7

Trascorsero il pomeriggio rengando nel palazzo. Le stanze non distavano mai più di una lega l’una dall’altra, così anche se l’immenso edificio si stendeva per ottocento miglia a nord dell’equatore, per altrettante a sud e per trenta sia a est che a ovest del meridiano reale, qualsiasi posto al suo interno era raggiungibile con due o tre salti al massimo. Le ore passarono e le ombre incominciarono ad allungarsi. Attraverso le lunghe finestre della stanza dei giochi Pelio scorse a ovest i primi colori del tramonto.

Guardò il tavolo da gioco. Ionina sedeva protesa in avanti, concentrata sulle palle d’argento che lui aveva appena fatto rotolare sul piano. Parve avvertire il suo sguardo e alzò gli occhi.

— C’è qualcos’altro che vorresti vedere dopo che avremo finito la partita, Ionina?

La ragazza si raddrizzò di colpo, dimenticando il gioco. Schiuse le labbra, ma rimase in silenzio per parecchi secondi, come per riflettere. Sulla terrazza sotto di loro alcuni altri meccanismi continuavano rumorosamente il loro corso.

— Sì — rispose lei alla fine. — Quando Ajao e io siamo stati… presi dai soldati, avevamo con noi molte cose. Posso vederle? Sono solo poveri oggetti ormai inutili, ma mi farebbe felice vederli.

È una bugia, pensò Pelio. Ricordò i frammenti recuperati dalle truppe. Erano strani, come gioielli dalla forma insolita. Se fosse stato superstizioso li avrebbe chiamati talismani. Tornò a specchiarsi negli occhi misteriosi della ragazza. Ebbene, mi presterò volentieri al tuo gioco. Poteva essere un’ottima occasione per scoprire di più sulle origini di Ionina, e anche se c’era qualcosa di magico connesso a quegli oggetti non avrebbe potuto causare guai il solo vederli. L’unico problema era che lui li aveva nascosti nel suo magazzino personale nel Torrione.

Spinse lo sguardo oltre il parapetto fino ai nobili riuniti nella terrazza sottostante. Nel corso di un’ora il gruppo si era ingrandito. A giudicare dagli abiti estremamente formali e dalle lunghe ombre esterne, il ricevimento si era concluso e i partecipanti se n’erano andati ciascuno per la propria strada. Forse si poteva raggiungere il Torrione senza dover parlare con troppa gente.

— Credo di poterti accontentare, Ionina… a patto che tu mi descriva la funzione degli oggetti che avevi con te.

La ragazza chinò la testa in modo quasi impercettibile, senza guardarlo negli occhi. — Lo farò, per quanto mi è possibile.

Dovettero compiere parecchi salti intermedi per adattarsi all’aria sempre più rarefatta, prima di emergere finalmente nel grande gelo della Sala Alta. La stanza si trovava a diecimila piedi sul livello del mare ed era il posto più sicuro di tutto il palazzo, a parte lo stesso Torrione. Sotto le finestre a fessura, uno strapiombo di roccia ricadeva verso il basso per migliaia e migliaia di piedi. Solo un Corporato sarebbe riuscito a teletrasportarsi fino a quella stanza senza aver prima scalato quelle altezze come pellegrino. Cinque secoli prima, quando gli antenati di Pelio avevano dominato solo il Regno Interno, limitato alle dimensioni di un moderno ducato, si erano rivolti alla Corporazione per cercare un luogo dove potersi mettere ragionevolmente al sicuro in caso di attacco. La Corporazione aveva sengato quella nicchia nella parete di roccia e aveva teletrasportato una squadra di minatori sul posto. La nicchia era stata ampliata per ricavare un’immensa sala e per raggiungerla era stata costruita una scala di pietra larga una iarda che scendeva per tremila piedi nella roccia. Chiunque si avventurasse lungo quella scala era completamente indifeso nei confronti di un attacco dall’alto, e i primi re non avevano avuto problemi nell’escludere pellegrini indesiderati. Era stato necessario più di un secolo per saldare alla Corporazione il debito contratto in quella occasione, ma la spesa si era dimostrata un ottimo investimento perché in quel modo il Regno Interno si era aggiudicato la fortezza più inattaccabile di tutto il continente. Senza quella fortezza, la dinastia di cui Pelio era l’ultimo erede e che ora si trovava a governare su un continente pressoché per intero e su buona parte di un altro, non sarebbe mai sopravvissuta. Alla fine, naturalmente, l’espediente delle stanze nascoste si era sparso anche negli stati più piccoli e il modo di assediarli e di espugnarli era diventato ampiamente risaputo. Ecco perché, in tempi più moderni, la Sala Alta aveva incominciato a essere usata solo come entrata per un ambiente molto più sicuro, il Torrione del Regno d’Estate.

