«E quella fu la fine» disse Pevara, sedendosi contro la parete.
Androl poteva sentire le sue emozioni. Erano seduti nel magazzino dove avevano combattuto gli uomini di Taim, aspettando Emarin, che affermava di poter far parlare Dobser. Androl stesso aveva poche capacità negli interrogatori. L’odore di grano era diventato un lezzo rancido. Si guastava all’improvviso, a volte.
Pevara era diventata silenziosa, sia dentro che fuori, dopo aver parlato dell’omicidio della sua famiglia a opera di amici di lunga data.
«Li odio ancora» disse. «Posso pensare alla mia famiglia senza soffrire, ma gli Amici delle Tenebre... io li odio. Almeno ho un po’ di vendetta, dal momento che di sicuro il Tenebroso non li ha difesi. Hanno passato tutte le loro vite a seguirlo, sperando in un posto nel suo nuovo mondo, solo per ritrovarsi con l’avvento dell’Ultima Battaglia molto tempo dopo la loro morte. Suppongo che non sia meglio per quelli che vivono ora. Una volta che avremo vinto l’Ultima Battaglia, lui avrà le loro anime. Spero che la loro punizione duri a lungo.»
«Sei così sicura che vinceremo?» chiese Androl.
«Certo che vinceremo. Non è una domanda, Androl. Non possiamo permetterci di renderla tale.»
Lui annuì. «Hai ragione. Continua.»
«Non c’è altro da dire. Strano raccontare la storia dopo tutti questi anni. Per parecchio tempo, non riuscii a parlarne.»
Un silenzio calò sulla stanza. Dobser era appeso nei suoi lacci, fronte al muro, le orecchie otturate dai flussi di Pevara. Gli altri due erano ancora incoscienti. Androl li aveva colpiti forte e intendeva assicurarsi che non si svegliassero presto.
Pevara li aveva schermati, ma non poteva certo mantenere tre schermi allo stesso tempo se gli uomini avessero cercato di liberarsi. Di solito le Aes Sedai usavano più di una sorella per trattenere un uomo. Trattenerne tre sarebbe stato impossibile per un’unica incanalatrice, forte o no. Poteva legare quegli schermi, ma Taim aveva fatto esercitare gli Asha’man su come sfuggire a uno schermo legato.
Sì, meglio assicurarsi che gli altri due non si svegliassero. Per quanto sarebbe stato utile semplicemente tagliar loro la gola, lui non ne aveva il coraggio. Invece mandò un minuscolo filamento di Spirito e Aria a toccare ciascuna delle loro palpebre. Dovette usare un unico flusso, e debole, ma riuscì a toccare tutti i loro occhi. Se le palpebre si fossero socchiuse un poco, l’avrebbe saputo. Sarebbe dovuto bastare.
Pevara stava ancora pensando alla sua famiglia. Aveva raccontato la verità: odiava gli Amici delle Tenebre. Tutti quanti. Era un odio misurato, non fuori controllo, ma era comunque forte dopo tutti questi anni.
Androl non l’avrebbe sospettato in questa donna che pareva sorridere così spesso. Poteva percepire che provava dolore. E, stranamente, che si sentiva... sola.
«Mio padre si uccise» disse Androl, senza averne davvero l’intenzione.
Lei lo guardò.
«Per anni mia madre finse che si fosse trattato di un incidente» continuò Androl. «Lo fece nei boschi, balzando giù da un dirupo. Si era seduto con lei la notte prima e le aveva spiegato cosa aveva intenzione di fare.»
«Lei non cercò di fermarlo?» chiese Pevara, sbigottita.
«No» disse Androl. «Solo pochi anni prima che lei trovasse l’ultimo abbraccio della Madie, riuscii a cavarle qualche risposta. Era spaventata da lui. Quello per me fu una sorpresa: era sempre stato così gentile. Cos’era cambiato in quegli ultimi anni da indurla a temerlo?» Androl si voltò verso Pevara. «Mia madre disse che vedeva cose nelle ombre. Che aveva cominciato a impazzire.»
«Ah...»
«Mi hai chiesto perché sono venuto alla Torre Nera. Volevi sapere perché ho chiesto di essere messo alla prova. Be’, ciò che sono risponde a una domanda per me. Mi dice chi era mio padre e perché fece quello che sentiva di dover fare.
«Posso vederne i segni ora. I nostri affari andavano troppo bene. Mio padre poteva trovare cave di pietra e vene di metallo dove nessun altro ci riusciva. Le persone lo ingaggiavano per trovare depositi preziosi per loro. Era il migliore. Misteriosamente capace. Riuscii... a vederlo in lui alla fine, Pevara. Avevo solo dieci anni, ma mi ricordo. La paura nei suoi occhi. Conosco quella paura adesso.» Esitò. «Mio padre balzò giù da quel dirupo per salvare le vite della sua famiglia.»
«Mi dispiace» disse Pevara.
«Sapere cosa sono, cos’era lui, aiuta.»
Aveva ricominciato a piovere, grosse gocce che colpivano le finestre come ciottoli. La porta del magazzino si aprì e finalmente Emarin sbirciò dentro. Vide Dobser appeso lì e parve sollevato. Poi vide gli altri due e trasalì. «Cosa avete fatto?»
«Quello che andava fatto» disse Androl alzandosi in piedi. «Perché ci hai messo così tanto?»
