11 Un mercenario qualunque

«Mi rendo conto che ci sono stati... disaccordi tra noi in passato» disse Adelorna Bastine, cavalcando accanto a Egwene mentre passavano attraverso l’accampamento. Adelorna era una donna magra e regale; gli occhi a mandorla e i capelli scuri tradivano il suo retaggio saldaeano. «Non vorrei che tu ci considerassi nemiche.»

«Non l’ho fatto» disse Egwene con cautela «e non lo faccio.» Non chiese chi intendeva Adelorna con quel ‘ci’. Era una Verde, e per qualche tempo Egwene aveva sospettato che fosse lei il Capitano Generale, il nome che le Verdi davano al capo della loro Ajah.

«Questo è un bene» disse Adelorna. «Alcune della nostra Ajah si sono comportate con stupidità. Sono state... informate dei loro errori. Non incontrerai ulteriori resistenze da coloro che avrebbero dovuto amarti quanto e più delle altre, Madre. Qualunque cosa sia successa, lasciamo che sia morta e sepolta.»

«Lasciamola morta e sepolta» concordò Egwene, divertita. Ora, pensò. Dopo tutto questo, le Verdi cercano di rivendicarmi?

Be’, lei le avrebbe usate. Era stata preoccupata che il suo rapporto con loro fosse ormai irreparabile. Scegliere Silviana come sua Custode degli Annali aveva fatto deridere a molte di trattarla come una nemica. Egwene aveva udito voci secondo cui molte pensavano che lei avrebbe scelto la Rossa come sua Ajah, malgrado il fatto che non solo aveva un Custode ma l’aveva anche sposato.

«Se posso chiedere» disse Egwene. «C’è qualche accadimento particolare che ha creato questo... ponte tra le nostre difficoltà?»

«Alcune ignorano testardamente quello che hai fatto durante l’invasione dei Seanchan, Madre» disse Adelorna. «Hai dimostrato di avere lo spirito di un guerriero. Di un generale. Si tratta di qualcosa che l’Ajah Verde non deve ignorare. In effetti, dobbiamo considerarlo un esempio. Perciò è stato deciso, e così hanno parlato coloro che guidano l’Ajah.» Adelorna incontrò gli occhi di Egwene, poi chinò il capo.

L’implicazione era ovvia. Adelorna era il capo dell’Ajah Verde. Dirlo a chiare lettere non sarebbe stato appropriato, ma confidare a Egwene questa informazione era un segno di fiducia e rispetto.

Se fossi stata veramente innalzata da noi, diceva quell’azione, avresti saputo chi ci guidava. Avresti conosciuto i nostri segreti. Io te li affido. C’era anche gratitudine in quella mossa. Egwene aveva salvato la vita di Adelorna durante l’attacco dei Seanchan alla Torre Bianca.

L’Amyrlin non era di nessuna Ajah, ed Egwene esprimeva davvero questa virtù più di chiunque altra prima di lei, poiché non era mai appartenuta a una Ajah. Tuttavia, quel gesto era toccante. Posò la mano sul braccio di Adelorna come ringraziamento, poi le diede il permesso di allontanarsi.

Gawyn, Silviana e Leilwin cavalcavano da una parte, dove Egwene li aveva mandati dopo che Adelorna aveva chiesto di scambiare due parole in privato. Quella Seanchan... Egwene oscillava tra il tenerla vicino per sorvegliarla e mandarla lontano, molto lontano.

Le informazioni di Leilwin sui Seanchan erano state utili. A quello che era riuscita a stabilire, Leilwin le aveva detto la precisa verità. Per ora, Egwene la teneva vicino, anche solo per il fatto che spesso le venivano in mente altre domande sui Seanchan. Leilwin si comportava più come una guardia del corpo che come una prigioniera. Come se Egwene avrebbe mai affidato la sua sicurezza a una Seanchan. Scosse il capo, cavalcando tra le tende e i fuochi da campo radunati dell’esercito. Per la maggior parte erano vuoti, dal momento che Bryne aveva fatto mettere gli uomini in formazione da battaglia. Si aspettava che i Trolloc si avvicinassero entro un’ora.

Egwene trovò Bryne che organizzava tranquillamente le sue mappe e carte in una tenda vicino al centro dell’accampamento. Lì c’era Yukiri, le braccia conserte. Egwene smontò di sella ed entrò.

Bryne alzò bruscamente lo sguardo. «Madre!» esclamò, cosa che la fece immobilizzare.

Egwene abbassò lo sguardo. C’era un buco nel pavimento della tenda, e lei c’era quasi finita dentro.

Era un passaggio. L’altro lato pareva aprirsi sull’aria stessa, guardava giù verso l’esercito dei Trolloc, che stava attraversando le colline. Durante quella settimana c’erano state molte schermaglie, gli arcieri e i cavalieri di Egwene avevano trucidato Trolloc che marciavano in forze verso le colline e il confine con l’Arafel.

Egwene scrutò in quel passaggio nel pavimento. Era molto in alto, ben oltre la gittata degli archi, ma guardarvi attraverso per osservare i Trolloc le diede le vertigini.

«Non so decidere se questa sia un’idea geniale» disse a Bryne «o incredibilmente avventata.»

Bryne sorrise, tornando alle sue mappe. «Le guerre si vincono con le informazioni, Madre. Se posso vedere esattamente cosa stanno facendo — dove stanno cercando di accerchiarti e come stanno portando le riserve — posso prepararmi. Questo è meglio di una torre da battaglia. Avrei dovuto pensarci molto tempo fa.»

«L’Ombra ha Signori del Terrore in grado di incanalare, generale» disse Egwene. «Scrutare attraverso questo passaggio potrebbe farti finire incenerito. Per non parlare dei Draghkar. Se uno stormo di quegli esseri cercasse di volare attraverso questo...»

«I Draghkar sono Progenie dell’Ombra» disse Bryne. «Mi è stato detto che morirebbero, se cercassero di attraversare il passaggio.»

«Suppongo sia vero,» disse Egwene «ma avresti uno stormo di Draghkar morti qui dentro. A ogni modo, degli incanalatori possono comunque attaccarvi.»

«Correrò quel rischio. Il vantaggio offerto è incredibile.»

«Preferirei comunque che usassi degli esploratori per guardare attraverso il passaggio,» disse Egwene «non i tuoi stessi occhi. Tu sei una risorsa. Une delle nostre risorse più preziose. I rischi sono inevitabili, ma ti prego di prendere precauzioni per minimizzarli.»

