13 Quello che va fatto

L’esercito si divise davanti a Egwene mentre cavalcava verso le colline nel sudest di Kandor, dove a breve avrebbero ingaggiato il nemico che avanzava. Guidava oltre cento Aes Sedai, molte delle quali dell’Ajah Verde. Le correzioni tattiche di Bryne erano state rapide ed efficienti. Lui disponeva di qualcosa di meglio degli arcieri per spezzare una carica, di qualcosa di più distruttivo della cavalleria pesante per provocare danni puri.

Era tempo di usarlo.

Due unità più piccole di Aes Sedai si fecero strada verso i fianchi dell’esercito. Un tempo quelle colline potevano essere state rigogliose e verdeggianti. Adesso erano gialle e brune, come riarse dalla luce del sole. Cercò di vederne i vantaggi. Almeno avrebbero avuto sotto i piedi un terreno sicuro, e anche se il cielo veniva infranto da fulmini frequenti, pareva improbabile che piovesse.

I Trolloc in avvicinamento sembravano estendersi all’infinito in ogni direzione. Anche se l’armata di Egwene era enorme, tutt’a un tratto parve minuscola. Per fortuna, Egwene aveva un unico vantaggio: l’esercito dei Trolloc era guidato da un’esigenza di continuare ad avanzare. Le armate di Trolloc che non lo facevano costantemente si sgretolavano. Iniziavano a battibeccare. Terminavano il cibo.

L’esercito di Egwene era una barriera che si frapponeva sul loro cammino. È un’esca. La Progenie dell’Ombra non poteva permettersi di lasciare un’armata del genere a piede libero, e così Egwene li avrebbe attirati su un percorso che lei aveva deciso.

Le sue Aes Sedai raggiunsero la prima linea. Bryne aveva diviso il suo esercito in grandi unità altamente mobili per colpire i Trolloc in ogni punto e momento in cui mostrassero vulnerabilità.

La struttura offensiva delle forze di Bryne parve confondere i Trolloc. Almeno fu così che Egwene lesse l’agitazione tra le loro file, il movimento frenetico, l’aumento del rumore. Di rado i Trolloc avevano dovuto preoccuparsi di stare sulla difensiva. I Trolloc attaccavano, gli umani difendevano. Gli umani si preoccupavano. Gli umani erano cibo.

Egwene raggiunse la sommità di una collinetta e lasciò spaziare lo sguardo sulla piana di Kandor dove erano ammassati i Trolloc, mentre le Aes Sedai si disponevano in una lunga fila su entrambi i suoi fianchi. Dietro di loro, gli uomini dell’esercito parevano incerti. Sapevano che Egwene e le altre erano Aes Sedai e attorno a loro nessun uomo si trovava a suo agio.

Egwene protese una mano da un lato e fece scivolare qualcosa di lungo, bianco e snello fuori dalla custodia di cuoio legata alla sua cintura. Una verga scanalata, il sa’angreal di Vora. Nella sua mano era rassicurante, familiare. Anche se aveva usato questo sa’angreal solo una volta, si sentiva come se l’oggetto avesse rivendicato lei e viceversa. Durante lo scontro con i Seanchan, questa era stata la sua arma. Per la prima volta comprendeva perché un soldato potesse sentirsi legato alla propria spada.

Il bagliore del Potere sfarfallò attorno alle donne in fila, come una serie di lanterne che venivano accese. Egwene abbracciò la Fonte e avvertì l’Unico Potere scorrere dentro di lei come una cascata, che le riempiva e le apriva gli occhi. Il mondo divenne più dolce, gli odori di olio per armature ed erba calpestata più forti.

Nell’abbraccio di saidar lei poteva vedere i segni di colori che l’Ombra voleva far loro ignorare. L’erba non era tutta morta; c’erano minuscoli accenni di verde, pezzetti dove si aggrappava alla vita. C’erano arvicole sotto di essa: ora Egwene poteva distinguere facilmente le increspature nella terra. Anche quelle si aggrappavano alla vita mangiando le radici morenti.

Con un ampio sorriso, fece scorrere l’Unico Potere attraverso la verga scanalata. Dentro quel torrente lei era in cima a un mare di forza ed energia, in un vascello solitario che accoglieva il vento. I Trolloc finalmente scattarono in movimento. Ruggirono, un enorme impeto di armi, denti, puzza e occhi troppo umani. Forse i Myrddraal avevano visto le Aes Sedai lì in testa e pensavano di attaccare e distruggere le incanalatrici umane.

