Birgitte scattava per la foresta, accompagnata da un gruppo di trenta Aiel, tutti con gli archi in pugno. Facevano rumore — non potevano fame a meno — ma gli Aiel meno di quanto avrebbero dovuto. Saltavano su tronchi caduti e vi correvano sopra agilmente, oppure trovavano pietre su cui passare. Evitavano rami pendenti abbassandosi, ruotando, spostandosi.
«Qui» disse lei in tono sommesso, aggirando il lato di una collina spezzata. Per fortuna la caverna era ancora lì, coperta da rampicanti cresciuti, con un ruscelletto che vi scorreva davanti. Gli Aiel vi entrarono, con l’acqua che toglieva ogni odore del loro passaggio.
Due degli uomini continuarono lungo la pista della selvaggina, ora muovendosi in modo molto più rumoroso, sfiorando ogni ramo accanto a cui passavano. Birgitte si unì a quelli nascosti nella caverna. Dentro era buio e odorava di muffa e terra.
Si era nascosta proprio in questa grotta secoli fa quando aveva vissuto come brigante in questi boschi? Non lo sapeva. Di rado rammentava qualcosa delle sue vite passate, a volte solo ricordi fugaci degli anni di mezzo, durante la sua vita nel Mondo dei Sogni prima di essere riportata innaturalmente in questo da Moghedien.
Rifletté su questo con un senso di nausea. Andava bene rinascere, come nuova. Ma che le fossero strappati via i ricordi, il suo stesso senso di identità? Se perdeva i ricordi del suo tempo del Mondo dei Sogni, avrebbe dimenticato completamente Gaidal? Avrebbe dimenticato sé stessa?
Strinse i denti. È l’Ultima Battaglia, sciocca donna, pensò. Chi se ne importa?
Ma le importava. Una domanda aveva cominciato a ossessionarla. E se, nell’essere cacciata via dal Mondo dei Sogni, Birgitte fosse stata separata dal Corno? Non sapeva se fosse possibile. Non si ricordava abbastanza da capirlo.
Ma se fosse stato così, avrebbe perso Gaidal per sempre.
Fuori le foglie scricchiolavano, i ramoscelli si rompevano.
Il trepestio era così rumoroso che lei avrebbe giurato che mille soldati stavano passando lì davanti, anche se sapeva che un manipolo di Trolloc era composto solo da cinquanta unità. Tuttavia con cinquanta Trolloc la sua banda era in inferiorità numerica. Non si preoccupò. Anche se si lamentava con Elayne di non saperne abbastanza sull’arte militare, nascondersi in una foresta con una squadra di compagni ben addestrati... questo era qualcosa che aveva già fatto. Dozzine di volte. Forse centinaia, anche se i suoi ricordi erano così indistinti che non poteva dirlo con certezza.
Quando i Trolloc furono quasi passati del tutto, lei e i suoi Aiel uscirono all’improvviso dalla copertura. I bruti si erano avviati per la falsa pista predisposta prima dai due Aiel, e Birgitte li attaccò da dietro, abbattendone diversi con le frecce prima che gli altri potessero reagire.
I Trolloc non morivano facilmente. Spesso potevano essere colpiti da due o tre frecce prima di rallentare. Be’, quello succedeva solo quando mancavi gli occhi o la gola. Non era il suo caso. Uno dopo l’altro, i mostri crollarono sotto i colpi del suo arco. I Trolloc avevano iniziato a scendere verso la grotta, il che significava che ciascuno che lei o gli Aiel uccidevano era un altro cadavere che i suoi compagni dovevano cercare di scavalcare prima di raggiungerla.
In pochi secondi, cinquanta divennero trenta. Mentre quei trenta si precipitavano in avanti, metà degli Aiel tirarono fuori le lance e li ingaggiarono mentre Birgitte faceva qualche altro passo in giù e li attaccava ai fianchi.
