6

Si udì uno scroscio d’acqua e tre guardie trascinarono Ionina fuori dalla polla. Pelio fece una smorfia. Non aveva neppure sengato l’imminenza del loro arrivo. Di solito, il suo Talento arrivava almeno a questo.

I quattro erano fermi sull’attenti.

— Lasciatemi solo con la prigioniera. Voglio interrogarla — disse Pelio alle guardie. Uno degli uomini incominciò a protestate, ma lui lo interruppe. — Lasciateci soli, ho detto. Si tratta di una faccenda di stato, e in ogni caso c’è l’orso da guardia.

Gli uomini si ritirarono e Pelio rimase a fissare la ragazza. Indossava lo stesso indumento nero e aderente con cui era stata trovata, solo che adesso era bagnato. L’acqua gocciolava lentamente verso il basso e si perdeva in una pozzanghera attorno ai suoi stivali. Che cosa le avrebbe detto? Il silenzio si prolungò, spezzato solo dai ronzii degli insetti e dalle cantilene degli uccelli sugli alberi attorno allo studio. Il principe sapeva come impartire ordini ai servi, come lusingare suo padre e persino come manovrare i nobili minori del rango di Ngatheru… ma come ci si rivolgeva a una futura possibile amica?

— Prego, siediti — disse alla fine. — Sei stata trattata bene?

— Sì. — La giovane donna parlava in tono rispettoso e tranquillo, come se non riconoscesse alcuna differenza di rango tra di loro.

— Dici davvero?

— Be’, preferiremmo vivere in una casa con le porte. Vedi, non sappiamo… qual è la parola che usate voi?

Rengare?

— Ecco, non sappiamo rengare. Per noi, una stanza senza porte è una gabbia. Del resto, Ajao e io siamo prigionieri, no?

Pelio la fissò negli occhi color nocciola. Era prigioniera? Aveva stabilito che cosa raccontare a Ngatheru e alla corte, per accontentarli, ma non aveva pensato a quello che avrebbe detto a lei.

— Tu e Adgao siete miei ospiti rispose, cercando di imitare la pronuncia della ragazza. — Per il momento dovete rimanere a palazzo, ma alla fine spero che… — Che desidererai restare… — Spero che sarete rimessi in libertà. In ogni caso, non vi sarà fatto alcun male. Se all’inizio siete stati trattati in modo un po’ rude è solo, perché vi eravate introdotti abusivamente nel nostro regno.

— Non volevamo fare nulla di male. Non sappiamo che cosa è giusto e che cosa è sbagliato per la tua gente.

— Ti credo, Ionina. Davvero. — Cercò ancora una volta di identificare il suo accento. Aveva visitato quasi tutti i paesi su quel versante del Grande Oceano, ma non aveva mai incontrato nessuno con una pronuncia così corretta, anche se vagamente nordica, e con una sintassi così elementare. — Comunque, ci incuriosiscono i viaggiatori che vengono tanto da lontano da non conoscere nemmeno i nostri usi e costumi. E le ragioni per essere curiosi aumentano, considerando le circostanze quasi soprannaturali della vostra cattura. Per questo io, cioè il principe imperiale d’Estate, voglio sapere il più possibile in proposito. Non ti sembra naturale?

— Sì.

— Allora risponderai alle mie domande?

Attimo di pausa. — Farò del mio meglio.

— Bene. — Pelio capì di avere scelto la linea di condotta più giusta. Era importante saperne di più su Ionina e Adgao. Sarebbe stato importante anche se lei fosse stata brutta come il suo compagno. Aveva esaminato gli strani aggeggi recuperati dagli uomini di Ngatheru, e aveva udito la descrizione del mostro volante. Quelle due strane creature erano apparentemente associate a poteri tali da far apparire ridicoli persino il Talento dei Corporati. Per un attimo la sua mente venne trafitta da un pensiero doloroso. Adgao e Ionina potevano rappresentare una minaccia per il regno di Tutt’Estate. Pelio si sforzò di ignorare l’angoscia. Dopotutto, era nella posizione di condurre un vero interrogatorio. — Per prima cosa, Ionina, vogliamo sapere da dove venite.

Questa volta la pausa fu ancora più lunga. La ragazza rimase seduta rigidamente sulla panca intagliata, mentre l’acqua colava lentamente dal suo vestito riero. Seguiva con gli occhi Samadhom che si era avvicinato per annusare. Pelio se ne sentì quasi geloso. Era raro che l’animale mostrasse interesse verso altre persone. Forse, in quel momento avvertiva le particolari somiglianze tra lui e la fanciulla. Alla fine, l’orso mise la testa massiccia in grembo alla prigioniera e alzò il muso peloso per guardarla. Meep?

