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Bjault rimase per parecchi minuti a fissare il soffitto, prima di rendersi conto che era sveglio e che i dolori alle viscere non erano crampi ma morsi di fame. Lasciò scivolare via la trapunta e si rialzò a sedere. Il vento ululava nella cappa del minuscolo camino e la luce della torcia a parete ondeggiava di qua e di là. L’intontimento e la nausea della sera prima (o forse era passato più tempo?) erano scomparsi. Consultò l’orologio della tuta e vide che aveva dormito per più di dieci ore. Il dolore era svanito e lui si sentiva in grado di vivere felicemente per un altro secolo, sempre che non morisse di fame entro dieci minuti.

Si rimise in piedi e scostò la tenda sulla soglia. Lo specchio in silverplate sopra la bacinella per lavarsi gli restituì l’immagine di una faccia scarna e scarmigliata. Si avvicinò e mise a nudo le gengive. Per un lungo istante fissò la luminosa linea azzurra che correva lungo tutta la linea di attaccatura dei denti. Avvelenamento da piombo: la linea azzurra era uno dei pochi sintomi che ricordava. Dunque, la concentrazione di metallo pesante nell’alimentazione Azhiri doveva essere almeno cento volte maggiore di quello che aveva pensato. E la sua ripresa, nella migliore delle ipotesi, era solo temporanea. Quanto tempo ci rimane veramente? Settimane? O soltanto giorni?

E se si tratta solo di giorni, è meglio che smettiamo di mangiare? O la debolezza della fame non farà che accelerare gli effetti del veleno già ingerito?

Nel tempo necessario a vestirsi e ad attraversare l’anticamera per raggiungere la sala da pranzo, Bjault aveva già ritrovato parte del proprio ottimismo. Con un po’ di fortuna, sarebbero ritornati su Novamerika prima che lui avesse un altro “attacco”. Dopotutto, Yoninne non aveva ancora accusato il minimo malessere. Sotto molti aspetti, quel mondo aveva contribuito a migliorarla. La sera prima, per esempio, Leg-Wot si era mostrata gradevolmente premurosa.

Oltrepassò le tende per entrare in sala da pranzo e vide una serie di facce cupe attorno al tavolo. C’erano due indigeni, insieme agli uomini del Regno d’Estate. Si erano tolti la pelliccia, ed erano in piedi a torso nudo, con la pelle che scintillava alla luce delle torce. Uno dei due tolse un foglio di carta triangolare dai gambali rinforzati.

— È arrivato un altro bollettino dalla Strada Insulare, Signori — riferì. — Vi abbiamo già avvisato che è in atto una tempesta. Si sposta verso di noi, e anche se la via è ancora aperta per circa sette leghe, i laghi di transito gelano troppo in fretta perché i nostri operai riescano ancora a mantenerli agibili. È possibile che passi un novenale prima che il traffico ritorni alla normalità.

— Ma noi dobbiamo passare — replicò Pelio, irritato. — E il nostro diritto di passaggio è garantito dal trattato.

La faccia larga del rappresentante del Popolo delle Nevi si rabbuiò per un attimo prima di sciogliersi in una risata. — Voi avete stipulato un trattato con noi, non con il nostro clima. Siete liberissimi di percorrere la Strada Insulare. Al massimo, fra sei o sette salti andrete a schiantarvi contro uno strato di ghiaccio spesso più di tre piedi. — Il suo sorriso divenne vagamente malevolo. — Siete davvero così ansioso di mettere in pratica il vostro assurdo progetto? — A quanto sembrava, la storia dello scontro tra Pelio e suo padre alla Festa dell’Estate aveva oltrepassato i confini del Regno.

Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato in cui le guardie del principe e gli ufficiali finsero di non aver sentito l’ultima osservazione dell’indigeno. Il vento era appena udibile, oltre le pareti di pietra.

Pelio non raccolse la provocazione. — Non è questo che intendevo. Il trattato dice che gli appartenenti al Popolo dell’Estate hanno il diritto di passare a nord, anche se si tratta di usare un’altra delle vostre strade.

— Uhm… se proprio insistete, immagino che dovremo permettervi di usare la Strada del Nord. Eppure, ho la sensazione che il resto della vostra truppa preferirebbe rimanere a Grechper, in attesa che la tempesta si plachi.

— Insisto — ribadì Pelio.

— E va bene. — L’altro si strinse nelle spalle. — Vi farò avere un lasciapassare. — I due rappresentanti del Popolo delle Nevi infilarono la pelliccia e l’allacciarono, prima di avviarsi giù per le scale senza il minimo cenno di saluto.

