A Olver mancava Vento. Bela — la robusta giumenta ispida che cavalcava — non era male, in realtà. Però era lenta. Olver lo sapeva perché continuava a cercare di spronarla ad avanzare, ma lei procedeva piano dietro gli altri cavalli. Nulla di ciò che faceva riusciva a indurla ad andare più veloce. Olver voleva cavalcare come una tempesta. Invece cavalcava come un grosso tronco in un fiume placido.
Si pulì la fronte. La Macchia era davvero spaventosa e gli altri — molti dei quali non avevano cavalli — camminavano come se ogni passo avrebbe fatto calare su di loro mille Trolloc. Il resto della carovana parlava in toni sommessi, guardando le pendici delle colline con sospetto.
Superarono un gruppo di alberi avvizziti, con resina che colava da squarci aperti nella corteccia. Quella resina pareva troppo rossa. Quasi sangue. Lì vicino, uno dei carrettieri della carovana si avvicinò per esaminarla.
Dei rampicanti schioccarono giù dai rami, rampicanti che sembravano bruni e morti, eppure si mossero come serpenti. Prima che Olver potesse urlare, il carrettiere penzolava morto dai rami più alti dell’albero.
L’intera fila si immobilizzò, tutti terrorizzati. Sopra, l’albero tirò il morto dentro di sé attraverso una fenditura nella corteccia. Inghiottendolo. Forse quella resina era sangue.
Olver continuò a guardare, atterrito.
«Avanti» disse Lady Faile, con un lieve tremito nella voce. «Ve l’ho detto: non avvicinatevi alle piante! Non toccate nulla.»
Procedettero, un gruppo solenne. Sandip, che cavalcava lì accanto, borbottava tra sé: «Questo è il quindicesimo. Quindici uomini, morti in pochi giorni. Luce! Non sopravvivremo mai!»
Se solo fossero stati Trolloc! Olver non poteva combattere alberi e insetti. Chi poteva farlo? Ma i Trolloc, quelli sì che li avrebbe potuti affrontare. Olver aveva il suo coltello e aveva imparato alcune cose su come usarlo da Haman e Silvie. Olver non era alto, ma aveva calcolato che questo avrebbe portato i Trolloc a sottovalutarlo. Poteva scagliarsi in avanti tenendosi basso e arrivare ai loro punti vitali prima che si accorgessero di cosa stava succedendo.
Disse a sé stesso di non far tremare le mani mentre dava di talloni a Bela, sperando di accostarsi a Lady Faile. In lontananza, sentì un suono stridente, come qualcosa che moriva in modo orribile. Olver rabbrividì. Aveva già sentito lo stesso suono quel giorno. Era più vicino ora?
Setalle gli scoccò un’occhiata preoccupata mentre arrivava sul davanti. Gli altri cercavano di fare il possibile per tenerlo lontano dal pericolo. Lui si fece forza, ignorando quel terribile stridio in lontananza. Tutti credevano che Olver fosse fragile, ma non lo era. Non avevano visto quello a cui aveva assistito lui, crescendo. Per la verità, non gli piaceva pensarci. Pareva che avesse vissuto tre vite. Una prima che morissero i suoi genitori, un’altra quando era stato solo e ora questa.
Comunque era abituato ad affrontare persone più grosse di lui. Era l’Ultima Battaglia. Continuavano a dire che tutti sarebbero stati necessari. Be’, perché non lui? Quando fossero arrivati i Trolloc, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata smontare da questa cavalcatura lenta. Poteva camminare più rapidamente di quanto questo animale poteva galoppare! Be’, gli Aiel non avevano bisogno di cavalli. Olver non era andato ancora ad addestrarsi con loro, ma l’avrebbe fatto. Aveva pianificato tutto quanto. Odiava gli Aiel, ma soprattutto gli Shaido, e gli sarebbe servito imparare i loro segreti se voleva ucciderli.
Sarebbe andato tra loro e avrebbe richiesto di essere addestrato. Quelli l’avrebbero accolto e l’avrebbero trattato male, ma alla fine l’avrebbero rispettato e gli avrebbero permesso di esercitarsi con i loro guerrieri. C’erano storie su quello. Era il modo in cui accadevano le cose.
