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Nel tardo pomeriggio l’archeologo e il pilota spaziale incominciarono a preparare l’attrezzatura prima della partenza. Avevano lavorato per venti giorni nella tenda a cupola nascosta tra gli strani sempreverdi a tre corone distesi a nordest del villaggio alieno. Avevano sondato l’insediamento con i teleobiettivi fotografici e i microfoni ultrasensibili. L’archeologo aveva registrato tutto e inserito i dati a voce nel proprio computer e ora il pilota spaziale pensava di aver compreso il linguaggio.

— Ma certo che l’abbiamo capito, Bjault! — esclamò Yoninne Leg-Wot, dalla sua voce traspariva una punta di irritazione. Lasciò cadere sulla slitta il pacco da venti chili con la tenda ripiegata e si girò a guardare con occhio torvo l’esile archeologo. — Lo so, lo so. Ci sono “sottigliezze che non riusciamo ancora a cogliere”. Le uniche persone che siamo stati in grado di spiare con successo erano donne o bambini. Ma ormai possediamo un vocabolario abbastanza ampio, oltre a buone basi grammaticali, e con le nuove tecniche di fissaggio non lo dimenticheremo facilmente. Diavolo, parlo già il gergo Azhiri meglio dell’inglese, anche se me l’hanno fatto studiare per ben tre anni ai tempi dell’Accademia!

Ajao Bjault distolse lo sguardo dalla donna, più robusta di lui, e si sforzò di non digrignare i denti. Aveva dovuto viverle accanto per venti giorni. Con qualunque altra donna, un’intimità così prolungata avrebbe fatalmente generato ogni sorta di commenti scandalosi, anche se Bjault era bene addentro alla mezza età, con o senza trattamenti pro-longevità. Ma Yoninne Leg-Wot combinava un corpo tozzo e apparentemente scolpito nella pietra con una mente acuta e una personalità ostile. Nell’ambito dell’equipaggio e forse dell’intera moltitudine di colonizzatori sarebbe stata la vincitrice a pollice verso di qualunque gara di impopolarità. E sebbene Bjault capisse i suoi problemi e si sforzasse di mostrarsi cortese, con lei continuava a sentirsi sciocco e diffidente.

— Non lo so, Yoninne. Ho la sensazione che alcune delle cose che non riusciamo a capire possano essere di straordinaria importanza. C’è un’intera classe di parole, come rengare, sengare, kengare, dgengare, che vengono usate con estrema frequenza senza che noi riusciamo a collegarle a nessuna particolare azione.

Leg-Wot si strinse nelle spalle, lanciò sulla slitta l’ultimo attrezzo rimasto in sospeso, che per la cronaca era un videoregistratore, e tirò la chiusura lampo del telo di copertura. Poi afferrò il telecomando e schiacciò il bottone di avvio. Le celle a combustibile ossidrico della slitta ripresero vita, i motori emisero un sibilo lieve e il minuscolo veicolo incominciò a risalire la collina a passo d’uomo. Per continuare la conversazione Bjault fu costretto a seguirla.

— E poi, perché abbiamo visto così pochi uomini all’aperto? Che cosa fanno? Di che cosa vivono?

— Ne abbiamo già parlato, Bjault. I tizi che abitano da queste parti sono minatori e passano la maggior parte del loro tempo sottoterra. Le colline sono gonfie di rame da far schifo. E scommetto che tutta quella classe di parole in -engare hanno qualcosa a che vedere con le operazioni di scavo. Ed è per questo che non siamo riusciti a osservare le attività a cui si riferiscono.