Lassù l’aria era fredda. La sala era vicina all’equatore, ma il fatto non influiva sugli effetti dell’altitudine e una corrente gelida turbinava attraverso le strette fessure delle pareti. La stanza era stata suddivisa in quattro ambienti minori, anche loro grandi abbastanza da ospitare parecchie centinaia di persone e abbondanti provviste. Naturalmente, il posto non veniva usato come nascondiglio da secoli e dunque in quel momento era vuoto e cavernoso, con il silenzio rotto soltanto dal vento circostante. Tre soldati, vestiti con abiti adeguatamente pesanti, si trovavano in piedi vicino alle finestre. Pelio li guardò e vide che nessuno di loro indossava la fascia del capo sorvegliante. Si allontanò rapidamente dalla polla e andò a dare un’occhiata alle sale minori. Bvepfesh, dov’era il capo sorvegliante?

Alla fine ritornò verso i soldati. — Dov’è? — chiese, sforzandosi di non far trasparire l’irritazione.

L’uomo scattò sull’attenti. — Dov’è chi? Oh, volete dire il capo sorvegliante di transito, Altezza? Si è dovuto assentare. — Fece una pausa e il principe riuscì quasi a leggergli negli occhi ciò che pensava. Se tu fossi un degno erede della corona non saresti obbligato a ricorrere all’aiuto dei servi per entrare e uscire dal Torrione. — Sarà di ritorno da un momento all’altro, Altezza.

Senza una parola, Pelio distolse lo sguardo e guidò la ragazza in una ritirata strategica verso un margine della stanza. Per un attimo si guardò attorno con occhio torvo.

— Che cosa c’è? — chiese Ionina con dolcezza. Tremava e aveva le braccia incrociate sotto il seno alto.

Pelio rimirò il suo incantevole viso scuro e sentì l’ira svanire a poco a poco. — In questo momento non c’è nessuno che ci possa rengare all’interno del Torrione.

Ionina corrugò la fronte. — Ma mi avevi detto che… voglio dire, non sei il figlio primogenito del re? Dovresti conoscere la strada meglio di chiunque altro, no?

Lui restò sbalordito. Come osa rinfacciarmi… Poi si rese conto con orrore che la ragazza non immaginava di certo che il principe ereditario fosse menomato quasi quanto lei. Abbassò la testa.

— Io sono come te, Ionina — confessò a bassa voce. — Non sono in grado di teletrasportarmi da solo. E nemmeno di uccidere a distanza. — Era la prima volta che una simile ammissione non gli causava dolore.

Ionina guardò verso l’altro lato della stanza, dove i soldati e le due guardie del corpo parlavano con indifferenza tra loro. Avevano l’aria di annoiarsi. Allungò distrattamente una mano per accarezzare la pelliccia umida di Samadhom.

— A proposito di quello che hai detto prima, avevi indovinato — dichiarò. — Nel posto da cui vengo, tutti noi siamo… witling.

Con quale naturalezza aveva pronunciato quelle parole! Per lui, l’asserzione era stata solo il modo di dare voce ai propri sogni, una folle speranza in cui non osava nemmeno credere. Ora, all’improvviso, scopriva che i suoi sogni erano realtà. Per di più, Ionina e Adgao sembravano così civilizzati… dovevano conoscere qualche magia. Che cosa, se non la magia, poteva sollevare un uomo al di sopra degli animali, se non possedeva Talento? Schiuse le labbra, ma le domande e gli interrogativi erano tanti e così in conflitto da ridurlo per un attimo al silenzio. Dov’era la terra magica di Ionina? Poteva rifugiarvisi anche lui?

