Egwene guardò il combattimento in corso al di là del fiume tra le sue forze e l’esercito sharano. Era tornata al suo accampamento sul lato arafelliano del guado. Fremeva per unirsi di nuovo alla battaglia contro l’Ombra, ma aveva anche bisogno di parlare con Bryne di ciò che era successo alle colline. Era arrivata e aveva trovato la tenda di comando vuota.
L’accampamento continuava a riempirsi di Aes Sedai e di arcieri e picchieri sopravvissuti che stavano arrivando tramite passaggi dalle cime delle colline a sud. Le Aes Sedai giravano e parlavano tra loro con una certa urgenza. Parevano tutte esauste, ma dai loro frequenti sguardi verso la battaglia in corso al di là del fiume era chiaro che, come Egwene, non vedevano l’ora di unirsi nuovamente alla lotta contro l’Ombra.
Egwene convocò il messaggero che si trovava di fronte alla tenda di comando. «Riferisci alle sorelle che hanno meno di un’ora per riposare. Quei Trolloc che stavamo combattendo presto si uniranno alla battaglia presso il fiume, ora che abbiamo lasciato le colline.»
Avrebbe spostato le Aes Sedai più a valle da questo lato, poi li avrebbe attaccati al di là dell’acqua mentre si muovevano per i campi per attaccare i suoi soldati. «Di’ agli arcieri che marcino anche loro con noi» aggiunse. «Magari potranno mettere a frutto le frecce rimaste, finché non riusciamo a ottenerne un’altra scorta.»
Mentre il messaggero si allontanava in tutta fretta, Egwene si voltò verso Leilwin, che era in piedi lì vicino con suo marito Bayle. «Leilwin, quelle al di là del fiume sembrano truppe di cavalleria seanchan. Ne sai nulla?»
«Sì, Madre, sono Seanchan. Quell’uomo laggiù...» indicò un uomo con le tempie rasate in piedi presso un albero verso il fiume; indossava pantaloni voluminosi e, cosa contraddittoria, una lisa giacca bruna che pareva provenire dai Fiumi Gemelli. «Mi ha detto che una legione comandata dal tenente generale Khirgan era arrivata dall’accampamento seanchan convocata dal generale Bryne.»
«Ha detto anche che erano accompagnati dal Principe dei Corvi» si inserì Domon.
«Mat?»
«Ha fatto di più che accompagnarli. Ha guidato una delle compagnie di cavalleria, quelle che hanno dato una bella bastonata agli Sharani sul fianco sinistro del nostro esercito. È arrivato lì appena in tempo: i nostri picchieri se la stavano vedendo brutta prima che comparisse lui.»
«Egwene» disse Gawyn indicando.
A sud, poche centinaia di passi più giù rispetto al guado, un piccolo numero di soldati si stava tirando su dal fiume. Si erano spogliati fino a rimanere in indumenti intimi e portavano spade legate alla schiena. Erano troppo lontani per esserne certi, ma uno dei loro capi sembrava familiare.
«Quello è Uno?» Egwene si accigliò, poi fece cenno che le portassero il suo cavallo. Montò in sella e galoppò lungo il fiume, con Gawyn e le sue guardie, fino al punto in cui gli uomini giacevano col fiatone sulla riva, e il suono di imprecazioni riempì l’aria.
«Uno!»
«Era stramaledettamente ora che arrivasse qualcuno!» Uno si alzò e le rivolse un saluto in segno di rispetto. «Madre, siamo in pessime condizioni!»
«Ho visto.» Egwene digrignò i denti. «Ero sulle colline quando la vostra unità è stata attaccata. Abbiamo fatto il possibile ma ce n’erano davvero troppi. Come ne siete usciti?»
«Come ne siamo dannatamente usciti, Madre? Quando gli uomini hanno cominciato a cadere tutt’attorno a noi e abbiamo capito di essere spacciati, abbiamo maledettamente cavalcato via da lì come se un dannato fulmine ci avesse colpito il maledetto posteriore! Siamo arrivati in tutta fretta a questo fiume bada-rane, ci siamo spogliati e ci siamo gettati dentro, nuotando con tutte le dannate forze che ci rimanevano, Madre, con tutto il dovuto rispetto!» Il codino di Uno ballonzolava mentre continuava a bestemmiare, ed Egwene avrebbe potuto giurare che l’occhio dipinto sulla sua benda fosse diventato di un rosso più intenso.
Uno trasse un respiro profondo e continuò, un po’ più calmo. «Non riesco a capirlo, Madre. Qualche testa di capra di messaggero ci ha detto che le Aes Sedai sulle colline erano nei guai e dovevamo arrampicarci sul dannato posteriore dei Trolloc che le attaccavano. Io ho detto, chi baderà al fianco sinistro al fiume e, per quello che dannatamente importa, al nostro stesso maledetto fianco quando attaccheremo i Trolloc, e lui ha detto che il generale Bryne se n’era occupato, la cavalleria di riserva si sarebbe mossa nella nostra posizione al fiume e gli Illianesi ci avrebbero coperto il dannatissimo fianco. Bella protezione sono stati, davvero, un folgorato squadrone, come una folgorata mosca che cerca di ammazzare un folgorato falcone! Oh, ci stavano proprio aspettando, come se sapessero che stavamo arrivando. No, Madre, non può essere colpa di Gareth Bryne: siamo stati giocati da qualche traditore, che possa bere il latte di una capra sventrata! Con tutto il dovuto rispetto, Madre!»