Trenta divennero dieci, che tentarono di fuggire. Malgrado il territorio boscoso, erano facili da eliminare, anche se voleva dire colpirli alle gambe o alla nuca, abbattendoli in modo che potessero finirli le lance.
Dieci degli Aiel si occuparono dei Trolloc, infilzando ciascuno con una lancia per accertarsi che fosse morto. Altri raccolsero le frecce. Birgitte indicò Nichil e Ludin, due degli Aiel, e quelli si unirono a lei per esplorare la zona.
I suoi passi le sembravano familiari, questi boschi le sembravano familiari. Non solo grazie alle vite passate che non riusciva più a ricordare. Durante i suoi secoli passati a vivere nel Mondo dei Sogni, lei e Gaidal avevano trascorso molti anni in queste foreste. Si ricordava di lui che le carezzava la guancia. Il collo.
Non posso perdere questo, pensò, ricacciando indietro il panico. Luce. Non posso. Per favore... Non sapeva cosa le stava succedendo. Riusciva a ricordare qualcosa, una vaga discussione... su cosa? L’aveva perduta. Le persone non potevano essere svincolate dal Corno, vero? Hawkwing poteva saperlo. Avrebbe dovuto chiederglielo. E se l’aveva già fatto?
Che io sia folgorata!
Del movimento nella foresta la fece fermare di colpo. Si accovacciò accanto a una roccia, l’arco proteso di fronte a sé. Nelle vicinanze il sottobosco scricchiolava. Nichil e Ludin erano scomparsi al primo suono. Luce, quanto erano capaci. Le occorse un momento per distinguerli, nascosti a poca distanza.
Alzò un dito, indicò sé stessa, poi davanti a lei. Birgitte avrebbe perlustrato, loro l’avrebbero coperta.
Birgitte si mosse silenziosamente. Avrebbe mostrato a questi Aiel che non erano i soli a sapere come evitare di essere individuati. Inoltre, questi erano i suoi boschi. Non si sarebbe fatta battere da un mucchio di gente del deserto.
Si mosse furtiva, evitando cespugli di rovi avvizziti. Ce n’erano forse di più, di recente? Pareva che fossero le uniche piante che non erano morte del tutto. Il terreno odorava di stantio come non avrebbe dovuto fare nessuna foresta, anche se quello era superato dal lezzo di morte e putrefazione. Superò un altro gruppo di Trolloc caduti. Il sangue su di essi era secco. Erano morti da diversi giorni.
Elayne ordinava alle sue forze di riportate indietro i loro morti. Migliaia e migliaia di Trolloc si muovevano tra questi boschi come scarafaggi zampettanti. Elayne voleva che trovassero solo i propri morti, sperando che questo avrebbe dato loro un motivo per avere paura.
Birgitte si mosse verso i suoni. Vide grosse ombre avvicinarsi nella luce fioca. Trolloc, che fiutavano l’aria.
Le creature continuavano a spingersi per i boschi. Erano costrette a evitare le strade dove un’imboscata di Draghi poteva rivelarsi letale. Il piano di Elayne richiedeva che delle squadre come quella comandata da Birgitte attaccassero i Trolloc, guidandone gruppi nei boschi, assottigliando i loro numeri.
Purtroppo questo gruppo era troppo numeroso da affrontare. Birgitte si ritirò, facendo cenno agli Aiel di seguirla, e scivolò silenziosamente di nuovo verso il campo.
Quella notte, dopo il suo fallimento con l’esercito di Lan, Rand fuggì nei suoi sogni.
Cercò la propria valle di pace, apparendo in mezzo a un boschetto di ciliegi in fiore, il cui profumo si diffondeva per l’aria. Con quegli stupendi boccioli bianchi screziati di rosa, le piante parevano quasi in fiamme.
Rand indossava semplici abiti dei Fiumi Gemelli. Dopo mesi passati con indumenti regali dai colori brillanti e dai tessuti morbidi, si sentiva molto a suo agio con flosci pantaloni di lana e camicia di lino. Si mise ai piedi stivali resistenti, come quelli che aveva portato crescendo. Gli calzavano in modo diverso da qualunque stivale nuovo, per quanto ben fatto.
