Rand si liberò dall’oscurità e rientrò nel Disegno completamente.
Dalla sua osservazione del Disegno, sapeva che, anche se erano passati solo pochi minuti da quando era entrato, nella valle fuori da questa caverna erano trascorsi giorni, e un tempo ancora più lungo quanto più ci si trovava lontano.
Rand scagliò indietro Moridin dalla posizione che avevano mantenuto durante quei minuti di tensione con le spade incrociate. Ancora pieno dell’Unico Potere, così dolce, Rand vibrò la lama di Callandor verso il suo vecchio amico.
Moridin sollevò la spada in tempo per parare, ma solo di poco. Grugnì, tirando fuori un pugnale dalla cintura e indietreggiando in una posa da combattimento per spada e coltello.
«Tu non hai più importanza, Elan» disse Rand, il torrente di saidin che infuriava dentro di lui. «Facciamola finita con questo!»
«Ah no?» rise Moridin.
Poi ruotò e scagliò il coltello verso Alanna.
Nynaeve guardò terrorizzata il coltello ruotare nell’aria. Per qualche motivo i venti non lo toccarono.
No! Dopo che era riuscita a riportare in vita la donna. Non posso perderla ora! Nynaeve cercò di afferrare il coltello o bloccarlo, ma il suo movimento tardò di un attimo.
Il coltello si conficcò nel petto di Alanna.
Nynaeve lo guardò, atterrita. Non era una ferita che si poteva guarire con punti ed erbe. Quella lama aveva colpito il cuore.
«Rand! Mi serve l’Unico Potere!» urlò Nynaeve.
«È tutto... a posto...» sussurrò Alanna.
Nynaeve guardò gli occhi della donna. Era lucida. L’andilaia, si rese conto Nynaeve, ricordando l’erba che aveva usato per dar forza alla donna. L’ha riscossa dal torpore. L’ha svegliata.
«Posso...» disse Alanna. «Posso lasciarlo andare...»
La luce svanì dagli occhi di Alanna.
Nynaeve guardò Moridin e Rand. Rand lanciò un’occhiata alla donna morta con pietà e tristezza, ma Nynaeve non vide rabbia nei suoi occhi. Alanna aveva lasciato andare il legame prima che Rand potesse avvertire gli effetti della sua morte.
Moridin tornò a voltarsi verso Rand, un altro coltello nella sinistra. Rand sollevò Callandor per eliminare Moridin.
Moridin lasciò cadere la spada e si pugnalò la destra con il coltello. Rand fu colto da uno spasmo improvviso e Callandor cadde dalla sua stretta come se la sua mano fosse stata ferita in qualche modo dall’attacco di Moridin.
Il bagliore che emanava dalla lama si spense e l’arma cristallina tintinnò colpendo il suolo.
Perrin non si tratteneva nello scontro con l’Assassino.
Non cercava di fare distinzioni tra lupo e uomo. Finalmente dava libero sfogo a tutto quanto: ogni frammento di rabbia verso l’Assassino, ogni frammento di dolore per le morti nella sua famiglia, pressioni che erano cresciute inosservate dentro di lui per mesi.
Vi diede sfogo. Luce, lasciò andare tutto. Come quella notte quando aveva ucciso quei Manti Bianchi. Fin da allora, aveva tenuto ben strette in una morsa le sue emozioni. Proprio come aveva detto Mastro Luhhan.
Adesso, in un momento congelato, riusciva a capirlo. Il gentile Perrin, sempre timoroso di far del male a qualcuno. Un fabbro che aveva appreso il controllo. Di rado permetteva a sé stesso di colpire con tutta la sua forza.
Tolse il guinzaglio al lupo. Non era mai stato quello il suo posto.
La tempesta si conformava alla sua rabbia. Perrin non cercò di trattenerla. Perché avrebbe dovuto? Si adattava alla perfezione alle sue emozioni. Il suo martello calava come un rombo di tuono, i suoi occhi dardeggiavano come saette. I lupi ululavano assieme al vento.
