13

Grechper era la città più grande che lei avesse visto dal momento della partenza dal Regno d’Estate. Attorniava il lago di transito da tre lati. Davanti sorgevano i magazzini, alti anche tre o quattro piani, e più indietro gli edifici commerciali e residenziali. La struttura, realizzata in pietra e ghiaccio, era angolare e le costruzioni erano separate tra loro da stradine strette e contorte. Niente a che vedere con le spaziose città del Sud. A oriente del lago di transito si stendeva una zona selvaggia, diseguale e confusa, che scintillava a tratti sotto il chiaro di luna. Yoninne aveva poca pratica dell’ambiente artico, ma la riconobbe subito. Era la superficie ghiacciata di un oceano, attraversata da fenditure e creste generate da forti pressioni. Quella era la strada che avrebbero affrontato l’indomani.

Gli uomini si strinsero attorno a loro per proteggerli mentre scendevano insieme dal vascello alla banchina. In alto, la luna e le stelle scintillavano nell’aria buia e cristallina. Il vento si era placato, ma Yoninne sentiva il proprio calore irradiarsi attraverso la pelliccia e la maschera facciale, per perdersi in quella chiara notte artica. Ogni respiro si congelava in milioni di minuscoli diamanti e il sudore si condensava in perline di ghiaccio attorno ai fori della maschera che le lasciavano liberi gli occhi. A eccezione di Ajao, sembravano tutti orsacchiotti illuminati dalla luna. E l’informe cumulo sulla lettiga davanti a lei era Samadhom, accosciato sotto una pila di coperte.

Il gruppo si incamminò su per la stretta strada che si allontanava dalla banchina. Sotto i piedi di Yoninne, la neve e il ghiaccio frantumato sembravano quasi un selciato di ghiaia e sabbia. Che razza di posto! Com’era possibile viverci? Eppure, era chiaro che qualcuno lo faceva. Le banchine e le strade erano affollate, sia di locali che di gente di passaggio. Gli abitanti del Regno delle Nevi non si preoccupavano neanche di indossare le maschere per riparare il viso.


Il consolato del Regno d’Estate a Grechper era un solitario edificio di pietra, che aveva tutta l’aria di un vecchio magazzino riadattato. All’interno, i locali erano tappezzati di bassorilievi in legno e di affreschi che raffiguravano paesaggi di Tutt’Estate. La legna da ardere veniva importata fin da Pfodgaru, come spiegò Pelio, e alimentava le numerose stufe installate in tutto l’edificio. Dopo il freddo sofferto fuori, il tepore e lo scoppiettio della legna erano benvenuti come una giornata di sole al Sud. Finalmente fuori dalla lettiga imbottita, Samadhom zampettava nei corridoi, annusando con entusiasmo ciascuna stanza.

A Yoninne quel posto sembrava stranamente familiare. Nonostante il clima, infatti, Grechper e il consolato le ricordavano casa sua. Qui, la gente camminava da un edificio all’altro, e le stanze erano collegate da porte e da corridoi, più che da polle di transito. C’era da supporre che le polle di transito venissero usate comunque, in alcuni casi, ma in altri, specialmente quando la destinazione del viaggio era all’aperto, non aveva senso teletrasportarsi.

L’ufficiale in carica nel consolato guidò i witling su per una ripida scala, fino al primo piano dove il resto del personale consolare attendeva sull’attenti con fare nervoso. Nessuno era stato avvisato della visita del principe imperiale a Grechper. Pelio ordinò il riposo.

— Ci fermeremo solo per una notte, dodici ore al massimo — spiegò con dolcezza. — Vorrei che ai miei uomini venisse offerto un pasto caldo e un letto dove dormire, a seconda del grado. Anch’io e i miei amici saremo lieti di mangiare qualcosa. — Indicò con un gesto Yoninne e Ajao.

Il console abbozzò un inchino. — Subito, Vostra Altezza. — Sembrava aver superato da poco la mezza età e non nascondeva una strana aria dimessa, condivisa da quasi tutti i suoi subordinati. Gli indumenti non erano proprio logori, ma certo vecchi e molto usati. Yoninne ebbe il dubbio di essersi sbagliata a credere che quel posto fosse un consolato. I presenti sembravano impiegati di una compagnia di spedizione sfruttati da un padrone tiranno, più che diplomatici.