Non gli era più permesso indossare stivali vecchi. Se i suoi mostravano qualche segno di usura, uno dei servitori li faceva sparire.
Rand si alzò in piedi tra le colline del sogno e creò un bastone da passeggio. Poi iniziò a dirigersi su tra le montagne. Questo non era un luogo reale, non più. Era stato lui a crearlo da ricordi e desideri, mescolando in qualche modo familiarità e una voglia di esplorazione. Odorava fresco, di foglie rovesciate e resina. Nel sottobosco si muovevano degli animali. In lontananza un falco lanciava un richiamo.
Lews Therin aveva saputo come creare frammenti di sogno come questo. Anche se non era stato un Sognatore, molti Aes Sedai di quell’Epoca si erano avvalsi di Tel’aran’rhiod in un modo o nell’altro. Una cosa che imparavano era come ritagliarsi un sogno per sé, un rifugio dentro la loro mente, più controllato dei sogni normali. Apprendevano come entrare in un frammento come questo mentre meditavano, dando in qualche modo al corpo un riposo reale quanto il sonno.
Lews Therin aveva saputo queste e altre cose. Come arrivare alla mente di qualcuno se si entrava nel suo frammento di sogno. Come capire se qualcun altro aveva invaso il tuo. Come aprire i propri sogni ad altri. A Lews Therin era piaciuto sapere cose, come un viandante che voleva avere un esemplare di ogni oggetto utile nel suo zaino.
Lews Therin aveva usato di rado quegli strumenti. Li aveva lasciati immagazzinati in un comparto in fondo alla sua mente, a prendere polvere. Le cose sarebbero andate in modo diverso se ogni notte si fosse preso il tempo di vagabondare per una valle pacifica come questa? Rand non lo sapeva. E, a dire la verità, questa valle non era più sicura. Superò una caverna profonda alla sua sinistra. Non era stato lui a mettercela. Un altro tentativo di Moridin di attirarlo? Rand vi passò accanto senza guardare.
La foresta non sembrava viva come qualche momento fa. Rand continuò a camminare, cercando di imporre la sua volontà sul territorio. Non si era esercitato abbastanza su quello, però, così mentre camminava la foresta ingrigì, assumendo un aspetto sbiadito.
La caverna tornò. Rand si fermò all’imboccatura. Aria fredda e umida, che odorava di funghi, soffiò fuori su di lui, raggelandogli la pelle. Rand gettò da parte il suo bastone da passeggio, poi entrò nella caverna. Mentre passava nell’oscurità, intessé un globo di luce bianco-azzurra e lo lasciò sospeso accanto alla sua testa. Il bagliore si rifletteva dalla pietra umida, brillando su lisce protuberanze e fenditure.
Dall’interno della grotta riecheggiò un respiro ansante. A questo seguirono dei rantoli. E.... schizzi. Rand avanzò, anche se ormai aveva capito di cosa si trattava. Aveva iniziato a domandarsi se lei ci avrebbe provato di nuovo.
Giunse a una piccola camera, larga forse dieci passi, alla fine del cunicolo, dove la pietra scendeva a picco in una pozza d’acqua limpida, perfettamente circolare. Le profondità azzurre parevano estendersi verso il basso all’infinito.
Una donna con un abito bianco si sforzava di stare a galla lì al centro. Il tessuto del suo vestito si increspava nell’acqua, formando un cerchio. Aveva volto e capelli bagnati. Mentre Rand osservava, lei annaspò e affondò, agitando le braccia nell’acqua cristallina.
Riaffiorò un attimo dopo, prendendo una boccata d’aria.
«Salve, Mierin» disse Rand piano. La sua mano formò un pugno. Lui non sarebbe saltato in quell’acqua per salvarla. Questo era un frammento di sogno. Quella pozza poteva essere davvero acqua, ma molto probabilmente rappresentava qualcos’altro.