«Non riesco a crederà, Uno. Ho appena sentito che il generale Bryne aveva fatto venire una legione di cavalleria seanchan. Forse è semplicemente arrivata tardi. Sistemeremo tutto quando troverò il generale. Nel frattempo, riporta i tuoi uomini al campo e falli riposare come si deve. La Luce sa se l’avete meritato.»
Uno annuì ed Egwene tornò al galoppo verso l’accampamento.
Usando il sa’angreal di Vora, Egwene intessé Aria e Acqua, filandole assieme. Un imbuto d’acqua sgorgò, attratto dal fiume lì sotto. Egwene fece soffiare il tornado d’acqua in mezzo ai Trolloc che stavano cominciando il loro assalto contro il fianco sinistro del suo esercito dal lato kandori del fiume. La tempesta d’acqua passò impetuosa tra loro. Non era abbastanza forte da trascinarne nessuno in aria — non aveva l’energia per quello — ma li ricacciò indietro, con le mani contro la faccia.
Dietro di lei e le altre Aes Sedai posizionate sul lato arafelliano del fiume, gli arcieri scagliavano raffiche di frecce nel cielo. Non lo oscuravano come a lei sarebbe piaciuto — non erano così tante — ma abbattevano più di un centinaio di Trolloc a ogni lancio.
Da un lato, Pylar e un paio di altre Marroni — tutte esperte in flussi di Terra — facevano eruttare il terreno sotto i Trolloc alla carica. Allargate accanto a lei, Myrelle e un numeroso contingente di Verdi intessevano palle di fuoco che lanciavano sull’acqua contro gruppi ammassati di Trolloc, molti dei quali continuavano a correre per una distanza notevole prima di crollare, avviluppati dalle fiamme.
I Trolloc ululavano e ruggivano, ma continuavano la loro avanzata inesorabile contro i difensori al bordo del fiume. A un certo punto, diverse file di cavalleria seanchan si staccarono dalle linee difensive e attaccarono la carica di Trolloc a testa bassa. Avvenne così rapidamente che molti Trolloc non riuscirono a sollevare le lance prima che ci fosse il contatto; grosse fasce del nemico nelle file anteriori andarono giù. I Seanchan spazzarono di lato e tornarono dalle loro file al fiume.
Egwene continuò a incanalare, costringendosi a lavorare anche se era del tutto esausta. Ma i Trolloc non si spezzarono; si adirarono sempre più, attaccando gli umani in preda alla frenesia. Egwene poteva udire distintamente le loro urla sopra il suono di vento e acqua.
I Trolloc si erano adirati, eh? Be’, non avrebbero conosciuto la rabbia finché non avessero provato quella dell’Amyrlin Seat. Egwene attinse sempre più Potere fin quasi ad arrivare al limite della sua capacità. Infuse calore nella tempesta, cosicché l’acqua bollente bruciò occhi, mani e cuori dei Trolloc. Percepì sé stessa urlare, il sa’angreal di Vora proteso davanti a lei come una lancia.
Trascorsero quelle che parvero ore. Alla fine, esausta, permise a Gawyn di convincerla a ritirarsi per un po’. Gawyn andò a prendere il suo cavallo e, mentre tornava, Egwene guardò dall’altra parte del fiume.
Non c’era dubbio in proposito; il fianco sinistro del suo esercito era stato spinto indietro di altri trenta passi. Perfino con l’aiuto delle Aes Sedai, stavano perdendo questa battaglia.
Ormai era tempo che andasse a trovare Gareth Bryne.
Quando Egwene e Gawyn tornarono all’accampamento, lei smontò dal cavallo e lo consegnò a Leilwin, dicendole di usarlo per trasportare i feriti. Ce n’erano in abbondanza, trascinati per il guado e portati al sicuro, soldati ricoperti di sangue afflosciati tra le braccia di amici.
Purtroppo non aveva la forza per la Guarigione, tantomeno per mandare i feriti a Tar Valon o Mayene. Parecchie Aes Sedai non impegnate sulla riva del fiume non parevano passarsela molto meglio.
«Egwene» disse Gawyn piano. «Seanchan. A cavallo. Sembra una nobildonna.»
Una del Sangue?, pensò Egwene, alzandosi e guardando per il campo verso il punto indicato da Gawyn. Almeno lui aveva ancora la forza di stare di guardia. Non riusciva a concepire perché una donna potesse fare volontariamente a meno di un Custode.
La donna che si avvicinava indossava eleganti sete seanchan, e a Egwene si rivoltò lo stomaco alla vista. Quegli abiti sfarzosi esistevano su fondamenta fatte di incanalatrici schiavizzate, costrette a obbedire al Trono di Cristallo. Di sicuro la donna faceva parte del Sangue, dal momento che era accompagnata da un contingente di Sorveglianti della Morte. Doveva essere davvero importante per...
«Luce!» esclamò Gawyn. «Quella è Min?»
Egwene rimase senza fiato. Era lei.
Min si avvicinò, corrucciata. «Madre» disse a Egwene, chinando il capo tra le guardie dal volto impassibile in armatura scura.
