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La chiamavano Festa dell’Estate Meridionale, e preferivano ignorare il fatto che quella data segnava il giorno più corto di tutto l’inverno nell’emisfero settentrionale. Era la più importante tra le feste imperiali, a pari merito con la Festa dell’Estate Settentrionale, sei mesi più tardi. Quell’anno non era previsto lo sfarzo delle edizioni precedenti. I ducati di Rengeleru e di Dgeredgerai erano troppo occupati a difendere le loro vie di commercio attraverso il Grande Deserto dalle incursioni del Popolo della Sabbia per inviare a corte le consuete compagnie di spettacolo. Tuttavia, la maggior parte della nobiltà del Regno era venuta alla festa, e aveva riempito per intero i quindici ordini di posti dell’Anfiteatro Equatoriale. Questo era una linea spartiacque naturale che si stendeva per cinquecento iarde verso nord e per altrettante verso sud. Alle squadre di lavoro del re erano occorsi più di tre anni per ricavare quindici terrazze degradanti nel riolite bruno rosato del fianco montuoso, una per ogni grado della nobiltà. Poi sulle terrazze erano state stese tonnellate di terriccio, zolle erbose e alberi finché in tutto quel verde non era rimasta solo, qua e là, qualche rara striscia rosa di pietra lucida.

Erano passati solo due giorni da quando si era scoperta la misteriosa intrusione nel Torrione del Palazzo d’Estate. Sebbene ufficialmente non fosse stato detto nulla, la voce si era sparsa e la presenza di uomini di guardia a ogni polla di transito o laghetto ornamentale non faceva che confermarla. Pelio si chiese se le cose sarebbero mai tornate alla normalità. Era già stato un miracolo far uscire Ionina dal Torrione senza che nessuno la notasse. Quanto ai consiglieri di suo padre, non li aveva mai visti tanto sconvolti. Anche se non risultava mancare s nulla dalle stanze private del re, e Pelio si era ben guardato dal denunciare le proprie perdite, tutti si trovavano comunque ad affrontare il fatto irrefutabile che qualcuno aveva approfittato di un ricevimento diplomatico per violare il Torrione e uccidere due rengatori d’aria. I potenziali ladri avevano dimostrato grande Talento e un’incredibile audacia. Da quella notte in poi il Torrione era stato costantemente pattugliato, ed era la prima volta che un re imperiale l’avesse mai ritenuto necessario.

Tuttavia, solo Pelio comprendeva la vera enormità di ciò che era successo. Soltanto lui sapeva che i ladri in realtà avevano rubato qualcosa, e doveva trattarsi di qualcuno in grado di penetrare all’interno del Torrione e di rengare oggetti all’esterno senza l’aiuto dei sorveglianti della Sala Alta. C’era di mezzo un Corporato, forse. Oppure, considerato il rigore con cui la Corporazione si atteneva al rispetto della Convenzione, un membro della stessa famiglia reale. Il principe teneva ogni dubbio per sé. Sapeva che la sua posizione era delicata, c’era il rischio che qualcuno sollevasse interrogativi tali da portare a galla, magari incidentalmente, la sua relazione con una witling. Per alcuni giorni doveva evitare la ragazza, sia in pubblico che in privato.

Pelio si barcamenò tra una conversazione e l’altra, rimanendo sulle generali, senza sapere mai bene che cosa fare. Era stato diverso prima di incontrare Ionina. Allora, si era accontentato di tenersi in disparte senza nascondere il proprio malumore. Ma ora che conosceva il piacere di una vera conversazione, mettere il broncio non gli dava nessuna soddisfazione. Non che la cosa facesse differenza, pensò spingendo lo sguardo attraverso la terrazza fino ad Aleru e alla Regina Virizhiana. Chiunque avesse saccheggiato la sua sala di immagazzinaggio giocava una partita misteriosa e mortale. Finché non fosse riuscito a saperne di più era meglio recitare la parte del principe tranquillo e insignificante.