Dalla polla di transito giunsero degli spruzzi, mentre due nuove persone arrivavano nella stanza e scattavano subito sull’attenti. Chiunque li seguisse doveva essere importante. Ci furono altri spruzzi, e finalmente due sagome emersero dall’acqua. Aleru! Anche nella penombra, Pelio riconobbe all’istante il fratello minore. Il secondo individuo, pesante, massiccio e dalla pelle chiara, era Thredegar Bre’en. Per quanto lui potesse ricordare, Bre’en era stato da sempre il rappresentante in seconda del Re delle Nevi al palazzo. Gli ambasciatori si susseguivano, ma Bre’en rimaneva. Shozeru e i suoi consiglieri si rendevano perfettamente conto che quell’uomo era tutto tranne lo sciocco integrale che sembrava. L’astuto esponente del Popolo delle Nevi era l’unico legame sicuro che il Regno d’Estate aveva con le innumerevoli vie di comunicazione delle terre artiche. Non importava quale banda fosse al potere ai poli, Bre’en riusciva sempre a rimanere a galla nelle alte sfere.

Aleru stava parlando con il suo compagno ancora prima che uscissero dall’acqua. — Te lo dico ancora, Bre’en, è una cosa seria. Siamo stanchi del continuo incoraggiamento che assicurate alla immigrazione illegale verso il Grande Deserto. L’attacco del Popolo della Sabbia all’oasi di Marecharu ci è costato molte vite. — Dopo di loro, altri quattro uomini, tutti vestiti con i pesanti stivali del Popolo delle Nevi, arrancarono per uscire dalla polla. Erano i servi personali di Bre’en.

Bastarono poche frasi perché Pelio capisse che Aleru parlava direttamente in nome del loro comune padre, il re. Per tradizione, il compito di portavoce diretto avrebbe dovuto spettare al primogenito, non appena fosse stato considerato abbastanza maturo e responsabile. Pelio deglutì a fatica e si ritirò il più possibile nell’ombra, augurandosi di diventare invisibile.

Invece, fu proprio quel movimento ad attirare l’attenzione di Aleru, che girò di scatto la testa per guardarli. — Chi diavolo… Pelio! — Il principe più giovane raddrizzò le spalle per salutare il maggiore. — Ciao, fratello. — Dietro di lui, Bre’en si inchinò leggermente.

Pelio rispose al saluto, e cercò di assumere un’aria perfettamente controllata. Suo padre aveva spesso osservato quanto lui e suo fratello fossero simili, sia nell’aspetto che nella voce. Era vero. Se non fosse stato per quella “lieve” deficienza da parte di Pelio, avrebbero tranquillamente potuto essere scambiati per la stessa persona. Ma proprio quella deficienza, insieme alla fatalità di essere nato prima di Aleru, li aveva sempre tenuti separati da un muro di odio e di invidia reciproci.

Aleru era una delle poche persone che conosceva tanto bene Pelio da vedere al di là dei suoi ingannevoli atteggiamenti.

Si guardò rapidamente intorno nella stanza, e parve indovinare che il fratello più vecchio era inchiodato lì per la momentanea assenza del capo sorvegliante. Fissò Pelio e sollevò le spalle, come per dire: Povero sciocco sempre in difficoltà. Poi tradì un attimo di sorpresa quando scorse nell’ombra la sagoma snella e scura di Ionina. La guardò a lungo e Pelio ne immaginò gli inutili sforzi per decidere da quale parte del mondo quella ragazza venisse. Persino il rappresentante del Popolo delle Nevi, Thredegar Bre’en, ora sembrava interessato, anche se il suo sguardo era un po’ più affabile e rilassato di quello di Aleru. Pelio cercò di contrastare la loro curiosità con la semplice forza dello sguardo. Dopotutto, fornire spiegazioni sulla ragazza sarebbe stato come ammettere che in lei ci fosse qualcosa di speciale. Alla fine, però, si sentì costretto a parlare.

— Vi piace? — chiese, sforzandosi di sorridere. — È una nuova concubina, regalo di non so più quale barone di una contea a sud di Tsarang. — Più oscure erano le origini della ragazza e meglio era. Tsarang si trovava dall’altra parte del mondo, così lontana dal vero e proprio Regno d’Estate che la sua lealtà risultava una questione di semplice teoria. Inoltre, la zona era circondata da terre abbastanza selvagge da giustificare anche l’esistenza di una creatura strana come Ionina.

— Molto graziosa, fratello. Un giorno ne avrò una anch’io.