L’Assassino cercava di controbattere. Saltava, traslava, pugnalava. Ogni volta Perrin era lì. Gli balzava addosso come un lupo, menava fendenti come un uomo, lo respingeva come la tempesta stessa. L’Assassino assunse un’espressione inferocita negli occhi. Sollevò uno scudo, cercando di frapporlo tra sé e Perrin.
Perrin attaccò. Senza pensarci, ora, divenne solo istinto. Perrin ruggì, sbattendo il martello contro quello scudo più e più volte. Assalendo l’Assassino davanti a lui. Percuotendo lo scudo come un ostinato pezzo di ferro. Martellando senza sosta per la rabbia, per la furia.
Il suo ultimo colpo gettò indietro l’Assassino e fece volar via lo scudo dalle mani dell’uomo, facendolo ruotare per cento piedi in aria. L’Assassino colpì il suolo e rotolò, con il fiatone. Giunse a fermarsi nel mezzo del campo di battaglia, delle figure indistinte si sollevavano tutt’attorno a lui e morivano mentre combattevano nel mondo reale. Guardò Perrin spaventato, poi scomparve.
Perrin traslò nel mondo della veglia per seguirlo. Comparve in mezzo alla battaglia, Aiel contro Trolloc in uno scontro furibondo. I venti erano sorprendentemente forti da questo lato e, sopra Shayol Ghul, che si levava in cielo come un dito storto, turbinavano nuvole nere.
Gli Aiel lì vicino quasi non lo notarono. Corpi di Trolloc e umani giacevano in cumuli per tutto il campo di battaglia e quel posto puzzava di morte. Un tempo qui il terreno era polveroso, ma ora ribolliva di fango creato dal sangue dei caduti.
L’Assassino si spinse tra un gruppo di Aiel nelle vicinanze, ringhiando e vibrando il lungo coltello. Non si guardò indietro, e non pareva sapesse che Perrin lo aveva seguito nel mondo reale.
Una nuova ondata di Progenie dell’Ombra si spinse giù dal pendio, fuori da una nebbia bianco-argentea. La loro pelle pareva strana, butterata, gli occhi di un bianco latteo. Perrin li ignorò e si precipitò dietro l’Assassino.
Giovane Toro! Lupi. I Fratelli dell’Ombra sono qui! Combattiamo!
I Segugi Neri. I lupi odiavano tutta la Progenie dell’Ombra: un intero branco sarebbe morto per abbattere un Myrddraal. Ma temevano i Segugi Neri.
Perrin si guardò attorno per individuare le creature. Gli uomini normali non potevano combattere i Segugi Neri, la cui semplice saliva era mortale. Lì vicino, le forze degli umani si infransero davanti a una marea di lupi delle dimensioni di cavalli. La Caccia Selvaggia.
Luce! Quei Segugi Neri erano enormi. A decine quei lupi nerissimi e corrotti si fecero largo tra le linee difensive, scagliando in giro soldati tairenensi e domanesi come se fossero bambole di pezza. I lupi attaccavano i Segugi Neri, ma era tutto inutile. Uggiolavano e ululavano mentre morivano.
Perrin alzò la sua voce assieme ai loro latrati di morte, un aspro grido di rabbia. Per il momento, non poteva aiutarli. I suoi istinti e le sue passioni lo guidavano. L’Assassino. Lui doveva sconfiggere l’Assassino. Se Perrin non l’avesse fermato, quell’uomo avrebbe traslato nel Mondo dei Sogni e avrebbe ucciso Rand.
Perrin si voltò e corse tra gli eserciti in conflitto, inseguendo la figura distante più avanti. L’Assassino aveva ottenuto un vantaggio grazie alla distrazione di Perrin, ma aveva rallentato un poco. Non si era ancora reso conto che Perrin poteva lasciare il Mondo dei Sogni.
Più avanti, l’Assassino si fermò ed esaminò il campo di battaglia. Si guardò indietro e vide Perrin, poi sgranò gli occhi. Perrin non riuscì a sentire le sue parole sopra il trambusto, ma poté leggere le labbra dell’Assassino mentre sussurrava: «No. No, non può essere.»
Sì, pensò Perrin. Ora posso seguirti, ovunque scappi. Questa è una caccia. E tu, finalmente, sei la preda.