— Ma come spostano i minerali grezzi o i prodotti già raffinati via di qui? Le strade… — Sì, le strade. Prima di lasciare lo spazio orbitale, Ajao aveva visto le fotografie scattate da Draere. Le strade c’erano, anche se avevano l’aria di semplicissimi sentieri che collegavano un lago all’altro, nella rete di minuscoli bacini artificiali che avvolgeva tutti i continenti abitati del pianeta. In alcuni casi, quelle “strade” si inarcavano con precisione geometrica lungo centinaia e centinaia di chilometri, ma non seguivano cerchi massimi. Era stato Draere a fargli notare che le curve seguite erano intersezioni della superficie del pianeta con piani paralleli al suo asse di rotazione. Com’era possibile che la razza Azhiri fosse capace di una simile precisione e che non avesse ancora capito come la più breve distanza tra due punti, su una sfera, è un cerchio massimo?

Yoninne lo interruppe con un gesto d’impazienza. — Per favore, Bjault. Possono anche esserci dei particolari misteriosi in questa civiltà, ma in fondo non abbiamo proprio nulla da temere. Sappiamo per certo che gli Azhiri non possiedono né atomiche né l’elettricità. Per quello che abbiamo potuto constatare non conoscono nemmeno la polvere da sparo. Vivono bene, immagino, ma sono ancora primitivi.

“E poi, dov’è finito il tuo spirito di avventura? In fondo, è solo la quinta volta in tredicimila anni che la razza umana si imbatte in un’altra specie intelligente, o anche solo nelle testimonianze della sua esistenza. Diavolo, per me sarebbe proprio una sorpresa se non ci fossero misteri. — Girò una manopola sul telecomando e la slitta fece perno sul pattino di sinistra per evitare un grosso masso. Loro la seguirono, calpestando le tracce profonde che il veicolo si lasciava alle spalle. Nevicava, e il cielo coperto rendeva il crepuscolo ancora più scuro di quanto non sarebbe stato in condizioni normali.

— Credimi, Yoninne, sono entusiasta… sebbene sospetti che ci siamo imbattuti in una colonia perduta. In ogni caso credo che dovremmo aspettare e guardarci intorno meglio, prima di chiamare la nave traghetto. La spedizione ne ha solo tre e non sono sicuro che ne distoglierebbero un’altra dalla colonia su Novamerika, se noi ci trovassimo nei guai.

— Per fortuna, Draere non la pensa come te. Quando le ho inviato l’ultimo messaggio non vedeva l’ora di abbandonare la minuscola isola dimenticata da Dio dove è rimasta inchiodata in questi giorni. Su con la vita! Avrai presto altre persone con cui dialogare, oltre a me.

Vero, ringraziando il cielo, pensò Bjault. Accese il regolatore termico e adeguò il suo passo a quello di Leg-Wot. La neve, fradicia e pesante, in quel momento cadeva tanto fitta da nascondere completamente il villaggio e l’oceano. In quella oscurità, la ragazza e la slitta sembravano poco più che ombre. Nessun alito di vento faceva frusciare i sempreverdi contorti attorno a loro. Gli unici suoni erano il lievissimo fruscio della neve sotto i passi, il ronzio dei motori della slitta e il debole ma incessante sospiro della neve che cadeva nella foresta.

La fitta nevicata era stata una delle ragioni per cui Draere e gli altri ufficiali avevano scelto proprio quella notte per l’atterraggio. In tutto quel turbinio, gli indigeni non avrebbero potuto cogliere le immagini della nave traghetto in atterraggio, e persino il suono dei reattori sarebbe stato notevolmente attutito dai fiocchi di neve che riempivano l’aria. E siccome non c’era vento, il veicolo non avrebbe avuto alcuna difficoltà a dirigersi automaticamente verso il riflettore radio che lui e Leg-Wot avevano sistemato nella valle, sette chilometri a nord della città.