Dopo aver appreso i loro segreti, sarebbe andato dai Serpenti e dalle Volpi e avrebbe ottenuto risposte su come individuare gli Shaido che avevano assassinato suo padre. Da lì, rintracciarli e ucciderli sarebbe stata un’impresa degna di una storia a sé.
Porterò Noal, pensò. Lui è stato dappertutto. Può essere la mia guida. Può...
Noal era morto.
Del sudore strisciò giù dal lato della faccia di Olver mentre fissava il sentiero roccioso davanti a sé. Superarono altri di quegli alberi terribili e adesso tutti vi girarono molto al largo. Accanto al sentiero, però, uno degli uomini indicò una grossa chiazza di quel fango assassino. Pareva marrone e denso, e Olver notò diverse ossa che spuntavano.
Questo posto era orribile!
Desiderava che Noal fosse qui. Noal era stato dappertutto, aveva visto tutto. Avrebbe saputo come tirarli fuori da questo luogo. Ma Noal non c’era più. Olver aveva appreso la notizia solo di recente, filtrata attraverso cose che Lady Moiraine aveva condiviso su quanto era accaduto alla Torre di Ghenjei.
Tutti stanno morendo, pensò Olver, gli occhi fissi in avanti. Tutti...
Mat se n’era andato dai Seanchan, Talmanes a combattere al fianco della Regina Elayne. Uno a uno, tutti in questo gruppo stavano venendo mangiati da alberi, fango o mostri.
Perché tutti lasciavano Olver da solo?
Si sfregò il braccialetto. Gliel’aveva dato Noal, poco prima di partire. Intrecciato di fibre ruvide, era un tipo di ornamento indossato dai guerrieri in una terra remota... Così gli aveva detto Noal. Era il marchio di un uomo che aveva visto la battaglia ed era sopravvissuto.
Noal... Morto. Sarebbe morto anche Mat?
Olver aveva caldo, era stanco e molto spaventato. Spronò Bela in avanti e per fortuna lei obbedì, trottando un po’ più veloce su per il pendio facendo avanzare Olver lungo la fila. Avevano abbandonato i carri, poi erano partiti per qualche posto chiamato le Terre Inaridite, il che richiedeva di inerpicarsi per colline pedemontane. Al mattino erano entrati in un valico tra le montagne. Anche se sentiva caldo, l’aria stava diventando più fredda quanto più salivano. Quello non lo disturbava affatto. Ma aveva ancora un odore terribile. Come cadaveri in decomposizione.
Il gruppo era partito con cinquanta soldati e quasi altrettanti carrettieri e lavoratori. C’era anche una manciata d’altri, come Olver, Setalle e la mezza dozzina di membri della scorta di Lady Faile.
Finora avevano perso quindici persone a causa dei pericoli della Macchia, tra cui cinque uccisi da orribili cose a tre occhi che avevano attaccato l’accampamento la mattina precedente. Lui aveva udito Lady Faile dire che li considerava fortunati per aver perso solo quindici uomini finora, che sarebbe potuta andare peggio.
A Olver non pareva una fortuna. Questo posto era orribile e voleva esserne fuori. Il Deserto non sarebbe stato brutto quanto questo, giusto? Gli uomini e le donne dei Cha Faile si comportavano come Aiel. Un pochino come Aiel. Forse avevano fatto ciò che voleva fare Olver e si erano addestrati nel Deserto. Avrebbe dovuto domandarglielo.
Continuò a cavalcare per un’altra mezz’ora circa. Alla fine riuscì a convincere Bela a mettersi davanti alla fila. La giumenta nero brillante di Lady Faile pareva veloce. Perché non avevano potuto dare anche a Olver un cavallo come quello?
Faile aveva il baule di Mat legato alla parte posteriore del suo cavallo. Sulle prime Olver ne era stato lieto, poiché immaginava che Mat sarebbe stato molto ansioso di avere quel tabacco. Mat si lamentava sempre di non avere del buon tabacco. Poi Olver aveva sentito Lady Faile spiegare a qualcun altro che il baule era stato semplicemente un posto comodo per riporre alcune delle sue cose. Aveva forse gettato via il tabacco? A Mat non sarebbe piaciuto.