«Sì, Madre» disse lui.

Egwene ispezionò i flussi, poi fissò Yukiri.

«Mi sono offerta volontaria, Madre» disse Yukiri prima che Egwene potesse chiedere come aveva fatto un’Adunante a finire a controllare un semplice passaggio. «Ci ha mandato a chiamare, chiedendo se formare un passaggio come questo — orizzontale invece che verticale — era possibile. L’ho ritenuto un enigma interessante.»

Egwene non era sorpresa che Bryne avesse mandato a chiamare le Grigie. Tra loro si stava diffondendo l’opinione che, proprio come le Gialle si specializzavano in flussi di Guarigione e le Verdi in quelli da battaglia, le Grigie dovessero interessarsi particolarmente ai flussi per Viaggiare. Pareva che considerassero il fatto di viaggiare come parte della loro vocazione in qualità di mediatrici e ambasciatrici.

«Puoi mostrarmi le nostre linee?» chiese Egwene.

«Ma certo, Madre» disse Yukiri, chiudendo il passaggio. Ne aprì un altro, permettendo a Egwene di guardar giù verso il suo esercito che si stava schierando in posizioni difensive sulle colline.

Questo era più efficiente delle mappe. Nessuna mappa poteva trasmettere del tutto la configurazione del terreno, il modo in cui le truppe si muovevano. Egwene si sentiva come se stesse guardando una replica esatta del paesaggio in miniatura.

All’improvviso provò un senso di vertigini. Si trovava sul bordo di una caduta di centinaia di piedi. Ebbe un capogiro e fece un passo indietro, prendendo un respiro profondo.

«Devi mettere una corda attorno a questa cosa» disse Egwene. «Qualcuno potrebbe caderci facendo un passo falso.» Oppure, pensò, precipitarci dentro a testa avanti mentre guarda giù...

Bryne bofonchiò. «Ho mandato a chiamare Siuan per farlo.» Esitò. «Ma non le piace molto essere inviata in giro per commissioni, perciò potrebbe tornare con qualcosa di completamente inutile.»

«Continuo a interrogarmi» disse Yukiri. «Non dovrebbe esserci un modo per creare un passaggio come questo, ma farlo in modo che possa soltanto lasciar passare la luce? Come una finestra. Potresti starci sopra e guardare giù, senza timore di poterci scivolare attraverso. Con i flussi giusti, potresti essere in grado di renderlo invisibile dall’altra parte...»

Starci sopra?, pensò Egwene. Luce. Devi essere matta.

«Lord Bryne,» disse Egwene «le tue linee di battaglia sembrano molto solide.»

«Grazie, Madre.»

«Sono anche carenti.»

Bryne sollevò il capo. Altri uomini avrebbero potuto rivoltarsi a quella provocazione, ma lui non lo fece. Forse era tutto quell’esercizio nel trattare con Morgase. «In che modo?»

«Schieri le truppe nella solita formazione» disse Egwene. «Arcieri di fronte e sulle colline per rallentare l’avanzata del nemico, cavalleria pesante per caricare e colpire, poi ritirarsi. Picche per tenere la linea, cavalleria leggera per proteggere i nostri lati e impedirci di essere circondati.»

«Le strategie di battaglia più solide spesso sono quelle che nel tempo si sono rivelate valide» disse Bryne. «Possiamo avere un esercito numeroso, con tutti quei Fautori del Drago, ma siamo comunque in inferiorità numerica. Non possiamo essere più aggressivi di come sono stato qui.»

«Sì, puoi» disse Egwene con calma. Incontrò il suo sguardo. «Questa battaglia è diversa da ogni altra che tu abbia mai combattuto, e il tuo esercito è diverso da qualunque altro tu abbia mai guidato, generale. Hai un vantaggio sensibile che non stai tenendo in considerazione.»

«Intendi le Aes Sedai?»

Puoi dannatamente scommetterci, pensò. Luce, aveva passato troppo tempo con Elayne.

«Vi ho tenuto in considerazione, Madre» disse Bryne. «Avevo progettato che le Aes Sedai fungessero da forza di riserva per aiutare le compagnie a disimpegnarsi, in modo da far ruotare truppe fresche.»

«Perdonami, Lord Bryne» disse Egwene. «I tuoi piani sono saggi e di sicuro alcune delle Aes Sedai dovrebbero essere usate a quel modo. Però la Torre Bianca non si è preparata e addestrata per migliaia di anni per starsene in disparte durante l’Ultima Battaglia come una forza di riserva

Bryne annuì, facendo scivolare una nuova serie di documenti da sotto la sua pila. «Ho considerato altre possibilità più... dinamiche, ma non volevo travalicare la mia autorità.» Le porse i documenti.

Egwene li esaminò, sollevando un sopracciglio. Poi sorrise.


Mat non si ricordava che ci fossero così tanti Calderai attorno a Ebou Dar. Carri dai colori sgargianti crescevano come funghi multicolore su un campo altrimenti smorto. Ce n’erano abbastanza da fare una dannata città. Una città di Calderai? Quello sarebbe stato come... come una città di Aiel. Era semplicemente sbagliato.

Mat condusse Pips al trotto lungo la strada. Certo, esisteva una città aiel. Forse un giorno ci sarebbe stata anche una città dei Calderai. Avrebbero comprato tutte le scorte di tinture colorate e il resto del mondo avrebbe dovuto vestirsi solo di marrone. Non ci sarebbero stati scontri nella città, perciò sarebbe stata decisamente noiosa, ma non ci sarebbe stata neanche una pentola con un buco sul fondo in un raggio di trenta leghe!

Mat sorrise, dando una pacca a Pips. Aveva coperto la sua ashandarei meglio che poteva per farla sembrare un bastone da passeggio legato al fianco del cavallo. Il suo cappello si trovava dentro lo zaino che aveva appeso alle bisacce, assieme a tutte le sue giacche eleganti. Aveva strappato via il merletto da quella che indossava. Era un peccato, ma non voleva essere riconosciuto.

Portava una rozza benda avvolta attorno al lato della testa, a coprirgli l’occhio mancante. Mentre si avvicinava al cancello Dal Eira, si mise in fila dietro agli altri che attendevano il permesso di entrare. Doveva sembrare una spada prezzolata qualunque che entrava in città, cercando rifugio o forse lavoro.