Le altre donne attesero il segnale di Egwene. Non erano in un circolo: un circolo era meglio per un torrente dell’Unico Potere concentrato e preciso. Non era quello lo scopo di oggi. Lo scopo di oggi era semplicemente distruggere.

Una volta che i Trolloc furono a metà strada su per la collina, Egwene iniziò la sua offensiva. Lei era sempre stata insolitamente forte in Terra, perciò diede il via con il più semplice e distruttivo dei flussi. Inviò filamenti di Terra nel suolo sotto i Trolloc in una lunga linea, poi li scagliò all’insù. Con l’aiuto del sa’angreal di Vora, parve semplice come gettare una manciata di sassolini in aria.

A quel segnale, l’intera fila di donne formò flussi. L’aria si increspò di filamenti lucenti. Puri torrenti di Fuoco, di Terra, di raffiche di vento per sollevare e scagliare i Trolloc l’uno contro l’altro, per farli inciampare e cadere.

I Trolloc che Egwene aveva gettato in aria ruzzolarono all’indietro sul terreno, molti senza più gambe o braccia. Ossa si spezzarono e Trolloc urlarono di dolore mentre i compagni cadevano su di loro. Egwene lasciò che la seconda fila incespicasse sui caduti, poi colpì di nuovo. Stavolta non si concentrò sulla terra, ma sul metallo.

Metallo nelle armature, nelle armi e ai polsi. Mandò in frantumi asce e spade, cotte di maglia e l’occasionale corazza. Questo fece balzar via pezzi di metallo a velocità letale. L’aria divenne rossa per il sangue che schizzava. Le file successive cercarono di fermarsi per evitare quelle schegge, ma i Trolloc dietro di loro avevano troppo slancio. Spintonarono in avanti i loro compagni nella zona della morte e li travolsero.

Egwene uccise anche l’ondata successiva facendo esplodere il metallo. Era più difficile che gettare in alto la terra, ma non dava altrettante avvisaglie alle file più indietro, così era in grado di continuare a uccidere senza che si rendessero conto di cosa stavano facendo spintonando in avanti i loro compagni.

Poi Egwene riprese a frantumare la terra. C’era qualcosa di rinvigorente nell’usare quel potere grezzo, mandando flussi nelle loro forme più basilari. In quel momento — mentre menomava, distruggeva e faceva piovere morte sul nemico — si sentiva come se fosse una cosa sola con la terra stessa. Come se la terra avesse atteso per così tanto tempo qualcuno che facesse questo lavoro, e adesso era lei, Egwene, a compierlo. La Macchia e la Progenie dell’Ombra a cui essa dava origine erano una malattia. Un’infezione. Egwene — infiammata dell’Unico Potere, un faro ardente di morte e sentenza — era il fuoco cauterizzante che avrebbe guarito la terra.

I Trolloc si sforzarono di farsi strada tra i flussi delle Aes Sedai, ma ciò ebbe come unico effetto mettere altri di loro entro la portata della Torre Bianca. Le Verdi erano all’altezza della reputazione della loro Ajah e scagliavano contro i Trolloc un flusso di distruzione dopo l’altro, ma anche le altre Ajah non erano da meno.

La terra tremava e l’aria era satura delle urla dei moribondi. I corpi erano squarciati. La carne bruciata. Non pochi soldati in prima linea si liberarono lo stomaco a quella vista. E le Aes Sedai continuavano a martellare le fila dei Trolloc. Delle specifiche sorelle cercavano di scovare i Myrddraal, come era stato loro ordinato. Egwene stessa ne eliminò uno, strappandogli la testa senza occhi dal collo con un flusso di Fuoco e Aria. Ogni Fade che uccidevano faceva cadere manipoli di Trolloc a lui collegati.

Egwene raddoppiò il suo attacco. Colpì una fila con un’ondata di Terra che esplodeva, poi mandò a sbattere un’ondata di Aria contro i corpi mentre cadevano, spingendoli all’indietro perché precipitassero sulle linee retrostanti. Squarciò buchi nel terreno e fece scoppiare le rocce dentro di esso. Massacrò Trolloc per quelle che parvero ore. Alla fine la Progenie dell’Ombra cedette, con i Trolloc che indietreggiavano nonostante le fruste dei Myrddraal. Egwene trasse un respiro profondo — stava cominciando a sentirsi esausta — e abbatté altri Fade. Finalmente anche loro cedettero e fuggirono via dalle colline.