Faile lo guardò e Olver sorrise, mettendoci quanta più fiducia poteva. Non era il caso che lei vedesse quanto era spaventato.
A parecchie donne piaceva il suo sorriso. Lo aveva esercitato, anche se non usava quello di Mat come modello. Quello di Mat lo faceva sempre sembrare colpevole. Si imparavano i sorrisi quando eri costretto a cavartela per conto tuo, e a Olver ne serviva uno che lo facesse sembrare innocente. E lui era innocente. Perlopiù.
Faile non gli restituì il sorriso. Olver supponeva che fosse una bella donna da guardare, malgrado quel naso. Non era molto morbida, però. Dannate ceneri, aveva uno sguardo torvo che avrebbe potuto far arrugginire del buon ferro.
Faile cavalcava tra Aravine e Vanin. Anche se parlavano molto piano, Olver riusciva a sentire cosa stavano dicendo. Si assicurò di fissare nell’altra direzione, affinché non pensassero che stava origliando. E non lo stava facendo. Voleva solo star fuori dalla scia di polvere degli altri cavalli.
«Sì» stava sussurrando Vanin. «Può non sembrarlo, ma siamo vicini alle Terre Inaridite. Che sia folgorata la mia stessa madre, non riesco a credere che stiamo andando lì. Ma non sentite l’aria? Sta diventando più fredda. Non abbiamo visto nulla di davvero terribile dopo quelle cose a tre occhi ieri mattina.»
«Siamo vicini» concordò Aravine. «Presto saremo prossimi al Tenebroso, in una terra dove non cresce nulla, corrotto o no, dove non c’è vita, nemmeno le cose più tremende della Macchia.»
«Immagino che dovrebbe essere un sollievo.»
«Non proprio» disse Vanin, asciugandosi la fronte. «Dato che la Progenie dell’Ombra quassù è più pericolosa. Se sopravviviamo, sarà perché c’è una dannata guerra in corso. Tutta la Progenie dell’Ombra è impegnata in battaglia. Se siamo fortunati, le Terre Inaridite, tranne la parte attorno a Shayol Ghul, saranno vuote come il borsellino di un uomo dopo aver contrattato con il dannato Popolo del Mare. Scusa il linguaggio, Lady Faile.»
Olver guardò a occhi stretti il picco montano sempre più vicino.
È là che vive il maledetto Tenebroso, pensò. E probabilmente è lì che si trova Mat, non a Merrilor. Mat parlava di stare lontano dal pericolo, ma comunque vi andava sempre a finire in mezzo. Olver immaginava che Mat stesse solo cercando di essere modesto, ma gli riusciva male. Altrimenti perché avrebbe detto di non voler essere un eroe per poi finire sempre a buttarsi a capofitto nel pericolo?
«E questo sentiero?» chiese Faile a Vanin. «Hai detto che poteva essere stato percorso di recente. Ciò non indicherebbe che questo posto è tutt’altro che vuoto, nel modo pittoresco in cui l’hai descritto?»
Vanin grugnì. «Sembra utilizzato.»
«Perciò qualcuno ha portato dei carri in questa zona» disse Aravine. «Non so se sia buono o cattivo, come segno.»
«Penso che non esista nessun buon segno quassù» disse Vanin. «Forse dovremmo semplicemente scegliere un posto nei paraggi, rintanarci lì e aspettare.» Sospirò, asciugandosi di nuovo la fronte, anche se Olver non capiva perché. La temperatura si stava abbassando parecchio: Olver riusciva a percepirlo perfino nel corso della giornata. E pareva che ci fossero anche meno piante. A lui andava bene così.
Lanciò un’occhiata sopra la spalla verso la macchia d’alberi che s’era presa la vita di quel pover’uomo. Non sembravano essercene altri simili nelle vicinanze, in particolare non davanti a loro lungo il sentiero.