Si accertò di stare ingobbito sulla sella. Tenere giù la testa: un buon consiglio sul campo di battaglia e quando entravi in una città dove la gente ti conosceva. Non poteva essere Matrim Cauthon qui. Matrim Cauthon aveva lasciato la Regina di questa città legata, solo perché poi fosse assassinata. Molti l’avrebbero sospettato di quell’omicidio. Luce, lui avrebbe sospettato di sé stesso. Beslan l’avrebbe odiato adesso, e nessuno poteva dire cosa avrebbe pensato di lui Tuon, ora che avevano trascorso qualche tempo separati.

Sì, meglio tenere la testa bassa e stare zitto. Avrebbe tastato il polso di quel luogo. Ovvero, sempre che avesse raggiunto l’inizio di quella maledetta fila. Chi aveva mai sentito di una fila per entrare in una città?

Alla fine arrivò al cancello. Il soldato annoiato che lo piantonava aveva la faccia come una pala vecchia: era mezza coperta di terra e sarebbe stata meglio rinchiusa in un capanno degli attrezzi da qual che parte. Squadrò Mat dall’alto in basso.

«Hai pronunciato i giuramenti, viandante?» chiese la guardia con un pigro e strascicato accento seanchan. Dall’altro lato del cancello, un soldato diverso fece cenno alla persona successiva di andare da lui.

«Certo che l’ho fatto» disse Mat. «I giuramenti al Grande Impero Seanchan e all’Imperatrice stessa, che possa vivere per sempre. Sono solo un povero mercenario errante, una volta attendente della Casata Haak, una famiglia nobile del Murandy. Persi l’occhio a causa di alcuni banditi nella foresta di Tween due anni fa mentre proteggevo una ragazzina che avevo scoperto nei boschi. La allevai come se fosse mia, ma...»

Il soldato gli fece cenno di andare. Pareva che quel tipo non l’avesse neanche ascoltato. Mat meditò se restare lì per principio. Perché i soldati dovevano costringere la gente a fare una fila così lunga e dar loro tempo di pensare a una storia di copertura e poi non la stavano neanche a sentire? Un uomo poteva offendersi. Non Matrim Cauthon, che era sempre allegro e non se la prendeva mai. Ma qualcun altro di sicuro.

Procedette, tenendo a bada la sua irritazione. Ora gli serviva solo farsi strada fino alla taverna giusta. Un peccato che quella di Setalle non fosse più un’opzione. Era...

Mat si irrigidì sulla sella, anche se Pips continuò ad avanzare a passo rilassato. Mat si era preso giusto un momento per guardare l’altro soldato al cancello. Era Petra, il forzuto del caravanserraglio di Valan Luca!

Mat guardò dall’altra parte e si ingobbì di nuovo sulla sella, poi si lanciò un’altra occhiata sopra la spalla. Era proprio Petra. Non ci si poteva sbagliare su quelle braccia come tronchi e il collo come un ceppo d’albero. Petra non era un uomo alto, ma era così largo che un intero esercito si sarebbe potuto riparare dal sole nella sua ombra. Cosa ci faceva di nuovo a Ebou Dar? Perché stava indossando un’uniforme seanchan? Mat quasi andò a parlargli, dato che era sempre sembrato un tipo amichevole, ma l’uniforme seanchan lo indusse a ripensarci.

Be’, almeno la sua fortuna era con lui. Se fosse stato mandato da Petra invece che dalla guardia da cui era finito a raccontare la sua storia, sarebbe stato riconosciuto di sicuro. Mat esalò un respiro, poi smontò per guidare Pips a mano. La città era affollata e lui non voleva che il cavallo spingesse a terra qualcuno. Inoltre Pips era tanto carico da sembrare un cavallo da soma — se chi lo guardava non sapeva nulla di cavalli — e camminare poteva rendere Mat meno facile da ricordare.

Forse avrebbe dovuto cominciare la sua ricerca di una taverna nel Rahad. Correva voce che fosse più facile trovare dicerie nel Rahad, così come una partita a dadi. Era anche il posto più facile dove ritrovarti un coltello nelle budella, e quello era qualcosa di notevole a Ebou Dar. Nel Rahad era tanto probabile che la gente tirasse fuori il coltello e cominciasse uccidere quanto salutare qualcuno alla mattina.

Non andò nel Rahad. Quel posto sembrava diverso ora. C’erano dei soldati accampati lì fuori. Generazioni di governanti succedutisi a Ebou Dar avevano permesso che il Rahad si deteriorasse incontrollato, ma i Seanchan non erano propensi a lasciarlo fare.

Mat augurava loro buona fortuna. Finora il Rahad aveva respinto qualunque invasione. Luce. Rand si sarebbe dovuto nascondere lì, invece di recarsi a combattere l’Ultima Battaglia. I Trolloc e gli Amici delle Tenebre sarebbero venuti a cercarlo e il Rahad li avrebbe lasciati tutti privi di sensi in un vicolo, con le tasche rovesciate e le scarpe vendute per degli spiccioli. Mat colse un’occhiata di Rand che si radeva, ma represse l’immagine.

Mat si fece strada a spintoni lungo un ponte affollato sopra un canale, tenendo ben d’occhio le sue bisacce, ma finora nemmeno un tagliaborse aveva cercato di rubargliele. Con una pattuglia seanchan a ogni angolo, poteva capire perché. Mentre superava un uomo che strillava le notizie del giorno, lasciando intendere che aveva dei pettegolezzi succulenti per qualche moneta, Mat si ritrovò a sorridere. Era sorpreso da quanto questa città sembrava familiare, perfino confortevole. Gli era piaciuto star qui. Anche se riusciva vagamente a ricordare di aver borbottato di volersene andare — probabilmente subito dopo che il muro gli era caduto addosso, dal momento che Matrim Cauthon non era una persona che borbottava spesso — ora si rese conto che il periodo che aveva trascorso a Ebou Dar era stato tra i migliori della sua vita. C’erano parecchie carte e dadi nella città.

Tylin. Dannate ceneri, quella sì che era stata una partita divertente. Lo aveva sconfitto diverse volte. Magari la Luce gli avesse mandato molte donne che riuscissero a farlo, anche se non in rapida successione, e sempre quando lui sapeva come trovare la porta posteriore. Tuon era una di quelle. A pensarci bene, probabilmente non avrebbe avuto più bisogno di un’altra. Era già una peste sufficiente per qualunque uomo. Mat sorrise, dando a Pips una pacca sul collo. In cambio il cavallo soffiò giù per il collo di Mat.

