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Quando Yoninne ritornò alla cella della prigione, alias appartamento per ospiti, il crepuscolo si era già imbrunito fino a trasformarsi in notte. Una delle lune era sorta sopra il profilo di un antico cono vulcanico e la sua luce grigio argentata faceva luccicare le minuscole onde del lago centrale, dipingeva con i suoi colori i fianchi arcuati delle imbarcazioni che vi galleggiavano e trasformava la spiaggia su cui lei camminava in una pallida striscia ricurva. Da qualche parte al di là del lago, all’ombra della parete del cono, giungeva un rumore di spruzzi e di risa e l’inconfondibile profumo di una cena cotta sulla brace.

Una delle sue guardie, o guide?, la fece allontanare dalla spiaggia per condurla su un sentiero che girava ad angolo su per la collina, tra alberi simili a palme. Filtrando tra i rami, la luce della luna si disperdeva sul terreno in minuscoli frammenti triangolari, e l’odore del verde regnava dovunque. Nell’aria umida, il vestito incominciava appena ad asciugarsi ma la stoffa era così impalpabile e leggera che Yoninne non si accorgeva nemmeno che fosse bagnata. La tuta di volo che aveva in mano, invece, era ancora completamente fradicia, nonostante l’avesse lasciata sul davanzale della finestra per tutto il giorno.

Il trattamento era molto diverso da quello che aveva ricevuto in mattinata, quando era stata tirata giù da un giaciglio di paglia in una cella senza porte e trasportata senza tante cerimonie da una polla d’acqua all’altra. Ora le guardie la trattavano quasi con sollecitudine e dopo che il principe imperiale le aveva augurato la buona notte lei era persino riuscita a convincerle ad accompagnarla nella stanza a piedi piuttosto che attraverso le polle di transito.

Ajao aveva ragione a proposito del giovane Pelio. Come figlio numero uno del tizio che contava di più in tutto il continente, il ragazzo era maledettamente viziato. Tuttavia, non c’era voluto molto per capire che dietro a tutte le sue fanfaronate si nascondeva una sorta di toccante ingenuità. La cosa l’aveva lasciata perplessa per tutto il giorno finché lassù, in quella strana stanza gelida, lui non le aveva confessato di non essere in grado di teletrasportarsi più di quanto non lo fosse lei. Sembrava quasi la confessione di chissà quale terribile malattia, e forse per lui lo era veramente, povero diavolo.

L’ammissione era una prova in più che gli Azhiri non necessitavano di nessuna supertecnologia. Certo, avevano le loro forme di artigianato, come la lavorazione del ferro e simili, ma tutte le incredibili operazioni che eseguivano erano applicazioni dirette del “Talento” di cui la maggior parte di loro era dotata fin dalla nascita. Lei non ne era stata convinta del tutto finché non aveva visto quello che passava per.”servizi igienico sanitari” tra le classi alte. Gli aggeggi appositi erano intagliati nel marmo e nel quarzo, ma il sistema di scarico non era molto diverso da quello di un comunissimo cesso all’aperto.

Tutto considerato, non le era sembrato pericoloso dire a Pelio che nessun esponente della sua razza sapeva te1etrasportarsi. E la dichiarazione sembrava aver mandato il ragazzo addirittura in estasi.

Attraverso le foglie e i tronchi degli alberi comparve un guizzo di luce gialla. Il sentiero si snodava per altri quindici metri, prima di allargarsi in uno spiazzo sul fianco della collina e al chiaro di luna, Yoninne vide una grande capanna costruita secondo il solito stile, in pietra e legno. Ma questa aveva una porta ritagliata nella parete! La luce tremula che proveniva dall’interno dipingeva un trapezoide giallastro sul terreno ricoperto di muschio.

La ragazza attraversò la porta intagliata di fresco e Ajao Bjault distolse lo sguardo dalla torcia a parete che stava esaminando.

— Yoninne! — Dopo un’intera giornata passata in compagnia di facce grigio-verdi, la pelle color cioccolato e i candidi capelli crespi dell’archeologo le sembrarono quasi irreali. Lo sguardo del vecchio passò rapidamente da lei ai due Azhiri ancora immobili nel buio al di là della stanza. — Non vi ho sentito arrivare. Stai bene?

Yoninne sorrise. L’udito di Ajao era così debole che probabilmente non si sarebbe accorto nemmeno dell’arrivo del giudizio universale. Mosse un passo all’interno della stanza e udì le due guardie ritirarsi alle sue spalle. — Sto bene. Davvero.

L’altro la guardò con aria un po’ perplessa. — Ti piace questo posticino? — chiese. — Mi hanno portato qui poco prima del tramonto. Un bel miglioramento. — Yoninne si guardò intorno. Come molte altre costruzioni isolate che aveva visto durante il giorno anche quella era costituita da una stanza singola, con una polla di transito al centro. Pelio aveva mantenuto la promessa: il nuovo alloggio non aveva certo l’opulenza degli appartamenti imperiali, ma sembrava abbastanza confortevole. Yoninne si rannicchiò tra i cuscini di una poltrona e all’improvviso si sentì stanchissima, ma stranamente appagata. La cena era stata superba. Il piombo e il mercurio contenuti nei generi “commestibili” del luogo alla lunga si sarebbero rivelati letali, ma di certo non rovinavano il sapore del cibo.