«Non possiamo permetterci di aspettare, Vanin» disse Faile. «Intendo tornare a Merrilor, in un modo o nell’altro. Il Drago Rinato starà combattendo a Thakan’dar. È lì che dobbiamo andare per sfuggire a questo posto sperduto.»
Vanin grugnì, ma Olver sorrise. Sarebbe riuscito a raggiungere Mat e gli avrebbe mostrato quanto poteva essere pericoloso in battaglia. Allora...
Be’, allora forse Mat non lo avrebbe lasciato come avevano fatto gli altri. Sarebbe stato un bene, poiché a Olver sarebbe servito l’aiuto di Mat per rintracciare quegli Shaido. Dopo tutto quello che aveva imparato addestrandosi con la Banda, era certo che nessuno lo avrebbe più prevaricato. E nessuno gli avrebbe mai più portato via quelli che amava.
«Negli archivi ci sono resoconti che spiegano ciò che abbiamo visto.» Cadsuane raccolse la sua tazza di tè per riscaldarsi le mani.
La ragazza aiel, Aviendha, sedeva sul pavimento della tenda. Cosa non darei per averla nella Torre, pensò Cadsuane. Queste Sapienti... avevano il combattimento dentro. Erano ossi duri, come le donne migliori della Torre Bianca.
Cadsuane era sempre più convinta che l’Ombra avesse ordito per anni un piano complesso per indebolire la Torre Bianca. Andava più in profondità della sfortunata deposizione di Siuan Sanche e del dominio di Elaida. Potevano passare decenni, secoli, prima che comprendessero la portata dei progetti dell’Ombra. Comunque, il semplice numero di sorelle Nere — centinaia, non le poche dozzine che aveva presunto Cadsuane — gridava ciò che era accaduto.
Per ora, Cadsuane doveva lavorare con quello che aveva. Ciò includeva queste Sapienti, poco addestrate nell’usare flussi ma mai carenti in determinazione. Utili. Come Sorilea, malgrado la sua debolezza nell’Unico Potere, che sedeva più in là nella tenda, a osservare.
«Ho fatto alcune ricerche, bambina» disse Cadsuane ad Aviendha. «Ciò che questa donna fa è effettivamente Viaggiare. Però, gli unici documenti frammentari che lo menzionano risalgono alla Guerra del Potere.»
Aviendha si accigliò. «Io non ho visto flussi, Cadsuane Sedai.»
Cadsuane mascherò un sorriso per il tono rispettoso. Il ragazzo al’Thor aveva messo questa ragazza al comando... E, per la verità, meglio lei di certi altri. Comunque, lui avrebbe dovuto scegliere Cadsuane, ed era probabile che Aviendha lo sapesse.
«Questo perché la donna non stava intessendo l’Unico Potere» replicò Cadsuane.
«E cos’altro sarebbe?»
«Sai perché il Tenebroso fu liberato in origine?»
Aviendha assunse un’espressione come se ricordasse qualcosa. «Ah... Sì. Allora stanno incanalando il potere del Tenebroso?»
«È chiamato il Vero Potere» disse Cadsuane. «I resoconti dicono che Viaggiare tramite il Vero Potere funziona nel modo in cui hai visto questa donna muoversi. Pochi l’hanno visto accadere. Il Tenebroso era parco con la sua essenza durante la Guerra del Potere, e solo a quelli più fedeli a lui veniva consentito l’accesso. Da questo fatto deduco che costei fosse con tutta probabilità una dei Reietti. Dalla tua descrizione di ciò che ha fatto alla povera Sarene, sospetto che si tratti di Graendal.»
«Le storie non hanno mai menzionato che Graendal fosse così orrenda» disse Sorilea piano.
«Se tu fossi una dei Reietti, facilmente riconoscibile dalla descrizione, non desidereresti cambiare il tuo aspetto per rimanere in incognito?»
«Forse» disse Sorilea. «Ma poi non userei questo... Vero Potere, come lo definisci tu. Ciò farebbe venir meno lo scopo del mio travestimento.»