Ormai l’oscurità era quasi completa, ma Yoninne Leg-Wot guidava con sicurezza la slitta verso il valico tra le colline antistanti. A volte, lui non poteva fare a meno di ammirarla. Tra le altre qualità, la ragazza possedeva anche uno straordinario senso di orientamento. Se tutto ciò che la colonia di Novamerika era disposta a perdere in quella ricognizione a terra consisteva in una coppia di emarginati sociali, ebbene, non avrebbero potuto far di meglio che assegnare la missione a Yoninne Leg-Wot e al vecchio archeologo Ajao Bjault. Niente sentimentalismi, si disse Ajao. Alla tua età non saresti mai riuscito a ottenere un posto da colonizzatore senza la considerazione di un bel po’ di gente. E sei stato molto più fortunato di quanto meritassi a trovare, nello stesso sistema solare, ben due pianeti abitabili, di cui uno addirittura rallegrato dalla presenza di razze intelligenti. Ti sembra proprio il caso di lamentarti della carriera in declino?

Scosse la testa per liberarla dalla neve e si tirò il cappuccio sul viso. C’era qualcosa di molto tranquillizzante in una fitta e tranquilla nevicata. Se non fosse stato per il peso continuo della maggiore forza di gravità di quel pianeta, l’archeologo avrebbe quasi potuto immaginarsi di ritorno sul suo Mondo Natale, a dieci parsec di distanza. Quasi quarant’anni della sua esistenza.

Leg-Wot rallentò il passo, fino ad affiancarlo. — Credo che qualcuno ci segua — disse in un soffio.

— Cosa? — La sua risposta si collocò a metà tra un sibilo e un grido.

— Hai capito bene. Prendi questo e dammi il maser — continuò lei, porgendogli il telecomando della slitta. — E ora continuiamo a camminare. Credo che si tratti di una creatura isolata, che preferisce mantenersi a distanza.

Bjault seguì le istruzioni senza obiettare e cercò di aguzzare lo sguardo nell’aria sempre più grigia. Fatica inutile. Era già abbastanza difficile individuare in tempo i pini per scansarli prima che la slitta andasse a sbatterci contro. Yoninne doveva aver captato qualche rumore. Aveva un udito molto più sensibile del suo.

Alla sua destra, la ragazza mosse nervosamente le dita per regolare il maser. Lo puntò verso il cielo, in direzione nord, e pronunciò i segnali di richiamo convenzionali parlando nel microfono del cappuccio, senza ottenere risposta. Non c’era da sorprendersi. Per risparmiare carburante, la nave stava effettuando una discesa a motori spenti, sfruttando l’atmosfera del pianeta per rallentare la corsa. Senza dubbio, era momentaneamente impossibilitata a ricevere comunicazioni.

Leg-Wot attese due minuti prima di ripetere il richiamo e immediatamente negli auricolari di Bjault risuonò la voce allegra di Draere.

— Ehi, laggiù! — esclamò la voce, ignorando le procedure radio standard. — Ci troviamo a circa sessanta chilometri di altezza, e scendiamo in fretta. Niente paura, la posta arriverà in orario.

Yoninne descrisse la situazione alla nave in atterraggio.

— Okay. Ho capito — rispose Draere. — Se riuscite a tener duro per altri dieci minuti credo che andrà tutto bene. I reattori di atterraggio della nave traghetto bastano da soli a spaventare a morte chiunque non li conosca e, se non basta, a bordo ci sono anche le armi a fuoco di Holmgre e di tutto il suo plotone. Abbiamo lasciato solo qualche ripetitore radio automatico su quella miserabile isoletta. Rimanete in contatto. Dovreste captarci da un momento all’altro, con i vostri omnidirezionali.

— Ricevuto, passo — replicò Leg-Wot. Avevano raggiunto il valico tra le colline e stavano per scendere dall’altra parte. Lì il manto nevoso era molto più spesso, frutto di molte precipitazioni. La slitta avanzava davanti a loro, in un turbinio di fiocchi di neve, con i pattini che funzionavano da battistrada nelle neve fresca. La ragazza riprese il telecomando dalle mani di Bjault e guidò il cammino lungo il pendio verso la scialuppa di ablazione.

L’archeologo continuava a non udire altro che il suono dei loro passi e il rumore della slitta che avanzava. Forse Yoninne aveva sentito solo qualche grosso animale, pensò rimettendo la mitraglietta nel fodero. Ne conoscevano l’esistenza: la loro barriera acustica di difesa doveva averne messo in fuga uno, solo il giorno prima.