«Min... Stai bene?» chiese Egwene. Attenta, non rivelare, troppe informazioni. Min era prigioniera? Di sicuro non poteva essersi unita ai Seanchan, giusto?
«Oh, sto bene» disse Min con amarezza. «Sono stata viziata, ficcata in questa tenuta e mi sono stati offerti tutti i tipi di cibi delicati. Potrei aggiungere che, tra i Seanchan, delicato non significa necessariamente saporito. Dovresti vedere le cose che bevono, Egwene.»
«Le ho viste» disse Egwene, incapace di togliere la freddezza dal suo tono.
«Oh. Sì. Suppongo tu le abbia viste. Madre, abbiamo un problema.»
«Che genere di problema?»
«Be’, dipende da quanto ti fidi di Mat.»
«Mi fido che trovi guai» disse Egwene. «Mi fido che trovi da bere e da giocare d’azzardo ovunque va.»
«Ti fidi di lui per guidare un esercito?» chiese Min.
Egwene esitò. Si fidava?
Min si sporse in avanti, lanciando un’occhiata ai Sorveglianti della Morte, che non parevano intenzionati a lasciarla avvicinare di più a Egwene. «Egwene,» disse lei piano «Mat pensa che Bryne stia guidando il tuo esercito alla distruzione. Dice... Dice che pensa che Bryne sia un Amico delle Tenebre.»
Gawyn iniziò a ridere.
Egwene sobbalzò. Si sarebbe aspettata rabbia, oltraggio. «Gareth Bryne?» chiese Gawyn. «Un Amico delle Tenebre? Potrei credere che la mia stessa madre fosse un Amico delle Tenebre, ma non lui. Di’ a Cauthon di stare lontano dall’acquavite reale di sua moglie: è evidente che ne ha bevuta un po’ troppa.»
«Sono incline a essere d’accordo con Gawyn» disse Egwene lentamente. Tuttavia non poteva ignorare le irregolarità nel modo in cui l’esercito veniva comandato.
Si sarebbe occupata di quello. «Mat fa sempre attenzione a persone che di attenzione non hanno bisogno» disse lei. «Sta solo cercando di proteggermi. Riferiscigli che apprezziamo... l’avvertimento.»
«Madre» disse Min. «Pareva sicuro. Non è uno scherzo. Vuole che consegni le tue armate a lui.»
«Le mie armate» disse Egwene in tono piatto.
«Sì.»
«Nelle mani di Matrim Cauthon.»
«Uhm... Sì. Dovrei menzionare che l’imperatrice gli ha dato il comando di tutte le forze seanchan. Adesso è il Maresciallo Generale Cauthon.»
Ta’veren. Egwene scosse il capo. «Mat è un bravo stratega, ma consegnargli gli eserciti della Torre Bianca... No, questo va oltre ogni possibilità. E poi non sono io a poterglieli dare: è il Consiglio della Torre ad avere autorità sugli eserciti. Ora, come possiamo persuadere questi gentiluomini che ti circondano che sarai al sicuro con me?»
Per quanto Egwene non volesse ammetterlo, aveva bisogno dei Seanchan. Non avrebbe rischiato la loro alleanza per salvare Min, in particolare dal momento che non sembrava che fosse in immediato pericolo. Naturalmente, se i Seanchan si fossero resi conto che Min aveva pronunciato i loro giuramenti a Falme e poi era fuggita...
«Non preoccuparti per me» disse Min con una smorfia. «Suppongo che sia meglio stare con Fortuona. L’Imperatrice... sa di un mio certo talento, grazie a Mat, e questo potrebbe permettermi di aiutare lei. E te.»
Quell’affermazione era carica di significati. I Sorveglianti della Morte erano troppo stoici per reagire apertamente all’uso di Min del nome dell’imperatrice, ma parvero irrigidirsi e i loro volti sembrarono indurirsi. Stai attenta, Min, pensò Egwene. Sei circondata da rovi autunnali.
A Min non pareva importare. «Almeno prenderai in considerazione quello che sta dicendo Mat?»
«Che Gareth Bryne è un Amico delle Tenebre?» disse Egwene. Era davvero risibile. «Toma indietro e di’ a Mat di presentarci i suoi suggerimenti per la battaglia, se deve. Per ora, ho bisogno di trovare i miei comandanti e pianificare i nostri prossimi passi.»
Gareth Bryne, dove sei?
Una salva di frecce nere si levò quasi invisibile nell’aria, poi cadde come un’onda di piena. Colpirono l’esercito di Ituralde all’imboccatura del passo per la valle di Thakan’dar: alcune rimbalzarono dagli scudi, altre trovavano la carne. Una cadde a pochi pollici dal punto dove si trovava Ituralde, in piedi su un affioramento roccioso.
Ituralde non si scompose. Restò lì a schiena dritta, le mani serrate dietro di sé. Però borbottò: «Le stiamo lasciando avvicinare un po’ troppo, vero?»
Binde, l’Asha’man che si trovava accanto a lui nella notte, fece una smorfia. «Spiacente, Lord Ituralde.» Il suo compito era quello di tenere a bada le frecce. Si era comportato bene finora. A volte però assumeva un’espressione distante in viso e iniziava a borbottare sul fatto che ‘loro’ stessero cercando di ‘prendergli le mani’.
«Resta vigile» disse Ituralde.