Si allontanò dalla folla e raggiunse un pergolato vicino al bordo della terrazza circondato dagli alberi. Lì il profumo dei fiori e delle foglie verdi era più penetrante, mentre i rumori della festa risultavano attutiti. A pochi pollici dal suo piede, il tappeto erboso finiva di colpo e il terreno scendeva in perpendicolare, mettendo a nudo il lucido letto di roccia rosa. Dal punto in cui si trovava, Pelio poteva vedere ognuno dei quindici livelli degradanti, fino a quello baronale, ma la vegetazione era così fitta da lasciar intravedere solo una minima parte degli invitati.

Da qualche parte, sotto gli alberi del nono livello, i musicisti della festa intonarono “Invito al Torneo”. Su tutte le terrazze la gente si spostò in avanti per guardare l’azione sul terreno di scontro posto a occidente. Il pergolato di Pelio fu preso d’assalto da un trio di giovani nobili, avidi di chiacchiere e di scommesse. Dall’azzurro dei gonnellini il principe capì che provenivano da qualche corte di campagna e che potevano appartenere al massimo al sesto livello. Ma la festa non era rigidamente formale e, se provvisto degli amici giusti, un nobile poteva andare praticamente dovunque nell’anfiteatro. Per la prima volta in molti anni, Pelio si ritrovò in incognito, e prima ancora di rendersene conto stava già scommettendo il suo anello più grande sulla vittoria in campo di Tseram Cherapfu. In realtà, di Cherapfu non sapeva proprio niente, ma aveva udito quel nome in una discussione fra esperti, poco prima.

I quattro si sedettero sull’erba soffice per godersi lo spettacolo e, qualche secondo più tardi, apparvero i due contendenti, uno al limite nord del terreno e l’altro a quello sud. La distanza era tale che i due sembravano macchioline minuscole, diverse solo per i colori accesi dei costumi da combattimento. Pelio capì dai discorsi degli altri che Cherapfu era quello a nord, vestito di rosso.

Sul terreno si udì una scarica di tuono e una nuvola di polvere si alzò dalle zolle erbose davanti al duellante vestito di blu: Tseram Cherapfu aveva scagliato il suo primo colpo. Uno dei giovani nobili osservò irritato che un attacco tanto prematuro rappresentava uno stupido spreco di energie e un altro gli rispose che non si poteva mai dire, tanto più che Cherapfu aveva in genere una mira eccellente. I due giostranti camminarono lentamente uno verso l’altro, finché non si trovarono appena a quattrocento iarde di distanza. Si udì di nuovo una scarica di tuono, che questa volta continuò con un aspro susseguirsi di colpi, mentre zaffate di aria venivano teletrasportate a velocità supersonica sulla radura.

La gara era amichevole, ma i contendenti lottavano come soldati allenati e valorosi in una battaglia vera. In combattimento era di fatto impossibile mettere sottosopra le viscere del nemico con un’applicazione diretta del Talento. A meno che l’avversario non fosse intontito o che si trattasse di un witling, le sue difese naturali lo avrebbero protetto contro un attacco di kengaggio. Per questo, era necessario aggredire in modo indiretto, teletrasportando aria e rocce da molte leghe di distanza, in modo che emergessero viaggiando a centinaia di piedi per secondo, in direzione dell’obiettivo.

La battaglia sul terreno di gioco non era completamente realistica. I duellanti non potevano rengare proiettili solidi e le folate di aria emergevano alte sul terreno. Eppure, il duello era spettacolare. Le folate di aria sollevavano erba e polvere sul campo come se fossero state mazze e i due soldati comparivano ora qua ora là, cercando di schivare i colpi dell’avversario.

Pelio si ritrovò a urlare forte come tutti gli altri. Perbacco, erano in gamba, quei soldati! Lo capiva persino lui. Per poter rengare alla velocità del tuono entrambi dovevano aver compiuto il Grande Pellegrinaggio attraverso le terre artiche. Senza contare che solo pochissime persone estremamente allenate potevano teletrasportarsi senza polle di transito, e quei due lo facevano in continuazione.

Ma non poteva continuare così a lungo. Il soldato in rosso barcollò sotto una serie di colpi multipli che appiattirono l’erba intorno a lui. Si chinò con aria intontita, ormai privo di difese, mentre un’ennesima serie di tuoni gli convergeva addosso. I quattro ragazzi trattennero il fiato, mentre il colpo finale lo spediva all’indietro. Cherapfu compì un giro completo su se stesso prima di ricadere al suolo.