«Da quello che Aviendha ci ha detto,» osservò Cadsuane «la donna non aveva molta scelta. Doveva fuggire rapidamente.»
Cadsuane e Sorilea incrociarono gli sguardi e ciascuna annuì in assenso. Loro due avrebbero dato la caccia a questa Reietta.
Non permetterò che tu muoia ora, ragazzo, pensò Cadsuane, lanciando un’occhiata sopra la spalla verso il punto dove al’Thor, Nynaeve e Moiraine continuavano il loro lavoro. Ogni incanalatore nell’accampamento poteva percepire quella pulsazione. Almeno non finché non avrai fatto ciò che devi. Cadsuane si aspettava che i Reietti fossero qui. Era quello il motivo per cui era venuta su questo fronte.
Il vento agitò la tenda, raggelando Cadsuane fino alle ossa. Questo posto era orribile, perfino quando la battaglia rallentava. Il terrore sospeso era come quello del funerale di un bambino. Soffocava le risate, uccideva i sorrisi. Il Tenebroso osservava. Luce, quanto sarebbe stato bello lasciare questo posto.
Aviendha bevve il suo tè. La donna sembrava ancora tormentata, anche se era evidente che aveva perso alleati in battaglia in precedenza.
«Li ho lasciati a morire» sussurrò lei.
«Puah» le disse Cadsuane. «Non hai colpa per le azioni di una dei Reietti, bambina.»
«Tu non capisci» disse Aviendha. «Eravamo in un circolo e loro hanno cercato di staccarsi — li ho percepiti — ma non sapevo cosa stava succedendo. Mi sono aggrappata al loro Potere, e così non hanno potuto combatterla. Li ho lasciati inermi.»
«Be’, d’ora in poi non lasciare indietro quelli del tuo circolo» disse Cadsuane bruscamente. «Non avresti potuto sapere cosa sarebbe successo.»
«Se sospetti che sia nelle vicinanze, Aviendha,» disse Sorilea «informerai Cadsuane, me o Amys. Non c’è vergogna nell’ammettere che un avversario è troppo forte per affrontarlo da soli. Sconfiggeremo questa donna assieme e proteggeremo il Car’a’carn.»
«Molto bene» disse Aviendha. «Ma voi farete lo stesso per me. Tutte voi.»
Attese. Cadsuane acconsentì con riluttanza, così come Sorilea.
Faile era accucciata in una tenda scura. L’aria si era raffreddata ancora di più, adesso che erano vicino a Thakan’dar. Fece scorrere il pollice lungo l’elsa del pugnale, inspirando in modo lento e regolare, poi lasciando andare il fiato alla stessa maniera. Fissò i lembi della tenda, le palpebre immobili.
Aveva messo il forziere del Corno lì con un angolo che spuntava nella notte. Si sentiva più sola qui al confine delle Terre Inaridite — circondata da presunti alleati — di quanto si era sentita nell’accampamento degli Shaido.
Due notti prima era stata chiamata fuori dalla tenda per esaminare alcune strane tracce che avevano preoccupato gli uomini. Non avevano perso nessuno da quando si erano avvicinati così tanto alle Terre Inaridite — quella parte del piano stava funzionando — ma la tensione era ancora alta. Era stata via solo pochi minuti, ma quando era tornata il baule del Corno nella sua tenda era stato spostato appena un poco.
Qualcuno aveva cercato di aprirlo. Luce. Per fortuna non erano riusciti a rompere la serratura e, quando aveva controllato, il Corno era ancora lì.
Il traditore poteva essere chiunque. Una delle Braccia Rosse, un carrettiere, un membro dei Cha Faile. Faile aveva trascorso le due notti passate sorvegliando in modo estremamente vigile — in maniera evidente, perfino — il forziere per scoraggiare il ladro. Poi, quella notte, aveva lamentato un mal di testa e aveva permesso a Setalle di prepararle del tè che la aiutasse a dormire. Aveva portato con sé il tè nella tenda, non ne aveva bevuto neanche un sorso e adesso se ne stava accucciata, in attesa.