La testa gli pulsava. Altri sogni poco prima, così reali. Aveva visto dei Trolloc mangiare vivi alcuni suoi familiari, e lui era stato troppo debole per salvarli. Aveva lottato e pianto mentre mangiavano Tamsin e i suoi bambini, ma allo stesso tempo era stato allettato dagli odori della carne che bolliva e cuoceva.
Alla fine del sogno, si era unito ai mostri nel loro banchetto.
Toglitelo dalla mente, pensò. Non era facile. I sogni erano stati così vividi. Era stato lieto di essere svegliato da un attacco di Trolloc.
Era pronto per questo. I suoi uomini accendevano falò alle barricate. Alla fine i Trolloc erano riusciti a superare le fortificazioni di spine, ma avevano pagato un prezzo enorme in termini di vite. Adesso gli uomini di Ituralde combattevano all’imboccatura del passo, per impedire che quella piena entrasse nella valle.
Avevano utilizzato bene il loro tempo durante i giorni in cui i Trolloc si erano fatti strada attraverso quelle barriere ostiche fino all’imboccatura del valico. L’entrata della valle adesso era fortificata con una serie di bastioni di terra alti fino al petto. Sarebbero stati una copertura eccellente per i balestrieri, se le formazioni di picche di Ituralde fossero state ricacciate troppo indietro.
Per ora, Ituralde aveva diviso il suo esercito in gruppi di circa tremila uomini ciascuno, poi li aveva organizzati in formazioni quadrate di picche, roncole e balestre. Usava balestrieri a cavallo come cacciatori davanti e sui fianchi, e aveva formato un’avanguardia — di circa sei file — di picchieri. Picche grosse, lunghe venti piedi. Aveva imparato da Maradon che era saggio tenere le distanze dai Trolloc.
Le picche funzionavano meravigliosamente. I quadrati di picche di Ituralde potevano ruotare e combattere in tutte le direzioni, nel caso in cui fossero stati circondati. I Trolloc potevano essere costretti a combattere in file, ma questi quadrati — utilizzati in modo opportuno — potevano rompere i loro schieramenti. Una volta mandati in frantumi, gli Aiel potevano ucciderli con trasporto.
Dietro file di picchieri posizionò fanti con roncole e alabarde. A volte i Trolloc si facevano strada combattendo tra le picche, scostando le armi o tirandole giù con il peso dei cadaveri. Allora gli uomini armati di roncole avanzavano — scivolando tra i picchieri — e recidevano i tendini dei Trolloc più avanti. Questo dava ai fanti di testa il tempo per ripiegare e raggrupparsi mentre l’ondata successiva di soldati — altri fanti armati di picche — veniva avanti per impegnare i Trolloc.
Stava funzionando. Aveva una dozzina di quadrati di truppe del genere che affrontavano i Trolloc nella notte. Combattevano in modo difensivo, facendo tutto il possibile per interrompere l’avanzata di quella marea. I Trolloc si avventavano sui picchieri, cercando di rompere la loro formazione, ma ogni quadrato agiva in maniera indipendente. Ituralde non si preoccupava dei Trolloc che riuscivano a passare per l’incollatura, perché di loro si sarebbero occupati gli Aiel.
Ituralde doveva tenere le mani serrate dietro la schiena per nascondere che stavano tremando. Nulla era stato lo stesso dopo Maradon. Aveva imparato, ma aveva pagato cara quella lezione.
Che siano folgorate queste emicranie, pensò. E che siano folgorati quei Trolloc.
Per tre volte aveva quasi dato l’ordine di mandare i suoi eserciti a un attacco diretto, abbandonando le formazioni a quadrato. Riusciva a immaginarli massacrare, uccidere. Niente più indugi. Voleva sangue.
Ogni volta si era fermato. Non erano qui per il sangue: erano qui per tenere la posizione. Per dare a quell’uomo il tempo di cui aveva bisogno nella caverna. Era ciò attorno a cui ruotava tutto... Giusto? Perché aveva così tanti problemi a ricordare, di recente?
Un’altra salva di frecce trolloc cadde sugli uomini di Ituralde. I Fade ne avevano posizionati alcuni sulle sommità dei pendii sopra il passo, in punti che poco tempo prima erano stati controllati dagli stessi arcieri di Ituralde. Farli arrivare lassù doveva essere stata una vera impresa: le pareti del passo erano molto ripide. Quanti dovevano essere precipitati e morti nel tentativo? A ogni modo, i Trolloc non erano bravi tiratori con gli archi, ma non ne avevano bisogno quando tiravano contro degli eserciti.
Gli alabardieri sollevarono gli scudi. Non potevano combattere mentre li reggevano, ma se li tenevano legati sulla schiena in caso di necessità. Le frecce che cadevano aumentarono, precipitando attraverso l’aria notturna ammantata da una leggera foschia. La tempesta rombava nel cielo, ma le Cercavento si occupavano ancora del loro compito, tenendola lontana. Affermavano che in diversi momenti l’esercito era andato molto vicino a una tempesta totale di distruzione. A un certo punto, della grandine delle dimensioni del pugno di un uomo era piovuta per un minuto prima che riuscissero a strappare di nuovo il controllo del clima.
