il cruscotto. Con l’aiuto di quella leggera pressione era facile spingere il laser nella cintura e agguantare due lembi della tela che si raggrinziva svuotandosi.
Stava scivolando giù dal sedile. Svelto, più svelto… si afferrò con la forza di un pazzo, e quando cadde, rigirandosi su se stesso, non si lasciò sfuggire la presa sulla tela. Rimase appeso sotto il volociclo, su un trabocchetto alto trenta metri, e…
— Speaker!
— Eccomi. Ho l’arma pronta. Vuoi che ti sgonfi l’altro pallone?
— Sì! — Gli attraversava la strada bloccandolo.
Il pallone soffiò la polvere per qualche secondo, poi si disintegrò in un forte sbuffo d’aria. Speaker lo aveva colpito con un raggio del disintegratore.
— Solo Finaglo sa come prendi la mira, tu — disse Louis ansimando. Cominciò ad arrampicarsi. Gli era facile salire, finché la stoffa resisteva. Faceva di tutto per non mollare la presa. Ma la stoffa arrivava solo vicino al pedale del volociclo che, sotto il peso, si era semirovesciato.
Si spinse il più possibile contro il volociclo, sollevando le ginocchia strette al corpo. Cominciò a dondolarsi. Speaker emetteva strani bramiti. Il volociclo oscillò, allargando il movimento oscillatorio. Louis capì che la parte più pesante stava nella pancia del veicolo. In qualunque punto si fosse messo, non sarebbe mai riuscito a salirvi sopra. Infatti Nessus non glielo aveva suggerito.
L’oscillazione aumentò e Louis sentì l’urgente bisogno di vomitare. Se gli si intasavano le vie respiratorie proprio adesso, era finita. Scattò in avanti e afferrò l’altra estremità del pallone sgonfio. Ce l’aveva fatta.
Ora stava appiattito sulla pancia del veicolo; aspettò, strettamente avvinghiato. La carcassa inerte del volociclo esitò, poi si mosse ancora lentamente. Gli si rivoltò lo stomaco e vomitò sul metallo. Poi si fece coraggio e sollevò gli occhi.
Una donna lo stava guardando.
Sembrava completamente calva. Il suo viso gli ricordava la scultura in ferro metallico che aveva visto al castello. Le assomigliava nei tratti e nell’espressione. Era calma come una dea, o come una donna morta. Avrebbe voluto arrossire, nascondersi o sparire.
Invece disse: — Speaker, ci stanno osservando. Collegati con Nessus.
— Un attimo, Louis, sono in una brutta posizione. Ho fatto lo sbaglio di guardarti mentre ti arrampicavi.
— D’accordo. Credevo che fosse calva, no… ha una frangetta che le scende sulle orecchie. Porta i capelli lunghi sciolti per le spalle. — Non disse che erano folti e scuri e che le scendevano in avanti ogni volta che chinava il capo per osservarlo, e nemmeno che la linea della sua testa era fine e delicata, e che gli occhi lo trafiggevano. — Credo che sia un Ingegnere; o appartiene alla stessa razza. Hai capito bene?
— Sì. Come fai ad arrampicarti così? Per te la gravità non esiste. Che cosa sei?
Louis si mise a ridere e continuò a tenersi stretto al volociclo. — Hai chiamato Nessus?
— Sì, con la sirena.
— Riferiscigli questo: la donna è lontana da me sei metri. Mi sta studiando come un serpente. Sta seduta dentro una specie di cabina; le pareti dovevano essere di vetro o qualcosa di simile, ma sono distrutte. Ci sono rimasti alcuni scalini e una piattaforma.
S’interruppe. La ragazza aveva detto qualcosa.
Aspettò un momento e la ragazza ripeté una frase molto breve. Poi si alzò con grazia e salì le scale.
— Se n’è andata — fece Louis.
— Forse è ritornata al suo apparecchio di ascolto.
— Sì, hai ragione.
— Nessus propone di farle vedere il tuo laser… No, aspetta. Ci ha ripensato. Vuole tentare qualcosa di più decisivo. Sta arrivando qui.
Louis si rilassò. Doveva fidarsi del burattinaio, della sua vigliaccheria e della sua folle saggezza. Provò a dormire, e a tratti ci riuscì. Non perse mai la coscienza della situazione in cui si trovava. Negli attimi di sonno, sognava di trovarsi sopra il volociclo dondolante, in pericoloso equilibrio. Attimi di veglia, frammenti di incoscienza, un incubo persistente.