Egwene si afflosciò sulla sella, abbassando il suo sa’angreal. Non aveva un’esatta cognizione di quanto tempo fosse passato. I soldati lì vicino avevano lo sguardo fisso, gli occhi sgranati. Quest’oggi il loro sangue non era stato richiesto.

«Questo è stato impressionante» disse Gawyn, accostando il suo cavallo a quello di Egwene. «Era come se stessero assaltando delle mura cittadine, cercando di portare le scale per un assedio... solo senza le mura o le scale.»

«Torneranno» disse Egwene in tono stanco. «Ne abbiamo uccisa solo una piccola parte.»

L’indomani, o il giorno dopo ancora, avrebbero tentato di nuovo. Nuove tattiche forse: potevano allargarsi in ondate di attaccanti per rendere più difficoltoso alle Aes Sedai uccidere grossi gruppi tutti assieme.

«Li abbiamo colti di sorpresa» disse Egwene. «La prossima volta verranno più in forze. Per ora, per stanotte, abbiamo retto.»

«Non avete solo retto, Egwene» disse Gawyn con un sorriso. «Li avete messi in fuga. Non mi pare di aver mai visto un esercito sopraffatto in modo tanto completo.»

Il resto degli uomini parve essere d’accordo con la valutazione di Gawyn, poiché iniziarono a esultare innalzando le armi. Egwene ricacciò indietro la sua stanchezza e ripose la verga scanalata. Lì vicino, altre Aes Sedai abbassarono statuette, bracciali, spille, anelli e bacchette. Avevano svuotato il magazzino della Torre di ogni angreal e sa’angreal — i pochi che avevano — e li avevano distribuiti tra le sorelle al fronte. Alla fine di ogni giornata, sarebbero stati raccolti e consegnati alle donne che si occupavano della Guarigione.

Le Aes Sedai si voltarono e passarono a cavallo tra l’esercito esultante. Purtroppo il tempo per i lutti sarebbe arrivato. Le Aes Sedai non potevano combattere ogni battaglia. Per adesso, però, Egwene fu lieta di lasciare che i soldati si godessero la loro vittoria, poiché era del miglior tipo. Il tipo che non lasciava buchi nelle loro fila.


«Il Lord Drago e i suoi esploratori hanno iniziato la ricognizione di Shayol Ghul.» Bashere indicò una delle mappe in ombra. «La nostra resistenza a Kandor e nello Shienar sta costringendo l’Ombra a impegnare sempre più truppe in quegli scontri. Presto le Terre Inaridite saranno quasi vuote, tranne per una minima forza di difesa. Allora sarà in grado di colpire più facilmente.»

Elayne annuì. Poteva avvertire Rand da qualche parte in fondo alla mente. Era preoccupato per qualcosa, anche se era troppo distante perché lei potesse percepire più di quello. Ogni tanto lui le faceva visita al suo accampamento al Bosco di Braem, ma per ora era su uno degli altri fronti.

Bashere continuò. «L’Amyrlin dovrebbe essere in grado di resistere a Kandor, considerando il numero di incanalatrici di cui dispone. Non sono preoccupato per lei.»

«Ma lo sei per gli uomini delle Marche di Confine» disse Elayne.

«Sì. Sono stati spinti fuori dal Passo di Tarwin.»

«Vorrei che fossero stati in grado di resistere dov’erano, ma sono stati sopraffatti. Non si può fare nulla per questo, tranne trasferirgli ogni aiuto che possiamo.»

Bashere annuì. «Forse Lord Mandragoran potrebbe invertire la sua ritirata, se avesse più Aes Sedai o Asha’man.»

Ma non ne avevano di cui privarsi. Lei gli aveva mandato alcune Aes Sedai dall’esercito di Egwene per aiutarlo con la sua ritirata iniziale, e quello aveva contribuito. Ma se Rand stesso non riusciva a ricacciare indietro i Signori del Terrore lì...

«Lord Agelmar saprà cosa fare» disse Elayne. «Se lo vuole la Luce, sarà in grado di spingere via i Trolloc dalle aree più popolate.»

Bashere grugnì. «Una ritirata del genere — quasi una rotta

- di solito non offre alcuna possibilità per indirizzare il corso della battaglia.» Bashere indicò verso la mappa dello Shienar.