Se era ciò che li aspettava se le Cercavento non avessero usato la loro Coppa, Ituralde era più che felice di lasciarle al loro compito. Al Tenebroso non sarebbe importato quanti Trolloc distruggeva con una bufera, un tornado o un uragano per uccidere gli umani che combattevano.
«Si stanno radunando per un’altra avanzata all’imboccatura del passo!» urlò qualcuno nell’aria notturna, seguito da altre grida che lo confermavano. Ituralde scrutò nella nebbia, aiutato dalla luce dei falò. Effettivamente i Trolloc si stavano raggruppando.
«Ritirate la settima e la nona squadra di fanteria» disse Ituralde. «Sono in campo da troppo tempo. Togliete la quarta e la quinta dalle riserve e mettetele in posizione sui fianchi.
Preparatevi per altre frecce. E...» Si interruppe, accigliandosi. Cosa stavano facendo quei Trolloc? Avevano ripiegato più di quanto si sarebbe aspettato, indietreggiando nell’oscurità del valico. Non era possibile che si stessero ritirando, giusto?
Un’ondata nera scivolò fuori dall’imboccatura del passo. Myrddraal. Centinaia e centinaia di Myrddraal. Mantelli neri che non si muovevano, una sfida aperta alla brezza. Facce senza occhi, labbra ghignanti, spade nere. Quelle creature si muovevano come anguille, sinuose e agili.
Non concessero tempo per ordini, per reazioni. Si insinuarono nei quadrati dei difensori, scivolando fra le picche, agitando spade letali.
«Aiel!» urlò Ituralde. «Fate venire gli Aiel! Tutti quanti, e gli incanalatori! Tutti tranne quelli a guardia del Pozzo del Destino! Muovetevi, muovetevi!»
I messaggeri si precipitarono via. Ituralde restò a guardare, terrorizzato. Un esercito di Myrddraal. Luce, era terribile quanto i suoi incubi!
La settima fanteria crollò davanti all’attacco e la formazione a quadrato andò in frantumi. Ituralde aprì la bocca per ordinare alle riserve primarie — quelle che difendevano la sua posizione — di fornire appoggio. Aveva bisogno che la cavalleria andasse ad alleviare la fanteria da quella pressione.
Non aveva molta cavalleria: aveva convenuto che buona parte dei cavalieri sarebbero stati necessari su altri fronti. Ma ne aveva alcuni. Sarebbero stati essenziali qui.
Tranne che...
Strinse forte gli occhi. Luce, era esausto. Aveva problemi a pensare.
Ripiega prima dell’attacco, pareva dirgli una voce. Ripiega dagli Aiel, poi tieni terreno lì.
«Ripiegate...» sussurrò. «Ripiega...»
Qualcosa pareva molto, molto sbagliato in questo. Perché la sua mente insisteva?
Capitano Tihera, cercò di sussurrare Ituralde. Hai il comando. Non voleva uscire. Qualcosa di fisico pareva tenergli la bocca chiusa.
Poteva sentire uomini urlare. Cosa stava succedendo? Dozzine di uomini potevano morire combattendo un unico Myrddraal. A Maradon aveva perso un’intera compagnia di arcieri — cento uomini — a causa di due Fade che si erano intrufolati nella città di notte. Le sue squadre di difesa erano fatte per scontrarsi con i Trolloc, per recidere loro i tendini, per farli cadere a terra.
I Fade avrebbero spezzato quei quadrati di picche come fossero uova. Nessuno stava facendo ciò che andava fatto.
«Mio Signore Ituralde?» disse il capitano Tihera. «Mio Signore, cos’è che hai detto?»
Se si fossero ritirati, i Trolloc li avrebbero circondati. Dovevano restare saldi.
Le labbra di Ituralde si aprirono per ordinare la ritirata. «Prendi le...»
Lupi.
Lupi apparvero nella nebbia come ombre. Balzarono addosso ai Myrddraal, ringhiando. Ituralde sobbalzò, ruotando mentre un uomo vestito di pelliccia si issava sulla sommità dall’affioramento roccioso.
Tihera barcollò all’indietro, chiamando la scorta. Il nuovo arrivato balzò su Ituralde e lo spintonò giù dalle rocce.
Ituralde non controbatte. Chiunque fosse quest’uomo, Ituralde gli era grato, sperimentando un momento di vittoria. Non aveva dato l’ordine di ritirarsi.
Colpì il suolo non molto più in basso e questo gli tolse il fiato dai polmoni. I lupi gli presero gentilmente le braccia tra le fauci e lo trascinarono via nell’oscurità mentre perdeva conoscenza.
Egwene sedeva nell’accampamento mentre la battaglia per il confine di Kandor continuava.
Il suo esercito teneva indietro i Trolloc.
I Seanchan combattevano al fianco delle sue truppe appena al di là del fiume.
Egwene teneva in mano una tazzina di tè.
Luce, era irritante. Lei era l’Amyrlin. Ma era prosciugata di ogni energia.
Ancora non aveva trovato Gareth Bryne, ma non era insolito. Lui girava. Silviana lo stava cercando e presto avrebbe dovuto avere notizie.
Erano state mandate delle Aes Sedai a portare i feriti a Mayene. Il sole pendeva basso nel cielo, come una palpebra che rifiutava di stare aperta. Le mani di Egwene tremavano mentre reggeva la tazza. Poteva ancora sentire la battaglia. Pareva che i Trolloc avrebbero combattuto durante la notte, schiacciando le armate umane contro il fiume.