Il suo arrivo parve farla salire a galla e i movimenti vigorosi della donna divennero più efficaci. «Lews Therin» disse, asciugandosi la faccia con una mano, con il fiatone.
Luce! Dov’era la sua pace? Si sentiva di nuovo come un bambino, un ragazzo che pensava che Baerlon fosse la città più maestosa mai costruita. Sì, il suo viso era diverso, ma le facce non avevano più molta importanza per lui. Lei era comunque la stessa persona.
Di tutti i Reietti, solo Lanfear aveva scelto il suo nuovo nome. Ne aveva sempre voluto uno.
Lui si ricordava. Si ricordava. Presentarsi a sontuosi ricevimenti con lei sottobraccio. La sua risata sopra la musica. Le loro notti da soli. Non aveva voluto ricordare di aver fatto l’amore con un’altra donna, in particolare non una dei Reietti, ma non poteva scegliere quello che c’era nella sua mente.
Quei ricordi si mischiavano con i propri, quando lui l’aveva desiderata come Lady Selene. Un’infatuazione sciocca, giovanile. Non provava più queste cose, ma il loro ricordo rimaneva.
«Tu puoi liberarmi, Lews Therin» disse Lanfear. «Lui mi ha rivendicato. Devo implorare? Mi ha rivendicato!»
«Ti sei votata all’Ombra, Mierin» disse Rand. «Questa è la tua ricompensa. Ti aspetti compassione da parte mia?»
Qualcosa di scuro salì dalle profondità e le si avvolse attorno alle gambe, strattonandola di nuovo giù nell’abisso. Malgrado le sue parole, Rand si ritrovò ad avanzare, come per balzare nella pozza.
Si trattenne. Finalmente si sentiva di nuovo come una persona integra, dopo un lungo combattimento. Questo gli dava forza, ma nella sua pace c’era una debolezza, la debolezza che aveva sempre temuto. Quella debolezza che Moiraine aveva correttamente individuato in lui. La debolezza della compassione.
Lui ne aveva bisogno. Come un elmo aveva bisogno di un foro attraverso cui vedere. Entrambi potevano essere sfruttati. Ammise a sé stesso che era vero.
Lanfear riaffiorò sputacchiando, sembrando indifesa. «Devo implorare?» ripeté.
«Non penso che tu ne sia capace.»
Lei abbassò gli occhi. «... Ti prego?» sussurrò.
A Rand si torsero le budella. Lui stesso si era fatto strada combattendo attraverso l’oscurità nel cercare la Luce. Si era concesso una seconda possibilità; non avrebbe dovuto darla anche a un’altra persona?
Luce! Tentennò, ricordando la sensazione che aveva provato in quel momento, quando aveva afferrato il Vero Potere.
Il tormento e l’eccitazione, la forza e l’orrore. Lanfear aveva dato sé stessa al Tenebroso. Ma in un certo senso l’aveva fatto anche Rand.
Guardò nei suoi occhi, cercando dentro di essi, conoscendoli. Infine, Rand scosse il capo. «Sei migliorata in questo tipo di inganni, Mierin. Ma non abbastanza.»
L’espressione di Lanfear si rabbuiò. Un momento dopo, la pozza scomparve, sostituita da un pavimento di pietra. Lanfear sedeva lì, a gambe incrociate, nel suo abito biancoargenteo. Con il suo nuovo volto, ma ancora la stessa.
«Allora sei davvero tornato» disse, in tono non del tutto compiaciuto. «Bene, non sono più costretta a dover avere a che fare con un semplice contadino. Questa è una piccola benedizione.»
Rand sbuffò, entrando nella camera. Lanfear era ancora imprigionata: poteva percepire un senso di oscurità attorno a lei, come una cupola d’ombra, così ne rimase fuori. Ma la pozza — la scena di annegare — era stata solo drammaticità. Lanfear era orgogliosa, ma non disdegnava certo di mostrare una facciata di debolezza quando la situazione lo richiedeva. Se Rand fosse stato in grado di accogliere in sé i ricordi di Lews Therin prima, non si sarebbe lasciato ingannare così facilmente da lei nel Deserto.