Stranamente, questo posto gli sembrava più casa di quanto lo fossero i Fiumi Gemelli. Sì, gli abitanti di Ebou Dar erano permalosi, ma tutti avevano le proprie manie. In effetti, mentre Mat ci pensava su, non aveva mai incontrato una popolazione che non fosse suscettibile per una o l’altra cosa. Gli uomini delle Marche di Confine erano sconcertanti, così come gli Aiel: quello era evidente. I Cairhienesi e i loro strani giochi, i Tairenesi e le loro ridicole gerarchie, i Seanchan e la loro... seanchanità.

Era quella la verità. Tutta la gente fuori dai Fiumi Gemelli — e in misura minore fuori dall’Andor — era dannatamente pazza. Un uomo doveva essere pronto per quello.

Continuò a camminare, attento a essere cortese per evitare di ritrovarsi un coltello nelle budella. L’aria odorava di un centinaio di dolciumi, il brusio della folla era un ruggito basso nelle sue orecchie. Gli abitanti di Ebou Dar indossavano ancora i loro completi variopinti — forse era quello il motivo per cui i Calderai erano venuti qui, attirati dai colori sgargianti come dei soldati dalla cena — comunque le donne di Ebou Dar portavano abiti con il sopra legato stretto che mostrava un bel po’ di seno... non che Mat guardasse. Tenevano fissate sul lato o sul davanti le gonne per mettere in mostra le sottane colorate al di sotto. Quello per lui non aveva mai avuto senso. Perché mettere sotto le parti colorate? E se lo facevi, perché ti affannavi tanto per coprirle, poi andavi in giro con l’esterno tenuto su?

Gli uomini indossavano lunghi farsetti ugualmente variopinti, forse per nascondere le macchie di sangue quando venivano accoltellati. Non aveva senso buttar via un buon farsetto solo perché il tipo che lo indossava era stato assassinato per aver chiesto del tempo. Anche se... nel camminare, Mat aveva trovato meno duelli di quanto si era aspettato. Non erano mai stati così comuni in questa parte della città come nel Rahad, ma alcuni giorni era difficile fare due passi senza passare accanto a un paio di uomini con i coltelli sguainati. Quest’oggi non ne vedeva nemmeno uno.

Alcuni degli abitanti di Ebou Dar — spesso li si poteva distinguere dalla loro carnagione olivastra — sfoggiavano abiti seanchan. Tutti erano molto cortesi. Cortesi quanto un bambino di sei anni che avesse appena sentito che avevi una torta di mele fresca in cucina.

La città era la stessa, ma differente. La sensazione era diversa di una sfumatura o due. E non era solo il fatto che non ci fossero più navi del Popolo del Mare nel porto. Si trattava dei

Seanchan, naturalmente. Avevano emanato regole da quando lui se n’era andato. Che tipo?

Mat portò Pips a una stalla che pareva abbastanza rispettabile. Una rapida occhiata ai loro animali gli disse che venivano trattati bene, e molti erano ottimi esemplari. Era meglio fidarsi di una stalla con ottimi cavalli, anche se ti costava un po’ di più.

Lasciò Pips, prese il suo fagotto e usò l’ashandarei ancora fasciata come un bastone da passeggio. Scegliere la taverna giusta era come scegliere un buon vino. Ne volevi una che fosse vecchia, ma non fatiscente. Pulita, ma non troppo: una taverna immacolata era una che non veniva mai usata realmente. Mat non riusciva a sopportare il tipo di posti dove la gente se ne stava seduta in silenzio a bere tè, e veniva soprattutto per essere vista.

No, una buona taverna era consumata e usata, come stivali buoni. Era ancora resistente, di nuovo come stivali buoni. Finché la birra non sapeva di stivali buoni, sarebbe stata un’ottima scelta. I posti migliori per ottenere informazioni erano nel Rahad, ma era vestito troppo bene per andare lì e non voleva imbattersi in ciò che i Seanchan potevano starvi facendo.

Fece capolino in una locanda chiamata ‘Il bocciolo invernale’, poi girò i tacchi immediatamente e se ne andò. Sorveglianti della Morte in uniforme. Non voleva correre neanche il minimo rischio di imbattersi in Furyk Karede. La locanda successiva era troppo ben illuminata, mentre quella dopo troppo poco. Dopo circa un’ora di ricerche — e senza vedere neanche un duello — iniziò a disperare di trovare mai il posto giusto. Poi sentì dei dadi che sbatacchiavano in una tazza.

Sulle prime sobbalzò, pensando che fossero quegli stramaledetti dadi nella sua testa. Per fortuna si trattava solo di dadi normali. Benedetti, meravigliosi dadi. Il suono scomparve in un attimo, portato dal vento tra la calca di persone per le strade. Con la mano sopra il borsellino e lo zaino sopra la spalla, passò a spintoni tra la folla, borbottando delle scuse. In un vicolo vicino, vide un’insegna appesa a una parete.

Vi si avvicinò, leggendovi sopra le parole la ZUFFA ANNUALE sbalzate in rame. C’era un’immagine di gente che applaudiva, e i suoni di dadi misti agli odori di vino e birra. Mat entrò. Un Seanchan dal volto tondo si trovava appena all’interno della porta, appoggiato con noncuranza contro il muro, una spada alla cintura. Scoccò a Mat un’occhiata diffidente. Be’, Mat non aveva mai incontrato un buttafuori che non avesse rivolto uno sguardo del genere a chiunque entrasse. Sollevò una mano per inclinare il cappello verso l’uomo, ma naturalmente non lo stava indossando. Dannate ceneri. Senza si sentiva nudo, a volte.

«Jame!» chiamò una donna che si trovava accanto al bancone. «Non stai di nuovo guardando torvo i clienti, vero?»

«Solo quelli che se lo meritano, Kathana» disse a gran voce l’uomo con una pronuncia strascicata da Seanchan. «E sono certo che questo se lo merita.»

«Sono solo un umile viandante,» disse Mat «in cerca di un po’ di vino e di una partita a dadi. Nulla più. Certo non di guai.»

«Ed è questo il motivo per cui porti un’arma ad asta?» chiese Jame. «Fasciata a quel modo?»

