Uno dei luoghi preferiti di Pelio era il suo studio personale nell’Ala Nord del Palazzo d’Estate. La stanza, dove il quarzo si mescolava al legno nero secondo complicate armonie di colore, si trovava appollaiata sulla sommità del crinale tappezzato di alberi e vigneti che circondava per intero il lago privato di transito dell’Ala Nord. Una finestra si affacciava sulle palme e sulla sabbia bianca in riva al lago, l’altra permetteva di spingere lo sguardo al di là del crinale, sull’oceano sottostante, fino alla striscia verde di costa che segnava l’inizio del continente meridionale del Regno d’Estate. Lo studio era stato progettato in modo che una brezza tiepida soffiasse sempre da una finestra all’altra e che i raggi del sole arrivassero ad accarezzare il piano della scrivania, a qualsiasi ora del giorno, ricoprendolo di riflessi verdi.
Nel palazzo c’erano molte stanze con viste anche migliori, costruite in modo più sofisticato e magari arredate con oggetti di maggior pregio, ma quella stanza aveva qualcosa di più di tutte le altre. Era stata progettata specificamente per lui e per le sue… caratteristiche. Pelio nutriva una profonda riconoscenza nei confronti del padre, che gli aveva permesso di vivere in un ambiente così grottesco rispetto ai canoni dell’architettura imperiale. Forse il re aveva semplicemente pensato che grazie a quella stanza sarebbe stato più facile tenere il principe lontano dal pubblico, ma in ogni caso lo studio era stato un regalo meraviglioso. In realtà non si trattava di una stanza sola, ma di un ambiente suddiviso in cinque camere distinte, collegate da porte, proprio come alcune capanne di contadini dell’estremo nord, dove le polle di transito diventavano una vera scomodità.
Così, lo “studio” era corredato da una camera da letto, una sala da pranzo con tanto di ghiacciaia in grado di contenere cibo sufficiente per un novenale, una biblioteca e un bagno. Una volta all’interno, Pelio non doveva più dipendere dai servi che normalmente gli erano indispensabili anche solo per spostarsi da una stanza all’altra. Il principe imperiale si fermava spesso lì dentro anche per interi novenali, con l’unica compagnia di Samadhom e dei servi che gli preparavano i pasti.
In quel momento, era appunto seduto alla sua scrivania di legno nero con i cassetti intarsiati e la superficie simile al cristallo, concentrato nel tentativo di trovare le parole giuste per portare a termine il piccolo inganno che stava macchinando. La prima parte della lettera sgorgò dalla penna con facilità. Rispettava le antiche formule prescritte dal protocollo imperiale.
Alla persona: del Nostro nobile cugino Ngatheru-nge-Monighanunge-Shopfelam-nge-Shorzeru.
Per essere precisi, Ngatheru apparteneva solo al quinto grado della scala di nobiltà, ma d’altra parte deteneva un incarico conferitogli direttamente dal Re Shozheru.
Inoltre, il vecchio furfante sarebbe stato lusingato che nell’intestazione comparissero solo altri due nomi tra il suo e quello del re.
Da parte di: Pelio-nge-Shozheru, principe del Regno Interno, futuro Imperatore di Tutt’Estate e Primo Ministro del Re Imperiale.
L’ultimo titolo era solo un tocco arcaico, ma poteva dare a Ngatheru l’idea che a Pelio fossero stati conferiti quei poteri effettivi di solito normali per un erede della sua età. C’era da sperare che il barone generale fosse abbastanza lontano dai pettegolezzi di corte per non sapere fino a che punto il giovane principe fosse ormai escluso da tutte le strutture di governo.
In questo settimo giorno del quindicesimo novenale d’Autunno nell’anno 24 di Shozheru, ti inviamo i nostri saluti.
Fin qui, tutto aveva proceduto automaticamente. La penna di Pelio rimase sospesa sulla pergamena. Il liquido che colava dal pennino a punta incominciava già a indurirsi quando il principe si decise a rimettere la penna nell’apposito sostegno. Era rimasto a corto di parole. O meglio, aveva una gran paura che le sue bugie risultassero fin troppo trasparenti per Ngatheru. Il viso scuro, quasi da folletto, della ragazza gli si presentò alla mente cancellando la lettera che aveva davanti. La fanciulla era stata molto riservata durante il loro colloquio sulla nave, il giorno prima. Si comportava come se fosse nata libera, come se non sapesse nemmeno di essere una witling. Parlava con rispetto, ma lui aveva la sensazione che si sentisse superiore a tutti coloro che la circondavano. Lei e il suo compagno dall’altezza smisurata erano creature strane, cariche di misteri e di contraddizioni. Il tutto non faceva che aumentare il suo desiderio di tenerla vicino, anche a costo di mentire, o persino di usurpare le prerogative reali.
Pelio sospirò e riprese in mano la penna. Tanto valeva provare comunque a imbastire qualcosa. Dopotutto, poteva sempre riscrivere la lettera prima di spedirla. Meglio incominciare con le consuete adulazioni.
Il tuo oculato comando della nostra guarnigione di Atsobi è fonte di grande conforto per noi, buon Ngatheru. Ricordiamo ancora con soddisfazione la brillante operazione con cui scacciasti, proprio un anno fa, gli squatters del Popolo delle Nevi scoperti nelle vicinanze di Pfodgaru. I nostri confini settentrionali sono spesso pericolosi, e per mantenerli sotto controllo abbiamo grande bisogno di persone vigili e fidate come te.
In particolare, abbiamo grandemente apprezzato la pronta intercettazione dei due trasgressori in data 4/15/A/24. Come saprai, il re è sempre ansioso di avere notizie fresche e, per quanto possibile, di prima mano su tali attività. Per questo ci siamo assunti il compito di visitare Bogdaru e di prendere personalmente in custodia i due individui catturati.