«Allora mi rivolgerò a te non come una damigella a cui serve un eroe,» disse Lanfear, squadrandolo mentre lui camminava attorno alla sua prigione «ma come una tua pari in cerca di rifugio.»
«Io pari a te?» disse Rand ridendo. «Quando mai hai considerato chiunque pari a te, Mierin?»
«Non t’importa nulla della mia prigionia?»
«Mi addolora,» disse Rand «ma non più di quanto mi addolorò quando ti votasti all’Ombra. Sapevi che ero lì, quando lo rivelasti? Non mi vedesti, dato che non volevo essere visto, ma io stavo osservando. Luce, Mierin, giurasti di uccidermi.»
«Ma lo volevo davvero?» chiese, voltandosi per guardarlo negli occhi.
L’aveva voluto? ... No. Non allora. Lanfear non uccideva persone che pensava sarebbero state utili, ed era così che l’aveva sempre considerato.
«Condividevamo qualcosa di speciale, un tempo» disse. «Tu eri il mio...»
«Per te ero un ornamento!» sbottò Rand. Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi. Luce, quanto era difficile, con lei vicino. «Il passato è passato. Non mi importa nulla di quello, e sarei lieto di darti una seconda opportunità per la Luce. Purtroppo ti conosco. Lo stai facendo di nuovo. Giocarci tutti, incluso il Tenebroso stesso. Non ti importa nulla della Luce. A te importa solo il potere, Mierin. Sinceramente ti aspetti che creda che sei cambiata?»
«Non mi conosci così bene quanto pensi» disse Lanfear, osservandolo mentre lui girava attorno al perimetro della sua prigione. «Non l’hai mai fatto.»
«Allora dimostramelo» disse Rand, fermandosi. «Mostrami la tua mente, Mierin. Aprila completamente a me. Dammi il controllo su di te qui, in questo luogo dove i sogni vengono dominati. Se le tue intenzioni sono pure, ti libererò.»
«Ciò che chiedi è proibito.»
Rand rise. «Quando mai questo ti ha fermato?»
Lei parve rifletterci; doveva essere davvero preoccupata per la sua prigionia. Una volta avrebbe riso a una proposta del genere. Dal momento che questo era verosimilmente un luogo in cui lei aveva il controllo completo, se gliene avesse dato il permesso, lui avrebbe potuto metterla a nudo, sondare le profondità della sua mente.
«Io...» disse Lanfear.
Rand venne avanti, fino al margine della prigione. Quel tremolio nella sua voce... quello sembrava reale. La prima emozione sincera da parte sua.
Luce, pensò lui, cercando nei suoi occhi. Ha davvero intenzione di farlo?
«Non posso» disse lei. «Non posso.» Lo disse più piano la seconda volta.
Rand espirò. Notò che gli tremavano le mani. Così vicino. Così vicino alla Luce, come un gatto selvatico nella notte, che andava avanti e indietro davanti al granaio illuminato dal fuoco. Si ritrovò arrabbiato, più arrabbiato di prima. Lei gli faceva sempre questo effetto! Si trastullava con quello che era giusto, ma sceglieva sempre il proprio sentiero.
«Ho chiuso con te, Mierin» disse Rand, voltandole le spalle e allontanandosi dalla camera. «Per sempre.»
«Mi fraintendi!» gli urlò lei. «Mi hai sempre frainteso! Tu ti mostreresti a qualcuno a quel modo? Non posso farlo. Sono stata schiaffeggiata troppe volte da coloro di cui mi sarei dovuta fidare. Tradita da quelli che avrebbero dovuto amarmi.»
«Dai a me la colpa di questo?» chiese Rand, ruotando sui talloni.
Lei non distolse lo sguardo. Sedeva imperiosa, come se la sua prigione fosse un trono.
«Davvero lo ricordi a quel modo, vero?» disse Rand. «Pensi che io ti abbia tradito per lei?»