Per un attimo nessuno parlò. Ajao fiancheggiò il tavolo fino al punto in cui era sistemato un vassoio di legno, carico di panini imbottiti di carne. Era così affamato che anche il momento di crisi in cui si trovavano passò in seconda piano. Prese un panino, poi un altro e li mangiò senza che nessuno spezzasse il silenzio. Allora si guardò intorno e incominciò a chiedersi se per caso gli fosse sfuggito qualcosa. Pelio e Leg-Wot erano seduti ai bordi opposti del tavolo, con espressione cupa, ed evitavano di guardarsi.

Alla fine, il principe si rivolse al pilota-navigatore. — Ebbene?

Il militare si mise brevemente sull’attenti, prima di rispondere. — Sono arroganti come al solito, Altezza, ma temo che abbiano detto la verità. Sengo delle superfici ghiacciate in corrispondenza dei laghi di transito lungo la strada. Se attendiamo la fine del maltempo rischiamo di rimanere bloccati qui per tre o quattro giorni.

— Capitano, sapete che abbiamo solo diciotto ore di margine. Un ritardo di tre giorni ci costerebbe molto caro. — I consiglieri di Shozheru erano stati irremovibili. I witling avevano nove giorni esatti per portare a termine il loro progetto. Di quei nove giorni ormai rimaneva ben poco. — Che cosa ne pensate della Strada del Nord? Quell’uomo ha detto che ci farà avere un lasciapassare.

Il navigatore annuì e fece cenno a uno dei subalterni. Il soldato aprì subito una custodia di cuoio e srotolò un planisfero sul tavolo.

— Noi siamo qui a Grechper. — Il pilota puntò il dito su un puntino a mezza strada in direzione del polo. — Ora, se potessimo continuare il nostro viaggio lungo la Strada Insulare — e tracciò una linea retta sul disco fino al margine più lontano — ci ritroveremmo nella Contea di Tsarang tra un’ottantina di leghe, circa dieci ore, a mettercela tutta. Ma se quella via è chiusa, ci rimane comunque l’alternativa della Strada del Nord. — Indicò una linea sottile di puntini rossi che si spingeva nel centro della mappa, verso il polo. — Dovremo assumere un pilota locale, però, perché io non sono in grado di sengarne il tracciato. A nessun pellegrino del Popolo dell’Estate è consentito spingersi molto più a nord di Grechper. Ci vorranno circa quaranta salti per raggiungere il Polo Nord. Sono più di quelli necessari in condizioni normali, ma non possiamo permetterci impatti violenti come quelli delle strade di Tutt’Estate. I laghi settentrionali del Regno delle Nevi sono molto piccoli e spesso ricoperti di ghiaccio. Con una caduta troppo veloce rischieremmo di danneggiare lo scafo.

“Una volta al polo imboccheremo questa strada — la indicò — e ci dirigeremo a sud facendo rotta per la Contea di Tsarang. In tutto, altri settantacinque salti.”

Il principe fece una smorfia. — Trentacinque in più di quelli che avevamo previsto. Quanto ci vorrà?

— Secondo il trattato sono tenuti a fornirci un solo pilota, dunque dubito che potremo fare più di sei salti all’ora… Diciamo, una ventina di ore in tutto.

— Molto bene. Ritorneremo sulla nave e ci prepareremo a partire. Nel frattempo… — Pelio si rivolse al console. — Desidero che voi facciate tutto quanto è in vostro potere per incoraggiare una pronta collaborazione da parte del Popolo delle Nevi. Abbiamo bisogno di quel lasciapassare per la Strada del Nord e di un pilota che conosca bene il percorso.

L’anziano diplomatico chinò il capo. — Come desiderate, Altezza.

Ci vollero circa tre ore prima che i rappresentanti del Popolo delle Nevi si decidessero a tirar fuori un pilota qualificato. In tutto quel tempo, Ajao e gli altri si ammucchiarono attorno alle piccole stufe della loro nave, cercando di tenersi caldi. Il cielo era ancora sereno e le due lune si fronteggiavano dalle estremità opposte della volta celeste, una piena e l’altra appena all’inizio della fase crescente. A occidente, oltre le asperità di un oceano di ghiaccio, le stelle scomparivano di colpo a pochi gradi di altezza sull’orizzonte. Lungo la riva, gli operai indigeni frantumavano alacremente le lastre ghiacciate e fumose che si formavano anche nell’acqua addizionata di sostanze antigelo e solo qualche nave, di tanto in tanto, compariva o scompariva sul lago.