«Ho quasi iniziato un altro scontro con Coteren» disse Emarin, ancora fissando i due Asha’man prigionieri. «Penso che ci rimanga poco tempo, Androl. Non abbiamo lasciato che ci provocassero, ma Coteren pareva irritato... molto più del solito. Non penso che ci tollereranno ancora per molto.»
«Be’, questi prigionieri ci mettono comunque di fronte a un conto alla rovescia» disse Pevara, spostando Dobser per far spazio a Emarin. «Pensi davvero di riuscire a far parlare quest’uomo? Ho cercato di interrogare Amici delle Tenebre in precedenza. Possono essere difficili da incrinare.»
«Ah,» disse Emarin «ma questo non è un Amico delle Tenebre. Questo è Dobser.»
«Non penso che sia davvero lui» disse Androl, esaminando l’uomo che penzolava dai legacci. «Non riesco ad accettare che qualcuno possa essere costretto a servire il Tenebroso.»
Poteva percepire il disaccordo di Pevara: lei pensava davvero che fosse successo questo. Chiunque fosse in grado di incanalare poteva essere Convertito, aveva spiegato. I testi antichi ne parlavano.
Quell’idea faceva venire ad Androl voglia di vomitare. Costringere qualcuno a essere malvagio? Non sarebbe dovuto essere possibile. Il destino muoveva le persone e le metteva in posizioni terribili, al costo delle loro vite e a volte della loro sanità mentale. Ma la scelta di servire il Tenebroso o la Luce... di sicuro quella scelta non poteva essere sottratta a una persona.
Per Androl l’ombra che vedeva dietro gli occhi di Dobser era una prova sufficiente. L’uomo che aveva conosciuto era scomparso, ucciso, e qualcos’altro — qualcosa di malvagio — era stato messo nel suo corpo. Una nuova anima. Doveva trattarsi di quello.
«Qualunque cosa sia,» disse Pevara «ancora dubito che tu possa costringerlo a parlare.»
«Le migliori persuasioni» disse Emarin, le mani serrate dietro la schiena «sono quelle che non vengono imposte. Pevara Sedai, se vuoi essere così gentile da rimuovere i flussi che gli bloccano le orecchie, così che possa ricominciare a sentire... ma rimuovili solo al minimo, come se il flusso fosse stato legato e stesse venendo meno. Voglio che pensi di sentire per caso quello che sto per dire.»
Pevara lo fece. Almeno, Androl pensò che l’avesse fatto. Condividere quel doppio legame non voleva dire che potessero vedere i flussi l’uno dell’altro. Lui poteva percepire l’apprensione di Pevara, però. Stava pensando ad Amici delle Tenebre che aveva interrogato, e desiderava avere con sé... qualcosa. Uno strumento che aveva usato contro di loro?
«Penso proprio che possiamo nasconderà nella mia tenuta» disse Emarin in tono altero.
Androl sbatté le palpebre. Quell’uomo aveva un portamento più alto, più fiero, più... autorevole. La sua voce divenne potente, altezzosa. In un batter d’occhio era diventato un nobile.
«Nessuno penserà a cercarci lì» continuò Emarin. «Vi accetterò come miei soci, e quelli inferiori tra noi — il giovane Evin, per esempio — potranno entrare alle mie dipendenze come servitori. Se giochiamo la nostra mano come si deve, possiamo costruire una Torre Nera rivale.»
«Io... non so quanto sarebbe saggio» disse Androl, stando al gioco.
«Silenzio» intimò Emarin. «Chiederò la tua opinione quando sarà richiesta. Aes Sedai, l’unico modo in cui potremo rivaleggiare con la Torre Bianca e la Torre Nera è riuscire a creare un posto dove incanalatoli maschi e femmine lavorino assieme. Una... Torre Grigia, se vogliamo.»
«E una proposta interessante.»
«È Tunica cosa che ha senso» disse Emarin, poi si voltò verso il prigioniero. «Non può sentire quello che diciamo, vero?»
«No» rispose Pevara.
«Lascialo andare, allora. Voglio parlare con lui.»
Pevara, esitante, fece come ordinato. Dobser crollò sul pavimento, attutendo a malapena la caduta. Barcollò un attimo, incerto sui suoi piedi, poi lanciò immediatamente un’occhiata verso l’uscita.
Emarin allungò una mano dietro la schiena, tirando via qualcosa dalla cintura e gettandolo sul pavimento. Un borsellino. Tintinnò nel toccare terra. «Mastro Dobser?» disse Emarin.
«Cos’è questo?» chiese Dobser, abbassandosi con esitazione e prendendo il borsello. Vi guardò dentro e strabuzzò gli occhi.
«Un pagamento» disse Emarin.
Dobser strinse gli occhi. «Per fare cosa?»
«Mi fraintendi, Mastro Dobser» disse Emarin. «Non ti sto chiedendo di fare nulla: ti sto pagando in segno di scuse. Ho mandato Androl qui a chiedere il tuo aiuto, e lui sembra aver... trasceso i limiti delle sue istruzioni. Volevo semplicemente parlare con te. Non volevo che fossi avvolto in Aria e infastidito.»
Dobser si guardò attorno, sospettoso. «Dove hai trovato così tanto denaro, Emarin? Cosa ti fa pensare di poter cominciare a dare ordini? Sei solo un Soldato...» Guardò di nuovo il contenuto del borsellino.
«Vedo che ci capiamo» disse Emarin con un sorriso. «Non tradirai la mia copertura, allora?»