Leg-Wot girò la slitta a destra di scatto, la lasciò proseguire per circa due metri, poi la fermò. Adesso il buio era completo. Ajao mosse qualche passo in avanti e per poco non inciampò su una collinetta ricurva, coperta solo da pochi centimetri di neve soffice. La scialuppa di ablazione. Bjault si appoggiò su un ginocchio e ne liberò con la mano parte dello scafo. In qualche modo era confortante avvertirne sotto i guanti il rivestimento di ceramica bruciacchiata, pur sapendo che non avrebbe mai più potuto volare. La scialuppa di ablazione non era altro che una carcassa sferica, con tre metri di diametro. All’interno c’era a malapena spazio sufficiente per due esseri umani, con la loro attrezzatura e il paracadute. L’apparecchio, minuscolo e privo di energia propria, era destinato in realtà a un’unica missione di volo. Veniva sganciato da una nave spaziale orbitante per scendere bruciando negli strati superiori dell’atmosfera fino all’altitudine e alla velocità necessari perché il paracadute si aprisse, assicurandogli un atterraggio dolce. Il principio della scialuppa di ablazione era vecchio e semplice come quello della ruota. Non c’era dubbio che la razza umana aveva riscoperto entrambi almeno una dozzina di volte negli ultimi tredicimila anni.

La voce di Yoninne gli giunse dolcemente all’orecchio. A quanto sembrava, la ragazza aveva chiuso la tuta e parlava, bisbigliando, nel microfono del cappuccio. — Da ora in poi limitiamoci a comunicare via radio, Bjault. Ho allontanato la slitta in modo da confondere, se possibile, chiunque ci stia seguendo. Sto strisciando verso la scialuppa. Se rimaniamo immobili nella neve dubito che potranno mai localizzarci. Ricordati solo che siamo noi quelli con le armi automatiche.

Ajao chiuse il cappuccio. — D’accordo — sussurrò di rimando, anche se non era ben sicuro di poter affrontare il ruolo di giustiziere, per quanto in scala ridotta.

Si rilassò nella neve, aguzzando le orecchie. Gli auricolari del cappuccio garantivano un buon collegamento acustico con l’esterno, ma lui non udì nulla oltre al soffio lievissimo e costante della neve che cadeva. Da qualche parte a nord, lontanissimo nel buio e forse ancora a dieci chilometri di altezza, la nave traghetto scendeva in picchiata verso di loro a centinaia di metri per secondo. Cinquecento tonnellate di titanio e plastica in caduta libera. Quando si sarebbe decisa Draere a pigiare il comando dei reattori di atterraggio?

La voce della donna risuonò all’improvviso nell’auricolare di Bjault, come se Draere gli avesse letto nel pensiero. — Ci sono problemi con gli indigeni?

— No, ma Yoninne avverte ancora una presenza indesiderata.

— Aha. — Silenzio. — Bene, ho appena acceso i reattori. Adesso vediamo come reagiscono. A presto.

Il silenzio si prolungò per altri trenta secondi. Poi incominciò ad avvertirsi una specie di brontolio sordo e costante. Il veicolo spaziale era ancora così lontano da interessare l’aria solo alle frequenze più basse. Sembrava lo strano avvicinarsi di un tuono, che acquistò via via intensità fino a diventare assordante. Per chiunque non conoscesse i motori a reazione doveva sembrare il grido di un mostro immenso e spaventoso, che si trovava solo a poche centinaia di metri e si stava avvicinando.

Nell’oscurità che li sovrastava, verso nord, comparve un debole chiarore bianco e perlaceo. Anche la luce dei getti di plasma faticava a farsi strada attraverso i chilometri di aria densa di fiocchi di neve. Negli auricolari di Bjault risuonò la voce di Draere che snocciolava con calma le variazioni di altitudine della nave traghetto.