«Hai detto di amarmi.»
«Non l’ho mai detto. Mai. Non avrei potuto. Non sapevo cosa fosse l’amore. Secoli di vita e non lo scoprii mai finché non incontrai lei.» Esitò, poi continuò, parlando così piano che la sua voce non riecheggiava nella piccola caverna. «Non l’hai mai davvero capito, vero? Certo che no. Chi potresti amare? Il tuo cuore è già preso, dal potere che desideri con tanta forza. Non rimane spazio.»
Rand lasciò perdere.
Lasciò perdere come Lews Therin non era mai stato in grado di fare. Perfino dopo aver scoperto Ilyena, perfino dopo aver capito come Lanfear lo aveva usato, non si era aggrappato a odio e disprezzo. Ti aspetti compassione da parte mia?, le aveva chiesto Rand.
Era proprio quello che provava adesso. Compassione per una donna che non aveva mai conosciuto l’amore, una donna che non permetteva a sé stessa di conoscerlo. Compassione per una donna che non poteva scegliere uno schieramento che non fosse il proprio.
«Io...» disse lei piano.
Rand alzò la mano e poi si aprì a lei. Le sue intenzioni, la sua mente, la sua identità apparvero come un turbinio di colori, emozioni e potere attorno a lui.
Lanfear sgranò gli occhi mentre quel turbinio veniva proiettato davanti a lei, come immagini su una parete. Rand non poté trattenere nulla. Lei vide le sue motivazioni, i suoi desideri, i suoi auspici per l’umanità. Vide le sue intenzioni. Andare a Shayol Ghul, uccidere il Tenebroso. Lasciare un mondo migliore di quanto aveva fatto l’ultima volta.
Lui non temeva di rivelare queste cose. Aveva toccato il Vero Potere, perciò il Tenebroso conosceva il suo cuore. Lì non c’erano sorprese, almeno nulla che sarebbe dovuto essere una sorpresa.
Ma Lanfear rimase sorpresa comunque. Rimase a bocca aperta nel vedere la verità: la verità che, nel profondo, non era Lews Therin a costituire l’essenza di Rand. Era il pastore, allevato da Tam. Le sue vite si dipanarono in pochi istanti, i suoi ricordi e le sue sensazioni messi allo scoperto.
Da ultimo, le mostrò il suo amore per Ilyena, come un cristallo lucente messo su uno scaffale e ammirato. Poi il suo amore per Min, Aviendha, Elayne. Come un falò ardente, caldo, confortante, appassionato.
Non c’era amore per Lanfear in quello che mise a nudo. Nemmeno un pezzetto. Aveva anche sguazzato nel disprezzo di Lews Therin per lei. E così, per lui, Lanfear non era davvero nulla.
Lei annaspò.
Il bagliore attorno a Rand scemò. «Mi dispiace» disse. «Lo intendevo davvero. Ho chiuso con te, Mierin. Tieniti al riparo durante la tempesta che verrà. Se vinco questo scontro, non avrai più motivo di temere per la tua anima. Non rimarrà nessuno a tormentarti.»
Le voltò di nuovo le spalle e uscì dalla caverna, lasciandola ammutolita.
La sera al Bosco di Braem era accompagnata dall’odore di fuochi che ardevano nelle loro fosse e dai suoni di uomini che gemevano piano mentre si apprestavano a lasciarsi scivolare in un sonno inquieto, le spade pronte a portata di mano. Un gelo innaturale nell’aria estiva.
Perrin camminava per l’accampamento, tra gli uomini sotto il suo comando. Gli scontri erano stati duri in questi boschi.
I suoi uomini stavano facendo del male ai Trolloc, ma Luce, sembrava esserci sempre altra Progenie dell’Ombra a rimpiazzare quelli che cadevano.