Ajao continuava ad avere l’espressione perplessa. — Cercavo di rendere queste torce più luminose — spiegò. — Non sono semplici pezzi di legno. Hanno uno stoppino, all’interno… — Si allontanò dalla mensola che sosteneva la torcia e dalla soglia spiò l’oscurità che li circondava. Poi si girò di nuovo verso Yoninne. — Non so il perché di tanta prudenza, dato che non possono capire una parola di quello che diciamo. — Osservandolo con più attenzione, lei capì che era stanco e nervoso. E continuava ad avere l’aria di non credere a ciò che vedeva. — Hai avuto fortuna, Yoninne?

— Quale fortuna?

Lui si accigliò. — Il maser, Yoninne. Il maser.

— No. Ma non preoccuparti, riusciremo a… — Le si incrinò la voce. Tacque, e l’atteggiamento pacifico svanì di colpo, come se qualcuno le avesse dato uno schiaffo in pieno viso. Finalmente si rese conto di ciò che l’altro vedeva e capì lo sguardo perplesso nei suoi occhi. Bjault vedeva Yoninne Leg-Wot, la donna pilota tozza e con il seno piatto. Si guardò e scorse l’indumento che aveva chiamato vestito, una specie di corto gonnellino verde, sufficiente appena a contenere i suoi ampi fianchi. Era andata in giro per tutto il giorno vestita come una grassona stupida e con le gambe corte. Balzò in piedi e si sentì sommergere da un’ondata di umiliazione. Quel vecchio bastardo decrepito continuava a starle davanti e a guardarla con aria di commiserazione.

— Crepa, Bjault — mormorò lei con voce strozzata prima di correre inciampando verso l’alcova che serviva da bagno. Chiuse con uno strattone la tenda e si strappò via il gonnellino corto. La tuta di volo era ancora bagnata, ma la indossò ugualmente con pochi movimenti rapidi. Tirò la cerniera diagonale e rimase per alcuni secondi in silenzio davanti allo specchio. Con addosso la tuta di volo era di nuovo la donna pilota gelida ed efficiente.

Scostò la tenda e ritornò nella stanza, con gli stivali inzuppati che facevano squash-squash. Il vecchio era ancora addossato con fare nervoso al lato più lontano della stanza. — Sai, Yoninne — disse con il suo solito tono incerto e diffidente — non sei l’unica persona che ha avuto una giornata spiacevole. Fino a stasera sono rimasto rinchiuso in quella cella a chiedermi cosa ti avessero fatto… e cosa avrebbero fatto a me. Io…

Leg-Wot alzò la mano. — D’accordo, Ajao. Scusami se ti ho mandato a quel paese. Dimentichiamo tutto, va bene? — Sistemò il proprio dolce peso sui cuscini e sentì il materiale freddo della tuta premerle gradevolmente contro la schiena. — Allora, vuoi sentire che cosa ho fatto oggi?

L’altro annuì e si sedette sulla poltrona di fronte.

— Prima di tutto — incominciò la ragazza — sono convinta che le tue idee a proposito della capacità di teletrasportarsi degli Azhiri siano assolutamente corrette. Ho visitato il palazzo in lungo e in largo, spedita di qua e di là come un pacco postale. Per la maggior parte del tempo sono riuscita a tenere d’occhio il sole, così ho fatto una stima di massima delle distanze coperte e delle direzioni in cui ci siamo mossi. E le stime corrispondevano abbastanza bene al senso di vertigine che sentivo, proprio come tu avevi previsto. — Yoninne era solo una modesta operatrice elettronica, ma come conoscitrice d’istinto delle lunghe distanze era eccezionale, la migliore pilota aerea in tutta la colonia di Novamerika. Aveva un infallibile senso delle accelerazioni in strutture rotanti di riferimento, ed era appunto quella la dote che aveva sfruttato quel giorno per individuare la loro posizione durante gli spostamenti effettuati. A volte, Yoninne rimpiangeva di non essere vissuta al tempo dell’Ultima Guerra di Interregno sul Mondo Natale, quando i combattimenti aerei avevano fatto la loro prima e unica comparsa nella storia del pianeta. Avrebbe potuto mostrare a quei vecchi “assi” qualcuno dei suoi trucchi migliori.

— In ogni caso, il ragazzo di nome Pelio mi ha fatto visitare quella specie di parco sovradimensionato che lui chiama palazzo. — Leg-Wot continuò a descrivere i posti che aveva visto, la fortificazione sul fianco della montagna, la gigantesca casa sugli alberi, eccetera. Le domande di Bjault le riportarono alla memoria una quantità di altri dettagli e così parlarono per ore, finché lei non ebbe quasi la sensazione che l’archeologo si fosse creato un quadro d’insieme addirittura più chiaro del suo.

Le torce bruciavano ormai basse, quando Bjault ritornò finalmente sulla domanda iniziale della serata. — Ma non sei riuscita a convincere Pelio a farti vedere i nostri attrezzi?

