10

Quella mattina Ajao Bjault aveva fatto finta di dormire mentre Leg-Wot si alzava e indossava l’esiguo vestitino verde della sera prima. La donna pilota era eccezionalmente taciturna e Bjault intuì che si sarebbe sentita più contenta se lui non si fosse svegliato. Dopo che se ne fu andata, lui si alzò e si lavò per quanto era possibile con la struttura assai primitiva dei servizi igienici. Pochi minuti più tardi, dalla polla di transito emersero due servi che erano venuti a portargli la colazione. Il cibo non aveva un cattivo sapore, ma bastava il pensiero dei veleni che conteneva per renderlo indigesto. Bjault finì il pasto e guardò con espressione cupa i servi che scivolavano di nuovo in acqua e scomparivano. Era sicuramente un bene che Leg-Wot avesse tanto successo con Pelio, ma lui sarebbe presto uscito di senno per la noia e il senso di incertezza.

Uscì sotto il sole del mattino e percorse il sentiero in discesa che portava alla spiaggia. Il cielo era solcato da greggi di piccole nuvole, e il caldo non sembrava così opprimente e tropicale come il giorno prima. Il posto era incantevole, senza alcun dubbio, e su di lui incombeva l’illusione di avere tutto il tempo del mondo a disposizione per esplorarlo. A parte un piccolo gruppo di persone che oziava sulla riva a un quarto di giro attorno al lago, non c’era nessuno tanto vicino da poterlo fermare. Forse lui e Yoninne avevano smesso di essere prigionieri. O meglio, era solo la loro incapacità di teletrasportarsi a tenerli inchiodati lì. Non potevano entrare in nessun edificio, se non in quello nel quale era stata appositamente ricavata una porta.

Bjault si mise a camminare lungo il margine del bosco e ascoltò il fruscio degli animali che correvano avanti e indietro tra gli alberi tropicali a foglia larga. Sembravano relativamente mansueti e qualcuno si azzardava a saltellare qua e là attraverso il sentiero. Davanti a lui, una creatura simile a un topo tese una specie di ragnatela serica tra due alberi. Ajao si trovò improvvisamente a riflettere su un fatto sorprendente: non aveva ancora visto nessun tipo di vita animale diversa da quella dei mammiferi. Tutte le caselle di un ecosistema erano rispettate, si capisce. C’erano degli “uccelli”, se così si potevano chiamare, e i mostri muniti di pinne che aveva visto rappresentati sugli affreschi Azhiri testimoniavano l’esistenza di una certa vita marina. Eppure, gli uccelli avevano una pelliccia e allattavano i loro piccoli, mentre dalle illustrazioni era evidente che i mostri marini respiravano aria. C’era persino una specie simile a un insetto, ma visto da vicino sembrava piuttosto un toporagno in miniatura.

Bjault riusciva a formulare un’unica spiegazione, in proposito. I primi mammiferi avevano fatto la loro comparsa sulla scena cinquanta o cento milioni di anni prima, quando Giri era abitato anche da rettili e da insetti. Ma uno di questi mammiferi si era rivelato un mutante con caratteristiche che non avevano uguali in nessuno dei mille e mille mondi che l’uomo aveva visitato. Quell’animale era in grado di teletrasportare la materia, o di rengare in termine Azhiri. Probabilmente all’inizio si trattava solo di rengare masse minuscole per pochi centimetri. Ma bisognava considerare un particolare: se il materiale teletrasportato andava a finire nel cervello o nel cuore del nemico, era probabile che quel nemico ne restasse ucciso. Così, il fortunato mutante capace di rengare era padrone indiscusso del proprio territorio. Considerato poi quanto fossero rare le mutazioni, non stupiva che nessun’altra specie avesse imparato a usare il Talento, né a sviluppare un adeguato mezzo di difesa. Tutta l’altra fauna di grandi dimensioni era stata spazzata via, e ora ogni creatura discendeva da quell’unico sbaglio della natura. Bjault rabbrividì.