«Io...» Dobser si accigliò. Guardò Welyn e Leems, stesi privi di sensi sul pavimento.
«Sì» disse Emarin. «Questo sarà un problema, vero? Non credi che potremmo semplicemente consegnare Androl a Taim e attribuire a lui la colpa di questo?»
«Androl?» disse Dobser con uno sbuffo. «Il paggetto? Che mette fuori gioco due Asha’man? Nessuno ci crederebbe. Nessuno.»
«Un’osservazione valida, Mastro Dobser» disse Emarin.
«Consegna la Aes Sedai» disse Dobser, puntando un dito verso di lei.
«Ahimè, ho bisogno di lei. Questo è un problema. Un vero problema.»
«Be’,» disse Dobser «forse potrei parlare al M’Hael per te. Sai, sistemare le cose.»
«Sarebbe molto apprezzato» disse Emarin, prendendo una sedia che stava accanto alla parete e posandola a terra, poi mettendone un’altra davanti. Si sedette, indicando a Dobser di fare lo stesso. «Androl, renditi utile. Trova qualcosa da bere per me e Mastro Dobser. Tè. Lo vuoi zuccherato?»
«No» disse Dobser. «In effetti, ho sentito che qui da qualche parte c’era del vino...»
«Vino, Androl» disse Emarin, schioccando le dita.
Be’, pensò Androl, meglio stare al gioco. Si inchinò, scoccando un’occhiataccia calcolata a Dobser, poi andò a prendere delle coppe e del vino dal magazzino. Quando tornò, Dobser ed Emarin stavano chiacchierando amichevolmente.
«Capisco» disse Emarin. «Ho avuto tedi problemi a trovare aiuto adeguato all’interno della Torre Nera. Vedi, la necessità di preservare la mia identità è prioritaria.»
«Posso capirlo, mio signore» disse Dobser. «Insomma, se qualcun altro sapesse che tra le nostre file c’è un Sommo Signore di Tear, non la finirebbero di leccarti i piedi. Posso assicurartelo! E il M’Hael... be’, non gradirebbe qualcuno con così tanta autorità qui. No, niente affatto!»
«Capisci perché mi sono dovuto mantenere in disparte» spiegò Emarin, allungando una mano e accettando una coppa di vino mentre Androl lo versava.
Un Sommo Signore di Tear? pensò Androl divertito. Pareva che Dobser se la stesse bevendo come avrebbe fatto con un liquore forte.
«E tutti che pensavamo che fossi ossequioso verso Logain perché eri stupido!» disse Dobser.
«Ahimè, che sorte mi è stata data. Taim mi avrebbe smascherato in un istante se avessi passato troppo tempo attorno a lui. Perciò sono stato costretto ad andare con Logain. Lui e quel Drago sono proprio dei contadinotti e non avrebbero mai riconosciuto un uomo di nobili natali.»
«Mio signore,» disse Dobser «ti confido che ho avuto qualche sospetto.»
«Come pensavo» disse Emarin, prendendo un sorso di vino. «Per dimostrare che non è avvelenato» spiegò, prima di passare la coppa a Dobser.
«È tutto a posto, mio signore» disse Dobser. «Mi fido di te.» Tracannò tutto il vino. «Se non puoi fidarti di un Sommo Signore in persona, di chi puoi fidarti, giusto?»
«Giusto» disse Emarin.
«Posso dirti questo» riprese Dobser, protendendo la coppa e agitandola perché Androl la riempisse di nuovo. «Ti servirà un modo migliore per tenerti lontano da Taim. Seguire Logain non funzionerà più.»
Emarin prese una sorsata lunga e meditabonda dalla propria coppa. «Taim l’ha catturato. Capisco. Immaginavo che sarebbe andata così. Si è capito dal ritorno di Welyn e degli altri.»
«Già» disse Dobser, lasciando che Androl gli riempisse ancora la coppa. «Logain è forte, però. Serve parecchio lavoro per Convertire un uomo come lui. Forza di volontà, sai? Ci vorrà un giorno o due per Convertirlo. Comunque, puoi rivelarti lo stesso a Taim, spiegare quali sono i tuoi piani. Lui capirà, e continua a dire che gli uomini gli sono più utili se non deve Convertirli. Non so perché. Però con Logain non ha avuto altra scelta. Un procedimento orribile.» Dobser rabbrividì.
«Allora andrò a parlargli, Mastro Dobser. Garantirai per me, per caso? Mi... assicurerò che tu venga pagato per il disturbo.»
«Certo, certo» disse Dobser. «Perché no?» Tracannò il vino, poi scattò in piedi. «Sarà a controllare Logain. Lo fa sempre, a quest’ora di notte.»
«E dove sarebbe?» disse Emarin.
«Le stanze segrete» disse Dobser. «Nelle fondamenta che stiamo costruendo. Conosci la sezione orientale, dove il crollo ha richiesto tutti quegli scavi supplementari? Non si è trattato di un crollo, solo di una scusa per coprire il lavoro in più che veniva fatto. E...» Dobser esitò.
«E questo è sufficiente» disse Pevara, legando di nuovo l’uomo con Aria e otturandogli le orecchie. Incrociò le braccia, guardando Emarin. «Sono colpita.»
Emarin allargò le mani in un gesto di umiltà. «Ho sempre avuto un talento nel mettere le persone a loro agio. In verità, non ho proposto di prendere Dobser perché lo ritenevo facile da corrompere. L’ho scelto per via della sua... be’, delle sue doti attenuate di espressione cognitiva.»