Il rombo si rafforzò, fino a diventare quasi una forza fisica capace di comprimere un essere umano tra l’atmosfera e il suolo. I venti generati dall’aria surriscaldata dei reattori facevano turbinare la neve tutt’intorno e la stessa tempesta era sconvolta dall’energia che i reattori vi immettevano. Ajao cercò di seppellire la visiera nella neve, ma con la coda dell’occhio non poté fare a meno di notare le tre fiamme azzurre e sottili dei getti di plasma della nave. Un atterraggio notturno perfettamente normale, ridacchiò tra sé, e cercò di appiattirsi ancora meglio contro il suolo. Dio, che gioia poter fare una doccia e mangiare qualcosa di decente! E soprattutto liberarsi di Yoninne Leg-Wot…

La voce di Draere giunse debole e distorta dal rumore. — Trecento metri di altitudine. Il vostro riflettore splende limpido e chiaro proprio sotto di noi. Tenete duro, ragazzi.

La sagoma della nave traghetto, larga più di trenta metri, si delineò nel cielo e incominciò lentamente a scendere verso il riflettore che Bjault e Leg-Wot avevano sistemato sul fondo della valle, a trecento metri di distanza. La tempesta di neve parve letteralmente spazzata via e alzando lo sguardo Bjault vide i fianchi delle colline illuminati da una luce azzurra ed elettrica tanto vivida da ferire gli occhi. Sussultò all’improvviso. Erano stati davvero seguiti. Le distese di neve azzurrina riflettevano dozzine e dozzine di figure in controluce.

La nave traghetto si trovava a poco meno di cinquanta metri di altezza. Sbandò leggermente e si inclinò di lato. La voce di Draere rimase calma come se stesse parlando di storia antica. — Turbolenze a terra come non mi era mai capitato di trovarne. — Due dei reattori si ravvivarono e il veicolo spaziale schizzò via di lato, riguadagnando lentamente altezza. — Non riesco a riprendere il comando…

Il muso tozzo della nave si inclinò con grazia verso il basso, colpì di sghembo il fondovalle ed esplose in vampate di luce azzurra mentre il plasma usciva dai reattori senza più controllo.

Bjault rimase a bocca aperta. Draere e altre quaranta persone… tutte morte. In meno di un secondo. Giacque per un attimo inebetito mentre dal cielo continuavano a piovere i resti di quel terribile naufragio di fuoco. Attorno al punto di impatto ormai c’erano solo fiamme chimiche, orribili lingue di fuoco rosse e arancioni praticamente mute se paragonate ai getti di plasma.

Lo scampanio nelle orecchie si placò, e Bjault incominciò a udire delle voci. Girò la testa e spinse lo sguardo oltre la distesa di neve, fino alla slitta. C’erano tre indigeni. I lampi di luce arancione illuminavano loro e la sagoma a forma di tartaruga della slitta, mentre una brezza leggera riportava i fiocchi di neve a cadere sul fianco della collina. Ajao strizzò gli occhi per vedere meglio il terzetto. Potevano anche far parte della squadra che lui aveva visto durante l’atterraggio, ma in quel caso si erano spostati a velocità straordinaria in quei pochi istanti trascorsi dallo schianto della nave guidata da Draere. Gli uomini sembravano normali Azhiri, con il corpo tozzo e la pelle chiara. Indossavano un’uniforme mimetica bianca e grigia che Bjault associò mentalmente alle armi da guerra automatiche. I soldati di culture più primitive di solito si abbigliavano come pavoni oppure vestivano panni civili stracciati. Ma le uniche armi che Bjault potesse vedere addosso a quegli uomini erano dei machete saldamente fissati al fianco.

L’archeologo si mantenne perfettamente immobile. La neve, in quel momento, aveva ripreso a scendere più fitta e forse lui e Leg-Wot potevano ancora evitare la cattura, sempre che servisse a qualche cosa. Adesso erano davvero naufraghi. Bjault si concentrò sul dialogo rapido e concitato degli indigeni.