Naturalmente, la razza Azhiri era comparsa milioni di anni più tardi, proprio come l’Homo sapiens aveva avuto il proprio sviluppo negli ultimi stadi dell’evoluzione dei mammiferi. Ma mentre i loro precursori animali erano stati in grado di teletrasportare solo una piccola frazione della loro massa corporea, un Azhiri ben allenato poteva rengare intere tonnellate di materia. La maggior parte degli Azhiri, almeno. Pelio rappresentava l’eccezione, era in qualche modo uno storpio. Apparentemente non riusciva nemmeno a difendersi contro il Talento.

Bjault notò una piccola polla di transito seminascosta tra gli alberi sul fianco della collina. Abbandonò la spiaggia per raggiungerla. Non che ce ne fosse motivo, ma non aveva nient’altro da fare. Doveva pazientare per un altro giorno, o forse due. Leg-Wot era ormai vicina a recuperare la loro attrezzatura. Entrò nello spiazzo e si avvicinò al bordo di marmo della polla. Sulla superficie dell’acqua galleggiavano foglie e altri piccoli detriti, il che lasciava supporre che la polla fosse poco usata. Bjault si chiese in che modo gli Azhiri riuscissero a evitare gli incidenti. Prima o poi, qualche povero diavolo si sarebbe tuffato nella polla proprio mentre arrivava qualcun altro e sarebbe rimasto tagliato a metà, con la parte inferiore del corpo teletrasportata nel punto da cui il nuovo venuto era partito, dovunque fosse. Forse la chiaroveggenza della razza, sengaggio o come altrimenti la chiamavano, era ancora più efficace di quanto gli avesse riferito Leg-Wot.

Gli venne in mente all’improvviso che c’era un’altra ragione per cui non si verificavano incidenti. Era necessaria dell’energia per infrangere un solido o un liquido, per spezzare i legami molecolari lungo la superficie di taglio. Se, come sembrava, gli Azhiri non spendevano energia per portare a termine i loro giochetti, c’era solo un caso in cui si poteva tagliare un oggetto mediante l’uso del Talento, e cioè quando i materiali lungo la spaccatura erano chimicamente identici sia ai punti di partenza che a quelli di arrivo. Solo allora si verificava una spesa minima di energia netta durante lo scambio di teletrasporto. Di conseguenza si potevano rengare due identici volumi di acqua. O, se si voleva uccidere qualcuno, bastava rengare due volumi esattamente uguali del midollo oblungato della vittima designata, e in pratica rimescolargli il cervello. I witling dovevano condurre un’esistenza davvero precaria, su Giri.

Bjault si guardò pigramente intorno nello spiazzo. Proprio sotto i suoi occhi, all’improvviso, si materializzò un uomo che da tre o quattro centimetri di altezza atterrò sull’erba folta. Lui raddrizzò bruscamente la schiena, non prima che altri due uomini comparissero dal nulla davanti a lui.

— Non ti muovere, witling — disse il primo. — Il principe ha richiesto la tua presenza. — Tutti e tre indossavano i gonnellini regolamentari dei soldati di guardia, ma si dimostravano stranamente tesi e misteriosi. Ajao aveva dovuto trattare con militari e burocrati per oltre. un secolo, tanto che ormai aveva un sesto senso per captare le loro bugie. Quei tre si comportavano come soldati in territorio straniero. Lui fece un passo indietro, verso il sentiero che portava alla spiaggia. Uno dei tre scomparve, solo per riapparire più in basso lungo il tracciato. In quello stesso istante, una folata di vento straordinariamente violenta colpì Ajao alle caviglie, togliendogli l’appoggio dei piedi. I due individui rimasti si avvicinarono, afferrandolo per le braccia. — Possiamo ucciderti prima ancora che incominci a gridare. Se non ci ostacoli forse ti lasceremo vivere. — Ajao strinse i denti per il dolore e la paura, mentre veniva trascinato attraverso il prato, verso la polla di transito. Si trattava di un rapimento, non delle brutalità di un pugno di carcerieri! E la differenza non era affatto accademica. Lui rischiava di non vedere mai più né Yoninne né il maser.