Lei lo accarezzò, prima di rivolgersi di nuovo a Pelio. — Veniamo da lassù. — Alzò il braccio snello e indicò un punto vago nel cielo oltre la finestra.

Il principe avvertì l’irritazione montargli alla testa. Da una delle Lune, forse? La ragazza mentiva. Non che le Lune fossero irraggiungibili. La Corporazione era in grado di rengare oggetti fin lassù. Ma le lune si muovevano a velocità straordinaria. Saltare su una di loro sarebbe stato un suicidio, come teletrasportarsi agli antipodi. Eppure doveva chiederlo.

— Dalle lune?

— No. Da molto più lontano.

Più lontano? Dal sole? Dai pianeti? Nemmeno i Corporati riuscivano a sengare simili distanze. — Da dove, esattamente? chiese.

Lei raddrizzò impercettibilmente la schiena. — Non… posso dirlo.

— Non puoi o non vuoi, Ionina? — Dimenticò quasi la sua bellezza, tanto era grande il mistero suscitato dalle sue parole. Si sollevò, protendendosi attraverso la scrivania. — Riuscirò a farmelo dire comunque, Ionina. Da dove venite?

Lei parlò con durezza, in un linguaggio sconosciuto. Aveva perso l’aria timida. I morbidi contorni bruni del suo viso divennero una maschera di legno e gli occhi sembravano dire: Torturami pure, ma non ti dirò una sola parola. Il principe si sentì come il personaggio di una favola per bambini. Aveva catturato un elfo dei boschi che lo avrebbe fatto impazzire con la sua bellezza e la sua ostinazione.

Si lasciò ricadere indietro sulla sedia, mentre un’altra ipotesi gli si affacciava alla mente. Scrutò di nuovo la prigioniera.

— Scommetto che avete paura. Pensate che l’esercito del Regno d’Estate verrà a invadere le vostre terre se riuscirà a scoprire dove sono. — La ragazza si era irrigidita, o era solo una sua impressione? — Anzi, scommetto che siete una razza di witling, rintanati in qualche angolo oscuro del mondo.

Witling?

Pelio per poco non scoppiò a ridere. — Quello che sei tu. Una persona che non può teletrasportarsi, e che non riesce a kengare nemmeno un lombrico a dieci piedi di distanza.

La ragazza si limitò a sorridere, e lui non riuscì a leggere più nulla nel suo sguardo. Rimase incerto. Per un attimo ne aveva quasi avuta la certezza. Del resto, quello era sempre stato il suo sogno: che esistesse da qualche parte una razza di gente come lui. Una razza composta interamente da persone di facoltà limitate, che vivevano su qualche isola in un angolo remoto di Giri. Ionina sarebbe stata la rappresentante ideale di quel regno di sogno, perché era una witling eppure si comportava da nata libera.

Pelio sospirò. — E va bene, Ionina, non ti seccherò più con questa domanda. — Almeno per il momento. - E ti risparmierò anche le altre, che sono molte. Non abbiamo neppure affrontato l’argomento del mostro volante abbattuto e di quell’altro strisciante che vi accompagnava. Ma, come ho detto, qui da me sei un’ospite. Sono disposto a fornirti informazioni, se le desideri. Mi hai già detto qualcosa su di te, ora vuoi vedere il resto del palazzo?

Lei annuì. — Sei sicuro che in questo modo non metterai a repentaglio la sicurezza del tuo regno? — Chissà come, riuscì a sembrare timida e sarcastica al medesimo tempo.

— Oh, no! — Il principe rise. — Siamo così forti che non abbiamo bisogno di grandi segreti. — Si alzò e la invitò a seguirlo verso l’ampio davanzale in marmo della finestra esposta a nord. La ragazza camminava con una grazia tutta particolare, capace di trasparire anche dal costume nero fradicio e informe. Pelio sfiorò con le dita l’indumento verde scuro steso al sole sul davanzale. Lo aveva preso dal guardaroba del suo harem regolamentare. Il tessuto era così fine da risplendere, bagnato o asciutto che fosse, e in entrambe le condizioni sarebbe stato comodo e leggero. Lo stile era semplice, con una sola fila di rubini sul bordo superiore, ma nell’insieme era il vestito più bello che potesse offrire alla ragazza senza suscitare commenti tra la servitù. Sollevò quella nuvola verde dal davanzale e lo porse a Ionina.

— Prendilo. È per te.

— Grazie… — Lei lo esaminò, prendendolo a rovescio. — Che cos’è?

La domanda lo stupì. Non riusciva a pensare alla ragazza come a una selvaggia. — È un vestito, naturalmente. — Lo rivoltò e glielo mise davanti nella posizione corretta. — Ecco, il bordo superiore va qui e il resto basta che ricada in basso. — Avvicinò le mani, senza però nemmeno sfiorarla. — Lo puoi indossare nell’alcova.