— Be’… è successa una cosa strana. Ti ho già detto che il ragazzo è molto solo, e che non sa teletrasportarsi come tutti gli altri. Credo che sarebbe disposto a fare di tutto per me, e infatti ci stavamo appunto dirigendo in un’area di massima sicurezza in cui pare che la nostra roba sia custodita. A questo punto sono comparsi altri due tizi. Si trovano più in basso di Pelio nella scala gerarchica, e uno è suo fratello, ma chissà perché il loro incontro lo ha sconvolto. È come se fosse stato sorpreso a fare qualcosa che non doveva. Ha inventato una specie di bugia circa la mia provenienza, ma non sono riuscita a capire bene tutte le parole.

Per una volta, Bjault non fece domande. Oltre la soglia, la notte rinfrescava lentamente l’aria e nel silenzio anche i fiochi squittii dei minuscoli mammiferi della laguna risuonavano alti.

— Hai fatto un buon lavoro, Yoninne — dichiarò Ajao. — Scommetto che la mia lontananza è stata un vantaggio. Se solo riuscissi a rimanere nelle grazie di Pelio abbastanza a lungo da dare una botta a quel maser saremmo sicuri che verrebbero a tirarci fuori di qui. — Fece una pausa, e un sorrisetto malizioso spianò le rughe di tensione e di vecchiaia sul suo viso. — Sono veramente felice che la tua conoscenza della lingua Azhiri sia limitata.

— Ah, sì? E perché, diavolo?

— Perché non hai avuto la possibilità di imparare nessuna imprecazione. Il tuo vocabolario, e anche il mio del resto, conserva la purezza dell’infanzia. Per forza, visto che ci è capitato di ascoltare soltanto bambini.

Leg-Wot si rimangiò la risposta tagliente che aveva sulla punta della lingua. Non intendeva dargli la soddisfazione di vederla offesa. — Non preoccuparti, Bjault. Sto imparando. E con questo la commissione bipersonale aggiornò la seduta per la notte. Cercarono di trovare almeno una tenda per l’ingresso,:. ma alla fine dovettero accontentarsi di sistemare una delle poltrone più grandi di traverso sulla soglia. Non bastava a impedire il passaggio, ma sarebbe comunque stata d’intralcio a chiunque, o a qualunque cosa, cercasse di entrare. Bloccare la polla di transito era più complicato, dal momento che non trovarono niente di adatto per prosciugarla. Rinunciarono, Bjault spense le torce ormai agli sgoccioli e ognuno si sdraiò sul proprio giaciglio. Leg-Wot si tirò il copriletto sulla testa e si liberò in silenzio dall’ingombro della tuta di volo, per quanto rappresentasse una protezione.

Rimase sveglia a lungo dopo che il respiro del vecchio archeologo divenne forte e regolare. Con le torce spente, la terra oltre la soglia sembrava traboccante di luce. La prima luna era ancora ferma sopra il bordo ricurvo del cono vulcanico e ormai anche la seconda, più grande, l’aveva raggiunta e superata per brillare alta nel cielo. Il colore era il classico marrone grigiastro comune a tutte le lune basaltiche di migliaia di altri pianeti, ma la loro vicinanza ne rendeva più evidente la diversità delle sfumature. Erano all’ultimo quarto, ma la luce risultava così viva da creare una complessa rete di ombre doppie tra le ampie foglie degli alberi che si stendevano dalla capanna verso il basso. I fruscii e i richiami non accennavano a diminuire di intensità. Era una musica del tutto diversa da quella creata dai rettili notturni sul Mondo Natale o dagli insetti di Novamerika, eppure aveva un suo fascino.

Che cosa avrebbe fatto l’indomani? Yoninne pensò al minuscolo indumento verde di cui si era liberata. Poteva riutilizzarlo, a meno che non si fosse rotta la chiusura. Ma che le venisse un colpo se era disposta ad accettare di rendersi ridicola un’altra volta! Quel ragazzino viziato avrebbe dovuto abituarsi alla sua tuta. Leg-Wot sentì la mascella irrigidirsi e cercò di rilassarsi. Conosceva la posta in gioco, e sapeva bene come fosse importante continuare a incoraggiare Pelio. Senza di lui non avrebbero avuto alcuna protezione e, particolare ancora più importante, non sarebbero mai riusciti a rientrare in possesso della loro attrezzatura. Se Novamerika non avesse ricevuto messaggi, sarebbe passato forse più di un secolo prima che un’altra colonia rischiasse le proprie risorse per tentare un nuovo atterraggio sul pianeta. Più di un secolo prima che venisse scoperto il grande segreto di quel mondo.

Yoninne fissò il paesaggio rischiarato dal chiaro di luna. Non c’era scampo. Dopotutto, indossare quel costume non l’aveva uccisa. Era anche evidente che Pelio non la considerava affatto ridicola, ed era lui la persona da lusingare. Se il prezzo per mettere le mani su quel maser era solo un altro giorno di umiliazione, lei non si sarebbe tirata indietro.

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