44 Due artigiani

Perrin si svegliò sentendo un fruscio. Socchiuse gli occhi, guardingo, e si ritrovò in una stanza buia.

Il palazzo di Berelain, si ricordò. Fuori il suono delle onde si era attenuato, i richiami dei gabbiani si erano acquietati. In lontananza rombava il tuono.

Che ora era? Odorava di mattina, ma fuori era ancora buio. Aveva problemi a distinguere la sagoma scura che si muoveva per la stanza verso di lui. Si tese finché non avverti l’odore.

«Chiad?» chiese, mettendosi a sedere.

La Aiel non sobbalzò, anche se Perrin era certo di averla sorpresa, dal modo in cui si fermò. «Non dovrei essere qui» bisbigliò lei. «Sto spingendo il mio onore al limite stesso di ciò che sarebbe consentito.»

«È l’Ultima Battaglia, Chiad» disse Perrin. «Ti è consentito forzare alcuni limiti... Sempre che non abbiamo già vinto.»

«La battaglia a Merrilor è vinta, ma la battaglia più grande, quella a Thakan’dar, infuria ancora.»

«Mi occorre tornare al lavoro» disse Perrin. Aveva solo i suoi indumenti intimi. Non lasciò che lo infastidisse. Una Aiel come Chiad non sarebbe arrossita. Spinse via la coperta.

Purtroppo la stanchezza schiacciante dentro di lui era scemata solo un poco. «Non hai intenzione di dirmi di stare a letto?» chiese, cercando stancamente camicia e pantaloni. Erano piegati con il martello ai piedi del letto. Dovette appoggiarsi contro il materasso per arrivarci. «Non avrai intenzione di dirmi che non sta a me combattere mentre sono stanco? Ogni donna che conosco sembra pensare che sia uno dei suoi compiti principali.»

«Ho scoperto» disse Chiad in tono asciutto «che rimarcare la stupidità serve solo a rendere gli uomini più stupidi. Inoltre sono gai’shain. Non spetta a me.»

Lui la guardò, e anche se non riuscì a vederla arrossire al buio, poteva fiutare il suo imbarazzo. Non si stava comportando molto da gai’shain. «Rand avrebbe dovuto semplicemente liberarvi tutti dai vostri voti.»

«Lui non ha quel potere» replicò lei accalorata.

«A che serve l’onore se il Tenebroso vince l’Ultima Battaglia?» sbottò Perrin, infilandosi i pantaloni.

«È tutto» disse Chiad piano. «Vale la morte, vale rischiare il mondo stesso. Se non abbiamo onore, meglio perdere.»

Be’, Perrin supponeva che avrebbe potuto dire lo stesso per altre cose. Non indossando sciocche vesti bianche, naturalmente... Ma non avrebbe fatto alcune delle cose che avevano fatto i Manti Bianchi anche se fosse stato in gioco il destino del mondo. Non la incalzò oltre.

«Perché sei qui?» le chiese, mettendosi la camicia.

«Gaul» disse Chiad. «È...»

«Oh, Luce!» esclamò Perrin. «Avrei dovuto dirtelo prima. Di recente ho limatura di ferro al posto del cervello, Chiad. Stava bene quando l’ho lasciato. È ancora nel sogno, e il tempo passa più lentamente dove si trova lui. Probabilmente lì è passata circa un’ora, ma mi occorre tornare da lui.»

«Nelle tue condizioni?» chiese lei, ignorando il fatto di aver detto che non lo avrebbe rimproverato per quello.

«No» disse Perrin, sedendosi sul letto. «L’ultima volta mi sono quasi rotto l’osso del collo. Ho bisogno che una delle Aes Sedai mi curi dalla fatica.»

«Questa cosa è pericolosa» disse Chiad.

«Più pericolosa di lasciar morire Rand?» disse Perrin. «Più pericolosa di lasciare Gaul senza un alleato nel Mondo dei Sogni, a proteggere il Car’a’carn da solo?»

«È probabile che si infilzi con la sua stessa lancia, se lo si lascia a combattere da solo» disse Chiad.

«Non intendevo...»

«Zitto, Perrin Aybara. Tenterò.» Se ne andò in un fruscio di stoffa.

Perrin tornò a stendersi sul letto, sfregandosi gli occhi con i palmi. Era stato molto più sicuro di sé quando aveva affrontato l’Assassino quest’ultima volta, tuttavia aveva fallito comunque. Strinse i denti, sperando che Chiad tornasse presto.