I rapitori stavano per raggiungere la polla quando il tizio che si era messo di guardia più in basso gridò, e l’urlo fu seguito da un rumore secco e improvviso, come quello di un tuono caduto molto vicino. Ajao si voltò in tempo per vedere il corpo dell’uomo che andava a schiantarsi contro il tronco di un albero all’altro lato dello spiazzo. Proprio sul limite della radura era comparso un quarto individuo, un Azhiri dalla pelle scura, con un semplice gonnellino verde. Non si muoveva, ma i rapitori di Bjault impallidirono per la paura.

— Un Corporato! — gridò uno dei due, e quando si rivolse di nuovo al prigioniero aveva scritta chiaramente negli occhi l’intenzione di uccidere.

Si udì un secondo tuono e il potenziale assassino venne letteralmente spazzato via. Ajao ricadde pesantemente al suolo e non sentì più nulla.


Al di là del parapetto, la città si stendeva a perdita d’occhio. Presi singolarmente, gli edifici erano belli, con le strutture in pietra e legno amalgamate con cura. Anche quelli più grandi, alti tre o quattro piani, erano parte di un immenso giardino. Viticci e rampicanti erano stati guidati sulle grate dei balconi e sulle verande dei tetti per creare, con le loro tonalità verdi e marrone, un gradevole contrasto contro l’azzurro delle strutture di legno esterne.

Doveva essere una città, ma gli edifici distavano sempre almeno un centinaio di metri l’uno dall’altro. In mezzo c’erano alberi, fiori, giardini senza sentieri e minuscoli laghetti. L’insieme ricordava ad Ajao il piano urbanistico delle città che aveva appena incominciato a costruire sul Mondo Natale poco prima che venisse lanciata la Spedizione Novamerika, quarant’anni prima. La costruzione di quelle città era possibile grazie alla tecnologia avanzata del Mondo Natale, che impiegava elicotteri da trasporto comandati elettronicamente. Gli Azhiri ottenevano i medesimi risultati senza l’impiego di macchine. Ajao se ne sentiva un po’ invidioso. Le città potevano anche spaziare trenta chilometri da est a ovest, e gli Azhiri sarebbero stati in grado comunque di passare da una parte all’altra, con la stessa rapidità con cui avrebbero compiuto uno salto di due metri.

Ajao era steso su un morbido divano all’ombra di una veranda pensile. A parte le condizioni della tuta di volo, che era fradicia, e un certo indolenzimento delle gambe, si sentiva proprio bene. Quella non era di certo la cella di una prigione. L’arredamento e il gusto artistico dell’insieme non avevano nulla a che vedere con l’ambiente in cui Pelio li aveva in precedenza sistemati. Accanto al divano era sistemato un tavolino lungo e basso, sulla superficie del quale erano dipinte due figure circolari, ciascuna con un diametro superiore al metro. Sembravano proprio carte geografiche, con il blu che rappresentava l’oceano, e i verdi, il bianco e i marrone a indicare le terre emerse. Alcuni punti erano segnati da scritte nell’alfabeto sillabico Azhiri. C’erano anche dei piccoli mostri marini dipinti nel blu… Perbacco! Erano davvero mappe, e precisamente proiezioni ortografiche polari. Un disco rappresentava l’emisfero settentrionale e l’altro quello meridionale. Che strana proiezione da scegliere. I continenti equatoriali risultavano tanto distorti da sembrare irriconoscibili.

Alle sue spalle si udirono dei passi. Bjault si girò di scatto e si trovò davanti l’uomo che l’aveva salvato. Lo sconosciuto si chinò sul divano e gli offrì qualcosa di scuro e di molto freddo. Una bevanda ghiacciata! C’erano proprio tutti i comfort di una società tecnologica… Ajao accettò automaticamente il bicchiere.

— Dove sono? — chiese mentre l’altro si sistemava su una vicina poltrona. Sembrava un po’ più vecchio di Pelio e apparteneva con ogni probabilità a una diversa razza Azhiri. La sua pelle era di un grigio molto scuro, l’altezza arrivava quasi al metro e sessanta e la corporatura era più snella rispetto a quella degli altri indigeni. Il gonnellino verde aveva un paio di lune argentee e stilizzate incollate su un fianco.