Elayne la studiò. Il percorso dei Trolloc non avrebbe evitato terre abitate. Fai Dara, Mos Shirare, Fai Moran... e con dei Signori del Terrore le cinte di mura sarebbero state inutili.

«Trasmettete l’ordine a Lan e ai Lord dello Shienar» disse con calma. «Fai Dara e Ankor Dail devono essere bruciate, assieme a Fai Moran e ai villaggi come Medo. Stanno già dando alle fiamme quante terre coltivate possono, svuotando anche le città. Evacuate i civili a Tar Valon.»

«Mi dispiace» disse Bashere piano.

«È quello che va fatto, giusto?»

«Sì» disse Bashere.

Luce, che caos. Cosa ti aspettavi? Ordine e semplicità?, si chiese.

Dei passi sulle foglie annunciarono Talmanes che si avvicinava con uno dei suoi comandanti. Il Cairhienese sembrava stanco. Tutti lo sembravano. Una settimana di battaglia era solo l’inizio, ma l’eccitazione del combattimento stava scomparendo. Ora arrivava la fatica reale della guerra. Giorni a combattere o ad aspettare di combattere, notti trascorse dormendo con la spada in mano.

L’ubicazione attuale di Elayne al Bosco di Braem — aveva iniziato la mattinata a mille passi più a sud, ma la loro ritirata costante attraverso la foresta la costringeva a stare in movimento — era ideale. Tre torrentelli con facile accesso, spazio in abbondanza perché le truppe potessero accamparsi, alberi in cima alla collina che funzionavano bene quanto torri di guardia. Un peccato che l’indomani mattina avrebbero dovuto lasciarsi alle spalle questo luogo.

«I Trolloc controllano tutta la parte meridionale della foresta» disse Bashere, tastandosi i baffi con le nocche. «Stanno evitando le radure. Quello significa che la nostra cavalleria non sarà in grado di operare in modo efficiente.»

«I Draghi sono praticamente inutili qua dentro, Maestà» disse Talmanes entrando nella tenda. «Ora che i Trolloc si tengono lontano dalle strade, abbiamo problemi a infliggere danni. È quasi impossibile manovrare i carretti dei Draghi nella foresta, e quando spariamo un colpo uccidiamo più alberi che Progenie dell’Ombra.»

«E quei... cos’era quello di cui parlava Aludra?»

«I suoi denti di Drago?» disse Talmanes. «È meglio: i Draghi sparano un mucchio di pezzi di metallo invece di una palla. Ha un’ampia diffusione e funziona ragionevolmente bene dentro la foresta, ma io sostengo che i Draghi stanno facendo meno danni di quanto vale la pena per rischiarli.»

«Penso che la foresta ci sia servita quanto poteva» disse Bashere, muovendo alcuni contrassegni di Trolloc sulle loro mappe. «Abbiamo ridotto i loro numeri, ma si stanno facendo scaltri, rimanendo nel folto della foresta e cercando di circondarci.»

«Proposte?»

«Ritirarci» disse Bashere. «Uscire da qui verso est.»

«Dirigerci verso l’Erinin? Non ci sono ponti, così a nord» disse Talmanes.

Bashere annuì. «Perciò sai cos’ho intenzione di chiedere. Hai una compagnia di uomini in grado di costruire ponti. Mandali con alcuni dei tuoi Draghi come protezione e incaricali di costruire ponti di zattere direttamente a est rispetto alla nostra posizione. Noialtri non saremo così indietro. Il terreno aperto lì darà alla nostra cavalleria e ai Draghi la possibilità di infliggere più danni. Possiamo confidare sull’Erinin per rallentare i Trolloc, soprattutto una volta che avremo incendiato i ponti. Alcuni Draghi piazzati lì dovrebbero rallentare i loro progressi. Continueremo a est fino all’Alguenya e ripeteremo il procedimento. Poi saremo sulla strada per Cairhien. Ci dirigeremo a nord e, una volta trovato un posto adatto per opporre resistenza — penso di conoscere il posto giusto — faremo dietrofront e affronteremo l’Ombra con Cairhien alle nostre spalle.»

«Di sicuro non pensi che dovremo percorrere tutta quella strada» disse Elayne.

Bashere fissò la mappa, strizzando gli occhi, come vedendo attraverso la pergamena stessa la terra che rappresentava. «Stiamo facendo muovere questa battaglia,» disse piano «ma non la controlliamo. La cavalchiamo come potrebbe fare un uomo con un cavallo imbizzarrito. Non si può dire quando finirà di galoppare. La devierà, le farò attraversare macchie di rovi. Ma non posso fermarla, non finché i Trolloc continueranno ad arrivare.»