«Oh, smettila» disse la donna, Kathana. Aveva attraversato la sala comune e prese Mat per la manica della giacca, trascinandolo verso il bancone. Era una donnina bassa, dalla pelle chiara e i capelli scuri. Non era molto più vecchia di lui, ma aveva un’inequivocabile aria materna. «Lascialo perdere. Solo non combinare guai e lui non sarà costretto ad accoltellarti, ucciderti o qualcosa nel mezzo.»

Fece sedere Mat su uno sgabello al bancone e iniziò a darsi da fare lì dietro. La sala comune era illuminata debolmente, ma in maniera amichevole. Da una parte, della gente giocava a dadi, nel modo buono. Quello che induceva la gente a ridere o a dare pacche sulle spalle agli amici quando si perdeva in allegria. Qui non c’erano occhi tormentati di uomini che si giocavano fino all’ultima moneta.

«Hai bisogno di cibo» dichiarò Kathana. «Hai l’aria di un uomo che non mangia qualcosa di abbondante da una settimana. Come hai perso quell’occhio?»

«Ero la guardia di un Lord nel Murandy» disse Mat. «L’ho perso in un’imboscata.»

«È una grossa bugia» disse Kathana, schiaffando un piatto davanti a lui, pieno di fette di maiale e intingolo. «Meglio di molte. L’hai detta anche in modo serissimo. Ti ho quasi creduto. Jame, vuoi da mangiare?»

«Devo fare la guardia alla porta!» le urlò lui di rimando.

«Luce, uomo. Credi che qualcuno se la prenda e se la porti via? Vieni qui.»

Jame borbottò ma si diresse al bancone e occupò uno sgabello accanto a Mat. Kathana gli diede un boccale di birra e lui se lo portò alle labbra, lo sguardo fisso in avanti. «Ti tengo d’occhio» biascicò a Mat.

Mat non era certo che questa fosse la locanda giusta per lui, ma non era nemmeno certo che sarebbe riuscito a scappare con la testa attaccata al collo a meno che non mangiasse il cibo della donna come gli era stato ordinato. Prese un assaggio; era piuttosto buono. Lei si era avvicinata e stava agitando un dito nel fare una ramanzina a un uomo seduto a uno dei tavoli. Kathana pareva il tipo che avrebbe fatto una ramanzina a un albero per essere cresciuto nel posto sbagliato.

A questa donna, pensò Mat, non dovrà mai essere permesso di entrare nella stessa stanza con Nynaeve. Almeno non quando io mi trovo a distanza di urla.

Kathana tornò indietro indaffarata. Portava al collo un coltello nuziale, anche se Mat si limitò a fissarla solo per pochi secondi, dato che era un uomo sposato. Lei aveva la gonna appuntata da un lato secondo lo stile degli abitanti di Ebou Dar. Nel tornare al bancone, preparò un piatto di cibo per Jame, e Mat notò che lui la osservava con affetto e azzardò un’ipotesi. «Siete sposati da molto?» chiese Mat.

Jame lo fissò. «No» disse infine. «Sono da questo lato dell’oceano solo da poco.»

«Suppongo che abbia senso» disse Mat, prendendo una sorsata della birra che lei gli mise di fronte. Non era male, considerando il pessimo sapore di parecchie cose, di questi tempi. Questa era solo un po’ guasta.

Kathana si diresse dagli uomini che giocavano a dadi e pretese che mangiassero di più, dato che avevano un aspetto pallido. Era un miracolo che questo Jame non pesasse quanto due cavalli. Lei parlava un bel po’, però, quindi forse sarebbe riuscito a cavarle le informazioni che gli servivano.

«Pare che non ci siano così tanti duelli come un tempo» le disse Mat mentre passava.

«Questo è dovuto a un editto seanchan» disse Kathana «da parte della nuova Imperatrice, che possa vivere per sempre. Non ha proibito del tutto i duelli, ed è stato dannatamente bene che non l’abbia fatto. La gente di Ebou Dar non si ribellerebbe per qualcosa di insignificante come essere conquistati, ma porta loro via i duelli... allora sì che vedrai qualcosa. Comunque, ora ai duelli deve presenziare un ufficiale del governo. Non si può duellare senza rispondere a cento domande diverse e pagare una tassa. Questo li ha privati di tutta la loro essenza.»

«Ha salvato vite» disse Jame. «Se sono determinati, gli uomini si possono ancora uccidere a vicenda con i coltelli. Devono semplicemente darsi il tempo per calmarsi e pensare.»

«I duelli non riguardano il pensare» disse Kathana. «Ma suppongo che significhi che non devo preoccuparmi che la tua bella faccia venga tagliuzzata per strada.»

Jame sbuffò, posando la mano sulla spada. Per la prima volta, Mat notò che l’elsa era decorata con aironi, anche se non riusciva a vedere se la lama li aveva o no. Prima che Mat potesse fare un’altra domanda, Kathana si allontanò a grandi passi e iniziò a sbraitare contro alcuni uomini che avevano versato birra sul tavolo. Pareva che non fosse tipo da restare ferma in un punto molto a lungo.

«Com’è il tempo al Nord?» chiese Jame, gli occhi ancora fissi in avanti.

«Orribile» rispose Mat sinceramente. «Come dappertutto.»

«La gente dice che è l’Ultima Battaglia» disse Jame.

«Lo è.»

Jame grugnì. «Se lo è, sarebbe un momento pessimo per interferire con la politica, non pensi?»

«Hai dannatamente ragione» disse Mat. «La gente deve smettere di giocare e dare un’occhiata al cielo.»

Jame lo fissò. «È la verità. Dovresti ascoltare quello che stai dicendo.»

Luce, pensò Mat. Deve pensare che sono una specie di spia. «Non è una mia scelta» disse Mat. «A volte la gente ascolta solo quello che vuol sentire.» Prese un altro boccone della sua carne, che aveva il sapore che ci si poteva aspettare. Mangiare un pasto di questi tempi era come andare a un ballo dove c’erano solo ragazze brutte. Questo però era tra il meglio dei cattivi sapori che aveva avuto la sfortuna di sperimentare, di recente.

«Un uomo saggio potrebbe semplicemente apprendere la verità» disse Jame.

«Prima devi trovarla, la verità» disse Mat. «È più difficile di quanto molti pensano.»