La luce del sole, attraverso l’apertura orizzontale, lo svegliò definitivamente. Si profilava la sagoma nera del volociclo di Nessus, capovolto. Il burattinaio non era trattenuto da palloni, ma da cinghie.
— Benvenuto — disse Louis.
— Nessus, puoi rimettermi con la testa nella posizione giusta? — domandò lo kzin.
— Per il momento, no. La ragazza è ricomparsa?
— No.
— Tornerà. Gli umani sono curiosi. Non deve aver visto tipi della nostra specie prima di oggi.
— Che me ne frega? Voglio tornare a testa in su — gemette Speaker.
Il burattinaio armeggiò sul suo cruscotto e accadde il miracolo. Il suo volociclo si rivoltò.
— Come hai fatto? — riuscì a dire Louis.
— Mi sono accorto che il segnale clandestino aveva captato i miei controlli. Ho staccato gli interruttori. Se il campo di sospensione non mi afferrava, potevo riaccendere i motori prima di andare a sbattere per terra. Ora — disse vivacemente il burattinaio, — il resto dovrebbe essere semplice. Quando la ragazza si farà viva comportatevi amichevolmente. Louis, se credi puoi anche avere rapporti sessuali con lei. Louis sarà il nostro padrone e noi i suoi servi. Può darsi che la donna sia xenofoba e il fatto che un umano comandi gli alien può tranquillizzarla.
Louis si mise a ridere, ancora nell’incubo del dormiveglia. — Dubito che lei si lasci sedurre. Non l’hai vista, tu. È gelida come le caverne di Plutone.
— Oh, sarà felice ogni volta che ci guarderà, e infelicissima se si allontanerà. Se poi ti stringerà, proverà una gioia tale…
— Che mi venga un colpo! Sì! — gridò Louis.
— Hai capito? Bravo. Per di più ho imparato la lingua dell’Anello e credo che la mia pronuncia sia corretta.
Speaker aveva smesso di lamentarsi. Appeso a testa in giù sulla fossa della morte, coperto di bruciature e con una mano carbonizzata sino all’osso, si era infuriato contro Nessus e Louis per la loro incapacità di aiutarlo. Ma ormai erano ore che taceva.
Louis sonnecchiava. Sentì uno scampanellio negli orecchi, e si svegliò.
Era la ragazza che scendeva le scale. Aveva i campanelli sui mocassini, e si era cambiata d’abito; portava una veste accollatissima e lunga, con enormi tasche rigonfie. I lunghi capelli neri le ricadevano su una spalla.
La serena dignità del suo volto non era mutata. Si sedette appoggiando i piedi sul bordo della piattaforma e si mise a osservare Louis Wu. Rimase immobile, e Louis fece altrettanto. Si fissarono negli occhi.
Poi lei si mise a frugare nei tasconi e ne tirò fuori un oggetto della dimensione di un pugno, di un vivo color arancio. Lo lanciò verso di lui, mirando in modo che l’oggetto gli passasse a pochi centimetri di distanza e lui arrivasse ad afferrarlo.
Louis capì che cos’era. Il frutto andò a spiacciarsi sul tetto di una cella, mettendo a nudo una polpa rossa. Louis fu assalito da una sete furibonda.
La ragazza gliene gettò un altro. Avrebbe potuto afferrarlo, ma avrebbe anche rovesciato il volociclo. E lei lo sapeva bene.
Il terzo lancio gli sfiorò una spalla e lui strinse ancora di più i lembi del pallone. S’immerse in pensieri neri.
Poi arrivò in vista il volociclo di Nessus e lei sorrise.
Il burattinaio fluttuava dietro al relitto dell’autocarro volante. Di nuovo capovolto si lasciò trasportare di sghembo verso la piattaforma di osservazione, come se fosse sospinto da una dispersione di corrente indotta. Passando vicino a Louis gli domandò: — Sei capace di sedurla?
Louis sogghignò. Poi, quando si rese conto che il burattinaio non lo stava canzonando per niente, rispose: — Credo che mi consideri un animale. Lascia perdere.
— Allora ci vuole una tattica diversa.
Louis fregò la fronte contro il metallo freddo. Non si era mai sentito tanto miserabile. — Sei tu il capo — rispose. — Non comprerebbe me perché sono simile a lei. Ma te, può darsi di sì. Tu non sei un suo concorrente, sei troppo alien.
Il burattinaio lo aveva già superato, e pronunciò una frase nello stesso tono della lingua del prete rasato che guidava il coro: il linguaggio sacro degli Ingegneri.
La ragazza non rispose. Però… non fece un sorriso vero e proprio, ma incurvò leggermente gli angoli della bocca e dai suoi occhi sparì l’animosità.