L’angolo del forziere che spuntava nella notte sarebbe stato evidente. Ci avrebbero provato di nuovo? Come precauzione, Faile aveva tolto il Corno dal baule e l’aveva portato nel posto dove andava a rispondere al richiamo della natura. L’aveva nascosto lì in un anfratto di roccia e, nel tornare, aveva messo gli Cha Faile di ronda per la notte, lontano dalla sua tenda. A loro non era piaciuto lasciarla senza sorveglianza, ma Faile aveva messo in chiaro che le tensioni tra gli uomini la preoccupavano.
Quello sarebbe stato sufficiente. Volesse la Luce che fosse sufficiente.
Passarono ore e Faile rimase accucciata in quella stessa posizione, pronta a balzare su e dare l’allarme nel momento in cui qualcuno avesse cercato di entrare nella sua tenda. Di sicuro ci avrebbero provato di nuovo, quando ritenevano che lei stesse male.
Nulla. Le facevano male i muscoli, ma non si mosse. Il ladro poteva essere là fuori, al buio, in attesa. Domandandosi se fosse il momento giusto per colpire, per afferrare il Corno e scappare dai suoi padroni. Era...
Un urlo infranse la notte.
Faile tentennò. Una distrazione?
Quell’urlo, pensò, valutando la direzione. Proveniva... da poco a ovest di qui.
Vicino al punto in cui aveva nascosto il Corno. Faile imprecò, prendendo una decisione immediata. Il forziere era vuoto. Se avesse abboccato all’amo e fosse stato davvero solo un diversivo, non avrebbe perso nulla. Se, d’altro canto, il ladro aveva previsto le sue mosse... Schizzò fuori dalla tenda mentre gli altri si alzavano lentamente dai loro giacigli. I membri dei Cha Faile si muovevano di corsa per il campo. L’urlo giunse di nuovo.
Fu accompagnato da uno stridio terribile, di un tipo che li aveva seguiti in lontananza.
Faile passò di corsa tra alcune erbacce sottili punteggiate dalla Macchia. Correre lì in mezzo era un’azione sciocca in un luogo dove un ramoscello poteva ucciderti, ma non stava pensando con chiarezza.
Arrivò per prima sulla scena, raggiungendo la zona dove aveva nascosto il Corno. Lì c’era non solo Vanin, ma anche Haman. Vanin teneva stretto il Corno di Valere tra braccia spesse mentre Haman combatteva contro qualche specie di bestia dalla pelliccia scura, urlando e menando fendenti con la spada.
Vanin guardò Faile e diventò pallido come la camicia di un Manto Bianco.
«Ladro!» urlò Faile. «Fermatelo! Ha rubato il Corno di Valere!»
Vanin lanciò un grido, gettando il Corno come se l’avesse morso, poi schizzando via. Luce, quanto poteva muoversi rapido per uno della sua mole! Afferrò Haman per la spalla, tirandolo di lato mentre la bestia urlava il suo terribile latrato.
Altri ruggiti giunsero in lontananza. Faile slittò lungo il terreno, afferrando il Corno e stringendolo a sé. Questi uomini non erano ladruncoli comuni. Non solo avevano capito il suo piano, ma avevano previsto con esattezza dove aveva nascosto il Corno. Si sentì come una contadinotta che si fosse appena fatta infinocchiare da un tizio con la truffa dei tre bicchieri.
Quelli che erano venuti di corsa con lei rimasero stupefatti nel vedere il Corno oppure il mostro. La creatura stridette; assomigliava a una specie di orso con troppe braccia, anche se era più grossa di qualunque orso Faile avesse mai visto. Si rimise in piedi barcollando. Non era il momento di cercare i ladri, dato che la bestia si faceva strada a forza tra le guardie di Faile. Strappò la testa a un membro dei Cha Faile, strepitando.
Faile urlò, scagliando un coltello mentre Arrela colpiva ripetutamente una spalla con la spada. Proprio allora, una seconda bestia giunse a passi pesanti sopra le rocce accanto a Faile.