Da dietro, Kathana sbuffò, passando affaccendata. «La ‘verità’ è qualcosa di cui gli uomini discutono nelle taverne quando sono troppo ubriachi per ricordare i loro nomi. Questo significa che non è in buona compagnia. Non vi farei troppo affidamento, viandante.»

«Il mio nome è Mandevwin» disse Mat.

«Sono certa che lo è» disse Kathana. Poi lo squadrò. «Qualcuno ha mai detto che dovresti indossare un cappello? Si adatterebbe bene all’occhio mancante.»

«Ma davvero» disse Mat in tono asciutto. «Dài consigli di moda così come costringi la gente a mangiare?»

Lei gli diede uno scappellotto sulla nuca con il suo straccio per le pulizie. «Mangia il tuo cibo.»

«Ascolta, amico» disse Jame, voltandosi verso di lui. «So cosa sei e perché sei qui. La finta benda sull’occhio non mi inganna. Hai coltelli da lanciò infilati nelle maniche e altri sei alla cintura, quelli che riesco a contare, almeno. Non ho mai incontrato un uomo con un occhio solo la cui abilità nel lanciare coltelli valesse un fagiolo secco. Lei non è un bersaglio facile come pensate voi forestieri. Non riuscirai mai a entrare nel palazzo, tanto meno a superare le sue guardie del corpo. Vatti a cercare un lavoro onesto, piuttosto.»

Mat fissò l’uomo a bocca aperta. Pensava che Mat fosse un assassino? Mat si portò la mano al volto e si tolse la benda, rivelando il buco dove c’era stato il suo occhio.

Jame lo fissò.

«Ci sono assassini» disse Mat con calma «che vogliono uccidere Tuon?»

«Non usare il suo nome a quel modo» disse Kathana, facendo per dargli un altro scappellotto con lo straccio.

Mat alzò la mano da un lato della testa senza guardare, afferrando la punta dello straccio. Sostenne lo sguardo di Jame con il suo unico occhio, senza trasalire.

«Ci sono assassini» ripeté Mat con calma «che vogliono uccidere Tuon?»

Jame annuì. «Perlopiù sono forestieri che non conoscono il modo giusto in cui vanno le cose. Diversi sono passati per questa locanda. Solo uno ha ammesso il motivo per cui si trovava qui. Mi sono assicurato che il suo sangue irrorasse il suolo polveroso dei terreni dei duelli.»

«Allora posso considerarti un amico» disse Mat alzandosi in piedi. Ficcò una mano nel suo fagotto, tirò fuori il cappello e se lo mise in testa. «Chi c’è dietro? Chi li ha portati qui, mettendo una taglia sulla testa di Tuon?»

Lì vicino, Kathana esaminò il suo cappello e annuì soddisfatta. Poi esitò e lo guardò in volto, strizzando gli occhi.

«Non è quello che pensi» disse Jame. «Lui non sta assoldando gli assassini migliori. Sono forestieri, perciò non ci si aspetta che riescano.»

«Non mi interessa quali sono le loro dannate possibilità di riuscita» disse Mat. «Chi li sta assoldando?»

«È una persona troppo importante perché tu...»

«Chi?» disse Mat piano.

«Il generale Lunal Galgan» disse Jame. «Capo delle armate seanchan. Non riesco a capire cosa sei, amico. Sei un assassino o sei qui a caccia di assassini?»

«Non sono un maledetto assassino» disse Mat, tirando giù la tesa del cappello e raccogliendo il suo fagotto. «Non uccido mai un uomo a meno che lui non lo chieda... con urla e strepiti così forti da farmi supporre che non sarebbe cortese non esaudire la richiesta. Se ti accoltellerò, amico, saprai che sto per farlo e saprai il perché. Questo te lo prometto.»

«Jame» sibilò Kathana. «È lui.»

«Che c’è ora?» chiese Jame mentre Mat gli passava accanto, sollevando l’ashandarei coperta sulla spalla.

«Quello che le guardie stanno cercando!» esclamò Kathana. Guardò verso Mat. «Luce! A ogni soldato di Ebou Dar è stato ordinato di cercare la tua faccia. Come sei riuscito ad attraversare i cancelli cittadini?»

«Fortuna» disse Mat, poi uscì nel vicolo.


«Cosa stai aspettando?» chiese Moiraine.

Rand si voltò verso di lei. Si trovavano nella tenda di comando di Lan nello Shienar. Poteva sentire la puzza del fumo dei campi in fiamme, incendiati dalle truppe di Lan e Lord Agelmar mentre si ritiravano dal Passo.

Stavano bruciando le terre che avrebbero invece dovuto difendere. Una tattica disperata, ma comunque buona. Era il tipo di tattica estrema che Lews Therin e i suoi avevano esitato a usare nell’Epoca Leggendaria, almeno sulle prime. Allora gli era costata molto cara.

Gli abitanti delle Marche di Confine non mostravano quella timidezza.

«Perché siamo qui?» lo incalzò Moiraine, accostandosi. Le sue Fanciulle sorvegliavano la tenda dall’interno; meglio non lasciare che il nemico sapesse che Rand era lì. «Dovresti essere a Shayol Ghul in questo momento. È il tuo destino, Rand. Non questi scontri minori.»

«Qui i miei amici muoiono.»

«Pensavo che fossi superiore a tali debolezze.»

«La compassione non è una debolezza.»

«Ah no?» disse lei. «E se, nel risparmiare il tuo nemico per compassione, tu gli permettessi di ucciderti? Cosa accadrebbe allora, Rand al’Thor?»

Lui non seppe cosa rispondere.

«Non puoi rischiare te stesso» disse Moiraine. «E, a prescindere che tu sia d’accordo o meno che la compassione in sé possa essere una debolezza, agire sconsideratamente in suo nome lo è di certo.»

Rand aveva pensato spesso al momento in cui aveva perso Moiraine. Si era tormentato per la sua morte e gioiva ancora per il suo ritorno. A volte, però, si era dimenticato quanto lei poteva essere... insistente.

«Muoverò contro il Tenebroso quando sarà il momento giusto,» disse Rand «ma non prima. Deve pensare che sono con gli eserciti, che sto aspettando di conquistare più terreno prima di attaccarlo. Dobbiamo indurre i suoi comandanti a impegnare le loro forze verso sud, per non essere sopraffatti a Shayol Ghul quando entrerò.»