Nessus usava il tasp, a bassa corrente.
Le rivolse di nuovo la parola e la ragazza rispose. Aveva una voce fredda e musicale, dal tono imperioso.
La voce del burattinaio imitò quella della ragazza. Ne saltò fuori una lezione di lingua.
Per Louis Wu la faccenda si prospettava noiosa da morire. Capiva qualche parola qua e là. A un certo punto lei lanciò a Nessus uno dei suoi frutti arancione, e stabilirono che si trattava di un thrumb. Nessus lo acchiappò.
Di colpo lei si alzò in piedi e se ne andò.
— Be’? — fece Louis.
— Cominciava ad annoiarsi — disse Nessus.
— Sto morendo di sete. Potrei avere il thrumb?
— Thrumb è il colore della buccia, Louis. — Gli si accostò col volociclo e gli porse il frutto.
Ormai Louis era a un punto tale di disperazione che alzò una mano. Addentò la spessa buccia del frutto e la strappò via con i denti. Era la cosa più squisita che avesse mai assaggiato in duecento anni.
— Ritorna? — chiese dopo aver terminato di mangiare il frutto.
— Speriamo. Ho usato il tasp a bassa energia per agire sull’inconscio. L’effetto aumenterà ogni volta che mi vedrà. La facciamo innamorare di te, Louis?
— Lascia perdere. Lei crede che sia un nativo, magari un selvaggio. Ora che ci penso, lei che cos’è?
— Non posso ancora dirlo. Non abbiamo toccato l’argomento. Non conosco ancora abbastanza la lingua.
La ragazza si inginocchiò sull’orlo della piattaforma di osservazione, scrutandoli con freddezza. Lentamente, la sua espressione si addolcì. Gli occhi assunsero un’aria sognante.
Nessus si mise a parlare. La ragazza sembrò riflettere, poi pronunciò una frase: forse la risposta.
All’improvviso, il volociclo del burattinaio si sollevò, oscillando sul vuoto, e andò a battere contro lo spigolo della piattaforma. Nessus mise piede a riva, con grazia.
La ragazza si girò, imboccò le scale senza neppure voltarsi: sembrava sicura che Nessus la seguisse come un cagnolino. Il burattinaio, infatti, la seguì.
— Bravo — disse Louis sottovoce, — conquista la sua fiducia. — Ma non appena l’eco dei passi si fu dileguata, l’antro, la spirale con le celle, la volta invisibile e il buio lo angosciarono. Ebbe la sensazione di essere sepolto vivo.
Speaker era a dieci metri di distanza, in mezzo al Mare dei Sargassi di metallo. Quattro dita nere e un ciuffo di pelo arancione spuntavano tra i palloni di tela verde. Non c’era modo di avvicinarsi. Lo kzin poteva essere già morto.
In basso, fra le ossa biancheggianti, ci doveva essere almeno una dozzina di teschi. Ossa, secoli, metallo arrugginito e silenzio.
Era nel domiveglia quando poco dopo qualcosa cambiò. Cominciava a perdere l’equilibrio…
La sua vita era appesa a un filo e il disorientamento momentaneo lo riempì di panico. Si guardò disperatamente intorno, cercando di muovere solo gli occhi.
I veicoli intorno a lui erano immobili, eppure c’era qualcosa…
Una vecchia macchina urtò con gran fragore di metallo schiantato e cominciò a sollevarsi.
Cosa diavolo… ma no, non si sollevava; aveva urtato contro l’anello più alto delle celle. Era il Sargasso che stava sprofondando lentamente.
Una dopo l’altra le macchine e gli zaini-jet toccarono terra facendo un chiasso d’inferno. Il volociclo di Louis andò a sbattere contro qualcosa di duro dopo essere stato sballottato nello sconvolgimento delle forze elettromagnetiche, e si rovesciò. Louis lasciò andare la presa e se ne liberò con una capriola.
La prima cosa che fece fu quella di alzarsi. Ma non riuscì a stare diritto sui piedi. Aveva le mani inservibili, rattrappite nello sforzo. Si gettò su un fianco, ansimando, e pensò che era troppo tardi.
Il veicolo dello kzin era rovesciato su un fianco. C’era anche Speaker, ma non sotto il volociclo: i palloni lo avevano protetto. Louis lo raggiunse strisciando sul pavimento.
Era ancora vivo, e respirava, ma fuori conoscenza. Il peso del volociclo non gli aveva rotto il collo, forse perché lui un collo vero e proprio non l’aveva. Louis afferrò il laser dalla cintura dello kzin, e liberò Speaker dai palloni colpendoli col sottile raggio verde.