Qualcosa si mosse fuori dalla sua stanza. Perrin si riscosse, mettendosi di nuovo in posizione seduta.

Una grossa sagoma oscurò la soglia, poi tolse lo schermo da una lampada. Mastro Luhhan aveva la corporatura di un’incudine, un torace compatto — eppure possente — e braccia muscolose. Perrin non se lo ricordava con così tanto grigio tra i capelli. Mastro Luhhan era invecchiato, ma non era fragile. Perrin dubitava che lo sarebbe mai stato.

«Lord Occhidoro?» chiese.

«Luce, per favore» disse Perrin. «Mastro Luhhan, proprio tu dovresti sentirti libero di chiamarmi Perrin. Se non ‘quel mio inutile apprendista’.»

«Suvvia» disse Mastro Luhhan, entrando nella stanza. «Non aedo di averti chiamato così tranne quella volta.»

«Quando ruppi la lama nuova per la falce di Mastro al’Moor» disse Perrin con un sorriso. «Ero certo di riuscire a farcela.»

Mastro Luhhan ridacchiò. Si soffermò accanto al martello di Perrin, ancora poggiato sul tavolo ai piedi del letto, e vi posò sopra le dita. «Sei diventato un maestro artigiano.» Mastro Luhhan si sedette su uno sgabello accanto al letto. «Da un artigiano a un altro, sono colpito. Non penso che io avrei mai potuto creare qualcosa di tanto squisito quanto quel martello.»

«Tu hai fatto l’ascia.»

«Immagino di sì» disse lui. «Non era qualcosa di bello. Era qualcosa per uccidere.»

«A volte uccidere è necessario.»

«Sì, ma non è mai bello. Mai.»

Perrin annuì. «Grazie. Per avermi trovato, per avermi portato qui. Per avermi salvato.»

«È stato egoismo, figliolo!» disse Mastro Luhhan. «Se sfuggiamo a questo, sarà grazie a voi ragazzi, e quello che ti dico è vero.» Scosse il capo, come se non riuscisse a crederci. Cera almeno un uomo che ricordava loro tre giovani... Giovani che, almeno nel caso di Mat, si erano messi molto spesso nei pasticci.

In effetti, pensò Perrin, sono piuttosto certo che Mat si metta ancora nei pasticci molto spesso. Almeno, al momento, non stava combattendo bensì parlando con dei Seanchan, stando ai colori turbinanti che si condensarono in un’immagine.

«Chiad ha detto che la battaglia a Merrilor è terminata?» chiese Perrin.

«Proprio così» disse Mastro Luhhan. «Io ne sono venuto fuori per portare alcuni dei nostri feriti. Dovrei tornare da Tam e Abell presto, ma volevo vedere come stavi.»

Perrin annuì. Quello strattone dentro di lui... Semmai stava diventando più forte, ora più che mai. Rand aveva bisogno di lui. La guerra non era ancora finita. Niente affatto.

«Mastro Luhhan» disse Perrin con un sospiro. «Ho commesso un errore.»

«Un errore?»

«Mi sono ridotto allo stremo» disse Perrin. «Ho cercato di strafare.» Chiuse la mano a pugno e colpì il palo d’angolo del letto. «So che non avrei dovuto, Mastro Luhhan. Lo faccio sempre. Lavoro fino allo sfinimento, mi rendo inutile per il giorno dopo.»

«Perrin ragazzo» disse Mastro Luhhan, sporgendosi in avanti. «Oggi sono più preoccupato che possa non esserci un giorno dopo.»

Perrin alzò lo sguardo su di lui, accigliato.

«Se dovesse mai esserci un tempo per dare tutto te stesso, è questo» disse Mastro Luhhan. «Abbiamo vinto una battaglia, ma se il Drago Rinato non vince la sua... Luce, non penso affatto che tu abbia commesso un errore. Questa è la nostra ultima possibilità. Questa è la mattina in cui va consegnato il pezzo grosso. Oggi non devi far altro che lavorare finché non sarà completato.»

«Ma se crollo...»

«Allora avrai dato tutto te stesso.»

«Potrei fallire perché mi sono già stancato fino a esaurire le forze.»

«Allora almeno non avrai fallito perché ti sei trattenuto. So che non è bello da sentire, e forse mi sbaglio. Ma... Be’, tutto ciò di cui stai parlando sono buoni consigli per una giornata ordinaria. Questa non è una giornata ordinaria. No che non lo è, per la Luce.»