«Non avrà importanza» disse Moiraine. «Tu lo affronterai, e quello sarà il momento decisivo. Tutto ruota attorno a quel momento, Drago Rinato. Tutti i fili nel Disegno sono intessuti attorno al vostro incontro, e la Ruota, girando, vi attira verso di esso. Non negare che lo percepisci.»

«Lo percepisco.»

«Allora vai.»

«Non ancora.»

Moiraine trasse un respiro profondo. «Testardo come sempre.»

«Ed è un bene» disse Rand. «La testardaggine è ciò che mi ha portato fin qui.» Rand esitò, poi si frugò in tasca. Tirò fuori qualcosa di splendente e argenteo: una moneta di Tar Valon. «Ecco» disse porgendogliela. «Ho conservato questa.»

Lei increspò le labbra. «Non può essere...»

«La stessa? No. Quella è andata perduta da parecchio, temo. Ho portato in giro questa come un simbolo, quasi senza rendermene conto.»

Moiraine prese la moneta, rigirandosela tra le dita. La stava ancora esaminando quando le Fanciulle guardarono allarmate il lembo della tenda. Un secondo dopo, Lan lo sollevò ed entrò, fiancheggiato da due Malkieri. I tre potevano essere fratelli, con quelle espressioni torve e i volti duri.

Rand andò da Lan, mettendogli la mano sulla spalla. L’uomo non sembrava stanco — una roccia non poteva sembrare stanca — ma pareva logorato. Rand comprendeva quella sensazione.

Lan gli rivolse un cenno con il capo, poi guardò Moiraine. «Voi due stavate litigando?»

Moiraine mise via la moneta, il volto che diventava impassibile. Rand non sapeva cosa pensare del rapporto tra quei due dal ritorno di Moiraine. Era educato, ma tra loro c’era una distanza che non si era aspettato.

«Dovresti dare ascolto a Moiraine» disse Lan, voltandosi di nuovo verso Rand. «Ha fatto preparativi per questi giorni per molto più tempo di quanto tu hai vissuto. Lascia che ti guidi.»

«Vuole che lasci questo campo di battaglia» disse Rand «e attacchi immediatamente Shayol Ghul invece di provare a combattere quegli incanalatori per voi affinché possiate riprendere il Passo.»

Lan esitò. «Allora forse dovresti fare come...»

«No» disse Rand. «La vostra posizione qui è seria, vecchio amico. Io posso fare qualcosa, e lo farò. Se non riusciamo a fermare questi Signori del Terrore, vi faranno ritirare fino a Tar Valon.»

«Ho sentito cos’hai fatto a Maradon» disse Lan. «Non rifiuterò un miracolo qui se ce n’è uno deciso a trovarci.»

«Maradon è stato un errore» disse Moiraine in tono brusco. «Non puoi permetterti di esporti, Rand.»

«Non posso nemmeno permettermi di non farlo. Non me ne starò in disparte a lasciar morire delle persone! Non quando posso proteggerle.»

«Gli uomini delle Marche di Confine non hanno bisogno di protezione» disse Lan.

«No,» ribatté Rand «ma non ne ho mai conosciuto uno che avrebbe rifiutato una spada che gli veniva offerta in un momento di bisogno.»

Lan incontrò i suoi occhi, poi annuì. «Fa’ quello che puoi.»

Rand annuì alle due Fanciulle, che annuirono di rimando.

«Pastore» disse Lan.

Rand sollevò un sopracciglio.

Lan gli rivolse il saluto, braccio sul petto, chinando il capo.

Rand rispose con un cenno del capo. «Sul pavimento laggiù c’è qualcosa per te, Dai Shan.»

Lan si accigliò, poi si diresse fino a una pila di coperte. Non c’erano tavoli dentro quella tenda. Lan si inginocchiò, poi sollevò una corona argentea e lucente, sottile eppure forte. «La corona di Malkier» mormorò. «Era andata perduta!»

«I miei fabbri hanno fatto quello che potevano con vecchi disegni» disse Rand. «L’altra è per Nynaeve; penso che le andrà bene. Sei sempre stato un Re, amico mio. Elayne mi ha insegnato a governare, ma tu... tu mi hai insegnato come stare in piedi. Grazie.» Si voltò verso Moiraine. «Tieni uno spazio sgombro per il mio ritorno.»

Rand afferrò l’Unico Potere e aprì un passaggio. Lasciò Lan lì in ginocchio, con la corona in mano, e seguì le sue Fanciulle fuori, su un campo nero. Steli bruciati scrocchiavano sotto i suoi stivali e il fumo avvolgeva l’aria.

Le Fanciulle cercarono immediatamente riparo in una piccola depressione del terreno, rannicchiandosi contro il suolo annerito, pronte a resistere alla tempesta.

Perché ce n’era sicuramente una nell’aria. I Trolloc girovagavano in una massa enorme davanti a Rand, tastando il terreno e i resti delle fattorie. Nelle vicinanze scorreva il fiume Mora; questa era la prima terra coltivata a sud del Passo di Tarwin. Le forze di Lan l’avevano bruciata prima di preparare la ritirata verso valle, precedendo l’avanzata dei Trolloc.

Lì c’erano decine di migliaia di quelle creature. Forse più. Rand sollevò le braccia, chiudendo la mano a pugno e prendendo un respiro profondo. Nel borsello alla cintura portava un oggetto familiare. Il piccolo uomo grasso con la spada, l’angreal che aveva trovato di recente ai Pozzi di Dumai. Era tornato lì per un’ultima occhiata e l’aveva scoperto sepolto nel fango. Era stato utile a Maradon. Nessuno lo sapeva. Quello era importante.

Ma qui non avrebbe fatto solo trucchetti. I Trolloc urlarono mentre i venti attorno a Rand aumentavano di intensità. Questo non era un risultato del suo incanalare, non ancora.

Era Rand. Che era qui. Ad affrontare lui.

I mari diventavano agitati quando diversi flussi d’acqua cozzavano l’uno contro l’altro. I venti crescevano di potenza quando aria fredda e calda si mischiavano. E dove la Luce affrontava l’Ombra... scoppiavano tempeste. Rand urlò, lasciando che la sua natura agitasse la tempesta. Il Tenebroso premeva sulla terra, cercando di soffocarla. Il Disegno aveva bisogno di pareggiamento. Di equilibrio.

Aveva bisogno del Drago.

I venti divennero più forti, fulmini spezzavano l’aria, polvere nera e steli bruciati venivano sbalzati in alto, mulinando nel vortice. Finalmente Rand incanalò mentre i Myrddraal costringevano i Trolloc ad attaccarlo; le bestie caricarono contro il vento e Rand indirizzò i fulmini.