L’Assassino scomparve e Perrin traslò nel mondo del sogno dietro di lui. Le persone che combattevano lì attorno divennero sagome nella polvere, esplodevano e si riformavano. L’Assassino urlò di paura nel vederlo, poi traslò di nuovo nel mondo della veglia. Perrin fece lo stesso. Poteva fiutare la pista dell’Assassino. Lustro di sudore, in preda al panico. Nel sogno, poi di nuovo nel mondo della veglia. Nel sogno, Perrin correva a quattro zampe, come Giovane Toro. Nel mondo della veglia era Perrin, il martello in alto.
Traslò avanti e indietro fra i due mondi, con la stessa frequenza con cui sbatteva le palpebre, inseguendo l’Assassino. Quando andava a sbattere contro un gruppo di corpi che lottavano, balzava nel sogno del lupo e passava tra le figure di sabbia e polvere soffiata dal vento, poi traslava di nuovo nel mondo della veglia per seguire la pista. Iniziò ad accadere così in fretta che Perrin guizzava tra i due mondi a ogni battito di cuore.
Thump. Perrin sollevò il martello, balzando giù da un piccolo costone dopo la sagoma che correva più avanti.
Thump. Giovane Toro ululò, chiamando il branco.
Thump. Perrin era vicino ora. Solo pochi passi di distanza. L’odore dell’Assassino era penetrante.
Thump. Gli spiriti dei lupi comparvero attorno a Giovane Toro, ululando la brama di caccia. Nessuna preda l’aveva mai meritata quanto questa. Nessuna preda aveva mai fatto più male ai branchi. Nessun uomo era mai stato più temuto.
Thump. L’Assassino barcollò. Si rigirò mentre cadeva, inviandosi nel sogno del lupo di riflesso.
Thump. Giovane Toro balzò alla gola dell’uccisore dei suoi fratelli. L’Assassino fuggì.
Il martello colpì.
Qualcosa in questo posto, in questo istante, scagliò Perrin e l’Assassino in una spirale di guizzi tra i mondi. Avanti e indietro, avanti e indietro, lampi di momenti e pensieri. Guizzo. Guizzo. Guizzo.
Attorno a loro morivano uomini. Alcuni di polvere, alcuni di carne. Il loro mondo, assieme a ombre di altri mondi. Uomini in strani vestiti e armature, che combattevano bestie di ogni forma e dimensione. In certi momenti gli Aiel diventavano Seanchan, che diventavano qualcosa a metà tra i due, con lance e occhi chiari, ed elmi a forma di insetti mostruosi.
In tutti quei momenti, in tutti quei posti, il martello di Perrin colpì e le zanne di Giovane Toro afferrarono l’Assassino per il collo. Assaggiò il calore salato del sangue dell’Assassino nella sua bocca. Avvertì il martello vibrare mentre colpiva e sentì ossa frantumarsi. I mondi lampeggiarono come saette in cielo.
Tutto si infranse, venne scosso, poi si ricompose.
Perrin era in piedi sulle rocce nella valle di Thakan’dar e il corpo dell’Assassino era accartocciato di fronte a lui, la testa fracassata. Perrin annaspò, l’eccitazione della caccia ancora aggrappata a lui. Era finita.
Si voltò, sorpreso di scoprire che era circondato da Aiel. Li guardò accigliato. «Cosa state facendo?»
Una delle Fanciulle rise. «Pareva che stessi correndo verso una grande danza, Perrin Aybara. Si impara a fare attenzione a guerrieri come te sul campo di battaglia e a seguirli. Spesso sono quelli che si divertono di più.»
Lui mostrò un sorriso cupo, esaminando il campo di battaglia. Non stava andando bene per il suo schieramento. I Segugi Neri facevano a pezzi i difensori in una frenesia spietata.
Il sentiero che portava da Rand era completamente scoperto.
«Chi comanda questa battaglia?» chiese Perrin.
«Nessuno, ora» rispose la Fanciulla. Perrin non sapeva il suo nome. «Prima era Rodel Ituralde. Poi è stato Darlin Sisnera, ma il suo centro di comando è stato distrutto dai Draghkar. Sono ore che non vedo né Aes Sedai né capiclan.»