Un applauso scosse l’anfiteatro in tutta la sua lunghezza, e i tre ragazzi balzarono in piedi, discutendo animatamente dell’incontro. Pelio si ritrovò anche lui a parlare, ripetendo a pappagallo argomenti che aveva ascoltato in precedenza, quel pomeriggio. E la cosa strana era che si divertiva, anche se non capiva neanche la metà di quello che stava dicendo. Mentre Pelio si sfilava dal dito l’anello perso nella scommessa, alle loro spalle risuonò una seconda ondata di applausi. Tutti si girarono per guardare attraverso gli alberi e videro che il vincitore del combattimento era appena emerso dalla polla di transito principale, accolto da Aleru e Virizhiana, per ricevere la ghirlanda della vittoria. La folla si chiuse attorno a loro e…

Ionina! Era in piedi a circa venti iarde dalla polla, e appena dietro di lei spiccava la sagoma alta, bruna e sgraziata di Adgao. Com’era possibile che si trovassero lì? Chi li aveva trasportati fino all’anfiteatro? Lo sbigottimento si perse nel terrore di non potere più in alcun modo negare il proprio tradimento. Pelio, affranto, si girò verso gli altri tre e porse il suo anello a quello più vicino, poi uscì dal pergolato, con Samadhom che lo tallonava.

Dietro di lui si udì uno dei ragazzi lanciare un’esclamazione di sorpresa. — Jiru, guarda! C’è il sigillo del principe imperiale, su questo affare.

Devo portarli via di qui. Devo portarli via. Pelio attraversò la terrazza erbosa, diretto verso la ragazza e il suo grottesco compagno, senza riuscire a pensare ad altro. Dappertutto c’erano soldati di prima categoria, gente che poteva sengare senza nessuna fatica che quei due stranieri erano witling. Non doveva farsi vedere a parlare con Ionina.

All’improvviso capì che non aveva più importanza. La terrazza era ammutolita e persino i festeggiamenti vicino alla polla di transito si erano quietati. Tutta l’attenzione era concentrata su di lui, su Ionina e Adgao. Il principe si accorse solo in quel momento che i due alieni si trovavano sotto la custodia delle guardie. Non c’era più speranza. Raddrizzò la schiena e percorse senza fretta il tratto che lo separava dalla ragazza. Il silenzio era tale che lui sentiva il rumore dei suoi passi sull’erba e l’eco di qualche voce nella terrazza sottostante. Era assurdo che quella storia giungesse al termine in una giornata tanto radiosa e sotto un cielo così azzurro.

Arrivò finalmente di fronte a Ionina. La ragazza parve accorgersi della sua paura, anche se non ne conosceva la causa. Alle spalle delle guardie erano visibili tre dei servi personali di Pelio, probabilmente i responsabili della presenza di Ionina e Adgao alla festa. Erano solo loro i balordi, o c’era qualcun altro che li manovrava? Quella domanda scacciò tutte le altre, ma in fondo non era più così importante trovare una risposta.

Pelio udì dei suoni alle sue spalle e, quando si girò, non fu affatto sorpreso di ciò che vide. Era arrivato suo padre, il re. Shozheru aprì bocca e la richiuse, come un pipistrello marino fuor d’acqua, combattuto fra la rabbia e l’umiliazione. Di fianco a lui, da una parte e dall’altra, erano allineati i consiglieri, uomini leali e dalla faccia severa che in tutti quegli anni gli avevano consigliato di rimuovere Pelio dal posto che gli spettava di diritto per permettere ad Aleru di salire al trono. C’era anche Aleru, un po’ in disparte, con la faccia grigio-verde sbiancata dall’ira. O forse dall’ansia di cogliere un trionfo così vicino? Tra la gente alle loro spalle, solo due o tre facce richiamarono l’attenzione di Pelio. Quella di sua madre, che teneva lo sguardo fisso chissà dove, sopra la sua testa, quella di Thredegar Bre’en, soave come sempre, e quella di Thengets del Prou. Il Corporato dalla pelle scura era sempre stato un individuo strano, uno dei pochissimi capaci di parlare con Pelio come se non lo ritenesse diverso da tutti gli altri. Forse, dall’alto della sua superiorità, non vedeva una grande differenza tra il principe e le persone normali. In altre condizioni avrebbe potuto essere un suo alleato, ma, in quel momento, anche Prou sembrava lontano e indifferente. Era come se il mondo intero si fosse schierato contro di lui e gli altri due witling.