Almeno cinquanta imbarcazioni, e più della metà di tipo locale, erano saldamente ormeggiate ai moli, tutte in attesa che la Strada Insulare ritornasse praticabile.

Verso mezzogiorno, una pallida luce rischiarò la parte di cielo verso sud mentre il sole compiva sforzi eroici per sbucare al di sopra dell’orizzonte. Ma Grechper si trovava oltre il circolo polare artico, e dunque ogni sforzo risultò vano.

A un certo punto, il navigatore inviò una palla-messaggio fino al primo lago di transito della Strada Insulare che, secondo i suoi sengaggi, risultava coperto di ghiaccio. Qualche minuto più tardi, la risposta piombò nell’acqua, vicino alla nave. La palla di legno, malamente ammaccata, venne ripescata e aperta. Il messaggio all’interno diceva che la tempesta era spaventosa, e in via di peggioramento.

Per tutta quella mattina, sul ponte gelido, Pelio e Leg-Wot non si scambiarono nemmeno una parola. L’unica volta che Ajao vide uno dei due guardare l’altro fu quando sorprese Yoninne a fissare con aria cupa la schiena del principe. Nessuno dei due si preoccupò di sapere qualcosa della sua salute. Erano tanto cambiati da sembrare addirittura due persone diverse. Che cosa poteva essere successo mentre lui dormiva? Cercò di spingere Yoninne a confidarsi, ma lei rifiutò di collaborare.

Finalmente, il nuovo pilota salì rumorosamente la passerella d’imbarco, scortato dai due indigeni che per primi avevano annunciato la tempesta. Una volta che lui fu arrivato a bordo, la situazione di stallo, se di questo si trattava, giunse al termine. Il navigatore capo accompagnò il collega in un breve giro di ispezione dello scafo, evidenziandone con cura le dimensioni e i punti deboli della struttura. Cinque minuti più tardi stavano già tranquillamente rengando in direzione nord. L’imbarcazione slittava lateralmente sull’acqua ogni volta che usciva da ciascun salto. La luce a sud si affievolì e le lune sorvegliarono il loro cammino da un cielo traboccante di stelle.

Ajao non vide più nessuna nave con lo stemma del Regno d’Estate. Il traffico lungo quella strada apparteneva al Popolo delle Nevi e le loro navi, di forma quasi perfettamente sferoidale, erano inconfondibili. Gli edifici vicino alla riva divennero più piccoli e quasi mai spalleggiati da città. Sembravano poco più che capanne, costruite con spessi blocchi di ghiaccio. A quella latitudine, la temperatura del terreno non si alzava sopra lo zero nemmeno in piena estate, e il ghiaccio era un materiale da costruzione come un altro. Inoltre, la roccia si trovava sepolta a parecchie centinaia di metri di profondità, sotto una coltre biancastra praticamente invalicabile. Una lega dopo l’altra, il panorama restò sempre quello di un deserto gelido e sterile. Anche al Popolo delle Nevi risultava impossibile vivere al di sopra del quindicesimo parallelo, rifletté Ajao. Senza dubbio, gli unici ad abitare nei dintorni erano gli operai addetti alla frantumazione del ghiaccio, indispensabili per mantenere aperta la via.

A un certo punto, il vento svanì. Forse si trovavano al riparo di qualche catena montuosa resa invisibile dall’oscurità. Mentre il pilota del Popolo delle Nevi si concedeva un riposo, l’equipaggio ispezionò lo scafo e cercò di liberare la parte inferiore dei pannelli di cristallo dal ghiaccio verdastro che li ricopriva. In quella calma relativa, le stufe continuarono a scoppiettare e a sputare scintille mentre l’assenza di vento permise finalmente al calore di fermarsi sul ponte e gli uomini ne approfittarono per riunirsi tutt’intorno. Ajao si chiese se quell’insperato tepore non avrebbe convinto anche Samadhom a uscire dal buco che Pelio doveva avergli trovato nella stiva.

Dai vetri incrostati di ghiaccio, l’archeologo scorse un’altra nave sul lago. La osservò meglio e vide che le stava succedendo qualcosa di curioso. L’imbarcazione si capovolse, come una balena che si metteva per gioco a pancia in su, accennò a tornare nella posizione originale e all’improvviso scomparve dalla vista. Ora, in nome del cielo, perché gli uomini del Popolo delle Nevi mettevano sottosopra le loro navi, prima di teletrasportarle? Andò a chiederlo a Pelio, che si trovava dall’altra parte del ponte a riscaldarsi vicino a una stufa. Il principe non alzò lo sguardo e per un attimo diede l’impressione di non volergli neppure rispondere. Alla fine, si strinse nelle spalle.