La voce della Fanciulla era lugubre. Perfino gli incrollabili Aiel cominciavano a cedere. Una rapida ispezione del campo di battaglia mostrò a Perrin che gli Aiel rimasti combattevano ovunque si trovassero, spesso in gruppetti, facendo più danni che potevano prima di essere abbattuti. I lupi che avevano combattuto qui in branchi erano stati spezzati, i pensieri che trasmettevano intrisi di dolore e paura. E Perrin non sapeva cosa significasse quella Progenie dell’Ombra con le facce butterate.
La battaglia era finita e lo schieramento della Luce aveva perso.
Segugi Neri irruppero tra la fila di Fautori del Drago lì vicino: anche l’ultimo gruppo che resisteva cadde davanti a essi. Alcuni cercarono di fuggire, ma uno dei Segugi Neri balzò su di loro, spingendone a terra diversi e mordendone uno. Gli altri furono schizzati dalla loro saliva e caddero a terra tra gli spasmi.
Perrin abbassò il martello, poi si inginocchiò, togliendo il mantello dell’Assassino e avvolgendosi la stoffa attorno alle mani mentre raccoglieva di nuovo l’arma. «Non lasciate che il loro sputo vi tocchi la pelle. È letale.»
Gli Aiel annuirono, quelli a mani nude se le fasciarono. O doravano di determinazione, ma anche di rassegnazione. Gli Aiel avrebbero corso verso la morte se fosse stata Tunica possibilità, e avrebbero riso mentre lo facevano. Gli abitanti delle terre bagnate li ritenevano pazzi, ma Perrin poteva fiutare la verità su di loro. Non erano pazzi. Non temevano la morte ma non la accoglievano a braccia aperte.
«Toccatemi, tutti voi» disse Perrin.
Gli Aiel lo fecero. Lui li traslò nel sogno del lupo: portarne così tanti fu uno sforzo, come piegare una barra d’acciaio, ma ci riuscì. Li traslò immediatamente sul sentiero per il Pozzo del Destino. Gli spiriti dei lupi si erano radunati qui, silenziosi. A centinaia.
Perrin riportò gli Aiel al mondo della veglia, posizionandosi assieme al piccolo drappello tra Rand e i Segugi Neri. La Caccia Selvaggia alzò lo sguardo, occhi corrotti che splendevano come argento nel fissarsi su Perrin.
«Manterremo la posizione qui» disse Perrin agli Aiel «e spereremo che qualcun altro ci aiuti.»
«Resisteremo» disse uno degli Aiel, un uomo alto che indossava una di quelle fasce con il simbolo di Rand.
«E se non lo faremo» disse un altro «e ci sveglieremo, almeno irroreremo la terra con il nostro sangue e faremo in modo che i nostri corpi nutrano le piante che cresceranno qui.» Perrin aveva notato a malapena le piante che erano spuntate, così fuori posto, verdi e vivide nella valle. Piccole ma forti. Una manifestazione del fatto che Rand combatteva ancora.
Segugi Neri si mossero verso di loro, coda abbassata, orecchie indietro, zanne snudate che scintillavano come metallo macchiato di sangue. Cos’era che sentiva sopra il vento? Un suono sommesso, molto distante. Pareva così basso che non avrebbe dovuto notarlo. Ma penetrava il trambusto della guerra. Vagamente familiare...
«Conosco quel suono» disse Perrin.
«Suono?» disse la Fanciulla aiel. «Che suono? I richiami dei lupi?»
«No» disse Perrin mentre i Segugi Neri iniziavano a risalire il sentiero a grandi balzi. «Il Corno di Valere.»
Gli eroi sarebbero arrivati. Ma su quale campo di battaglia avrebbero combattuto? Perrin non poteva aspettarsi nessun soccorso qui. Tranne...
Guidaci. Giovane Toro.
Perché tutti gli eroi dovevano essere umani?