Louis si ricordò di colpo di avere una sete furibonda. Non gli girava più la testa e cercò di alzarsi in piedi con le gambe che gli tremavano.
Il volociclo di Nessus stava nella fila sotto a Speaker.
Louis scese per avvicinarvisi. A ogni scalino gli tremavano le caviglie. I muscoli erano ancora troppo tesi per poter assorbire gli urti.
Vide il cruscotto. Le leve e i pulsanti di guida erano talmente misteriosi che nessuno avrebbe potuto rubare il veicolo del burattinaio. Riuscì a individuare il beccuccio dell’acqua. Era calda, eppure deliziosa.
Riempì una scarpa, l’unico recipiente che gli era venuto in mente, per portare acqua a Speaker. La fece gocciolare nella bocca dello kzin che la inghiottì, sempre incosciente, e sorrise. Louis andò a prenderne dell’altra ma gli mancarono le forze prima di raggiungere il veicolo del burattinaio.
Allora si accucciò sulla plastica liscia del pavimento e chiuse gli occhi.
— Non è giusto — disse sottovoce. Si sentiva responsabile del benessere degli altri. Ormai la sua vita dipendeva solo dal modo in cui Nessus la dava a bere a quella pazza mezzo pelata che li teneva prigionieri.
Eppure…
Eccolo là, il suo volociclo, con i palloni sgonfiati che penzolavano, vicino a quello di Nessus. C’era anche il veicolo di Speaker e quell’altro col sellino da umani, senza palloni. Quattro in tutto.
Il volociclo di Teela! Doveva essere rimasto nascosto dietro a uno dei veicoli più ingombranti. Teela era certamente precipitata quando il volociclo si era rivoltato, oppure era stata sbalzata via quando il campo sonico si era interrotto di colpo?
Nessus l’aveva detto. Non ci si può fidare della sua fortuna. E anche Speaker. Se le manca la fortuna ancora una volta sola, muore.
Doveva essere morta, per forza.
Sono venuta con te perché ti amo.
— Che razza di scalogna avermi incontrato — disse Louis Wu.
Si rannicchiò sul duro pavimento. Si risvegliò dopo qualche ora. I muscoli gli dolevano ancora e si sentiva la vescica gonfia. Aveva un tanfo, addosso, che lo nauseava. La fossa gli servì per risolvere in maniera pratica uno dei problemi, e l’acqua del volociclo del burattinaio gli ripulì la porcheria dalle maniche. Poi scese zoppicando una rampa di scale per cercare la cassetta di pronto soccorso del suo volociclo.
Non era una semplice scatola di medicinali; preparava le dosi su ordinazione e faceva la diagnosi. Era un’apparecchiatura completa. Ma era bruciata.
La luce stava diminuendo lentamente.
Intorno alla botola di ogni cella c’erano dei pannelli trasparenti, e Louis si distese a terra per guardarvi dentro. Vide un letto, e una toeletta di foggia particolare. La luce del giorno s’infiltrava nella stanzetta attraverso una finestra.
— Speaker — chiamò Louis.
Irruppero dentro usando il disintegratore. La finestra era larga e rettangolare, un lusso singolare per una cella carceraria. Il vetro non esisteva più, a parte qualche frammento aguzzo che spuntava dall’intelaiatura. Era fatta apposta per schernire il prigioniero, per fargli sospirare la libertà?
Cominciava a imbrunire e l’ombra avanzava come una cortina nera. Dirimpetto c’era il porto con i magazzini e i moli in sfacelo. Nel bacino di carenaggio, un’enorme nave sembrava uno scheletro.
A sinistra e a destra, una spiaggia sinuosa si allungava per miglia e miglia e, al di là della distesa sabbiosa, altri moli e ancora spiaggia.
Più in là, una distesa interminabile che si perdeva in lontananza sull’orizzonte-infinito. Era come guardare sull’Atlantico.
Sopraggiunse da destra una nuvola di polvere densa. Le ultimi luci del Centro Civico brillavano in contrasto con l’oscurità in cui erano già immersi la città, i moli e l’oceano.
Speaker, intanto, si era impadronito del letto della cella.
Louis sorrise. Come sembrava pacifico lo kzin guerriero. Voleva dimenticare le sue ferite nel sonno? Le bruciature lo avevano indebolito. Magari cercava di dormire per scordarsi la fame.