Finalmente il vecchio Shozheru ritrovò la voce, che risultò tremante di dolore e di rabbia. — Perché, Pelio? Avresti potuto essere re di Tutt’Estate, almeno di nome. Ero riuscito a farlo accettare da tutti. — La sua voce gracchiò, scomparve e tornò di nuovo. — Tutto quello che dovevi fare era di mantenerti attorno un’ombra di dignità, fingendo che la mia dinastia potesse continuare attraverso di te. Invece, ti sei circondato di… degenerati. — Indicò con un gesto spasmodico i due stranieri alti alle spalle del figlio. — Se lasciassi la successione a te, la tua “corte” diventerebbe la barzelletta di tutto il Regno. Quale vassallo potrebbe mai anche solo fingere di esserti fedele? L’impero crollerebbe nell’arco di un anno, nonostante abbia resistito per cinque secoli. — Il dolore sembrò prendere il sopravvento sulla collera. — Che scelta ho, Pelio? Per legge, devi succedermi oppure morire. E dopo questo… — Gesticolò in direzione di Adgao e Ionina. — Dopo questo non potrai mai aspirare al trono.

Una voce dolce e al tempo stesso audace si alzò da dietro le spalle del principe. — C’è un’altra possibilità. — L’interruzione di Ionina raggelò Shozheru. Nessun nobile si era mai rivolto a lui in modo tanto diretto, e meno che mai un civile, per non parlare dei witling. Pelio si girò a guardare la ragazza, che non aveva assunto alcun atteggiamento servile. Guardava il re da pari a pari e la sua strana bellezza teneva tutti con il fiato sospeso. Quando parlò di nuovo, le sue parole ruppero l’incantesimo. Anzi, provocarono un’ilarità subito soffocata dai presenti.

— Presto Pelio attraverserà con noi il Grande Oceano, e così vi libererete di lui.

Sua Maestà Imperiale si raddrizzò, chiamando a raccolta tutte le proprie forze. — Non osare prenderti gioco di me! — La voce era acuta, e in falsetto, ma sul suo viso c’era un, chiaro impulso omicida. Ionina sarebbe morta in quello stesso istante, con il cuore o il cervello ridotto a un ammasso di rottami, se Samadhom, con un ululato di dolore, non le fosse corso al fianco.

La ragazza continuò a parlare, in tono teso e persuasivo. Non capiva di essere stata a un soffio dalla morte? — Non mi prendo gioco di voi. Dico solo la verità.

Shozheru superò il momento di collera, e il suo corpo ritornò curvo come al solito. Per la prima volta parve rendersi conto che c’erano degli spettatori. — Ne discuteremo in privato. Subito - ordinò fissando con viso arcigno i tre witling.

I presenti si scostarono in silenzio per lasciarli arrivare fino alla polla di transito.


Lo studio di Shozheru si trovava sulle colline occidentali delle montagne del Palazzo. Oltre le finestre aperte, la vegetazione illuminata dal sole si stendeva per mezzo miglio fino al punto in cui il terreno digradava per tuffarsi nelle profondità delle foreste pluviali dell’equatore. All’interno, la stanza era molto semplice e vantava come unico ornamento una collezione di minuscoli dipinti, i ritratti dei quarantasette predecessori di Shozheru. Anche il tavolo al centro della stanza era privo degli arzigogolati intarsi così popolari a quei tempi. A eccezione dell’aggiunta di quattro nuovi ritratti, la stanza era rimasta inalterata per quasi un secolo, fin dal periodo Teratseru, quando la semplicità veniva considerata il massimo dell’eleganza.

All’inizio, prima che il re ordinasse ai consiglieri e a tutte le guardie di andarsene, la stanza era molto affollata. In un momento diverso, Pelio si sarebbe divertito a osservare la grande costernazione in cui sprofondarono i fedelissimi del re quando lui ordinò di lasciarlo solo. Erano tanto sconvolti che arrivarono quasi al punto di rifiutarsi di obbedire, ma alla fine cedettero. Nello studio rimasero solo cinque persone: Aleru e il re da una parte e i tre witling dall’altra.