Era estremamente più facile indirizzare che controllare. Con una tempesta già in atto, non aveva bisogno di costringere il fulmine, solo di persuaderlo.

I colpi distrussero i gruppi di Trolloc più in avanti, un centinaio di saette in rapida successione. Presto l’odore pungente di carne bruciata turbinò nella tempesta, unendosi a quello degli steli di grano bruciati. Rand ruggì mentre i Trolloc continuavano ad arrivare. Portali della Morte comparvero attorno a lui, passaggi che sfrecciavano per il terreno come insetti pattinatori, spazzando mortalmente i Trolloc. La Progenie dell’Ombra non poteva sopravvivere al Viaggiare.

I venti di tempesta crebbero attorno a Rand mentre abbatteva quei Trolloc che cercavano di raggiungerlo. Il Tenebroso pensava di dominare qui? Avrebbe visto che questa terra aveva già un Re! Avrebbe visto che lo scontro non...

Uno schermo cercò di estromettere Rand dalla Fonte. Lui rise, ruotando e cercando di individuare l’origine dello schermo. «Taim!» urlò, anche se la tempesta catturò la sua voce e la sopraffece. «Avevo sperato che venissi!»

Questo era lo scontro che Lews Therin gli aveva continuato a richiedere, uno scontro che Rand non aveva osato cominciare. Non finora, non finché non aveva il controllo. Fece appello alla sua forza, ma poi un altro schermo lo colpì, poi un altro.

Rand attinse più Unico Potere, prendendo quasi tutto quello che poteva attraverso l’angreal dell’uomo grasso. Degli schermi continuavano a schioccargli contro come morsi di mosche. Nessuno era abbastanza forte da tagliarlo fuori dalla Fonte, ma ce n’erano dozzine.

Rand si calmò. Cercò la pace, la pace della distruzione. Lui era vita, ma era anche morte. Era la manifestazione della terra stessa.

Colpì, distruggendo un Signore del Terrore non visto che si nascondeva tra le macerie di un edificio bruciato lì vicino. Evocò il Fuoco e lo indirizzò verso un secondo, annichilendolo.

Non poteva vedere i flussi delle donne là fuori: poteva soltanto percepire i loro schermi.

Troppo deboli. Ogni schermo era troppo debole, eppure i loro attacchi lo preoccupavano. Erano arrivati rapidamente, almeno tre dozzine di Signori del Terrore, ciascuno che cercava di estrometterlo dalla Fonte. Questo era pericoloso: che lo avessero anticipato. Ecco perché avevano colpito Lan così duramente con degli incanalatori. Per attirare allo scoperto Rand.

Rand controbatté agli attacchi, ma nessuno di essi rischiava di schermarlo davvero. Una sola persona non poteva tagliar fuori dalla Fonte qualcuno che tratteneva così tanto saidin. Avrebbero dovuto...

Se ne accorse appena prima che accadesse. Gli altri attacchi erano coperture, finte. Presto ne sarebbe arrivato uno creato da un circolo di uomini e donne. Con un uomo al comando.

Là! Uno schermo andò a sbattere contro di lui, ma Rand aveva avuto il tempo appena sufficiente per prepararsi. Incanalò Spirito nella tempesta, intessendo per istinto dai ricordi di Lews Therin, e respinse lo schermo. Lo spinse via, ma non poteva distruggerlo.

Luce! Quello doveva essere stato un circolo completo. Rand grugnì mentre lo schermo scivolava più vicino a lui; creò un motivo vivace nel cielo, immobile malgrado la tempesta. Rand vi resistette con il proprio impeto di Spirito e Aria, trattenendolo indietro come se fosse un coltello sospeso sopra la sua gola.

Perse il controllo della tempesta.

I fulmini si schiantavano attorno a lui. Gli altri incanalatori intessevano per aumentare la tempesta: non tentavano di controllarla, poiché non ne avevano bisogno. A loro era utile che fosse fuori controllo, dato che poteva colpire Rand in qualunque momento.

Lui ruggì di nuovo, stavolta con più forza, più determinazione. Ti sconfiggerò, Taim! Farò finalmente quello che avrei dovuto fare mesi fa!

Ma non lasciò che la rabbia, la sregolatezza lo obbligassero al confronto. Non poteva permetterselo. Aveva imparato che era meglio non farlo.

Questo non era il luogo. Non poteva combattere qui. Se l’avesse fatto, avrebbe perso.

Rand spinse con un impeto di forza, gettando indietro lo schermo di Taim, poi usò lo slancio di quella tregua per intessere un passaggio. Le sue Fanciulle lo attraversarono immediatamente e Rand, abbassando il capo contro il vento, seguì con riluttanza.

Balzò nella tenda di Lan, dove Moiraine aveva fatto come lui aveva chiesto e aveva tenuto uno spazio sgombro. Quando chiuse il passaggio, i venti si placarono e il rumore si attenuò.

Rand chiuse la mano a pugno, con il fiatone e il sudore che gli scorreva lungo i lati della faccia. Qui, di nuovo con l’esercito di Lan, la tempesta era distante, anche se Rand poteva sentirne il boato e deboli venti agitavano la tenda.

Rand dovette sforzarsi per non crollare in ginocchio. Inalò lunghi respiri. Con difficoltà, rallentò il suo cuore palpitante e portò calma sul suo volto. Voleva combattere, non scappare! Avrebbe potuto sconfiggere Taim!

E nel farlo si sarebbe indebolito a tal punto che il Tenebroso l’avrebbe sopraffatto con facilità. Costrinse il suo pugno ad aprirsi e prese con forza il controllo delle proprie emozioni.

Alzò lo sguardo verso il viso calmo e saggio di Moiraine.

«Era una trappola?» chiese lei.

«Non tanto una trappola,» disse Rand «quanto un campo di battaglia ben preparato con sentinelle. Sanno cos’ho fatto a Maradon. Devono avere squadre di Signori della Morte in attesa di Viaggiare ovunque vengo individuato per attaccarmi.»

«Hai visto l’errore in questa linea d’attacco?» chiese lei.

«Errore... no. Ineluttabilità, sì.»

Non poteva combattere questa guerra personalmente. Non stavolta.

Avrebbe dovuto trovare un altro modo per proteggere la sua gente.

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