Mastro Luhhan prese Perrin per il braccio. «Puoi vedere in te stesso qualcuno che si lascia andare troppo, ma non è quello l’uomo che vedo io. Semmai, Perrin, ho visto in te qualcuno che ha imparato a trattenersi. Ti ho osservato tenere una tazza da tè con delicatezza estrema, come se temessi di romperla. Ti ho visto stringere la mano a un uomo, tenendogliela con cautela, mai strizzando troppo forte. Ti ho osservato muoverti con intenzionale ritrosia, per non spintonare nessuno o sbattere a terra nulla.

«È un bene che tu abbia imparato quelle lezioni, figliolo. Avevi bisogno di autocontrollo. Ma in te ho visto un ragazzo diventare un uomo che non sa come lasciar andare quelle barriere. Vedo un uomo spaventato di cosa succede quando va un poco fuori controllo. Mi rendo conto che lo fai perché hai paura di far del male alla gente. Ma, Perrin... È il momento di smettere di trattenerti.»

«Non mi sto trattenendo, Mastro Luhhan» protestò Perrin. «Davvero, lo giuro.»

«Ah no? Be’, forse hai ragione.» All’improvviso Mastro Luhhan odorò di imbarazzo. «Guardami. Eccomi, a comportarmi come se fossero affari miei. Non sono tuo padre, Perrin. Mi dispiace.»

«No» disse Perrin quando Mastro Luhhan si alzò per andarsene. «Io non ho più un padre.»

Mastro Luhhan gli rivolse un’occhiata addolorata. «Ciò che hanno fatto quei Trolloc...»

«La mia famiglia non è stata uccisa dai Trolloc» disse Perrin piano. «È stato Padan Fain.»

«Cosa? Ne sei certo?»

«Me l’ha detto uno dei Manti Bianchi» rispose Perrin. «Non stava mentendo.»

«Bene, allora» disse Luhhan. «Fain... È ancora là fuori, vero?»

«Sì» disse Perrin. «Odia Rand. E c’è un altro uomo. Lord Luc. Te lo ricordi? Gli è stato ordinato di uccidere Rand. Penso... penso che stiano cercando entrambi di eliminarlo, prima che sia finita.»

«Allora dovrai assicurarti che non ci riescano, giusto?»

Perrin sorrise, poi si voltò verso il suono di passi all’esterno. Chiad entrò un attimo dopo e lui poté fiutare la sua irritazione perché l’aveva sentita arrivare. Seguì Bain, un’altra figura completamente in bianco. E dopo di loro...

Masuri. Non la Aes Sedai che avrebbe scelto lui. Perrin sentì le labbra serrarsi.

«Non ti piaccio» disse Masuri. «Lo so.»

«Non l’ho mai detto» ribatté Perrin. «Mi sei stata di grande aiuto durante i nostri viaggi.»

«Eppure non ti fidi di me, ma non è questo il punto. Vuoi che la tua forza venga ripristinata e probabilmente io sono l’unica disposta a farlo per te. Le Sapienti e le Gialle ti sculaccerebbero come un bambino.»

«Lo so» disse Perrin, mettendosi a sedere sul letto. Esitò. «Ho bisogno di sapere perché incontravi Masema alle mie spalle.»

«Sono venuta qui per adempiere a una richiesta,» disse Masuri, odorando di divertimento «e tu vieni a dirmi che non mi permetterai di farti quel favore finché non avrò risposto a un interrogatorio?»

«Perché l’hai fatto, Masuri?» disse Perrin. «Sputa il rospo.»

«Progettavo di usarlo» disse la snella Aes Sedai.

«Usarlo.»

«Avere influenza presso uno che si faceva chiamare il Profeta del Drago sarebbe potuto tornare utile.» Odorava di imbarazzo. «Era un momento diverso, Lord Aybara. Prima che ti conoscessi. Prima che chiunque di noi ti conoscesse.»

Perrin grugnì.

«Sono stata sciocca» disse Masuri. «È quello che volevi sentire? Sono stata sciocca ma ho imparato.»

Perrin la fissò, poi sospirò, offrendole il braccio. Era comunque una risposta da Aes Sedai, ma una delle più dirette che avesse sentito. «Fallo» disse. «E grazie.»