Elayne si accigliò. Non poteva permettersi una ritirata infinita; aveva bisogno di sconfiggere questa Progenie dell’Ombra nel modo più rapido e completo possibile, così da poter unire il resto delle sue forze agli eserciti di Lan ed Egwene per ricacciare indietro le invasioni da nord.

Quello era l’unico modo in cui avrebbero vinto. Altrimenti non avrebbe avuto importanza cosa fosse riuscito a fare Rand contro il Tenebroso.

Luce, che confusione.

«Fallo.»


Perrin posò il martello sulla spalla, ascoltando il giovane messaggero sudato riferire gli ordini di Elayne. Una brezza gentile soffiava attraverso i rami della foresta alle sue spalle. Lì dentro combattevano gli Ogier. Si era preoccupato che si sarebbero rifiutati di mettere in pericolo gli alberi, ma il loro stile di combattimento... Luce, Perrin non aveva mai visto una brutalità che potesse competere con esso.

«Queste tattiche non sono male» disse Tam leggendo gli ordini. «La Regina ci sa fare con l’arte della guerra.»

Perrin fece cenno al giovane di andare. Superò Galad e diversi suoi comandanti dei Manti Bianchi, impegnati a consultarsi lì vicino. «Ascolta bene quelli che conoscono le tattiche» disse Perrin «e non interferisce.»

«È proprio quello che intendevo, ragazzo» disse Tam con un sorriso. «Essere al comando non riguarda sempre dire alle persone cosa fare. A volte, riguarda farsi da parte e lasciar spazio a persone che sanno cosa stanno facendo.»

«Parole sagge, Tam» disse Perrin, voltandosi verso nord. «Ti suggerisco di seguirle, dato che ora hai il comando.»

Perrin poteva vedere Rand. I colori ondeggiarono. Rand, che parlava con Moiraine su un tetro costone roccioso che lui non riconosceva. Erano quasi pronti per l’invasione di Shayol Ghul. Perrin avvertì uno strattone da Rand, sempre più forte. Presto Rand avrebbe avuto bisogno di lui.

«Perrin?» chiese Tam. «Cos’è questa sciocchezza sul comando?»

«Hai tu le nostre forze, Tam» disse Perrin. «Ora gli uomini stanno collaborando; lascia che Arganda, Gallenne e Galad ti assistano.» Lì vicino, Grady teneva aperto un passaggio attraverso il quale i feriti delle schermaglie più recenti venivano mandati a essere Guariti. Berelain gestiva l’ospedale dall’altra parte, che l’Ajah Gialla aveva ubicato a Mayene. L’aria proveniente dall’altro lato era tiepida.

«Non so se mi daranno ascolto, Perrin» disse Tam. «Sono soltanto un comune contadino.»

«Ti hanno dato ascolto in passato.»

«È stato quando stavamo attraversando le regioni selvagge» disse Tam. «E tu eri sempre lì vicino. Rispondevano a me per via della tua autorità.» Si sfregò il mento. «Dal modo in cui continui a guardare a nord, ho la sensazione che tu non intenda restare qui per molto altro tempo.»

«Rand ha bisogno di me» disse Perrin piano. «Che io sia folgorato, Tam, è una cosa che odio... ma non posso combattere assieme a voi qui nell’Andor. C’è bisogno che qualcuno guardi le spalle a Rand e.... be’, dovrò essere io. In qualche modo lo so.»

Tam annuì. «Allora non dovremo far altro che andare da Arganda o Gallenne e dir loro che sono al comando dei nostri uomini. Comunque è la Regina Elayne a dare buona parte degli ordini e....»

«Uomini!» urlò Perrin, guardando verso i soldati radunati. Arganda si stava consultando con Gallenne. Si voltarono verso Perrin, così come i vicini membri della Guardia del Lupo, assieme a Galad e ai suoi Manti Bianchi. Il giovane Bornhald fissò Perrin con i suoi occhi scuri. Negli ultimi tempi quell’uomo si era fatto sempre più imprevedibile. Volesse la luce che Galad fosse riuscito a tenerlo lontano dall’acquavite.

«Voi tutti accettate la mia autorità, come mi è stata concessa dalla Corona dell’Andor?» chiese Perrin.

«Ma certo, Lord Occhidoro» rispose Arganda a gran voce. «Pensavo che fosse assodato.»