Era un tocco da maestro. Senza dirlo, era riuscito a rendere implicito che il re si trovasse dietro le sue azioni. L’unico pericolo era che il barone generale avesse già inviato un resoconto della cattura. Ma la cosa era improbabile. Il cugino Ngatheru aveva fama di indipendente, o di perfido arrogante, come dicevano addirittura alcuni. Svolgeva bene i propri compiti, ma amava fare tutto da solo. C’erano buone possibilità che avesse progettato di tenere segreta la scoperta, in attesa di poterla presentare sotto una luce che gli facesse onore.
Pelio si chiese per l’ennesima volta chi gli avesse inviato il messaggio anonimo con la descrizione di ciò che gli uomini di Ngatheru avevano trovato sulle colline a nord di Bogdaru. Era chiaro che qualcuno stava cercando di manovrarlo, proprio come lui cercava di manovrare Ngatheru. Ma chi? Se Ionina e Adgao non fossero stati così chiaramente alieni, avrebbe sospettato che l’intero affare fosse un’intricata trappola, probabilmente ordita da sua madre e da suo fratello. Pelio scrollò la testa e tornò alla lettera.
Come saprai, Buon Cugino, le circostanze di tale incidente sono misteriose e inquietanti. Crediamo…
Quanta meravigliosa ambiguità in quel plurale maiestatico! …
Crediamo che la questione vada: trattata con la massima segretezza e ai più alti livelli. Ogni fuga di. notizie riguardanti la cattura sarebbe fonte di grave pericolo per l’equilibrio di Tutt’Estate.
L’implicita minaccia di un’accusa per alto tradimento avrebbe convinto ancora di più Ngatheru a tenere la bocca chiusa.
Pelio concluse la lettera con assicurazioni di immutato affetto e di grandissima stima e firmò con il proprio nome. Nel complesso, a guardarla meglio, la missiva non era poi congegnata tanto male. Il principe piegò più volte la pergamena triangolare finché non si ridusse a una palla con meno di due pollici di diametro. La tuffò in un serbatoio di linfa tiepida all’angolo della scrivania e infine impresse il sigillo reale sulla resina bluastra.
Samadhom dormiva ai suoi piedi, un ammasso dorato sul pavimento riscaldato dal sole. L’orso da guardia non si mosse di un millimetro quando il principe attraversò la stanza e tirò un cordone che pendeva da un buco nella parete. Nell’aria tiepida del mattino si udì il limpido suono di un campanello che squillava nella stanza della servitù, più in basso lungo il fianco della collina. Era stato Pelio in persona a inventare quel congegno, ma non se ne sentiva particolarmente orgoglioso, dato che erano in pochi ad averlo mai usato. Ma senza quel campanello e quel cordone, lui sarebbe stato costretto a circondarsi di servi a ogni minuto.
Samadhom alzò la testa di scatto e fissò la polla di transito incassata nel pavimento in mezzo alla stanza. Meep, grugnì in tono interrogativo. Non passò nemmeno un secondo e un servo uscì agilmente dall’acqua, solo per mettersi sull’attenti sul bordo della polla.
— Due cose — disse Pelio, con il tono spiccio di chi è abituato a essere obbedito. — Primo, fai recapitare questo messaggio al Generale Barone Ngatheru ad Atsobi. — Tese all’uomo la palla di pergamena, con l’involucro di resina ormai completamente asciutto. — Secondo. Desidero interrogare la… — Attento!, pensò tra sé. Con noncuranza. - …la prigioniera femmina portata qui ieri.
— Come volete, Altezza. — L’uomo svanì nell’aria, senza neppure preoccuparsi di usare la polla di transito. Impertinente.
Nell’arco di pochi minuti, la lettera sarebbe stata infilata in un minuscolo contenitore in legno dolce per i messaggi urgenti, e con un solo salto sarebbe stata catapultata sei leghe più a nord, fino al quartier generale di Ngatheru, sprofondato sottoterra all’interno della guarnigione Atsobi. Lì, i resti del contenitore sarebbero stati frantumati per recuperare il messaggio.
E con questo il barone era sistemato. Niente più di quella lettera avrebbe potuto tenerlo tranquillo. Ma un pericolo anche maggiore per i progetti di Pelio era rappresentato dai pettegolezzi della servitù. Fortunatamente, poteva sempre predisporre una rotazione dei servi di casa. Quelli al suo servizio in quel momento provenivano dal padiglione reale di Pferadgru, molto a sud del Grande Deserto.
Naturalmente sapevano che era un witling, ma non avevano ancora idea di quanto fosse scarso il suo potere a corte. Sarebbero occorsi parecchi novenali prima che si rendessero conto che lui si comprometteva frequentando una witling di basso rango, e altro tempo ancora prima che incominciassero a malignarne con chi non faceva parte della loro cerchia. Prima che questo accadesse, lui avrebbe fatto in modo di rispedirli ai confini del Regno d’Estate.
Tuttavia, comunque rigirasse la cosa, Pelio era perfettamente conscio di correre un gravissimo rischio. Era sempre un imbarazzo per la famiglia reale quando un, principe si trastullava con fanciulle comuni. Se poi la fanciulla in questione era una witling, l’imbarazzo si sarebbe trasformato in scandalo, e se per di più anche il principe era un witling, lo scandalo sarebbe diventato una macchia indelebile sulla storia della dinastia. Qualora il tradimento fosse stato scoperto, lui non sarebbe mai diventato re.
E c’era un solo modo mediante il quale suo padre poteva rimuoverlo dalla linea di successione…