Urla distanti si levavano come le voci di una folla inferocita, ma le esplosioni da parte degli incanalatori erano rallentate.
Si voltò verso Gawyn. Lui non pareva affatto stanco, anche se era stranamente pallido. Egwene sorseggiò il tè e lo maledisse in silenzio. Era ingiusto, ma in questo momento non si preoccupava della giustizia. Poteva lamentarsi del suo Custode. Era a quello che servivano, giusto?
Una brezza spirò per l’accampamento. Lei si trovava poche centinaia di passi a est del guado ma sentiva odore di sangue nell’aria. Lì vicino una squadra di arcieri tese gli archi all’ordine del comandante, lanciando una salva di frecce. Un paio di Draghkar dalle ali nere precipitarono pochi istanti dopo, colpendo il terreno con tonfi sordi appena oltre il campo. Ne sarebbero venuti altri, dato che si era fatto buio e per loro era più facile nascondersi contro il cielo.
Mat. Egwene provò una strana nausea pensando a lui. Era un gradasso. Un beone che rivolgeva occhiate lascive a ogni donna graziosa che incontrava. Trattandola come un oggetto e non una persona. Lui... Lui...
Lui era Mat. Una volta, quando Egwene aveva più o meno tredici anni, lui era saltato nel fiume per salvare Kiem Lewin che stava affogando. Naturalmente lei non stava affogando. Era stata semplicemente messa con la testa sott’acqua da un amico, e Mat era arrivato di corsa, gettandosi nell’acqua per aiutare. Gli uomini di Emond’s Field lo avevano preso in giro per mesi.
La primavera successiva, Mat aveva tirato fuori Jer al’Hune dallo stesso fiume, salvando la vita del ragazzo. La gente allora aveva smesso di prendere in giro Mat per un po’.
Mat era così. Aveva bofonchiato e borbottato per tutto l’inverno su come le persone si prendevano gioco di lui, insistendo che la volta successiva non li avrebbe aiutati. Poi, nel momento in cui aveva visto qualcuno in pericolo, si era tuffato all’istante. Egwene poteva ricordare l’allampanato Mat giungere barcollante dal fiume, col piccolo Jer avvinghiato a lui e annaspante, un’espressione di puro terrore negli occhi.
Jer era affondato senza emettere suono. Egwene non si era mai resa conto che potesse accadere una cosa del genere. La gente che iniziava ad affogare non urlava, sputacchiava o chiamava aiuto. Scivolava solo sott’acqua, quando tutto sembrava bello e pacifico. A meno che Mat fosse lì a controllare.
È venuto a salvarmi nella Pietra di Tear, pensò. Naturalmente aveva anche cercato di salvarla dalle Aes Sedai, incapace di credere che fosse Amyrlin.
Questa situazione qual era? Lei stava affogando o no?
Quanto ti fidi di Matrim Cauthon?, aveva chiesto Min. Luce, pensò. Mi fido di lui. Sciocca che sono, mi fido. Mat poteva sbagliare. Sbagliava spesso.
Ma quando aveva ragione, salvava vite.
Egwene si costrinse ad alzarsi in piedi. Barcollò e Gawyn venne al suo fianco. Lei gli diede una pacca sul braccio, poi si staccò da lui. Non avrebbe permesso che l’esercito vedesse la sua Amyrlin così debole da doversi appoggiare a qualcuno. «Che rapporti abbiamo dagli altri fronti?»
«Non molto, oggi» disse Gawyn. Si accigliò. «In effetti, tutto è piuttosto silenzioso.»
«Elayne avrebbe dovuto combattere a Cairhien» disse Egwene. «Era una battaglia importante.»
«Forse è stata troppo occupata per mandare notizie.»
«Voglio che invii un messaggero tramite passaggio. Mi occorre sapere come sta andando quella battaglia.»
Gawyn annuì, allontanandosi in tutta fretta. Dopo che se ne fu andato, Egwene procedette a passo regolare fino a trovare Silviana, che stava parlando con un paio di sorelle Azzurre.
«Bryne?» chiese Egwene.
«Nella tenda della mensa» disse Silviana. «Ho ricevuto la notizia solo ora. Ho mandato un messaggero a dirgli di rimanere lì fino al tuo arrivo.»
«Vieni.»
Si diresse alla tenda, di gran lunga il riparo più grande nell’accampamento, e lo individuò appena entrata. Non stava mangiando, ma era in piedi accanto al tavolo da viaggio del cuoco con le mappe spiegate. Il tavolo odorava di cipolle, che probabilmente erano state tagliate numerose volte. Yukiri teneva un passaggio aperto sul pavimento per guardare giù sul campo di battaglia. Lo chiuse quando Egwene arrivò. Non lo lasciavano aperto a lungo, non con gli Sharani che li cercavano e preparavano flussi da mandarvi attraverso.
Egwene sussurrò piano a Silviana: «Raduna il Consiglio della Torre. Porta tutte le Adunanti che riesci a trovare. Radunale tutte qui, in questa tenda, prima che puoi.»
Silviana annuì; il suo volto non tradiva alcun accenno della confusione che probabilmente provava. Si affrettò ad allontanarsi ed Egwene si sedette nella tenda.