— Credevo che tu e Ionina conosceste già tutte le risposte — commentò poi in tono controllato. — Io sono solo uno zotico ignorante da manovrare secondo le necessità, ricordi?

Ajao finalmente capì. Lanciò un’occhiata verso il lato opposto del ponte, dove Yoninne fissava con ostentazione la riva, ben decisa a ignorarli. Ebbene, sospirò lui tra sé, immagino che nessuno di noi abbia una grande predisposizione per gli intrighi. Si sentì quasi sollevato che il ragazzo fosse al corrente della situazione.

— Invece ci sono molte cose che non sappiamo, Altezza — dichiarò. — Forse è per questo che vi abbiamo in qualche modo ingannato… Se vi trovaste perso a centinaia di leghe da casa vostra, circondato da persone che possono rivelarsi ostili, non sareste tentato anche voi di agire in modo un po’… ambiguo, anche nei confronti di quelle perone che vi sembrano amiche?

Il principe posò lo sguardo sul fuoco che scintillava oltre la mica trasparente che schermava la stufa. — Forse sì. Da te avrei anche potuto accettarlo, ma credevo che lo… — Si interruppe e cambiò bruscamente discorso. — La nave che hai visto si è girata per prepararsi a saltare in una strada dell’emisfero meridionale.

C’era qualcosa di buffo nel fatto che, in determinate condizioni, gli Azhiri potessero teletrasportarsi senza problemi addirittura nell’altro emisfero e che incontrassero invece così tante difficoltà per percorrere solo poche centinaia di chilometri. Se la destinazione si trovava a una latitudine sud equidistante dall’equatore rispetto a quella in cui ci si trovava a nord, era possibile teletrasportarsi senza il minimo pericolo di schiantarsi sulla superficie dell’acqua a un velocità troppo alta. In questo modo, il Regno delle Nevi poteva occupare le estremità opposte del pianeta rimanendo comunque, a tutti gli effetti, un unico dominio perfettamente collegato.

Il che non rispondeva comunque all’interrogativo di Bjault. — Ma perché devono capovolgere le navi?

Pelio si strinse ancora nelle spalle. — La gente al Polo Sud cammina a testa in giù, rispetto a noi. È più facile rengare una barca se viene prima girata in modo da puntare già la chiglia verso il punto di destinazione. E questo vale anche per i salti che abbiamo già compiuto, anche se forse non avrai notato le variazioni di assetto, dato che sono state quasi impercettibili.

Sembrava una sciocchezza, eppure Ajao la collegò subito alle leggi di conservazione dell’energia. Se non fossero state necessarie variazioni, si sarebbe potuto costruire una macchina per il moto perpetuo teletrasportando un pendolo su e giù tra il Polo Nord e il Polo Sud. Un fatto interessante e curioso, ma per il momento a lui non venne in mente nient’altro da chiedere. E Pelio non sembrava interessato a proseguire la conversazione. Nonostante tutti gli uomini sul ponte, il ragazzo era completamente e inesorabilmente solo. Ajao sospirò e tornò al suo posto.


Il loro arrivo al Polo Nord fu brusco e inaspettato. Si trovarono di colpo a galleggiare in un nuovo lago, molte volte più ampio di quelli precedenti… Lì il traffico era pesante, come se il lago rappresentasse il punto di intersezione di molte strade importanti. I magazzini di ghiaccio circondavano l’acqua da ogni parte e molti erano collegati da passaggi coperti di cui si intravedeva appena il tetto tra i minuscoli fiocchi di neve che turbinavano sull’acqua sospinti dal vento di pianura. Se quegli edifici nani erano il palazzo di cui avevano tanto sentito parlare, rappresentavano proprio una delusione.

Invece, Pelio indicò qualcosa all’orizzonte. In lontananza, Ajao scorse una moltitudine di cupole basse e di torri tozze che scintillavano di un bel colore azzurro argentato sotto il chiaro di luna. Qua e là, le superfici ricurve erano interrotte da minuscole fessure.