Lei gli prese il braccio. Perrin sentì la fatica evaporare, spinta indietro come una vecchia trapunta ficcata in una piccola scatola. Perrin si sentì rinvigorito, rafforzato. Di nuovo potente. Fece praticamente un balzo alzandosi in piedi.

Masuri si afflosciò, sedendosi sul letto. Perrin flesse la mano, abbassando lo sguardo sui pugni. Si sentiva come se potesse sfidare chiunque, perfino il Tenebroso in persona. «Mi sento magnificamente.»

«Mi è stato detto che eccello in questo particolare flusso» disse Masuri. «Ma stai attento, può...»

«Sì» disse Perrin. «Lo so. Il corpo è ancora stanco. Solo che non posso sentirlo.» E, mentre ci rifletteva, quell’ultima parte non era esattamente vera. Poteva percepire la propria fatica, come un serpente in profondità nel suo buco, che attendeva in agguato. L’avrebbe consumato di nuovo.

Quello voleva dire che prima doveva finire il suo lavoro. Inspirò a fondo, poi chiamò a sé il martello. Non si mosse.

Giusto, pensò. Questo è il mondo reale, non il sogno del lupo. Si avvicinò e fece scivolare il martello nei lacci alla cintura, quelli che aveva fatto apposta per contenere l’arma. Si voltò verso Chiad, in piedi presso la porta; poteva fiutare anche Bain là fuori, dove si era ritirata. «Lo troverò» disse Perrin. «Se è ferito, lo porterò qui.»

«Fallo,» disse Chiad «ma non ci troverai qui.»

«State andando a Merrilor?» chiese Perrin, sorpreso.

Chiad disse: «Alcuni di noi sono necessari per portare qui i feriti a essere Guariti. Non è una cosa che i gai’shain hanno fatto in passato, ma forse è qualcosa che possiamo fare in questa occasione.»

Perrin annuì, poi chiuse gli occhi. Si immaginò prossimo al sonno, alla deriva. Il suo tempo nel sogno del lupo aveva addestrato bene la sua mente. Poteva ingannare sé stesso, se si concentrava. Non cambiava il mondo qui, ma cambiava le sue percezioni.

Sì... Scivolare in prossimità del sonno... E lì c’era il sentiero. Prese la diramazione verso il sogno del lupo in carne e ossa e colse giusto un accenno di rantolo da parte di Masuri quando avvertì sé stesso traslare fra i mondi.

Aprì gli occhi e precipitò fra raffiche di vento. Creò una sacca d’aria calma, poi colpì il terreno al di sotto con gambe irrobustite. Del palazzo di Berelain restavano solo poche mura vacillanti su questo lato. Una di esse si sgretolò. Le pietre andavano in frantumi e venivano tirate nel cielo dai venti. La città al di là era quasi sparita, cumuli di pietre sparse indicavano dove un tempo erano sorti gli edifici. Il cielo gemeva come metallo piegato.

Perrin evocò il suo martello, poi cominciò la caccia un’ultima volta.


Thom Merrilin sedeva su un grosso macigno annerito dalla fuliggine, a fumare la pipa e guardare il mondo finire.

Sapeva un paio di cose sul trovare il posto migliore per assistere a uno spettacolo. Valutava che questo fosse il posto migliore al mondo. Il suo macigno era proprio accanto all’ingresso per il Pozzo del Destino, abbastanza vicino che, se si fosse sporto all’indietro e avesse strizzato gli occhi, avrebbe potuto sbirciare dentro e cogliere alcune delle luci e ombre che giocavano lì dentro. Lanciò un’occhiata. Non era cambiato nulla.

Resta al sicuro là dentro, Moiraine, pensò. Per favore.

Era anche abbastanza vicino al limitare del sentiero per guardare sulla valle sottostante. Prese una boccata dalla pipa, toccandosi i baffi con le nocche.

Qualcuno doveva registrare questo. Non poteva trascorrere tutto il tempo a preoccuparsi per lei. Così cercò nella mente le parole giuste per descrivere quello che stava vedendo. Mise da parte parole come ‘epico’ ed ‘epocale’. Erano quasi logore per il troppo uso.