Lei imprecò, balzando via e scagliando un altro coltello. La colpì... O almeno la cosa lanciò un urlo che sembrava di rabbia e dolore. Mentre Mandevwin giungeva a cavallo, portando una torcia, la luce rivelò che quelle cose orribili avevano facce simili a insetti, con una moltitudine di denti come zanne. Il coltello di Faile spuntava da un occhio bulboso.
«Proteggete Lady Faile!» urlò Mandevwin, gettando lance alle Braccia Rosse vicine, che le conficcarono dentro il primo mostro, spingendolo via da Arrela, la quale si allontanò barcollando, sanguinante. La donna non aveva perso la sua spada, però.
Faile indietreggiò mentre i Cha Faile si organizzavano attorno a lei, poi abbassò lo sguardo su ciò che aveva tra le mani.
Il Corno di Valere stesso, tirato fuori dal sacco in cui l’aveva nascosto. Poteva suonarlo...
No, pensò. È legato a Cauthon. Per lei sarebbe stato solo un semplice corno.
«Difendete!» disse Mandevwin, facendo balzare indietro il cavallo quando una delle bestie vi si lanciò contro. «Verdin, Laandon, ci servono più lance! Andate! Queste cose combattono come cinghiali. Attiratele in avanti e impalatele!»
Quella tattica funzionò su uno dei mostri, ma, mentre Mandevwin urlava, l’altro lo caricò e afferrò il suo cavallo per il collo. La bestia si scrollò via dei soldati che cercavano di colpirla e Mandevwin cadde a terra con un grugnito.
Ancora tenendo stretto il Corno, Faile si precipitò oltre il punto in cui un gruppo di Braccia Rosse era riuscito a infilzare l’altra bestia. Afferrò una torcia appena accesa e la tirò verso l’altro mostro, bruciandogli la pelliccia sulla schiena. La cosa mugghiò quando il fuoco si diffuse su per la schiena e la pelliccia ardeva come legna secca. Lasciò andare il cavallo morto di Mandevwin, a cui aveva quasi staccato la testa, e si contorse, strepitando e ululando.
«Prendete i feriti!» ordinò Faile. Lei afferrò un membro della Banda per il braccio. «Occupatevi di Mandevwin!»
L’uomo guardò a occhi sgranati il Corno che lei teneva in mano, poi si riscosse e annuì, chiamando altri due perché lo aiutassero a sollevare Mandevwin.
«Mia signora?» chiese Aravine, in piedi accanto ai cespugli lì dietro. «Cosa sta succedendo?»
«Due Braccia Rosse hanno tentato di rubare quello che stavo trasportando» disse Faile. «Adesso dovremo allontanarci a cavallo nella notte.»
«Ma...»
«Ascolta!» disse Faile, indicando verso l’oscurità.
In lontananza, risuonarono una dozzina di strepiti diversi, in risposta alle urla della bestia morente.
«Quelle grida attireranno altri orrori, così come l’odore di sangue versato. Andiamo. Se riusciamo ad arrivare abbastanza in profondità nelle Terre Inaridite stanotte, potremmo essere al sicuro. Sveglia il campo e metti i feriti sui cavalli. Prepara tutti quanti per una rapida marcia forzata. Presto!»
Aravine annuì, precipitandosi via. Faile riservò un’occhiata nella direzione in cui Haman e Vanin erano andati. Desiderava dar loro la caccia, ma seguirli nella notte avrebbe richiesto di muoversi lentamente, e avrebbe significato morte. Inoltre, chi poteva sapere a quali risorse avevano accesso un paio di Amici delle Tenebre?
Sarebbero fuggiti. E, Luce, Faile sperava di non essere stata ingannata più di quanto sembrava. Se Vanin avesse in qualche modo pensato di preparare un Corno finto, una replica da lasciare che Faile ‘salvasse’ mentre lui fuggiva...
Non l’avrebbe mai saputo. Faile avrebbe raggiunto l’Ultima Battaglia con un Corno falso e forse li avrebbe condannati tutti. Quella possibilità la ossessionava mentre i membri della carovana si muovevano rapidi nell’oscurità, confidando nella Luce e nella fortuna per sfuggire ai pericoli della notte.