Shozheru appoggiò il palmo delle mani sulla superficie pesantemente laccata della scrivania e fissò il figlio per un lunghissimo istante. Sembrava più lucido e risoluto di prima. — La ragazza dice che ho una terza scelta, Pelio. — Evitò di guardare Ionina. — Dice che partirai per un viaggio “attraverso l’oceano” e che lascerai il trono libero per Aleru.

Pelio guardò il riflesso di Ionina e di Adgao sul tavolo. La ragazza lo fissava con i suoi misteriosi occhi scuri e lui capì che non voleva prendere in giro nessuno. Forse il suo paese di witling si trovava al di là dell’oceano, e lei conosceva un modo per arrivarci.

— È così, Sire. La ragazza dice la verità — confermò.

— Come farete? — La domanda era carica di infinito sarcasmo. C’erano delle terre oltre l’oceano ma nessuno, nemmeno i Corporati, potevano raggiungerle sani e salvi. Pelio aprì la bocca per rispondere, ma non gli venne in mente niente.

— Vi dirò io come. — La voce della ragazza era dolcissima, ma sempre estremamente sicura. Shozheru posò malvolentieri gli occhi su di lei, ma questa volta l’ascoltò.

Ionina spiegò la cosa. Per sommi capi, naturalmente. Mentre ascoltava, Pelio si sentì chiudere la bocca dello stomaco da un nodo gelido. Il progetto era folle: nemmeno tutti gli incantesimi del mondo sarebbero riusciti a renderlo possibile. Shozheru e Aleru ascoltarono impassibili, ma dalle loro scarne obiezioni si capì che anche loro consideravano quell’avventura come la scorciatoia verso una morte particolarmente sgradevole.

Quando Ionina finì, Shozheru si rivolse di nuovo a Pelio. — È un suicidio, figliolo — commentò, in tono pacato. — Cercherete davvero di mettere in pratica questo progetto?

Abbiamo forse un’alternativa?, pensò Pelio. Sapeva che il padre era ormai convinto della sua incapacità di reggere le sorti del Regno, neppure come re fantoccio. Il che significava una cosa sola: la morte. L’esilio non era sufficiente, recitavano le leggi inviolabili del suo paese, perché i principi potevano sempre tornare dall’esilio spalleggiati da un esercito di insorti…

Tuttavia nessuno era mai ritornato vivo da un viaggio oltre oceano, e nessuno era mai sopravvissuto a un salto anche dieci volte inferiore. Dunque era probabile che il re riuscisse a strappare ai suoi consiglieri il permesso di lasciar partire il primogenito, piuttosto che giustiziarlo.

— Sì, Padre — replicò Pelio. Pur con tutta la fiducia che nutriva nei confronti di Ionina e Adgao, dubitava comunque che avrebbe mai accettato di imbarcarsi in quell’impresa, se l’alternativa non fosse stata una condanna a morte firmata dal re.

Shozheru abbassò lo sguardo sul tavolo. Dietro di lui, con gli occhi rivolti verso il padre, Aleru fissava il vuoto. Era chiaro che tutti e due capivano la situazione. In questo modo, almeno, il re non sarebbe stato il diretto assassino del figlio.

— Molto bene — disse alla fine Shozheru. — Concedo a tutti e tre la libertà che la ragazza ha chiesto, il materiale e gli operai. — Alzò lo sguardo e Pelio capì che suo padre compiva un gesto di massima generosità per venire incontro ai suoi “desideri”. La corte del Regno d’Estate era già diventata lo zimbello di tutto il pianeta per come aveva viziato il principe witling. - Avete nove giorni di tempo.

Il re attraversò la stanza e scivolò nella polla di transito senza una sola parola di addio.

— Ti manderò i servi — promise Aleru, dirigendosi anche lui alla polla. Esitò prima di entrare in acqua e si girò verso i tre witling. La sua testa si stagliò contro il verde luminoso della vegetazione oltre la finestra e Pelio non riuscì a distinguere i lineamenti del suo viso. C’era forse una vena di sarcasmo nelle parole che pronunciò?

— Qualunque sia il corso degli avvenimenti ora la dinastia è salva, fratello. Spero che, in qualche modo… riuscirai nella tua impresa.

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