«Convertire qualcuno all’Ombra non lo rende meno stupido» disse Androl. «Ma se potevi fare questo, perché prima abbiamo dovuto aggredirlo?»
«Si tratta di controllare la situazione, Androl» disse Emarin. «Un uomo come Dobser non dev’essere affrontato nel suo elemento, circondato da Amici con più cervello di lui. Dovevamo spaventarlo, farlo agitare, poi offrirgli un modo per cavarsela.» Emarin esitò, lanciando un’occhiata a Dobser. «Inoltre non penso che volessimo rischiare che andasse da Taim, cosa che avrebbe potuto fare se lo avessi avvicinato in privato senza la minaccia della violenza.»
«E ora?» chiese Pevara.
«Ora» disse Androl «diamo a questi tre qualcosa che li terrà a nanna fino a Bel Tine. Raduniamo Nalaam, Canler, Evin e Jonneth. Aspettiamo che Taim finisca di controllare Logain; facciamo irruzione, lo liberiamo e strappiamo la Torre all’Ombra.»
Rimasero in silenzio per un momento, la stanza illuminata solo dall’unica lampada tremolante. La pioggia spruzzava la finestra.
«Bene,» disse Pevara «sempre che tu non stia proponendo un compito difficile, Androl...»
Rand aprì gli occhi al sogno, un po’ sorpreso di scoprire che si era addormentato. Finalmente Aviendha l’aveva lasciato assopire. Per la verità, probabilmente aveva permesso anche a sé stessa di addormentarsi. Era parsa stanca quanto lui. Di più, forse.
Rand si mise in piedi nel prato di erba morta. Aveva potuto percepire la preoccupazione di Aviendha non solo tramite il legame, ma nel modo in cui lo aveva stretto. Aviendha era una combattente, una guerriera, ma perfino una persona come lei aveva bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi, una volta ogni tanto. La Luce sapeva quanto ne aveva bisogno Rand.
Si guardò attorno. Questo non sembrava Tel’aran’rhiod, non completamente. Il campo morto si estendeva in lontananza in ogni direzione, presumibilmente all’infinito. Questo non era il vero Mondo dei Sogni; era un frammento di sogno, un mondo creato da un potente Sognatore o Camminatore dei Sogni.
Rand iniziò a camminare, i piedi che facevano scrocchiare foglie morte, anche se non c’erano alberi. Probabilmente avrebbe potuto rimandare sé stesso ai propri sogni; anche se non era stato mai tanto bravo quanto molti dei Reietti nel camminare nei sogni, almeno quello sapeva farlo. La curiosità lo spinse avanti.
Non dovrei essere qui, pensò. Ho messo delle protezioni.
Come era arrivato in quel posto e chi l’aveva creato? Aveva un sospetto. C’era una persona che usava spesso i frammenti di sogno.
Rand avvertì una presenza nelle vicinanze. Continuò ad avanzare, senza voltarsi, ma seppe che ora qualcuno gli stava passeggiando accanto.
«Elan» disse Rand.
«Lews Therin.» Elan indossava ancora il suo corpo più recente, l’uomo alto e avvenente vestito di rosso e nero. «Esso muore, e presto la polvere dominerà. La polvere... poi nulla.»
«Come hai superato le mie protezioni?»
«Non lo so» disse Moridin. «Sapevo che, se avessi creato questo posto, tu ti saresti unito a me qui. Non puoi starmi lontano. Il Disegno non lo permetterà. Siamo attratti, tu e io. Ancora e ancora e ancora. Due navi ormeggiate sulla stessa spiaggia, che cozzano l’una contro l’altra a ogni nuova marea.»
«Poetico» disse Rand. «Ho visto che finalmente hai tolto il guinzaglio a Mierin.»
Moridin si fermò e anche Rand lo fece, guardandolo. Quell’uomo sembrava emanare rabbia come ondate di calore.
«È venuta da te?» domandò Moridin.
Rand non disse nulla.
«Non fingere di aver saputo che era ancora viva. Non lo sapevi, non potevi saperlo.»
Rand rimase immobile. Le sue emozioni su Lanfear — o comunque si facesse chiamare adesso — erano complicate. Lews Therin l’aveva disprezzata, ma Rand l’aveva conosciuta principalmente come Selene, e aveva provato affetto per lei... almeno fin quando non aveva cercato di uccidere Egwene e Aviendha.
Pensare a lei gli richiamò alla mente Moiraine, gli fece sperare cose in cui non avrebbe dovuto sperare.
Se Lanfear è ancora viva... potrebbe esserlo anche Moiraine?
Fronteggiò Moridin con tranquilla sicurezza. «Sguinzagliarla ora non ha senso» disse Rand. «Non esercita più alcun potere su di me.»
«Sì» disse Moridin. «Ti credo. Non lo esercita, ma penso che nutra ancora qualche tipo di... rancore verso la donna che hai scelto. Com’è che si chiama? Quella che si definisce Aiel ma porta delle armi?»
Rand non si lasciò ingannare dal tentativo di irritarlo.
«Comunque Mierin ti odia, adesso» continuò Moridin. «Penso che ti incolpi per quello che le è successo. Dovresti chiamarla Cyndane. Le è stato proibito di usare il nome che si è scelta.»
«Cyndane...» disse Rand, saggiando la parola. «‘Ultima Possibilità’? Il tuo padrone ha acquisito il senso dell’umorismo, vedo.»