Una folata di vento soffiò per la valle, increspando i cadin’sor di Aiel che combattevano nemici dal velo rosso. Giunsero scariche di fulmini, che colpirono la fila di Fautori del Drago che difendevano il sentiero che saliva fino all’ingresso della caverna. Quei lampi mandarono degli uomini in aria. Poi, quei fulmini iniziarono a colpire i Trolloc. Le nuvole andavano avanti e indietro con le Cercavento che prendevano il controllo del clima e l’Ombra che poi se ne rimpossessava. Nessuno schieramento era ancora riuscito a ottenere un vantaggio netto per lungo tempo.

Imponenti bestie scure devastavano la valle, uccidendo con facilità. I Segugi Neri non cadevano malgrado gli sforzi combinati di dozzine di persone. Il lato destro della valle era coperto da una nebbia tanto fitta che, per qualche motivo, i venti di tempesta non riuscivano a smuoverla.

‘Culminante’? pensò Thom, masticando il cannello della pipa. No. Troppo prevedibile. Se usavi le parole che la gente si aspettava, quelli si annoiavano. Una grande ballata doveva essere inattesa.

Mai prevedibile. Quando la gente iniziava a prevederti, quando iniziava ad aspettarsi le tue coloriture, a cercare la pallina che avevi nascosto con un abile gioco di mano o a sorridere prima che tu raggiungessi il colpo di scena del tuo racconto, era il momento di prendere il mantello, inchinarti ancora una volta tanto per andare sul sicuro e congedarti. Dopotutto, era il minimo che si sarebbero aspettati quando tutto stava andando bene.

Si sporse di nuovo indietro, scrutando nel cunicolo. Non poteva vederla, naturalmente. Era troppo all’interno. Ma poteva percepirla nella mente grazie al legame.

Fissava la fine del mondo con coraggio e determinazione. Involontariamente, Thom sorrise.

Sotto, la battaglia infuriava come un tritacarne che dilaniava uomini e Trolloc in pezzi di carne morta. Gli Aiel combattevano ai margini del campo di battaglia, ingaggiando i loro cugini presi dall’Ombra. Parevano uguali in termini di forza, o lo erano stati prima dell’arrivo di quei Segugi Neri.

Questi Aiel erano inarrestabili, però. Non sembravano affatto stanchi, anche se era trascorso... Thom non riusciva a stabilire quanto tempo fosse trascorso. Aveva dormito forse cinque o sei volte da quando erano arrivati a Shayol Ghul, ma non sapeva se contrassegnasse i giorni. Controllò il cielo. Nessun segno del sole, anche se l’incanalare delle Cercavento, unito alla Coppa dei Venti, aveva evocato una grossa fila di nuvole bianche che erano entrate in collisione con quelle nere. Le nuvole parevano impegnate in una loro battaglia, un’immagine speculare del combattimento lì sotto. Nero contro bianco.

«Periglioso?» disse. No, non era la parola giusta. Di sicuro avrebbe tratto una ballata da tutto questo. Rand se la meritava. Anche Moiraine. Sarebbe stata una vittoria per lei quanto per lui. Gli servivano parole. Le parole giuste.

Le cercò mentre udiva gli Aiel battere le lance contro gli scudi mentre correvano in battaglia. Mentre sentiva l’ululato del vento dentro il cunicolo poteva percepire Moiraine lì in fondo.

Sotto, i balestrieri domanesi ricaricavano freneticamente. Una volta erano in migliaia a tirare. Adesso ne rimaneva solo una parte.

Forse... ‘terrificante’.

Quella era una parola giusta, ma non la parola giusta. Poteva non essere inattesa, ma era estremamente vera. La sentì fino alle ossa. Sua moglie lottava per la vita. Le forze della Luce stavano spingendo quasi fino all’orlo della morte. Luce, quanto era spaventato. Per lei. Per tutti quanti.

Ma la parola era pedestre. Gli serviva qualcosa di meglio, qualcosa di perfetto.

Sotto, i Tairenesi affondavano disperatamente le armi ad asta contro i Trolloc che li attaccavano. I Fautori del Drago combattevano con numerosi tipi di armi. Un ultimo carro a vapore giaceva in pezzi lì vicino, con frecce e quadrelli portati attraverso l’ultimo passaggio da Baerlon. Erano ore che non ricevevano rifornimenti. La distorsione del tempo e la tempesta stavano influenzando l’Unico Potere.

Thom prese un appunto speciale sul carro: gli sarebbe servito usarlo in modo che preservasse la sua meraviglia, mostrando come i freddi lati di ferro avevano deviato frecce prima che cadesse.