Il cibo che venne servito ben si adattava al quadro d’insieme. Il console continuò a scusarsi perché non poteva offrire loro niente di fresco fatto arrivare dal Sud, e gli aiutanti, trasformati per l’occasione in camerieri, continuarono ad affollarsi attorno al loro tavolo con espressione curiosa. Per la prima volta, le pietanze sapevano di metallo e il sapore tradiva tutti i veleni che vi erano contenuti. L’unica cosa buona era il vino, che alla fine li ripagò di tutto il resto. Yoninne si sentì pervadere da un piacevole calore e tutto le sembrò più accettabile.

Per tutto il pasto, Bjault aveva cincischiato il cibo con aria infelice. Quando alla fine i piatti vennero raccolti lui non aveva mangiato nemmeno un quarto della propria porzione. Aveva la fronte imperlata di sudore e le mani gli tremavano in modo impercettibile. Per la prima volta, lei provò quasi compassione per la sua vecchiaia, ben visibile nonostante tutti i trattamenti di longevità.

Pelio seguì il suo sguardo e si rivolse alle guardie che erano rimaste discretamente in piedi alle loro spalle per tutta la durata della cena. — Aiutate Adgao a raggiungere la sua camera — ordinò. Due uomini sollevarono l’archeologo in piedi e lo sostennero per scendere al piano inferiore, con Yoninne, Pelio e il console al seguito. Oltrepassarono una soglia delimitata da una tenda, dato che anche lì nelle terre artiche le porte non godevano di grande popolarità, e adagiarono il vecchio su un letto sovraccarico di cuscini. Per tutto il tempo, Ajao non fece che protestare di non sentirsi poi tanto male. Per una volta, lei non si sentì irritata da tutte quelle chiacchiere. Si inginocchiò e gli slacciò il colletto.

— Lo so, lo so — assicurò. — Può anche darsi che tu stia bene, ma abbiamo davanti ancora due giorni di viaggio.

— Sì, è possibile che le condizioni peggiorino ancora, prima di rimettersi al meglio — osservò Pelio, guardando Bjault con espressione ansiosa. — Credete che… sarete in grado di farcela? — Parlò in tono deliberatamente vago, perché il console e le guardie stavano ascoltando. Esistevano ottime ragioni per tenere segreto il fine ultimo del loro viaggio. Chiunque avesse preso il maser e tentato di rapire Bjault era ancora ignoto.

Ajao annuì con aria dolente. — Arriverò laggiù anche se per riuscirci dovessi strisciare per terra. Avete ragione… oggi è stata una brutta giornata. Ma mi riprenderò. Ho solo bisogno di un po’ di riposo. Credo.

— D’accordo. Cercate di dormire. Lascerò due guardie qui fuori, casomai aveste bisogno di qualcosa. — Si ritirarono tutti oltre la tenda e si incamminarono per tornare in sala da pranzo. — E grave? — chiese Pelio a bassa voce.

Yoninne considerò la cosa. Bjault aveva ormai più di centocinquanta anni, secondo il computo del Mondo Natale, e senza considerare il tempo di ibernazione durante il viaggio verso Novamerika. In pratica, era uno degli uomini più vecchi di tutta la storia riconosciuta, il che rendeva impossibile stabilire quali fossero le sue reali possibilità di sopravvivenza. Per il momento, lei era propensa a sentirsi ottimista.

— Non preoccuparti. Si riprenderà — rispose.

Il viso di Pelio si rischiarò. — Meno male. — Congedò gli altri con un cenno e, dopo essere ritornato in sala da pranzo, si sedette con lei a un tavolino d’angolo. Samadhom si rannicchiò al di sotto, con la testa appoggiata a uno stivale del padrone. — Sai? Incomincio a pensare che ce la faremo e che questa folle impresa è destinata a funzionare. Ascolta che cosa ho suggerito al capo-navigatore. — E le descrisse il piano che aveva elaborato per ruotare i turni di riposo degli uomini senza che il consolato o l’attrezzatura sul vascello rimanessero privi di sorveglianza. I witling avrebbero evitato sabotaggi anche se il nemico che li minacciava nell’ombra avesse infiltrato i suoi uomini tra i membri dell’equipaggio. Era un buon piano. Pelio si era preoccupato di qualcosa a cui lei e Ajao non avevano nemmeno pensato. Sembrava molto più intelligente e versatile, lontano dalla corte di Tutt’Estate. Forse alla fine, pensò Yoninne, trarrà dei vantaggi dal piano almeno quanto noi.