— …un piccolo mostro, forse della stessa specie di quello più grande — disse uno di loro sferrando un calcio ai pattini della slitta. — Ma almeno questo è morto. Bvepfesh, Apfaneru, che razza di… — La sua voce si perse in un silenzio attonito.

— Ehi, guarda! — Il secondo soldato afferrò il primo per un braccio e indicò qualcosa alla destra di Ajao. — Tu, laggiù! Non ti muovere, se ci tieni alla pelle!

I tre si lanciarono nella direzione indicata dal primo soldato e all’improvviso la slitta dormiente scattò in avanti, con i motori elettrici che giravano a tutto gas. A quanto sembrava, Leg-Wot riusciva ancora a governarla.

— Il mostro! — gridò il terzo soldato, prima che la slitta lo mandasse gambe all’aria. Il secondo Azhiri si girò di colpo verso la macchina e un suono secco, simile a un tuono, fece tremare il terreno. La slitta fu avvolta da un turbine di neve, e quando i fiocchi si diradarono Bjault vide che il veicolo era ribaltato, e in fiamme.

Gli avvenimenti si susseguirono tanto in fretta che lui faticò a seguirli. Alla sua destra, Leg-Wot si alzò in ginocchio, puntando la mitraglietta contro i tre indigeni. Si udì di nuovo il suono secco di poco prima. La neve l’avvolse e lei venne scaraventata all’indietro.

Il primo soldato la raggiunse in un batter d’occhio. — Là! Ecco perché non hai tentato di fuggire. — Sembrava all’improvviso più rilassato, quasi gioviale. — Sei una witling. - Ajao sollevò appena la testa. La neve scendeva fitta come prima dell’atterraggio, ma alla luce discontinua del fuoco lui scorse parecchi altri soldati nelle immediate vicinanze. Gli uomini stavano sistematicamente setacciando il campo innevato. Erano distanziati di cinque metri l’uno dall’altro, proprio come soldati moderni attenti a evitare il fuoco delle armi automatiche. Perché?

Due mani forti lo afferrarono sotto le ascelle. — Ne abbiamo preso un altro, Dgedga — gridò l’uomo che lo aveva catturato. — Anche questo è un witling. — Il soldato gli tolse la pistola e lo portò, un po’ trascinandolo e un po’ sollevandolo, oltre la slitta, verso Leg-Wot. Lo lasciò cadere accanto alla ragazza e scomparve di nuovo nella tormenta. C’era qualcosa di umiliante nell’indifferenza con cui vennero lasciati lì, apparentemente senza sorveglianza. L’oscurità era tornata, ma Ajao udì i soldati muoversi su e giù lungo il fianco della collina, sondando la coltre di neve. In pochi minuti gli Azhiri scoprirono la scialuppa di ablazione e il suo paracadute in fiberene.

Quello chiamato Apfaneru parlò ad alta voce. — Il quarto gruppo rimarrà qui per la notte. State all’erta. Potrebbero esserci altri mostri. I capigruppo potranno chiamare aiuto al minimo segnale di pericolo. Il secondo e il terzo gruppo recupereranno ciò che rimane dei due mostri. Il primo gruppo porterà i witling nella prigione più profonda di Deleru Moragha.

Ancora una volta Ajao venne preso e trascinato sulla neve. Dietro di lui, per quello che riuscì a capire, anche Leg-Wot subiva lo stesso trattamento. Qual era la gravità delle sue ferite? E se non fosse stata solo svenuta?

Si fermarono e Bjault si rialzò in piedi. Vide qualcosa che assomigliava a una pentola d’acciaio, larga forse due metri. Era sospesa su un massiccio treppiedi di legno, e al di sotto un soldato cercava di mantenere vivo il fuoco con un po’ di legna minuta. Con un improvviso brivido di paura, Ajao capì che la pentola era piena d’acqua. Lottò come un pazzo per liberarsi del soldato che l’aveva catturato, ma l’uomo non aveva di certo i suoi stessi problemi di gravità. Ajao venne sbattuto a terra.