Ionina disse qualcosa di incomprensibile. Sembrava in lotta con se stessa, e i suoi grandi occhi color nocciola evitavano di guardarlo. — Posso comunque conservare gli indumenti che porto adesso?

Pelio cercò di non mostrare la propria irritazione. — Certo.

La ragazza annuì e scomparve nell’alcova. Com’era possibile che una creatura così incantevole desiderasse vestirsi come un sodomita?

Passò un minuto e Ionina uscì dall’alcova. Il vestito le rendeva pienamente giustizia. Era ancora più bella di quanto i precedenti indumenti avessero lasciato intuire. Lei rimase ferma, con le lunghe gambe snelle tese e le mani sui fianchi, a guardarlo con aria di sfida.

Pelio trattenne le parole che gli erano salite spontanee alle labbra. — Il vestito ti dona, Ionina. Adesso sembri l’ospite perfetta di un principe imperiale. — Indicò la spilla d’argento che le pendeva lungo la curva del fianco. — La chiusura non è allacciata bene, però. Ecco. Sei pronta a vedere il palazzo.

Lei annuì con un pizzico di incertezza, e sollevò tra le mani i vecchi indumenti fradici.

— Lasciali sul davanzale — suggerì Pelio, tirando la corda del campanello. — Prometto che nessuno li toccherà. — Ancora prima che finisse la frase, le sue due guardie del corpo uscirono dall’acqua e si misero sull’attenti davanti a lui. Senza le loro proprietà di rengaggio, il principe non poteva muoversi nel palazzo più di quanto non potesse Ionina. — All’Ala Sud — comandò. — Nella Galleria.

La Galleria e lo studio di Pelio si trovavano alla stessa distanza dall’equatore, l’una a sud e l’altro a nord, distanziati tra loro da più di milleseicento miglia. Quando Pelio e gli altri sbucarono nel punto di destinazione, il pavimento e la superficie della polla sembrarono inclinati, il che non era affatto sorprendente considerato che si trovavano a quasi venti gradi di latitudine di distanza dall’Ala Nord. Ionina si tirò su dall’acqua e rimase per un attimo in punta di piedi, incerta sull’improvviso cambio di posizione del “basso”. Pelio e gli altri uscirono sguazzando e lasciarono Samadhom da solo, con le due zampe anteriori sul bordo della polla. L’animale scalciò energicamente e produsse una serie di furibondi ma fiochi meep, meep mentre cercava di tirarsi fuori. Razza di mangione sfaticato!, pensò Pelio prendendo l’orso da guardia per la collottola e tirando le sue centocinquanta libbre di ciccia sul pavimento.

La Galleria si trovava sulla collina più bassa ai piedi del monte Thedherom. La veduta non era più spettacolare di altre nei dintorni del palazzo, ma Pelio aveva scelto quel posto per una ragione precisa. Con la cerimonia di benvenuto del nuovo ambasciatore del Popolo delle Nevi in corso nella Sala Alta e nel Torrione, quel giorno la Galleria sarebbe stata pressoché deserta. Aveva ragione. Le uniche persone in vista erano un gruppetto di giovani nobili che si godevano un pic-nic a cinquecento piedi di distanza sulla splendida balconata naturale che costituiva la Galleria.

Il principe condusse Ionina oltre la piattaforma di roccia, fino al prato. L’erba era verdissima e morbida sotto i piedi nudi, e la pioggia primaverile aveva lasciato la lucentezza dell’acqua sulle foglie e sui rami delle siepi. Alle loro spalle, le guardie del corpo rimanevano in vista, appena fuori dalla portata delle orecchie. Pelio indicò il mare di fiori rossi che tappezzava le colline verso nord, fino ai fianchi del Thedherom. Fiorivano solo tra la primavera e l’estate, ma quando la stagione fredda si avvicinava era sempre possibile ritrovarli nell’Ala Nord, dove le stagioni erano al contrario. Verso sud, lontano dalla cima innevata e coperta di nuvole del Thedherom, la distesa di pianure verdi si spingeva quasi fino all’orizzonte. Lì si univa a una vaga striscia color bruno polveroso, il Grande Deserto, dove vivevano i più tenaci nemici del Regno d’Estate. Pelio non se ne faceva un grande problema. Secondo lui, il Popolo del Deserto era rozzo e primitivo. Costituiva una minaccia solo perché attaccava i feudi di confine. Tuttavia dispiaceva ricordare che soltanto due generazioni prima il Grande Deserto, per quanto poco popolato, era stato un fedele suddito del Regno d’Estate.