— Sono finestre — spiegò Pelio, dietro gentile ma insistente richiesta di Ajao. — Le torri di avvistamento misurano circa duecento piedi in altezza. In un certo senso, il Palazzo del Re delle Nevi è ancora più sicuro del Torrione di mio padre. A entrambi i poli, l’edificio è circondato da centinaia di miglia di ghiacci. Qualunque pellegrino che si avventurasse fin qui sarebbe avvistato dalle torri molto prima di raggiungere il Palazzo.

Sessanta metri di altezza, pensò Ajao sbalordito. Quella cifra poneva il palazzo in una nuova prospettiva. Qualcuno doveva conoscere almeno le principali leggi della statica, per erigere una costruzione del genere con il ghiaccio. L’edificio apparteneva a una classe del tutto diversa rispetto alle squallide capanne di neve incontrate lungo la strada.

Il pilota locale aprì a fatica un boccaporto e si sporse per gridare qualcosa alla coppia di figure mascherate e intabarrate, ferme sul molo spazzato dai venti. I due ascoltarono per un attimo, poi fecero ampi cenni con la mano e arrancarono lentamente per tornare all’interno del loro posto di guardia. Il pilota chiuse il boccaporto e il torrente di aria gelida che si era riversato sul ponte divenne solo un ricordo.

— Abbiamo ottenuto il permesso di entrare nel lago di transito all’interno del Palazzo — commentò Pelio. — Laggiù sarà più facile controllare lo scafo e ripulire i vetri dalle incrostazioni… Non mi aspettavo tanta cortesia.

Una coppia di luci gialle scintillò all’interno di una delle torri del palazzo. Il pilota osservò le luci, annuì e si sedette. Si concentrò un attimo per quell’ultimo salto, e finalmente si ritrovarono all’interno del Palazzo delle Nevi. Il luogo, vastissimo, sarebbe stato completamente immerso nel buio se il chiaro di luna che filtrava dalle fessure della cupola non lo avesse illuminato. La nave galleggiava in una polla di cinquanta metri di diametro e attorno alla riva un anello di pilastri ampi come la polla stessa salivano affusolati verso il soffitto. Nonostante tutta la loro apparente solidità, il chiaro di luna rendeva le colonne traslucide. Gli spigoli delle scanalature, affilati come lame, erano addirittura, trasparenti. Gli uomini dell’equipaggio unirono le forze per aprire il boccaporto principale e Ajao ebbe modo di vedere che il terreno attorno alla polla era ingombro di ghiaccio e di neve. Una strana trascuratezza, considerata la perfezione geometrica di tutto il resto. In ogni caso, l’aria che entrava attraverso il boccaporto sembrava più calda di quella all’esterno del Palazzo e, particolare ancora più importante, non c’era vento.

All’improvviso, gli uomini vicino all’uscita scivolarono lentamente in ginocchio e caddero sul ponte esterno. Pelio si alzò, per raggiungerli, ma il navigatore capo fece cenno ai tre witling di restare indietro, mentre lui e gli altri membri dell’equipaggio si precipitavano verso le figure ormai immobili. Bjault sentì le dita di Yoninne Leg-Wot artigliargli il gomito. — È gas — bisbigliò la ragazza, in lingua natale. E nel momento in cui lo disse, lui capì che aveva ragione. Aveva partecipato a un numero sufficiente di esercitazioni spaziali per riconoscere quel particolare caso di emergenza.

Ormai, la maggior parte dell’equipaggio era raggruppato attorno ai compagni caduti. — Credete che siano stati kengati, Capitano? — chiese uno, rivolto al navigatore capo.

L’ufficiale scosse la testa, irritato. — Non avete percepito nessun attacco, no? E poi, anche il pilota locale è a terra. — Gli si piegarono le ginocchia mentre stava ancora parlando. Ricadde pesantemente in avanti, sopra gli altri corpi. Attorno a lui, le grida di terrore si trasformarono rapidamente in suoni strozzati, mentre anche gli altri seguivano la stessa sorte. I due Novamerikani trattennero il fiato mentre gli Azhiri cadevano uno dopo l’altro, prima quelli vicino all’uscita e poi, a mano a mano, quelli più lontani. Alla fine, solo Leg-Wot e Bjault rimasero in piedi. Si fissarono in silenzio, impotenti. Sapevano che cosa stava succedendo ma non potevano farci niente.

Alla fine, Ajao fu costretto a inspirare. Non avvertì nessun odore particolare, niente di corrosivo almeno, ma all’improvviso si ritrovò in ginocchio, mentre la realtà scivolava via. Da qualche parte, chissà dove, udì Leg-Wot che imprecava tra sé, mentre accettava anche lei l’inevitabile.

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