C’era eroismo in ogni frase, in ogni tiro d’arco e in ogni mano che impugnava un’arma. Come trasmetterlo? Ma come trasmettere anche la paura, la distruzione, la totale bizzarria di tutto? Il giorno prima — in una strana specie di tregua sanguinosa — entrambi gli schieramenti si erano fermati per togliere i corpi.

Gli serviva una parola che desse la sensazione del caos, della morte, della cacofonia, del puro coraggio.

Sotto, un gruppo stanco di Aes Sedai iniziò a muoversi su per il sentiero dove Thom attendeva. Superarono arcieri che esaminavano con occhi acuti il campo di battaglia in cerca di Fade.

‘Squisito’ pensò Thom. Ecco la parola. Inattesa ma vera. Maestosamente squisito. No. Non ‘maestosamente’. Quella parola può reggersi da sola. Se è la parola giusta, funzionerà senza aiuto. Se è la parola sbagliata, aggiungervene altre la farà soltanto sembrare disperata.

Era così che doveva essere la fine. Il cielo che si squarciava mentre le fazioni combattevano per il controllo degli elementi stessi, persone di diverse nazionalità che tenevano terreno con le ultime forze. Se avesse vinto la Luce, lo avrebbe fatto per un margine minimo.

È questo che ottieni, vecchio, ricordò a sé stesso, per non sapere quando lasciar andare. Era lieto che non sarebbe stato in grado di fuggire, che i suoi tentativi di lasciare indietro Rand, Mat e gli altri fossero falliti. Avrebbe davvero voluto starsene seduto in qualche locanda tranquilla mentre si svolgeva l’Ultima Battaglia? Mentre lei andava lì dentro da sola?

Il gruppo di Aes Sedai in avvicinamento si divise: alcune restavano sotto, mentre una zoppicava stancamente verso la caverna. Cadsuane. C’erano meno Aes Sedai di quante ce n’erano state prima; le perdite stavano aumentando. Naturalmente, molti di quelli che erano qui sapevano che li aspettava la morte. Questa battaglia era la più disperata e chi combatteva qui aveva minori probabilità di sopravvivere. Ogni dieci che erano venuti a Shayol Ghul per combattere, soltanto uno era ancora vivo. Thom sapeva per certo che il vecchio Rodel Ituralde aveva mandato una lettera di addio a sua moglie prima di accettare questo comando. E aveva fatto bene.

Cadsuane annuì verso Thom, poi proseguì verso la caverna dove Rand stava lottando per il destino del mondo. Non appena ebbe dato le spalle a Thom, lui scagliò un unico coltello — l’altra mano reggeva ancora la pipa in bocca — in aria. Colpì la Aes Sedai nella schiena, proprio nel mezzo, recidendo la spina dorsale.

Lei crollò come un sacco di patate.

È un’altra espressione abusata, pensò Thom prendendo una boccata dalla pipa. Un sacco di patate? Mi servirà una similitudine diversa. Inoltre, quante volte cadono i sacchi di patate? Non spesso. Lei crollò come... Come cosa? Orzo che usciva dall’estremità squarciata di un sacco, riversandosi per terra in un mucchio. Sì, funzionava meglio.

Quando la Aes Sedai colpì il suolo, il flusso svanì, rivelando un’altra faccia dietro la maschera di ‘Cadsuane’ che aveva usato. Thom riconobbe questa donna, vagamente. Una Domanese. Come si chiamava? Jeaine Caide. Proprio così. Era una donna graziosa.

Thom scosse il capo. L’andatura era tutta sbagliata. Nessuna di loro si rendeva conto che l’andatura di una persona era un tratto distintivo quanto il naso? Ogni donna che cercava di sgattaiolare davanti a lui presumeva che cambiare faccia e abito — forse voce — sarebbe stato sufficiente a ingannarlo.

Thom scese dal suo posto rialzato e afferrò il cadavere sotto le braccia, poi lo ficcò in una cavità lì vicino: c’erano cinque corpi ora, perciò stava diventando affollato. Prese una boccata dalla pipa e si tolse il mantello, mettendolo lì per coprire la mano morta della sorella Nera che spuntava fuori.

Controllò ancora una volta lungo il cunicolo; anche se non riusciva a vedere Moiraine, guardare lo confortava. Poi tornò sul posto e tirò fuori un foglio di carta e la penna. E — tra il tuono, le urla, le esplosioni e l’ululato del vento — iniziò a comporre.

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