«Io qui nomino Tam al’Thor Lord» esclamò Perrin. «Lo rendo Sovrintendente dei Fiumi Gemelli nel nome di suo figlio, il Drago Rinato. Lui porta con sé tutta la mia autorità, che è quella che proviene dal Drago stesso. Se non dovessi sopravvivere a questa battaglia, sarà Tam a succedermi.»

Tutto il campo si immobilizzò, poi gli uomini annuirono e diversi rivolsero il saluto a Tam. Tam gemette così piano che Perrin dubitò che chiunque altro l’avesse sentito.

«È troppo tardi per consegnarti al Circolo delle donne per una bella ramanzina?» chiese Tam. «Forse una sonora sculacciata e una settimana trascorsa a portare acqua per la vedova al’Thone?»

«Spiacente, Tam» disse Perrin. «Neald, prova a creare un passaggio per la Torre Nera.»

Il giovane Asha’man assunse un’espressione concentrata. «Ancora non funziona, Lord Occhidoro.»

Perrin scosse il capo. Aveva sentito i rapporti dal fronte di Lan secondo cui i membri della Torre Nera stavano combattendo per l’Ombra. Lì era successo qualcosa, qualcosa di terribile. «D’accordo, per Merrilor, allora» disse Perrin.

Neald annuì, concentrandosi.

Mentre lavorava, Perrin si voltò verso gli uomini. «Odio lasciarvi, ma ho dentro di me questi uncini che mi tirano verso nord. Io devo andare da Rand, e non c’è modo di obiettare. Cercherò di tornare indietro. Se non ci riuscirò... be’, voglio che sappiate che sono fiero di voi. Tutti voi. Sarete i benvenuti in casa mia quando questo sarà finito. Apriremo uno o due barilotti della miglior acquavite di Mastro al’Vere. Ricorderemo i caduti e racconteremo ai nostri figli come abbiamo resistito quando le nuvole sono diventate nere e il mondo ha cominciato a morire. Racconteremo loro come siamo stati spalla contro spalla, senza lasciare all’Ombra alcuno spazio per insinuarsi.»

Sollevò Mah’alleinir verso gli uomini e sopportò la loro acclamazione. Non perché lui la meritasse, ma loro certamente sì.

Neald aprì il passaggio. Perrin si avviò verso di esso, poi esitò quando qualcuno chiamò il suo nome. Si accigliò, guardando Dain Bornhald avvicinarsi di corsa.

Perrin posò la mano sul martello, guardingo. Quest’uomo gli aveva salvato la vita contro i Trolloc e contro un suo compagno Manto Bianco, ma Perrin vedeva il disprezzo che nutriva per lui. Poteva non incolpare Perrin per la morte di suo padre, ma questo non voleva dire che lo apprezzasse o nemmeno che lo accettasse.

«Una parola, Aybara» disse Bornhald, guardando verso Gaul in piedi lì vicino. «In privato.»

Perrin fece cenno a Gaul di allontanarsi e l’Aiel si ritirò con riluttanza. Lui e Bornhald si scostarono dal passaggio aperto. «Cosa riguarda? Se è per via di tuo padre...»

«Luce, sta’ un po’ zitto» disse Bornhald, lanciando un’occhiata da un’altra parte. «Non voglio dire questo. Odio dire questo. Ma tu devi sapere. Che la Luce mi folgori, devi sapere.»

«Sapere cosa?»

«Aybara» disse Bornhald prendendo un respiro profondo. «Non sono stati i Trolloc a uccidere la tua famiglia.»

Un tremito attraversò il corpo di Perrin.

«Mi dispiace» disse Bornhald, distogliendo lo sguardo. «È stato Ordeith. Tuo padre lo insultò. Lui fece a pezzi la tua famiglia e noi incolpammo i Trolloc. Non fui io a ucciderli, ma non dissi nulla. Così tanto sangue...»

«Cosa?» Perrin afferrò il Manto Bianco per la spalla. «Ma hanno detto... intendo dire...» Luce, aveva già fatto i conti con questo!

Lo sguardo negli occhi di Bornhald quando incontrarono quelli di Perrin fece riemergere tutto quanto. Il dolore, l’orrore, la perdita, la furia. Bornhald prese il polso di Perrin, poi gli strattonò via la mano dalla spalla.

«Questo è un momento terribile per dirti questo, lo so» disse Bornhald. «Ma non potevo tenermelo dentro. È solo... Potremmo morire. Luce, tutto potrebbe morire. Dovevo parlare, dirlo.»