— Quasi nel cuore del centro d’affari di Dhendgaru, e precisamente qui — rispose l’uomo, indicando una chiazza grigia su una delle mappe. Spostò il dito di circa un centimetro. — E qui si trova il Palazzo d’Estate, a meno di due leghe di distanza. Non ti ho portato lontano e… sei libero di tornarci. — Alzò bruscamente lo sguardo su Ajao. — Ma prima devo parlarti. Sono Thengets del Prou, secondo Corporato residente a Dhendgaru.

L’archeologo aguzzò le orecchie, colpito dalla parola “Corporato”. — Thengets del Prou — ripeté, pronunciando il nome con cura. — Io sono Ajao Bjault.

Prou sorrise. — Avrei capito che sei uno straniero e che non vieni dal Regno d’Estate anche se il tuo aspetto non ti avesse già tradito. La gente del Regno d’Estate ha sempre molte difficoltà con le consonanti sospese del mio nome.

— Allora neanche voi siete di queste parti?

— Oh, no. Sono nato nel Grande Deserto ed ero il secondo figlio di un capotribù del Popolo della Sabbia.

Bjault ricordò i particolari che Leg-Wot gli aveva raccontato a proposito di quella razza. — Ma… la vostra gente non è nemica del Regno d’Estate?

Il sorriso di Prou si accentuo. — Certo. E probabilmente, se il mio destino non fosse stato diverso, io stesso sarei diventato un capo combattente e avrei strisciato nella sabbia per attaccare di sorpresa una delle oasi del Regno d’Estate. Ma non ricordo niente della mia famiglia. Avevo meno di un anno quando sono stato accolto all’interno della Corporazione. È stata una fortuna, sotto un certo aspetto. Succede che ogni tanto qualche bambino sfugga, e le conseguenze per il villaggio in cui abita sono terribili. Si conoscono casi di bambini dotati di un Talento superiore alla media che hanno soggiogato villaggi isolati e ucciso chiunque si opponeva ai loro capricci. Bambini così devono essere allevati da adulti altrettanto forti, i Corporati appunto, che sappiano instillare in loro una coscienza.

Prou sprofondò meglio nella poltrona e incurvò un piede scalzo sul bordo del tavolo con la carta geografica. Non aveva nulla del severo formalismo che Ajao aveva notato in altri Azhiri. Il Corporato sembrava una di quelle rare persone capaci di svolgere il proprio lavoro con eccezionale bravura, divertendosi e apprezzando per questo l’intero universo. La casuale noncuranza dell’Azhiri ricordava a Bjault l’atteggiamento di certi suoi studenti vicini alla laurea, molti anni prima sul Mondo Natale.

Ajao cercò di soffocare l’istintiva simpatia che sentiva per quell’uomo. C’erano ragioni obiettive per fidarsi di lui? L’archeologo sorseggiò la sua bevanda acida e alcolica e cercò di mascherare l’indecisione. Come si spiegava la comparsa improvvisa di Prou, proprio in tempo per salvarlo dai rapitori?

— Dovete avermi sorvegliato a lungo — disse alla fine.

Il Corporato ebbe un attimo di esitazione, poi annuì. — Ero a Bogdaru quando vi hanno catturato. Ho cercato di raggiungervi prima che arrivassero le truppe del Regno d’Estate, ma era troppo rischioso. Il Prefetto del luogo mi sorvegliava da vicino.

Ajao inarcò un sopracciglio. — Mi avevano detto che la Corporazione era al di sopra dei governi e delle loro leggi.

Prou rise. — A qualcuno può anche sembrare che lo sia. Certo abbiamo molti poteri fisici. Possiamo sengare qualunque cosa su Giri e persino sulle lune, e siamo quindi in grado di teletrasportare oggetti dovunque, senza prima compiere pellegrinaggi dal punto di partenza a quello di arrivo, come la maggior parte della gente normale è costretta a fare. Scaviamo i laghi di transito semplicemente rengando a terra le rocce dalle lune. E se dovesse mai succederci di affrontare una battaglia, un Corporato da solo può distruggere un’intera città sommergendola di pietre.