Un ululato si levò con lo stesso timbro di quello del Corno. Perrin guardò il campo che si era riempito all’improvviso di una moltitudine di lupi lucenti. Erano grosse bestie pallide, delle dimensioni di Segugi Oscuri. Gli spiriti di quei lupi che erano morti, si erano radunati qui in attesa del segnale, dell’opportunità di combattere.
Corno li aveva chiamati.
Anche Perrin proruppe in un urlo, un ululato di piacere, poi si precipitò avanti per incontrare i Segugi Neri.
Finalmente l’Ultima Caccia era arrivata per davvero.
Mat lasciò di nuovo Olver con gli eroi. Il ragazzo pareva un principe mentre cavalcava di fronte a Noal quando gli eroi attaccarono i Trolloc e impedirono a chiunque di risalire quel sentiero per uccidere Rand.
Mat prese in prestito un cavallo da un difensore che ne aveva ancora uno, poi galoppò per raggiungere Perrin. Il suo amico sarebbe stato in mezzo a quei lupi, era evidente. Mat non sapeva come avessero fatto quelle centinaia di lupi lucenti a entrare nel campo di battaglia, ma non aveva intenzione di lamentarsi. Incontrarono la Caccia Selvaggia a testa bassa, ringhiando nell’attaccare i Segugi Neri. Le orecchie di Mat si riempirono di ululati da entrambe le parti.
Superò alcuni Aiel che combattevano con un Segugio Nero, ma non avevano alcuna possibilità. Fecero inciampare la bestia e le si avventarono addosso, ma quell’essere si ricompose come se fosse fatto di oscurità e non di carne, poi prese a dilaniarli. Sangue e maledette ceneri! Le armi aiel non parevano fargli nemmeno un graffio. Mat continuò a galoppare, evitando i tentacoli di nebbia argentea che si stavano facendo strada per tutta la valle.
Luce! Quella caligine si stava avvicinando al sentiero che portava da Rand. Stava acquisendo velocità, passando sopra Aiel, Trolloc e Segugi Neri senza distinzione.
Là, pensò Mat, individuando un uomo tanto pazzo da combattere contro i Segugi Neri. Perrin calò con forza il martello sulla testa di un Segugio Nero, fracassandola e sbattendo a terra la creatura. Quando sollevò il martello, era seguito da una scia di fumo. Il Segugio Nero, incredibilmente, rimase morto.
Perrin si voltò, poi lo fissò. «Mat!» chiamò. «Cosa ci fai qui?»
«Sono venuto ad aiutarvi!» disse Mat. «Contro il mio dannato miglior giudizio!»
«Non puoi combattere i Segugi Neri, Mat» disse Perrin mentre gli si accostava a cavallo. «Io posso, e così l’Ultima Caccia.» Inclinò la testa, poi guardò verso il suono del Corno.
«No,» disse Mat «non l’ho suonato io. Quel dannato fardello è passato a qualcuno che sembra divertircisi davvero.»
«Non è quello, Mat.» Perrin gli si avvicinò, allungando una mano e prendendolo per il braccio mentre era in sella. «Mia moglie, Mat. Per favore. Lei aveva il Corno.»
Mat abbassò lo sguardo, con aria cupa. «Il ragazzo ha detto... Luce, Perrin. Faile era a Merrilor e ha guidato i Trolloc lontano da Olver affinché lui potesse scappare con il Corno.»
«Allora potrebbe essere ancora viva» disse Perrin.
«Sì. Certo, potrebbe» replicò Mat. Che altro poteva dire? «Perrin, c’è qualcos’altro che devi sapere. Fain è qui, su questo campo di battaglia.»
«Fain?» ringhiò Perrin. «Dove?»
«È in quella nebbia! Perrin, ha portato Mashadar, in qualche modo. Non lasciare che ti tocchi.»
«Cero anch’io a Shadar Logoth, Mat» disse Perrin. «Ho un debito da saldare, con Fain.»
«E io no?» disse Mat. «Io...»
Perrin sgranò gli occhi. Fissò il petto di Mat.
Un piccolo nastro bianco di nebbiolina argentea — la nebbia di Mashadar — aveva trafitto Mat da dietro, trapassandogli il petto. Mat lo guardò, sussultò una volta, poi ruzzolò giù da cavallo.