Si allontanò, dirigendosi verso gli altri Manti Bianchi tenendo gli occhi bassi. Perrin rimase lì da solo, il suo intero mondo che tremava.

Poi lo rimise assieme. Lui aveva fatto i conti con questo; aveva pianto la sua famiglia. Era finito, chiuso.

Poteva andare avanti e l’avrebbe fatto. Luce, le vecchie ferite tornarono, ma lui le ricacciò indietro e voltò gli occhi verso il passaggio. Verso Rand e il suo dovere.

Aveva del lavoro da fare. Ma Ordeith... Padan Fain... Questo non faceva altro che aggiungersi ai crimini terribili di quell’uomo. Perrin si sarebbe assicurato che pagasse, in un modo o nell’altro.

Si avvicinò al passaggio per Viaggiare e trovare Rand, e lì a lui si unì Gaul.

«Sto andando in un posto dove tu non puoi venire, amico mio» disse Perrin piano, il suo dolore che si placava. «Mi dispiace.»

«Andrai nel sogno dentro un sogno» disse Gaul, poi sbadigliò. «Guarda caso sono stanco.»

«Ma...»

«Io vengo, Perrin Aybara. Uccidimi, se vuoi che rimanga indietro.» Perrin non osò sfidarlo su questo. Annuì.

Perrin si lanciò un’occhiata alle spalle, sollevando il suo martello ancora una volta. Nel farlo, vide di sfuggita all’interno dell’altro passaggio, quello per Mayene che Grady teneva ancora aperto. Dall’altra parte, due figure in lunghe vesti bianche osservavano Gaul. Lui sollevò una lancia verso di loro. Come dovevano sentirsi un paio di guerriere a starsene in disparte in quest’occasione, l’Ultima Battaglia? Forse Rand avrebbe dovuto provare a far liberare i gai’shain dai loro voti per qualche settimana.

Be’, probabilmente quello avrebbe fatto rivoltare contro di lui ogni singolo aiel. La Luce proteggesse quell’abitante delle terre bagnate che osasse interferire con ji’e’toh.

Perrin abbassò la testa ed entrò nel passaggio, arrivando sul terreno di Merrilor. Da lì, lui e Gaul si equipaggiarono come per un lungo viaggio: provviste e acqua in abbondanza, quanto più osavano portare.

A Perrin occorse quasi mezz’ora per convincere gli Asha’man di Rand a dirgli dov’era andato il loro capo. Finalmente un riluttante Naeff aprì un passaggio per lui. Lasciò Merrilor e uscì in quella che sembrava la Macchia. Solo le rocce erano fredde.

L’aria odorava di morte, di desolazione. Il fetore colse alla sprovvista Perrin, e passarono diversi minuti prima che potesse distinguere odori normali dalla puzza. Rand si trovava poco più avanti, al bordo di un crinale, le braccia piegate dietro la schiena. Un gruppo di suoi consiglieri, comandanti e guardie si trovava lì dietro, incluse Moiraine, Aviendha e Cadsuane. In quel momento, però, Rand era solo al termine del crinale.

In lontananza di fronte a loro si ergeva il picco di Shayol Ghul. Perrin ebbe un brivido. Era distante, ma Perrin non poteva fraintendere l’intensa determinazione nell’espressione di Rand nell’osservare quel picco.

«Luce» disse Perrin. «È il momento?»

«No» rispose Rand piano. «Questa è una prova, per vedere se mi percepisce.»

«Perrin?» chiese Nynaeve dal versante della collina lì dietro. Stava parlando con Moiraine e, per una volta, non aveva un odore carico d’odio. Era successo qualcosa tra quelle due donne.

«Ho bisogno di lui solo per un momento» disse Perrin, andando a unirsi a Rand al termine dell’affioramento di roccia. Lì c’erano alcuni Aiel, e Perrin non voleva che loro — in particolare le Sapienti — ascoltassero quello che aveva intenzione di domandare a Rand.

«Hai questo momento e molti altri, Perrin» disse Rand. «Ho un grosso debito nei tuoi confronti. Cosa vuoi?»

«Be’...» Perrin si guardò sopra la spalla. Moiraine o Nynaeve avrebbero saputo abbastanza da tentare di fermarlo? Probabilmente. Le donne cercavano sempre di impedire a un uomo di fare quello che doveva, come se si preoccupassero che si spezzasse l’osso del collo. E non aveva importanza che fosse l’Ultima Battaglia.