La voce di Prou non tradiva spacconate, e Ajao capì che quell’uomo stava dicendo la pura verità. Se una roccia lunare di cento tonnellate veniva scambiata con un volume equivalente di… aria, per esempio, la rete di energia potenziale liberata sulla superficie di Giri sarebbe stata pari a quella di una piccola bomba a fissione. Forse questo spiegava la pianura vitrea fotografata da Draere nell’emisfero meridionale.

— Ma sai quanti Corporati ci sono in tutto il mondo? — continuò Prou.

Ajao scrollò la testa.

— Meno di seicento, un quarto dei quali sono ancora bambini. Seicento su quattrocento milioni di Azhiri normali. Sì, abbiamo potere, ma siamo tenuti a rispettare la Convenzione. Se mai i civili e gli eserciti reali si unissero contro di noi, riuscirebbero a distruggere la Corporazione, anche se a prezzo di milioni di vite.

Un equilibrio di tre forze, pensò Ajao. I Corporati con i loro temibili poteri, le aristocrazie nazionali con i loro eserciti ben addestrati e i civili con il numero. Comunque si combinino, in due possono sopraffare il terzo. Così ogni regno deve trattare i suoi sudditi con una certa giustizia, indipendentemente dalla struttura più o meno feudale, e la guerra aperta tra i vari regni è da evitare per non indebolire l’aristocrazia rispetto ai Corporati e ai civili.

— Ed ecco finalmente perché tu e la tua compagna siete così importanti, Adgao. Siete witling, eppure i poteri che dimostravate a Bogdaru erano grandi come quelli di qualunque Corporato. Ho visto il mostro volante abbattuto dalle truppe di Ngatheru. In un modo o nell’altro, la vostra esistenza cambierà il mondo intero. Voglio che questo cambiamento sia per il meglio… o forse sarebbe più obiettivo confessare che desidero avere una certa possibilità di controllo su questa futura evoluzione. In ogni caso, non potevo permettere che il reparto di spionaggio del Regno d’Estate vi tenesse per sé. Ho inviato una lettera anonima al principe Pelio per informarlo della vostra cattura. Il principe ha un discreto potere, e di certo è l’uomo più eccentrico di tutta la corte. Ho puntato su di lui per togliervi dalle grinfie di Ngatheru. In seguito avrei potuto entrare in contatto con voi, per cercare di convincervi a chiedere la protezione dei Corporati. Pelio non avrebbe potuto lamentarsene con suo padre a meno di non rivelargli anche il proprio tradimento. Inoltre, ero sicuro che voi avreste accettato volentieri, una volta capito che con noi sareste stati più al sicuro.

Ajao non era d’accordo, ma lo tenne per sé. Non importava che il protettore fosse più o meno potente. Pelio aveva il maser, e dunque rappresentava la loro unica salvezza.

— Non immaginavo di certo che qualcun altro stesse giocando allo stesso gioco — proseguì l’Azhiri dalla pelle scura. — Probabilmente avrai capito che i tuoi assalitori non erano guardie del Palazzo d’Estate. Tuttavia, si trattava di soldati esperti: tutti e tre sapevano teletrasportarsi senza l’aiuto delle polle di transito. Chiunque li abbia mandati voleva te, oltre alla tua attrezzatura. Darei molto per sapere chi è. Il principe Aleru, forse? Qualcuno del reparto di spionaggio?

Ajao prestò pochissima attenzione a quelle ultime ipotesi. — La nostra attrezzatura? Perché, che fine ha fatto?