— Certo. — Pelio annuì, e i due fratelli si fissarono negli occhi. Grazie alla rete invisibile di schermi protettivi stesi da Samadhom attorno a loro, Aleru non aveva modo di sengare che Ionina era una witling. Non che la cosa fosse di grande aiuto. Il giovane principe sapeva bene che il primogenito usufruiva molto raramente dell’harem regolamentare e che disprezzava le ragazze almeno quanto loro disprezzavano lui. Così, la conclusione che quella ragazza avesse in sé qualcosa di speciale era quasi inevitabile. Sarebbe riuscito anche a indovinare il terribile segreto che la rendeva così attraente agli occhi di Pelio?

Alla fine, con un gesto di esagerato rispetto, Aleru si mise sull’attenti. — Spero che vorrai scusarci, fratello — disse, prima di girarsi per andare verso il bordo della polla. Si accorse subito che Bre’en non aveva fatto alcun passo per seguirlo.

— Ehm… Altezza — biascicò quest’ultimo — potremmo rimandare la nostra discussione a più tardi? Sono sicuro che l’ambasciatore vorrà sentire le vostre parole di persona. Inoltre, non mi capita spesso l’occasione di parlare con il principe imperiale. Se è lui che un giorno dovrà governare Tutt’Estate, è necessario che la gente dei poli impari a conoscerlo.

Aleru si morsicò un labbro. — Fai come credi, Bre’en. — Si tuffò nella polla e scomparve.

Per un attimo, dopo che anche la scorta del secondogenito se ne fu andata, nessuno fiatò. I servi di Bre’en, alle sue spalle, rimasero impassibili sull’attenti. Quasi sicuramente erano witling: nessuno che avesse un briciolo di Talento poteva essere altrettanto sottomesso. Si diceva che il Re delle Nevi fosse a tal punto un cultore del terrore e dell’oppressione da allevare sistematicamente una razza di witling per poterla dominare. A lunga scadenza il sistema era risibile. In un’ottica più a breve termine era semplicemente grottesco, persino per Pelio.

Bre’en sorrise, e si chinò in avanti per fare cenno a Ionina di uscire dall’ombra. — Sono incantato dal nuovo acquisto di Vostra Altezza. La ragazza è davvero molto graziosa e, se me lo consentite, anche straordinariamente esotica. Dimmi, piccola… — Si rivolse direttamente a Ionina, la quale era tutt’altro che piccola. — Per raggiungere il Regno d’Estate dalla Contea di Tsarang devi aver attraversato il Regno delle Nevi. Ti è piaciuto il mio paese? — Per quanto orrendo, l’uomo aveva un sorriso accattivante.

Lei sembrò confusa dalla domanda. — No… voglio dire, non lo so — rispose alla fine, in tono appena udibile.

Bre’en reagì con una risata allegra, niente affatto canzonatoria. — Non lo sai? Con solo tre parole hai condannato il mio paese al più totale oblio. Ne sono annientato. — Si girò verso Pelio, e cambiò bruscamente argomento. — Altezza, non è per nostra richiesta che trattiamo con il re tramite il Principe Aleru piuttosto che con la vostra mediazione.

Pelio annuì, senza tradire alcuna emozione. In altri momenti avrebbe formulato molte ipotesi sulle ragioni che spingevano il rappresentante del Re delle Nevi a pronunciare quelle parole. Allo stato attuale delle cose, si limitò a prenderne vagamente nota.

Bre’en si inchinò e si diresse verso la polla di transito. I suoi uomini lo seguirono con andatura rigida e quasi imbarazzata. Non appena furono scomparsi, Pelio si incamminò a sua volta verso la polla. Ionina lo raggiunse in fretta.

— Mi mostrerai quegli oggetti, adesso? — chiese.

Il principe fece un brusco cenno di diniego. — No. Per il momento dovremo rimandare tutto. — Con sua grande sorpresa, la ragazza parve più sconvolta da quel rifiuto che non dalla scena a cui aveva appena assistito. Lui alzò una mano per battergliela con delicatezza su una spalla. — Sarà per un’altra volta-aggiunse, in tono più gentile. — Presto, lo prometto. — Ma la promessa rischiava di non essere mantenuta. Se Aleru avesse sospettato che Ionina era una witling avrebbe potuto cercare di verificare l’autenticità della storia raccontata da Pelio, e cercando bene avrebbe scoperto che la storia non si reggeva in piedi. E quella sarebbe stata la fine.

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