«Perrin?» chiese Rand.

«Rand, ho bisogno di entrare nel sogno del lupo.»

«Dentro Tel’aran’rhiod?» disse Rand. «Perrin, non so cosa fai lì; mi hai raccontato poco. Immaginavo che avresti saputo come...»

«So come entrarci in un modo» disse Perrin, sussurrando affinché le Sapienti e le altre persone lì dietro non potessero sentire. «Il modo facile. Ho bisogno di qualcos’altro. Tu sai cose, ricordi cose. Esiste qualcosa in quel tuo cervello antico che rammenti come entrare nel Mondo dei Sogni in carne e ossa?»

Rand diventò solenne. «È una cosa pericolosa, quella che chiedi.»

«Pericolosa quanto fare quello che stai per fare tu?»

«Forse.» Rand si accigliò. «Se allora avessi saputo... Be’, diciamo soltanto che alcuni definirebbero la tua richiesta molto, molto malvagia.»

«Non è malvagia, Rand» disse Perrin. «Conosco la malvagità quando la fiuto. Questo non è malvagio: è solo incredibilmente stupido.»

Rand sorrise. «E lo chiedi comunque?»

«Le alternative buone non ci sono più, Rand. Meglio fare qualcosa di disperato che non fare nulla.»

Rand non ribatté.

«Ascolta» disse Perrin. «Abbiamo parlato della Torre Nera. So che ti preoccupa.»

«Mi occorrerà andare lì» disse Rand, la sua espressione che si incupiva. «Eppure è ovvio che si tratta di una trappola.»

«Penso di sapere dove sta parte della colpa» disse Perrin. «C’è qualcuno che devo affrontare, e non posso batterlo se non sono in grado di scontrarmi con lui alla pari. Lì, nel sogno.»

Rand annuì lentamente. «La Ruota gira e ordisce come vuole. Dovremo lasciare le Terre Inaridite; non puoi entrare nel sogno da...»

Si interruppe, poi fece qualcosa, intessendo un flusso. Un passaggio si aprì accanto a lui. In esso c’era qualcosa di diverso da quelli normali.

«Vedo» disse Rand. «I mondi si stanno avvicinando, comprimendo. Quello che una volta era separato non lo è più. Questo passaggio ti porterà nel sogno. Fa’ attenzione, Perrin. Se muori in quel luogo mentre sei in carne e ossa, questo può avere... ramificazioni. Ciò che affronterai potrebbe essere peggio della morte stessa, in particolare ora. In questo momento.»

«Lo so» disse Perrin. «Mi servirà una via d’uscita. Puoi far creare a uno dei tuoi Asha’man uno di questi passaggi una volta al giorno, all’alba? Ai terreni di Viaggio di Merrilor, diciamo?»

«Pericoloso» sussurrò Rand. «Ma lo farò.»

Perrin annuì in segno di ringraziamento.

«Se la Luce lo vorrà, ci rivedremo» disse Rand. Protese la mano verso Perrin. «Bada a Mat. Sinceramente non sono certo di cosa abbia intenzione di fare, ma ho la sensazione che sarà estremamente pericoloso per tutti quelli coinvolti.»

«Non è come noi» disse Perrin, serrando la mano sull’avambraccio di Rand. «Tu e io siamo molto più abituati a tenerci su sentieri sicuri.»

Rand sorrise. «Che la Luce ti protegga, Perrin Aybara.»

«E che protegga te, Rand al’Thor.» Perrin esitò e si rese conto di cosa stava accadendo. Si stavano dicendo addio. Cinse Rand in un abbraccio.

«Prendetevi cura di lui, voi due» disse Perrin, guardando verso Nynaeve e Moiraine mentre si staccava dall’abbraccio. «Mi avete sentito?»

«Oh, adesso vuoi che badi a Rand?» disse Nynaeve, le mani sui fianchi. «Non credo di aver mai smesso, Perrin Aybara. Non credere che non vi abbia sentito sussurrare laggiù. Stai per fare qualcosa di stupido, vero?»

«Sempre» disse Perrin, alzando una mano per salutare Thom. «Gaul, sei certo di volerlo fare?»

«Lo sono» disse l’Aiel, allentando le sue lance e guardando nel passaggio di Rand.

Senza un’altra parola, i due si issarono in spalla gli zaini ed entrarono nel Mondo dei Sogni.

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