Nel buio della prigione ritrovò il veicolo di Nessus. Riuscì a buttare giù uno dei panini destinati all’esofago del burattinaio, senza curarsi dello strano sapore. Accese i fanali di Nessus. Se ne andò alla ricerca degli altri volocicli, e accese anche quelli. Adesso la prigione era abbastanza illuminata.
Come mai Nessus ci metteva tanto?
In fin dei conti, Nessus non era un semplice alien. Era un burattinaio di Pierson con un curriculum lungo tre chilometri di manipolazioni degli esseri umani, sempre per scopi personali. Se avesse solo trovato un punto di contatto con un Ingegnere del Mondo ad Anello, era capace di piantare Louis Wu e Speaker senza neanche pensarci un momento. Di scrupoli doveva averne pochini.
Loro due sapevano troppo. Con la morte di Teela, solo Speaker e Louis erano a conoscenza degli esperimenti dei burattinai sull’evoluzione prestabilita delle loro razze. L’esca per i semi delle stelle, le Leggi sulla Fertilità… se Nessus aveva ordine di divulgare informazioni così importanti allo scopo di controllare le reazioni del suo equipaggio, altrettanto facilmente aveva l’incarico di abbandonarli a un certo punto del viaggio.
Louis aveva sospettato un comportamento del genere da quando Nessus aveva ammesso che erano stati i burattinai a guidare con un’esca per i semi stellari una nave Outsider verso Procione.
Per occupare il tempo entrò in un’altra cella spaccandone le serrature col laser. La botola si sollevò. Uscì un tanfo insopportabile. Louis infilò la testa, trattenendo il fiato. Lì dentro era morto qualcuno, dopo che l’areazione era cessata. Un cadavere piegato su se stesso, contro la finestra, teneva ancora in mano una brocca. La brocca era spezzata, ma la finestra era rimasta intatta.
La cella vicina era vuota. Louis ne prese possesso.
Aveva girato attorno alla fossa per trovare una cella con la veduta verso Starboard; davanti a lui si vedeva l’uragano di vortici che, anche alla distanza di duemilacinquecento miglia, aveva dimensioni impressionanti. Un enorme occhio azzurro e meditabondo.
E dietro all’Occhio vide un triangolo minuscolo, color grigio brillante.
— Uhm — fece Louis piano. Era proprio un triangolo piazzato nel grigiore caotico dell’orizzonte-infinito. Allora là era ancora giorno, sebbene lui stesse guardando a Starboard…
Il binocolo gli rivelò ogni particolare, nitido e netto come i crateri della Luna. Un triangolo irregolare con la base marrone rossiccio e l’apice lucente come neve sporca. Era Pugno-di-Dio. Sì, era molto più grande di quanto non pensassero; per essere visibile a quella distanza, la montagna doveva addirittura sporgere al di sopra dell’atmosfera.
Dopo il disastro della Liar, i volocicli avevano volato per centocinquantamila miglia; Pugno-di-Dio doveva avere un’altitudine di mille miglia. Louis fischiò, e puntò di nuovo il binocolo.
— Salute, Louis — ruggì Speaker-agli-Animali. E gli mostrò una carcassa sanguinolenta che aveva le dimensioni di una capra. Con un solo morso staccò un pezzo di carne che sarebbe bastata per fare una bistecca alla Chateaubriand. I denti gli servivano più a frantumare le ossa che a masticare.
Risuonarono dei passi.
Doveva avere la mania di cambiarsi d’abito, pensò Louis. Adesso indossava un ricco mantello a pieghe grigio e arancione.
Lo kzin gli allungò una zampa sanguinante, con lo zoccolo e la pelle ancora attaccati: — Ne ho messo da parte un pezzo per te. È morto da un po’, ma non importa. Sbrighiamoci. Il mangia-erba non ci vuole vedere, mentre mangiamo carne.
— Il mangia-erba non ci può vedere.
— Sì, invece. Sta guardando il panorama dalla mia finestra.
Louis sgranò gli occhi: — Vuoi dire che è tornato?
— Certo.
Louis rimase incerto per un attimo. Poi si decise. Prima di parlare con il burattinaio, era meglio rimettersi in forze. Addentò la carne. Non ne ebbe nausea né schifo. Aveva fame.
Per rispetto ai gusti vegetariani di Nessus, gettarono le ossa dalla finestra, sopra la città. Nessus si affacciò alla porta. Annusò l’aria che sapeva di carne.
— Bene. La ragazza è condizionata solo in parte — disse.
— Un momento. Chi è?
— Un’astronauta. Fa parte di una nave-sperone.
— È lei che ci ha intrappolati come topi?
Nessus non rispose. Aveva un atteggiamento ambiguo.