«Non voleva essere divertente» disse Moridin.
«No, suppongo di no.» Rand guardò il paesaggio sconfinato di erba e foglie morte. «È difficile pensare che avevo così tanta paura di te in quei giorni andati. Allora invadevi i miei sogni o mi portavi in uno di questi frammenti di sogno? Non sono mai riuscito a capirlo.»
Moridin non disse nulla.
«Ricordo una volta...» disse Rand. «Seduto presso il fuoco, circondato da incubi che sembravano quelli di Tel’aran’rhiod. Non saresti mai stato in grado di tirare qualcuno compietamente nel Mondo dei Sogni, tuttavia io non sono un Camminatore dei Sogni, capace di entrare per conto mio.»
Moridin, come molti dei Reietti, solitamente era entrato dentro Tel’aran’rhiod in carne e ossa, cosa molto pericolosa. Alcuni dicevano che entrare a quel modo era una cosa malvagia, che ti costava parte della tua umanità. Ti rendeva anche più potente.
Moridin non fornì alcun indizio su ciò che era successo quella notte. Rand aveva ricordi sbiaditi di quei giorni, mentre viaggiava verso Tear. Si ricordò visioni nella notte, visioni di suoi amici o familiari che tentavano di ucciderlo. Moridin... Ishamael... lo aveva trascinato contro la sua volontà in sogni che si intersecavano con Tel’aran’rhiod.
«In quei giorni eri pazzo» disse Rand piano, guardando Moridin negli occhi. Poteva quasi vedere dei fuochi ardere lì. «Sei ancora pazzo, vero? Riesci solo ad arginarlo. Nessuno potrebbe servirlo senza essere almeno un poco pazzo.»
Moridin fece un passo avanti. «Dileggia quanto vuoi, Lews Therin. La fine giunge. Tutto sarà dato al grande soffocamento dell’Ombra, per essere abusato, squamato, strangolato.»
Anche Rand fece un passo avanti, proprio di fronte a Moridin. Avevano la stessa statura. «Tu odi te stesso» sussurrò Rand. «Posso — percepirlo in te, Elan. Una volta lo servivi per il potere; ora lo fai perché la sua vittoria — e la fine di tutte le cose — è Tunica liberazione che conoscerai mai. Preferiresti non esistere che continuare a essere te. Devi sapere che non ti lascerà andare. Mai. Non te.»
Moridin sogghignò. «Egli mi lascerà ucciderti prima che questo abbia fine, Lews Therin. Tu, e quella coi capelli biondi, e la donna aiel, e la brunetta...»
«Ti comporti come se si trattasse di una competizione fra te e me, Elan» lo interruppe Rand.
Moridin rise, gettando indietro la testa. «Certo che lo è. Non lo hai ancora capito? Per le cascate di sangue, Lews Therin! Riguarda noi due. Proprio come nelle Epoche passate, ancora e ancora, noi ci combattiamo. Tu e io.»
«No» disse Rand. «Non questa volta. Ho chiuso con te. Ho una battaglia più importante da combattere.»
«Non cercare di...»
La luce del sole esplose attraverso le nuvole. Spesso non c’era luce solare nel Mondo dei Sogni, ma ora inondò l’area attorno a Rand.
Moridin barcollò all’indietro. Alzò lo sguardo verso la luce, poi fissò Rand e strinse gli occhi. «Non pensare... non pensare che crederò ai tuoi trucchetti, Lews Therin. Weiramon è rimasto scosso da quello che gli hai fatto, ma non è una cosa tanto difficile trattenere saidin e ascoltare i battiti del cuore delle persone che accelerano.»
Rand fece uno sforzo di volontà. Le foglie morte scricchiolanti iniziarono a trasformarsi ai suoi piedi, diventando di nuovo verdi, e fili d’erba spuntarono tra quelle foglie. Il verde si diffuse da lui come vernice versata, e sopra le nuvole si allontanarono ribollendo.
Moridin sgranò gli occhi. Barcollò, fissando il cielo mentre le nuvole si ritiravano... Rand poteva percepire il suo sconcerto. Questo era il frammento di sogno di Moridin.
Però, per attirarvi dentro qualcun altro, aveva dovuto metterlo vicino a Tel’aran’rhiod. Si applicavano quelle regole. C’era anche qualcos’altro, qualcosa sulla connessione tra loro due...
Rand avanzò a grandi passi, sollevando le braccia ai lati. Spuntò erba a ondate, e boccioli vermigli eruppero dal terreno come se la terra stesse arrossendo. La tempesta si placò, le nuvole nere arse via dalla luce.
«Dillo al tuo padrone!» ordinò Rand. «Digli che questo scontro non è come gli altri. Digli che sono stanco di sgherri, che ne ho abbastanza di questi meschini movimenti di pedine. Digli che sto venendo per lui!»
«Questo è sbagliato» disse Moridin, visibilmente scosso. «Questo non è....» Guardò Rand per un momento, in piedi sotto il sole fiammeggiante, poi svanì.
Rand esalò un respiro profondo. L’erba morì attorno a lui, le nuvole tornarono di colpo, la luce del sole sbiadì. Anche se Moridin se n’era andato, trattenere quella trasformazione del paesaggio era stato difficile. Rand si afflosciò annaspando, ristabilendosi dallo sforzo.
Qui desiderare che qualcosa fosse vero poteva renderlo tale. Se solo tutto fosse stato così semplice nel mondo reale.