Dopo essersi accertato che i suoi fossero stati nutriti adeguatamente, che fossero stati fissati turni di guardia e gli uomini sapessero cosa fare nel caso fossero stati svegliati durante la notte da un attacco di Progenie dell’Ombra, andò a cercare gli Aiel. Le Sapienti in particolare. Quasi tutte loro si erano radunate per andare con Rand quando avesse marciato su Shayol Ghul — per ora attendevano i suoi ordini — ma alcune erano rimaste con Perrin, inclusa Edarra.
Lei e le altre Sapienti non marciavano al suo comando.
Eppure, come Gaul, restavano con lui quando gli altri Aiel andavano altrove. Perrin non aveva chiesto loro perché. Non gli importava davvero. Averli con sé era utile e lui era grato.
Gli Aiel gli permisero di attraversare il loro perimetro. Trovò Edarra seduta accanto a un fuoco, ben circondato da pietre per impedire la possibilità che una scintilla vagante sfuggisse. Questi boschi, così secchi, potevano prendere fuoco più facilmente di un granaio pieno del fieno dell’ultimo raccolto.
Edarra lanciò un’occhiata a Perrin mentre si accomodava accanto a lei. La donna aiel sembrava giovane ma odorava di pazienza, curiosità e controllo. Saggezza. Non chiese a Perrin perché era venuto da lei. Attese che fosse lui a parlare.
«Sei una Camminatrice dei Sogni?» chiese Perrin.
Lei lo esaminò nella notte; Perrin ebbe la netta impressione che questa non fosse una domanda che un uomo — o un forestiero — poteva porre.
Perciò fu sorpreso quando lei rispose.
«No.»
«Sai molto al riguardo?» chiese Perrin.
«Qualcosa.»
«Ho bisogno di conoscere un modo per entrare nel Mondo dei Sogni fisicamente. Non solo nei miei sogni, ma nel mio corpo reale. Hai mai sentito una cosa del genere?»
Lei inspirò bruscamente. «Non ci pensare, Perrin Aybara. È male.»
Perrin si accigliò. La forza nel sogno del lupo — dentro Tel’aran’rhiod — era una cosa delicata. Con quanta più forza Perrin metteva sé stesso nel sogno — quanto più solido era lì — tanto trovava più facile cambiare le cose lì, manipolare quel mondo.
Quello aveva un costo, però. Andando nel sogno con troppa forza, rischiava di separarsi dal proprio corpo dormiente nel mondo reale.
A quanto pareva, quello non preoccupava l’Assassino. Lui era forte lì, fortissimo; quell’uomo era nel sogno fisicamente. Perrin ne era sempre più convinto.
La nostra contesa non terminerà, pensò Perrin, finché non sarai tu la preda, Assassino. Cacciatore di lupi. Io sarò la tua fine.
«In molti sensi,» borbottò Edarra guardandolo «tu sei ancora un bambino, nonostante tutto l’onore che hai trovato.» Perrin si era abituato — anche se non gli piaceva — a donne che sembravano avere un anno o due più di lui che gli si rivolgessero a quel modo. «Nessuna delle Camminatrici dei Sogni ti insegnerà questa cosa. È male.»
«Perché è male?» disse Perrin.
«Entrare nel mondo dei sogni in carne e ossa ti costa parte di ciò che ti rende umano. Cosa più importante, se muori mentre sei in quel posto — e sei lì in carne e ossa — ciò può farti morire per sempre. Niente più rinascita, Perrin Aybara. Il tuo filo nel Disegno potrebbe finire per sempre e tu saresti distrutto. Questa non è una cosa che dovresti contemplare.»
«I servitori dell’Ombra lo fanno, Edarra» disse Perrin. «Corrono rischi per avere il predominio. Dobbiamo correre gli stessi rischi per fermarli.»
Edarra sibilò piano, scuotendo la testa. «Non ti tagli il piede per paura che un serpente lo morda, Perrin Aybara. Non commetti un errore terribile per paura di qualcosa che sembra peggio. Questo è tutto ciò che dirò sull’argomento.»
Si alzò e lo lasciò lì seduto accanto al fuoco.