Siuan non era lì: probabilmente stava di nuovo aiutando con la Guarigione. Quello era un bene. Egwene non avrebbe voluto tentare questo con Siuan che la guardava torvo. Già così era preoccupata per Gawyn. Lui amava Bryne come un padre e la sua apprensione fluiva già attraverso il loro legame.
Egwene avrebbe dovuto accostarsi a questa faccenda con molta delicatezza, e non voleva iniziare finché il Consiglio non fosse arrivato. Non poteva accusare Bryne, ma non poteva ignorare Mat. Era un furfante e uno sciocco, ma Egwene si fidava di lui. Che la Luce la aiutasse, si fidava. Gli avrebbe affidato la sua stessa vita. E le cose erano andate in modo strano sul campo di battaglia.
Le Adunanti si radunarono relativamente in fretta. Erano al comando dello sforzo bellico e si incontravano ogni sera per ottenere rapporti e spiegazioni tattiche da Bryne e dai suoi comandanti. Bryne non pareva ritenere strano che venissero da lui ora; continuò col suo lavoro.
Molte delle donne rivolsero occhiate curiose a Egwene entrando. Lei rispose con cenni del capo, cercando di trasmettere il peso dell’Amyrlin Seat.
Alla fine ne arrivò un numero tale per cui Egwene decise di cominciare. Il tempo scorreva inesorabile. Aveva bisogno di scacciare dalla mente le accuse di Mat una volta per tutte, oppure avrebbe dovuto agire sulla base di esse.
«Generale Bryne» disse Egwene. «Stai bene? Abbiamo avuto qualche difficoltà a trovarti.»
Lui alzò lo sguardo e sbatté le palpebre. Aveva gli occhi rossi. «Madre» disse. Annuì alle Adunanti. «Mi sento stanco, ma probabilmente non più di te. Sono stato per tutto il campo di battaglia, occupandomi di ogni genere di dettagli; sai com’è.»
Gawyn si precipitò dentro. «Egwene» disse, il volto pallido. «Guai.»
«Cosa?»
«Io...» Prese un respiro profondo. «Il generale Bashere si è rivoltato contro Elayne. Luce! È un Amico delle Tenebre. La battaglia sarebbe stata persa se non fossero arrivati gli Asha’man.»
«Cosa?» domandò Bashere, alzando lo sguardo dalle sue mappe. «Bashere, un Amico delle Tenebre?»
«Sì.»
«Impossibile» disse Bryne. «Ha accompagnato il Lord Drago per mesi. Non lo conosco bene, ma... Un Amico delle Tenebre? Non può essere.»
«È piuttosto irragionevole supporre...» disse Saerin.
«Puoi parlare con la Regina in persona, se vuoi» disse Gawyn, ergendosi alto. «L’ho sentito dalla sua stessa bocca.»
Sulla tenda calò il silenzio. Le Adunanti si guardarono con volti preoccupati.
«Generale,» disse Egwene a Bryne «come mai hai mandato due unità di cavalleria a proteggerci dai Trolloc sulle colline a sud di qui, facendole finire in una trappola e lasciando esposto il fianco sinistro dell’esercito principale?»
«Come mai, Madre?» chiese Bryne. «Era evidente che stavate per essere sopraffatti, chiunque poteva vederlo. Sì, gli ho fatto lasciare il fianco sinistro, ma ho spostato le riserve illianesi in quella posizione. Quando ho visto quell’unità di cavalleria sharana dividersi per attaccare il fianco destro di Uno, ho inviato gli Illianesi a intercettarli; era la cosa giusta da fare. Non sapevo che ci sarebbero stati così tanti Sharani!» La sua voce si era alzata in un urlo, ma si fermò e le sue mani iniziarono a tremolare. «Ho commesso un errore. Non sono perfetto, Madre.»
«Questo è stato più di un errore» disse Faiselle. «Ho parlato poco fa con Uno e gli altri sopravvissuti del massacro di quella cavalleria. Uno ha detto che ha fiutato una trappola non appena lui e i suoi uomini hanno iniziato a cavalcare verso le sorelle, ma tu gli avevi promesso aiuto.»
«Vi ho detto che gli ho mandato dei rinforzi: solo non mi aspettavo che gli Sharani avrebbero inviato una forza tanto numerosa. Inoltre avevo tutto sotto controllo. Avevo ordinato a una legione di cavalleria seanchan di fare da rinforzo alle nostre truppe; si sarebbero dovuti occupare di quegli Sharani. Li avevo schierati al di là del fiume. Solo non mi aspettavo che arrivassero così tardi!»
«Sì» disse Egwene, indurendo la voce. «Quegli uomini — diverse migliaia — sono stati schiacciati fra i Trolloc e gli Sharani, senza alcuna speranza di scappare. Li hai perduti, e senza un buon motivo.»
«Dovevo portare fuori le Aes Sedai!» disse Bryne. «Sono la nostra risorsa più preziosa. Perdonami, Madre, ma tu hai usato la stessa argomentazione con me.»
«Le Aes Sedai avrebbero potuto aspettare» disse Saerin. «Io ero lì. Sì, ci serviva aiuto — eravamo incalzate — ma abbiamo resistito e avremmo potuto resistere ancora.