La chiacchierata finì lentamente per esaurirsi senza che nessuno dei due se ne rendesse ben conto, finché non rimasero semplicemente seduti lì, a guardarsi negli occhi con un sorriso idiota sul volto. È colpa di quel dannato vino,pensò Yoninne tra sé e rimpianse di non averlo bevuto già molto tempo prima. Capiva soltanto adesso che Pelio le era piaciuto fin dall’inizio, e ne capiva anche il perché. Lui la guardava come se farlo fosse un piacere. La faceva sentire alta e leggera, come non si era più sentita dall’età di sei anni, quando la sua figura aveva smesso di rientrare nei canoni che la gente normale definisce “graziosi”. Strano, si trovava in un angolo sperduto di un mondo altrettanto sperduto, con solo qualche scarsa probabilità di ritornare viva a casa, e all’improvviso si sentiva meno sola di quanto non fosse mai stata.

La mano spessa di Pelio si protese attraverso il tavolo e si chiuse con dolcezza sulla sua. — Forse, la scoperta da parte di mio padre dell’esistenza tua e di Adgao è stata la cosa migliore che mi potesse mai capitare. Ammetto che in quel momento mi sono spaventato a morte, e che quando hai descritto il vostro piano per la prima volta mi sono spaventato anche di più, in un certo senso. Ma ora capisco con quanta cura tu e Adgao avevate progettato tutto, e vi sono estremamente grato di avermi preso con voi. Se l’impresa riesce, arriveremo nel vostro regno di witling, e io… anzi, noi potremo condurre un’esistenza normale. Se non riesce, almeno sarà stato un tentativo molto spettacolare.

Più tardi, Yoninne diede la colpa al vino per le parole che pronunciò, ma in quel momento le sembrarono solo la risposta più naturale. — Sono contenta che la pensi così. Quando si è deciso che Thengets del Prou ci portasse alla festa avevo una gran paura che avremmo rovinato la tua vita solo per salvare la nostra.

— Vuoi dire che è stato Thengets del Prou, e non qualche cameriere incompetente a rengarvi nell’anfiteatro? — Pelio pose la domanda con gentilezza, ma il tono di voce era incolore.

Yoninne se ne accorse appena. — Sì, è stato Prou. Noi, Ajao e Prou per essere precisi, non eravamo sicuri che ci avresti aiutato a meno che non avessi alternative. Sono così contenta adesso che la scelta si è rivelata la migliore anche per te…

Pelio ritrasse la mano di scatto e balzò in piedi, rischiando di inciampare sulla testa sonnacchiosa di Samadhom. L’orso da guardia mugolò, offeso, e si rintanò più in là, sotto il tavolo. Il principe rimase per un lungo istante a fissare la ragazza, pallido come un abitante del Regno delle Nevi. — Vuoi dire che voi tre vi siete messi d’accordo per coinvolgermi in quest’impresa?

Yoninne si sentì venire la pelle d’oca. Il sogno si era bruscamente trasformato in un incubo. — Ma tu… hai appena dichiarato che è stato molto meglio partire con noi che non continuare con la solita vita!

Pelio si chinò sul tavolo, ponendo il viso liscio e rotondo a pochi centimetri da quello di lei. Disse qualcosa che lei non capì, ma che doveva essere un’imprecazione. — Sì, l’ho creduto… e forse è vero. Ma non sapevo che voi mi ave-, vate ingannato e manovrato per farmi entrare in questa storia, come un bambino o un animale. — Parlava in fretta, quasi storpiando le parole, e per un attimo Yoninne ebbe paura che volesse schiaffeggiarla. — Invece, adesso non ho più scelta. Andremo nella Contea di Tsarang, proprio come avete programmato. Soltanto ora, però, so in quale considerazione mi tieni e se mai dovessimo uscirne vivi, io… io… — Gli mancò la voce per la rabbia e la confusione, e uscì a grandi passi dalla stanza.

Dopo che se ne fu andato, Yoninne rimase a fissare a lungo la superficie sfregiata del tavolo. I dettagli dell’ambiente circostante si affollarono nella sua mente, come per cancellare quello che era appena successo. Il fuoco che scoppiettava nella stufa, le canzoni in sordina che provenivano dal piano inferiore, l’odore secco e fumoso che regnava in quel posto. Sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime, e cercò di ricacciarle indietro. Non piangeva da quindici anni e avrebbe preferito andare all’inferno, piuttosto che riprovarci. Ma alla fine dovette cedere… Forse si trovava già all’inferno.

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