— Pelio l’aveva nascosta nella sua sala di immagazzinaggio privata all’interno del Torrione. Ero lassù ieri, a un noiosissimo ricevimento offerto dal Re Shozheru in onore del nuovo ambasciatore del Popolo delle Nevi. Ho cercato di dare un’occhiata intorno, mettendo a frutto le mie facoltà di Corporato, e ho localizzato la stanza privata del principe. Era già troppo tardi. Ho trovato due servitori morti, che evidentemente non erano arrivati tardi per sorprendere qualcuno vicino ai forzieri del principe, chiunque fosse. Da quello che mi è sembrato di capire, i ladri hanno preso di mira la vostra attrezzatura, prendendo tutto quello che erano in grado di trasportare.

La rivelazione trafisse Ajao come la lama di un coltello acuminato. — Che cosa?

Prou annuì. — Ho controllato dappertutto. — Descrisse ciò che aveva visto e Bjault capì che parlava della scialuppa di ablazione e della carcassa semidistrutta della slitta telecomandata. Qualcuno si era impossessato di tutta l’altra attrezzatura spicciola. Maser incluso.

Il Corporato vide l’espressione sul viso di Ajao. — Anche a me dispiace, Adgao, ma la mia offerta è ancora valida. Se tu e la tua amica lo desiderate, vi porterò via da Pelio e dalla corte. In caso contrario, la famiglia reale finirà per scoprire che il principe imperiale collabora con due witling e la vita di tutti e tre correrà un gravissimo rischio.

Ajao scosse debolmente la testa. — Non capisci. — Non capisci che moriremo comunque nell’arco di pochi mesi se non riusciamo ad andarcene dal vostro dannato mondo. Avevano perso l’unico mezzo per chiedere soccorso, l’unica radio sul pianeta che avesse una potenza sufficiente a… Gli scivolò lo sguardo sulla carta planetaria che copriva il tavolo accanto a lui.

C’era un’altra radio! Laggiù, sul margine di un mostruoso oceano azzurro screziato, si vedeva l’isoletta dove gli uomini di Draere avevano impiantato la stazione telemetrica. L’isola distava almeno un quarto dell’intera circonferenza planetaria ed era circondata da migliaia di chilometri di acqua, ma se in qualche modo avessero potuto raggiungerla…

Se solo avessimo un aereo. Per la verità, se l’amministrazione coloniale di Novamerika li avesse dotati di tutta l’attrezzatura richiesta non avrebbero mai rischiato di trovarsi invischiati in una situazione così complicata. La scialuppa di ablazione non volava, era poco più che uno schermo anti-surriscaldamento, munito di paracadute. Li aveva fatti scendere dall’orbita senza problemi, ma ormai non serviva a nulla.

Ajao alzò lo sguardo sul Corporato. — Avete detto che la Corporazione può teletrasportare gli oggetti in qualunque punto del pianeta?

— Sì.

— Allora forse possiamo concludere un patto. Come avete già insinuato, noi siamo in possesso di… conoscenze magiche sconosciute agli Azhiri. Potremmo spiegarvele almeno in parte, se ci teletrasportaste qui. — Si protese sul tavolo e puntò il dito sull’isola dov’era sistemata la stazione telemetrica di Draere.

Prou si accigliò e Ajao si chiese se avesse modo di intuire quanto poco lui avrebbe potuto rivelargli. Non c’era proprio modo di insegnare agli Azhiri qualcosa della moderna tecnologia nel tempo estremamente ridotto che a loro sarebbe rimasto. Forse solo le mitragliatrici avrebbero avuto qualche valore per Prou, ma erano scomparse. A quel punto, l’unica attrezzatura che potevano offrirgli erano le radio della tuta, la cui portata non superava i cinquanta chilometri.

Ma le obiezioni del Corporato furono ben altre. — Potrei sicuramente teletrasportarvi fin là, Adgao, ma morireste al momento dell’arrivo. Guarda. — Tracciò una linea che collegava Dgengaru all’isola. — La distanza supera le cento leghe. Una lega è la distanza massima che una normale imbarcazione da viaggio può percorrere con una singola operazione di rengaggio e anche con lo scafo più solido, nessuna delle nostre navi può saltare più di due leghe per volta. Se io vi rengassi fin là, verreste ridotti in mille pezzi.