«Hai lasciato migliaia di bravi uomini a morire, generale Bryne. E sai qual è la parte peggiore? Non era necessario. Hai lasciato tutti quei Seanchan al di là del guado, quelli che avrebbero salvato la situazione, ad attendere un tuo ordine per attaccare. Ma quell’ordine non è mai arrivato, vero, generale? Li hai abbandonati, proprio come hai abbandonato la nostra cavalleria.»
«Ma ho ordinato loro di attaccare; alla fine sono arrivati, giusto? Ho mandato un messaggero. Io... io...»
«No, se non fosse stato per Mat Cauthon sarebbero ancora lì ad aspettare su questo lato del fiume, generale!» Egwene gli voltò le spalle.
«Egwene» disse Gawyn, prendendole il braccio. «Cosa stai dicendo? Solo perché...»
Bryne si portò una mano alla testa. Poi si afflosciò, come se i suoi arti avessero perso forza all’improvviso. «Non so cosa c’è che non va in me» sussurrò come vuoto. «Continuo a commettere errori, Madre. Quelli da cui ci si può riprendere, e continuo a ripetermelo. Poi commetto un altro errore e devo affannarmi ancora di più per aggiustarlo.»
«Sei solo stanco» disse Gawyn con voce addolorata, guardandolo. «Lo siamo tutti.»
«No» disse Bryne piano. «No, è più di quello. Sono stato stanco in altre occasioni. Qui è come se... come se i miei istinti all’improvviso fossero sbagliati. Do gli ordini e solo dopo vedo i buchi, i problemi. Io...»
«Coercizione» disse Egwene, provando un senso di freddo. «Sei vittima di coercizione. Stanno attaccando i nostri gran capitani.»
Diverse donne nella tenda abbracciarono la Fonte.
«Com’è possibile?» protestò Gawyn. «Egwene, abbiamo delle sorelle che controllano l’accampamento in cerca di segni che qualcuno stia incanalando!»
«Non so come sia successo» disse Egwene. «Forse è stato messo in atto mesi fa, prima che cominciasse la battaglia.» Si voltò verso le sorelle. «Propongo che il Consiglio sollevi Gareth Bryne dal ruolo di comandante delle nostre armate. La decisione sta a voi, Adunanti.»
«Luce» disse Yukiri. «Noi... Luce!»
«Dev’essere fatto» disse Doesine. «È una mossa astuta, un modo per distruggere le nostre armate senza che vediamo la trappola. Avremmo dovuto capirlo... I gran capitani dovevano essere protetti meglio.»
«Luce!» disse Faiselle. «Dobbiamo mandare la notizia a Lord Mandragoran e a Thakan’dar! Questo potrebbe riguardare anche loro: un tentativo di far crollare tutti e quattro i fronti nello stesso momento in un attacco coordinato.»
«Provvedo subito» disse Saerin, muovendosi verso i lembi della tenda. «Per ora, sono d’accordo con te, Madre. Bryne dev’essere sollevato dall’incarico.»
Una a una, le altre annuirono. Non era un voto formale del Consiglio, ma sarebbe bastato. Accanto al tavolo, Gareth Bryne si sedette. Poveruomo. Senza dubbio era scosso, preoccupato.
Inaspettatamente, sorrise.
«Generale?» chiese Egwene.
«Grazie» disse Bryne, sembrando rilassato.
«Per cosa?»
«Temevo di star perdendo la testa, Madre. Continuavo a vedere cosa avevo fatto... Ho lasciato migliaia di uomini a morire... Ma non ero io. Non ero io.»
«Egwene» disse Gawyn. Nascondeva bene il dolore. «L’esercito. Se Bryne è stato costretto a guidarci verso il pericolo, dobbiamo cambiare immediatamente la struttura di comando.»
«Portate i miei comandanti» disse Bryne. «Lascerò a loro il controllo.»
«E se fossero stati corrotti anche loro?» chiese Doesine.
«Sono d’accordo» disse Egwene. «Qui c’è puzza di uno dei Reietti, forse Moghedien. Lord Bryne, se dovessi cadere in questo scontro, lei saprebbe che i tuoi comandanti sarebbero i prossimi ad assumere l’incarico. Potrebbero avere i tuoi stessi istinti difettosi.»
Doesine scosse il capo. «Di chi possiamo fidarci? Qualunque dannato uomo o donna che mettessimo al comando potrebbe essere stato vittima della coercizione.»
«Potremmo doverci guidare da sole» disse Faiselle. «Arrivare a un uomo che non può incanalare sarebbe più facile che con una sorella, che percepirebbe qualcuno che sta incanalando e noterebbe una donna con quella capacità. È più probabile che noi siamo pulite.»
«Ma chi tra noi sa di tattica militare?» chiese Ferane. «Io mi considero abbastanza istruita da supervisionare i piani, ma elaborarli?»
«Saremo meglio di qualcuno che possa essere stato corrotto» disse Faiselle.
«No» disse Egwene, appoggiandosi al braccio di Gawyn.
«Allora cosa?» domandò Gawyn.
Egwene serrò i denti. Allora cosa? Conosceva solo un uomo di cui poteva fidarsi che non fosse stato vittima della coercizione, almeno non da parte di Moghedien. Un uomo che era immune agli effetti di saidar e saidin. «Dovremo mettere le nostre armate sotto il comando di Matrim Cauthon», disse «Che la Luce vegli su di noi. »