Chiuse gli occhi e desiderò andarsene, per dormire per il poco tempo che gli restava prima di doversi svegliare. Svegliarsi e salvare il mondo. Se poteva.
Pevara si accovacciò accanto ad Androl nella notte piovosa. Il suo mantello era completamente zuppo. Conosceva un paio di flussi che sarebbero stati utili per quello, ma non osava incanalare. Lei e gli altri si sarebbero trovati davanti Aes Sedai Convertite e donne dell’Ajah Nera. Quelle potevano percepirla, se avesse incanalato.
«Stanno decisamente sorvegliando la zona» sussurrò Androl. Davanti a loro, il terreno si separava in una vasta sequenza di costruzioni in mattoni e buche. Erano le fondamenta di quella che alla fine sarebbe diventata la Torre Nera vera e propria. Se Dobser aveva ragione, all’interno di quelle fondamenta erano state create altre stanze: camere segrete, quasi completate, che sarebbero rimaste segrete mentre la Torre stessa veniva costruita.
Un paio di Asha’man di Taim erano lì vicino, intenti a chiacchierare. Anche se cercavano di sembrare disinvolti, l’effetto era guastato dal tempo. Perché mai qualcuno avrebbe scelto di starsene fuori in una notte come questa? Malgrado un braciere caldo che li illuminava e un flusso d’Aria per far colar via la pioggia, la loro presenza era sospetta.
Guardie. Pevara cercò di inviare il pensiero ad Androl direttamente.
Funzionò. Poté percepire la sorpresa dell’uomo mentre il pensiero si intrufolava tra i suoi.
Le tornò qualcosa di indistinto. Dovremmo approfittarne.
Sì, inviò lei a sua volta. Il pensiero successivo, però, era troppo complesso, così glielo sussurrò. «Come avete fatto a non notare mai che lasciava delle guardie alle fondamenta, la notte? Se ci sono davvero delle stanze segrete, anche il lavoro per costruirle dev’essere stato fatto di notte.»
«Taim ha imposto un coprifuoco» bisbigliò Androl. «Ci permette di ignorarlo solo quando fa comodo a lui, come per il ritorno di Welyn stanotte. Inoltre, questa zona è pericolosa, con quelle buche e fosse. Sarebbe una ragione sufficiente per mettere delle guardie, tranne che...»
«Tranne che» terminò Pevara «Taim non è esattamente il tipo a cui importa se un bambino o due si rompe il collo ficcando il naso in giro.»
Androl annuì.
Pevara e Androl attesero nella pioggia, contando i respiri, fin quando tre nastri di Fuoco volarono per l’aria e colpirono le guardie dritto in testa. I due Asha’man crollarono come sacchi di grano. Nalaam, Emarin e Jonneth avevano svolto il loro lavoro alla perfezione. Avevano incanalato rapidamente: con un po’ di fortuna, non sarebbe stato notato oppure sarebbe stato ritenuto opera delle guardie di Taim.
Luce, pensò Pevara. Androl e gli altri sono davvero armi. Non si era fermata a considerare che Emarin e gli altri avrebbero agito con attacchi letali. Era del tutto estraneo alla sua esperienza come Aes Sedai. Le Aes Sedai non uccidevano nemmeno i falsi Draghi, se potevano fame a meno.
«Domare uccide» disse Androl, gli occhi fissi in avanti. «Seppur lentamente.»
Luce. Sì, potevano esserci vantaggi nel loro legame... ma era anche dannatamente scomodo. Avrebbe dovuto esercitarsi a schermare i propri pensieri.
Emarin e gli altri giunsero dall’Oscurità, unendosi a Pevara e Androl presso il braciere. Canler rimase indietro, con gli altri ragazzi dei Fiumi Gemelli, pronto a guidarli via dalla Torre Nera in un tentativo di fuga se nel corso della notte qualcosa fosse andato storto. Aveva senso lasciarlo indietro, nonostante le sue proteste. Aveva una famiglia.
Trascinarono i cadaveri nelle ombre, ma lasciarono il braciere acceso. Chiunque avesse cercato le guardie, avrebbe visto che la luce era ancora lì, ma la notte era così piena di pioggia e nebbia che una persona si sarebbe dovuta avvicinare per rendersi conto che quelli che stavano badando al fuoco erano scomparsi.
Anche se Androl si lamentava spesso di non sapere perché gli altri lo seguivano, prese immediatamente il comando del gruppo, mandando Nalaam e Jonneth a sorvegliare il margine delle fondamenta. Jonneth portava il suo arco, senza corda nella notte umida. Speravano che avrebbe smesso di piovere e che sarebbe stato in grado di usarlo quando non avessero potuto rischiare di incanalare.
Androl, Pevara ed Emarin scivolarono lungo una delle discese fangose dentro le buche delle fondamenta che erano state scavate. Quando lei atterrò, il fango le schizzò addosso, ma era già zuppa e la pioggia lavò via il sudiciume.
Le fondamenta erano fatte di pietre costruite a formare pareti tra stanze e corridoi; laggiù diventavano un labirinto, con un flusso costante di pioggia che cadeva dall’alto. Al mattino, ai soldati Asha’man sarebbe stato assegnato il compito di asciugare le fondamenta.
Come troviamo l’entrata?, trasmise Pevara.
Androl si inginocchiò, con un piccolissimo globo di luce che gli fluttuava sopra la mano. Le gocce di pioggia passavano attraverso la luce, assomigliando per un attimo a meteoriti minuscoli mentre svanivano in un lampo. Androl posò le dita nell’acqua addensata per terra.