Ajao studiò la carta e fece una smorfia. Certo. La stazione telemetrica era a novanta gradi di distanza, dall’altra parte del pianeta. Se saltavano dal punto in cui si trovavano in quel momento, diretti subito a destinazione, sarebbero arrivati là alla velocità di circa un chilometro al secondo, diretti verso il basso. Eppure…

— Che vi impedisce di portare una di quelle navi da viaggio in oceano aperto? Capisco che sia un viaggio lungo, capace di richiedere parecchie centinaia di salti, ma alla fine arriveremmo interi.

Prou scosse ancora la testa. — Questi abvom - indicò con l’indice uno dei piccoli mostri disegnati con cura sulla carta — non sono semplici immagini ornamentali, Adgao. Ci kengerebbero ancora prima di aver percorso tre leghe in mezzo al mare.

Aveva senso. Se la capacità di kengare dipendeva, come sembrava, dalle dimensioni del cervello, i mammiferi che popolavano l’oceano potevano essere benissimo le creature più pericolose del pianeta, anche se non erano in grado di teletrasportarsi. Nessuna meraviglia che le “strade” degli Azhiri non si allontanassero mai più di qualche chilometro dalla costa. Ajao si sollevò appena dal divano. — Ma se il posto è così inaccessibile, come potete conoscerne l’esistenza?

Prou inarcò le sopracciglia grigie. — Noi della Corporazione abbiamo la facoltà di sengarlo, così come possiamo sengare le lune, pur senza avere la possibilità di raggiungerle.

Bjault si lasciò ricadere all’indietro. In realtà, la stazione telemetrica era lontana quanto la stessa Novamerika. Per un attimo desiderò di possedere la stessa predisposizione di Leg-Wot per le imprecazioni. Quella era proprio l’occasione giusta per usarle.

Tornò a guardare la mappa. A prima vista, la proiezione ortografica polare sembrava un modo estremamente maldestro per riprodurre un intero emisfero. Le terre a meno di trenta gradi dal polo risultavano solo vagamente distorte, ma verso l’equatore la dilatazione dei continenti era così accentuata che, sulla carta, il Regno d’Estate occupava solo una striscia alta meno di otto centimetri lungo il bordo dei dischi. Solo ripensandoci meglio Ajao capì che la proiezione era perfettamente naturale agli occhi degli Azhiri, e rispecchiava in modo straordinario le caratteristiche uniche del loro Talento. Per loro era molto più importante conoscere la differenza di velocità tra due punti che non la distanza reale in linea d’aria. E la proiezione ortografica polare era una rappresentazione perfetta dei campi di velocità sulla superficie del pianeta. Le linee rette sulla carta non erano cerchi massimi, ma percorsi di minima variazione di velocità tra i due punti collegati, e dal punto di vista Azhiri rappresentavano dunque la via più breve. Il che finalmente spiegava la stranezza delle curve seguite dalle varie strade. Se solo lo avesse intuito prima che Draere tentasse l’atterraggio…

Più guardava quella carta e più si stupiva della sua praticità. Bastava un’occhiata per stabilire quanti salti fossero necessari a raggiungere una certa destinazione senza correre pericoli, e persino per prevederne l’ampiezza e la direzione precisa. Non c’erano dubbi, la stazione telemetrica era praticamente irraggiungibile. Anche se avessero viaggiato via terra fino al punto più vicino all’isola ci sarebbero comunque stati 8.500 chilometri di oceano tra loro e la meta a cui erano diretti. Se avessero coperto la distanza con un salto solo sarebbero emersi in prossimità della stazione muovendosi in modo orizzontale a parecchie centinaia di metri al secondo. Non c’era proprio alcun modo di aggirare l’ostacolo, a meno che…

— Perdio, ci sono! — esclamò Bjault in lingua natale `Non l’avrebbe mai capito senza quella mappa, così come uri Azhiri non sarebbe mai stato in grado di arrivarci senza il bagaglio tecnico e scientifico di Ajao.

— Con il tuo Talento e la mia “magia” credo proprio che potremo raggiungere l’isola! — dichiarò l’archeologo dedicando al Corporato, che lo fissava perplesso, un ampio sorriso di trionfo.

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