Witling, se non vuoi rischiare di essere ferito salirai lì dentro. — Il soldato contribuì a rendere la scena ancora più assurda girandosi e salendo l’angusta scaletta di legno che conduceva sopra le fiamme fino al bordo della pentola. Quando saltò all’interno si udì l’inconfondibile rumore di un tuffo.

Bjault rimase per un attimo a fissare il vuoto. Qualcuno lo spinse da dietro, senza tante cerimonie.

— Hai sentito che cosa ti ha detto, witling? Muoviti!

Lui mosse qualche passo in avanti e incominciò a scalare in modo goffo i pioli troppo ravvicinati. Dietro di lui, un altro soldato trascinava su per la scala Leg-Wot, la quale incominciava a manifestare le prime deboli reazioni. Ajao si fermò sul bordo della pentola e guardò giù, ma per un attimo non vide nulla. Poi udì la voce del tizio che si era tuffato.

Iou, l’acqua è gelata! Avremmo dovuto aspettare che il fuoco la riscaldasse ancora un po’. — L’indigeno si teneva a un bordo con la mano, in modo che solo la testa affiorasse. — Saltate, voi due. Prima entrate e prima ne uscirete.

Bjault cercò di sedersi sul bordo, ma la neve aveva reso il metallo troppo scivoloso e così finì per cadere in acqua, con un tuffo maldestro. Signore, l’acqua era gelata davvero! Non avrebbe potuto sopportarla per più di tre o quattro minuti, senza la tuta riscaldata. Agitò le gambe per risalire in superficie e venne subito rispedito sotto dall’arrivo di Leg-Wot. Riaffiorarono insieme e la ragazza imprecò ad alta voce. Sta bene, dunque!, pensò Ajao sollevato. Frustò l’acqua in modo frenetico, cercando con la mano un appiglio, ma il soldato lo prese per una spalla.

— Da che mondo venite, voi due? Lasciatevi andare sotto.

Fecero come era stato loro ordinato. Ajao era arrivato al punto di pensare che il sogno si confondesse con la realtà. Guardò in su, attraverso l’acqua. L’oscurità non era più così completa. Per quanto strano, sopra di loro si intravedeva qualcosa di verde, del tutto diverso dalla luce di una torcia elettrica. Poi, le solite mani forti lo spinsero all’altezza delle natiche e lui affiorò insieme a Yoninne in superficie. Uscirono ansimanti dall’acqua, assistiti dal soldato che li seguiva. Bjault si accasciò, stordito, sul pavimento di pietra tiepida. L’aria puzzava di escrementi umani o peggio. Si trovavano in una camera squallida, larga non più di tre metri. Il riflesso verde proveniva da una specie di fungo fosforescente che pendeva a festoni dalla roccia nuda della parete. Non si vedevano porte, né bocche di ventilazione.

Il soldato oscillò sulla superficie verde e scintillante dell’acqua, con un sorriso stampato sulla faccia pallida. — Comodi? — Indicò con un gesto la roccia scura che li circondava da ogni parte. — Ci vorrebbe un Corporato per uscire di qui, quindi non credo proprio che il Prefetto si preoccupi della fuga di un paio di witling. - Tolse la mano dal bordo della polla d’acqua e scivolò di nuovo sotto la superficie. Yoninne si rialzò in ginocchio a fatica e strisciò fino al bordo. Ajao la seguì e insieme guardarono nell’acqua. La luce proveniente dall’alto era debole, ma sufficiente a lasciar vedere il fondo della polla. Nessuna traccia del soldato. L’archeologo tuffò la mano nell’acqua schiumosa.

Leg-Wot continuò a fissare l’acqua a lungo. — Stazioni di teletrasporto — disse alla fine. — Sono delle dannatissime stazioni di teletrasporto.

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