Ionina non prestò attenzione alla striscia marrone. Piuttosto, indicò una processione di minuscole figure a circa un miglio di distanza, nel punto in cui le colline ai piedi del Thedherom digradavano, fino a trasformarsi in pianura.

— Pellegrini — spiegò Pelio. — Sono diretti qui lungo la Strada di Dgeredgerai.

— Sono witling, allora.

— No. Probabilmente si tratta di allievi soldati o servitori in tirocinio. — La maggior parte degli Azhiri normali trascorreva un buon numero di novenali della propria vita in pellegrinaggio. Infatti, a meno di non essere un Corporato, era impossibile teletrasportarsi fino a una destinazione che superasse le poche iarde di distanza senza aver raggiunto quella stessa destinazione a piedi in precedenza. Al tempo in cui suo padre nutriva ancora qualche speranza che Pelio possedesse una certa quantità di Talento utile, anche il principe aveva percorso il palazzo in tutta la sua lunghezza, da nord a sud, per ben milleseicento miglia. Ne aveva così conosciuto la reale immensità, ma poco altro. Oh, in seguito era riuscito occasionalmente a sengare la presenza delle polle lungo la linea di confine, cosa che sarebbe risultata impossibile senza il pellegrinaggio, ma non poteva comunque usarle per teletrasportarsi da solo. Era umiliante, sebbene Pelio avesse a disposizione una quantità di servi in grado di accompagnarlo dove voleva. Senza contare che in ogni caso anche la maggior parte della gente normale dipendeva da rengatori di professione per effettuare salti a lunga distanza.

Trascorsero un’ora a esplorare le fontane e le stanze giardino della Galleria, prima di tornare finalmente alla polla di transito per saltare ottocento miglia più a nord, fino alla foresta pluviale a triplo strato che copriva la porzione equatoriale del Regno d’Estate. Lì il principe mostrò a Ionina le stanze costruite tra i rami degli alberi di legno duro che si alzavano dalle profondità fumose della vegetazione. Percorsero un ampio viale livellato su un fondo di rami e ascoltarono i ronzii e le grida della vita che scorreva sotto di loro, nel verde fitto e scuro della foresta. Dai tronchi grigio-verdi simili a pilastri si alzavano odori non identificati, a volte allettanti e a volte vagamente sgradevoli.

Pelio continuava a parlare a ruota libera, ma per tutto il tempo osservava tra sé le reazioni della ragazza e ne ammirava il corpo bruno e snello. Ionina ascoltava con attenzione e le sue poche domande erano sempre sensate, anche se a volte un po’ ingenue. Ogni tanto gli rivolgeva uno sguardo di approvazione e lui si chiedeva come lo giudicasse. Non restava a bocca aperta di fronte a ciò che le veniva mostrato, come succedeva invece a molti rappresentanti della piccola nobiltà che venivano dalle baronie più lontane a visitare per la prima volta il palazzo. Da qualche parte, pensò il principe, lei doveva aver visto cose anche più impressionanti. Ma dove? Dimenticò Samadhom, sempre a pochi passi di distanza, e anche le guardie del corpo.

Per il pasto di mezzogiorno si fermarono nel padiglione di caccia affacciato sulle pianure di Dhendgaru. La sala da pranzo era virtualmente deserta. Con tutta la nobiltà riunita nel Torrione per il ricevimento dell’ambasciatore, lui e Ionina avevano l’opportunità senza precedenti di scorrazzare per tutto il palazzo senza farsi notare. Pelio preferiva non pensare al rovescio della medaglia. Il fatto che suo padre non gli avesse nemmeno chiesto di assistere al ricevimento era solo un’altra conferma di quanto lui fosse stato allontanato dai centri di potere. Quando un giorno avesse davvero ereditato la corona, sarebbe stato il primo monarca fantoccio dopo secoli di storia.

Di solito, il pensiero lo avrebbe fatto ammutolire, ma quel giorno niente sembrava avere più grande importanza. La bvepa in salsa rosa era deliziosa, anche se Ionina non la finì. Sembrava più interessata alla distesa argentata dei campi di grano che si stendevano ondulati fino all’orizzonte. Pelio si trovò a spiegarle in che modo il raccolto di tutte quelle centinaia di miglia quadrate venisse mietuto e teletrasportato nelle foreste per dar da mangiare agli animali che costituivano la base della loro alimentazione. Dalle sue domande capì che, nel posto da dove veniva, i contadini tenevano il bestiame in alloggi appositamente costruiti e che li alimentavano con il prodotto dei campi vicini. Il che confermava la sua teoria. Solo le persone con dei precisi limiti mentali avevano bisogno di concentrare in quel modo la loro produzione di cibo.

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