Alzò lo sguardo, poi indicò. «Scorre in questa direzione» sussurrò. «Va da qualche parte. E lì che troveremo Taim.»
Emarin bofonchiò in segno di apprezzamento. Androl alzò una mano, convocando Jonneth e Nalaam giù nelle fondamenta con loro, poi fece strada, procedendo piano.
Non. Fai. Rumore. Bene, trasmise Pevara.
Addestrato come esploratore, le rispose lui. Nei boschi. Montagne di Nebbia.
Quanti lavori aveva fatto nella sua vita? Era stata preoccupata per lui. Una vita come quella che aveva condotto poteva indicare un’insoddisfazione verso il mondo, un’impazienza. Il modo in cui parlava della Torre Nera, però... la passione con cui era disposto a combattere... quello diceva qualcosa di diverso. Non si trattava solo della lealtà verso Logain. Sì, Androl e gli altri rispettavano Logain, ma per loro lui rappresentava qualcosa di molto più grande. Un posto dove uomini come loro erano accettati.
Una vita come quella di Androl — poteva indicare un uomo che non si impegnava o che era insoddisfatto, ma poteva indicare anche qualcos’altro: un uomo che cercava. Un uomo che sapeva che la vita che desiderava esisteva là fuori. Doveva solo trovarla.
«Ti insegnano ad analizzare le persone a quel modo, nella Torre Bianca?» le sussurrò Androl nel fermarsi accanto a una soglia e far entrare il suo globo di luce, facendo poi cenno agli altri di seguirlo.
No, trasmise lei, cercando di esercitare quel metodo di comunicazione per rendere più facili i suoi pensieri. E qualcosa che una donna impara dopo il suo primo secolo di vita.
Lui le trasmise un divertimento inquieto. Superarono una serie di stanze non terminate, tutte prive di copertura, prima di raggiungere una sezione dove la terra non era stata smossa. Qui alcuni barili contenevano pece, ma erano stati spostati da una parte e le assi su cui solitamente posavano erano state tirate via. Lì nel terreno si apriva una fossa. L’acqua scorreva giù oltre il bordo, nell’oscurità. Androl si inginocchiò e si mise in ascolto, poi annuì agli altri prima di scivolarvi dentro. Un secondo più tardi giunse il suo schizzo.
Pevara lo seguì, cadendo solo per pochi piedi. L’acqua era fredda, ma lei era già fradicia. Androl si ingobbì, facendo strada sotto una sporgenza di terra, poi si rialzò dall’altra parte. Il suo piccolo globo di luce rivelò un cunicolo. Qui era stato scavato un canale per contenere l’acqua piovana. Pevara valutò che si erano trovati proprio lì sopra quando avevano eliminato le guardie.
Dobser aveva ragione, trasmise mentre gli altri sciaguattavano con un tonfo dietro di loro. Taim sta costruendo stanze e cunicoli segreti.
Attraversarono il canale e continuarono. A poca distanza lungo il cunicolo raggiunsero un’intersezione dove le pareti di terra erano puntellate come i condotti di una miniera. I cinque si radunarono lì, guardando in una direzione e poi nell’altra. Due strade.
«Questa è inclinata verso l’alto» bisbigliò Emarin, indicando a sinistra. «Forse verso un altro ingresso a questi cunicoli?»
«Probabilmente dovremmo spostarci più in profondità» disse Nalaam. «Non pensate?»
«Sì» disse Androl, umettandosi un dito e saggiando l’aria. «Il vento soffia a destra. Andremo prima da quella parte. State attenti. Ci saranno altre guardie.»
Il gruppo scivolò più avanti lungo i cunicoli. Da quanto tempo Taim lavorava a questo complesso? Non sembrava molto esteso — non superarono altre diramazioni — ma era comunque impressionante.
Androl si fermò all’improvviso e gli altri si arrestarono con lui. Una voce borbottante riecheggiò per il cunicolo, troppo bassa perché potessero distinguere le parole, accompagnate da una luce tremolante sulle pareti. Pevara abbracciò la Fonte e preparò dei flussi. Se avesse incanalato, qualcuno nelle fondamenta se ne sarebbe accorto? Era evidente che anche Androl esitava; incanalare di sopra, per uccidere le guardie, era già stato abbastanza sospetto. Se gli uomini di Taim quaggiù avessero percepito l’utilizzo dell’Unico Potere...
La figura si stava avvicinando, la luce che l’illuminava.
Pevara avvertì un cigolio accanto a lei, quando Jonneth tese il suo arco dei Fiumi Gemelli a cui aveva rimesso la corda. Nel cunicolo c’era a malapena lo spazio sufficiente. Scagliò con uno schiocco, l’aria che fischiava. Il borbottio si interruppe e la luce cadde.
Il gruppo si precipitò in avanti, trovando Coteren a terra, gli occhi fissi verso l’alto, vitrei, la freccia che gli trapassava il petto. La sua lanterna bruciava discontinua sul terreno accanto a lui. Jonneth recuperò la freccia, poi la ripulì sugli abiti del morto. «Ecco perché porto comunque un arco, dannato figlio di una capra.»
«Qui» disse Emarin, indicando una spessa porta di legno. «Coteren la stava sorvegliando.»
«Preparatevi» sussurrò Androl, poi la aprì con uno spintone. Al di là trovarono una fila di rozze celle costruite nella parete di terra, ciascuna poco più di un bugigattolo coperto scavato nella parete, con una porta incassata nell’apertura. Pevara sbirciò dentro una, ma era vuota. La cella non aveva spazio sufficiente perché un uomo potesse starci in piedi, e la stanza non era illuminata. Essere rinchiusi lì dentro avrebbe significato restare intrappolati al buio, compressi in uno spazio simile a una tomba.
«Luce!» disse Nalaam. «Androl! E qua dentro. E Logain!»
Gli altri si precipitarono a unirsi a lui, e Androl forzò la serratura della porta con mano sorprendentemente abile. Aprirono la porta della cella e Logain rotolò fuori con un gemito. Aveva un aspetto orribile, ricoperto di sporcizia. Una volta quei riccioli scuri e quel volto forte potevano averlo reso bello. Sembrava debole come un mendicante.
Tossì, poi si mise in ginocchio con l’aiuto di Nalaam. Androl si inginocchiò immediatamente, ma non come segno di rispetto. Guardò Logain negli occhi mentre Emarin dava la sua fiasca al capo degli Asha’man perché bevesse.
Ebbene? chiese Pevara.
È lui, pensò Androl con un’ondata di sollievo che si trasmetteva tramite il legame. E ancora lui.
L’avrebbero lasciato andare se lo avessero Convertito, rispose Pevara, sempre più a suo agio con questo metodo di comunicazione.
Forse. A meno che non sia una trappola. «Mio signore Logain.»
«Androl.» La voce di Logain era roca. «Jonneth. Nalaam. E una Aes Sedai?» Esaminò Pevara. Per un uomo che apparentemente aveva patito giorni, forse settimane di prigionia, sembrava decisamente lucido. «Mi ricordo di te. Di che Ajah sei, donna?»
«Ha importanza?» ribatté lei.
«Molta» disse Logain, cercando di alzarsi in piedi. Era troppo debole, e Nalaam dovette sostenerlo. «Come mi avete trovato?»
«E una storia per quando saremo al sicuro, mio signore» disse Androl. Sbirciò fuori dalla porta. «Muoviamoci. Abbiamo ancora una notte difficile davanti a noi. Io...»
Androl si immobilizzò, poi chiuse la porta di schianto.
«Cosa c’è?» chiese Pevara.
«Qualcuno sta incanalando» disse Jonneth. «Qualcuno di potente.»
Urla, smorzate dalla porta e dalle pareti di terra, risuonarono fuori nel cunicolo.
«Qualcuno ha trovato le guardie» disse Emarin. «Mio signore Logain, riesci a combattere?»
Logain cercò di stare in piedi da solo, poi si afflosciò di nuovo. Il suo volto assunse un’espressione determinata, ma Pevara poteva percepire il disappunto di Androl. A Logain era stata somministrata la radice biforcuta: o quello, oppure era semplicemente troppo spossato per incanalare. Non c’era da sorprendersi. Pevara aveva visto donne in condizioni migliori di queste troppo esauste per abbracciare la Fonte.
«Indietro!» gridò Androl, spostandosi dal lato della porta, contro la parete di terra. La porta esplose in un flusso di Fuoco e distruzione.
Pevara non attese che le macerie si posassero; intessé Fuoco e scagliò una colonna di distruzione lungo il corridoio al di là. Sapeva che stava affrontando degli Amici delle Tenebre o peggio. I Tre Giuramenti non la ostacolavano qui.
Udì delle urla, ma qualcosa deviò il Fuoco. Immediatamente uno schermo cercò di frapporsi tra lei e la Fonte. Lei lo ricacciò indietro, a malapena, e si tuffò di lato, il respiro affannoso.
«Chiunque sia, è forte» disse Pevara.
Una voce in lontananza impartì ordini che riecheggiarono peri cunicoli.
Jonneth si inginocchiò accanto a lei, arco in mano. «Luce, quella è la voce di Taim!»
«Non possiamo restare qui» disse Logain. «Androl. Un passaggio.»
«Sto tentando» disse Androl. «Luce, sto tentando!»
«Bah!» Nalaam appoggiò Logain a terra accanto alla parete. «Mi sono trovato in situazioni ben peggiori di questa!» Si unì agli altri presso la soglia, scagliando flussi lungo il corridoio. Esplosioni scuotevano le pareti laterali e della terra pioveva dal soffitto.
Pevara balzò di fronte all’uscio, lasciando partire un flusso, poi si inginocchiò accanto ad Androl. Lui aveva lo sguardo fisso davanti a sé, non vedeva nulla, il suo volto una maschera di concentrazione. Pevara poteva avvertire determinazione e frustrazione pulsare attraverso il legame. Gli prese la mano.
«Puoi farcela» gli sussurrò.
La porta esplose e Jonneth cadde all’indietro, il braccio bruciato. Il terreno tremò; le pareti iniziarono ad andare in pezzi.
Del sudore colava lungo i lati della faccia di Androl. Lui digrignò i denti, il volto che diventava rosso e gli occhi strabuzzati. Del fumo si riversò attraverso la porta, facendo tossire Emarin mentre Nalaam Guariva Jonneth.
Androl urlò e Pevara lo avvertì avvicinarsi alla sommità di quel muro nella sua mente. C’era quasi! Poteva...
Un flusso impattò contro la stanza, un’increspatura nella terra, e il soffitto sottoposto a tensioni alla fine cedette. La terra piovve su di loro e tutto divenne buio.