37 L’Ultima Battaglia

Quella mattina albeggiò sulle Alture Polov, ma il sole non splendette sui Difensori della Luce. Dall’Ovest e dal Nord giunsero gli eserciti dell’Oscurità, per vincere quest’ultima battaglia e proiettare un’Ombra sulla Terra; per dare inizio a un’Epoca dove i gemiti dei sofferenti sarebbero rimasti inascoltati.

(dal taccuino di Loial, figlio di Arent figlio di Halan, Epoca Quarta)

Lan teneva la spada alta mentre faceva galoppare Mandarb per il campo.

In cielo le nuvole mattutine iniziarono a tingersi di rosso, riflettendo enormi palle di fuoco che si levavano dall’imponente esercito sharano che si stava avvicinando da ovest. Descrivevano un arco aggraziato nel cielo, apparentemente lente a causa della grande distanza.

Gruppi di cavalieri irruppero dall’accampamento, unendosi a Lan. I Malkieri rimasti cavalcavano appena dietro di lui, ma la sua truppa si era ingrossata come una marea. Andere si unì a lui di fronte, con la bandiera di Malkier — la Gru Dorata — che fungeva da stendardo per tutti gli uomini delle Marche di Confine.

Erano stati feriti, ma non sconfitti. Quando buttavi a terra un uomo, vedevi di cos’era fatto. Quell’uomo poteva scappare. Se non lo faceva — se si rialzava con del sangue all’angolo della bocca e la determinazione negli occhi — allora sapevi. Quell’uomo stava per diventare davvero pericoloso.

Le palle di fuoco parevano muoversi più rapidamente mentre precipitavano, abbattendosi sull’accampamento in scariche di furia rossa. Delle esplosioni scuotevano il terreno. Nelle vicinanze si levavano urla ad accompagnare il fragore degli zoccoli. Altri uomini si unirono a lui. Mat Cauthon aveva sparso la voce per tutti gli accampamenti che era necessaria altra cavalleria per unirsi all’avanzata di Lan e rimpiazzare i soldati perduti.

Ne aveva anche rivelato il prezzo. La cavalleria sarebbe stata all’avanguardia dello scontro, per rompere le file di Trolloc e Sharani, e avrebbe trovato poco riposo. Avrebbe subito il grosso delle perdite.

Tuttavia, altri si unirono a lui. Uomini delle Marche di Confine che sarebbero dovuti essere troppo vecchi per cavalcare. Mercanti che avevano messo da parte il borsello e avevano impugnato la spada. Un numero sorprendente di persone del Sud, incluse molte donne, che indossavano corazze e copricapi d’acciaio o di cuoio e portavano lance corte. Non c’erano molte aste lunghe disponibili.

«Metà di quelli che si uniscono a noi sembrano più contadini che soldati!» gli gridò Andere sopra il boato degli zoccoli.

«Hai mai visto un uomo o una donna dei Fiumi Gemelli cavalcare, Andere?» gli gridò a sua volta Lan.

«Non posso dire di averlo fatto.»

«Osserva e resterai sorpreso.»

La cavalleria di Lan raggiunse il fiume Mora, dove un uomo dai lunghi capelli ricciuti con una giubba nera se ne stava con le mani serrate dietro la schiena. Logain adesso aveva con sé quaranta Aes Sedai e Asha’man. Fissò la truppa di Lan, poi sollevò una mano verso il cielo, sgretolando un’enorme palla di fuoco che cadeva come se fosse stata un pezzo di carta. Il cielo crepitò come fulmine e la palla di fuoco che si disgregava gettò scintille da ogni parte, con il fumo che mulinava nell’aria. Le ceneri caddero piano, estinguendosi, colpendo il fiume in piena e sparpagliandosi bianche e nere sulla superficie.

Lan rallentò Mandarb mentre si avvicinava al Guardo Hawal, appena a sud delle Alture. Logain protese l’altra mano verso il fiume. Le acque ribollirono, poi schizzarono in aria come scorrendo sopra una rampa invisibile. Si abbatterono sull’altro lato, una cascata violenta, mentre parte dell’acqua si rovesciava sulle sponde del fiume.

Lan annuì a Logain e proseguì, guidando Mandarb sotto la cascata e attraversando le rocce ancora umide del guado. La luce del sole filtrava attraverso le acque del fiume sopra di lui, scintillando su Lan mentre galoppava attraverso quella galleria, con Andere e i Malkieri al seguito. La cascata rombava alla sua sinistra, schizzando una foschia d’acqua.

Lan rabbrividì nell’uscire di nuovo alla luce, poi caricò per quel corridoio verso gli Sharani. Alla sua destra si elevavano le Alture, alla sua sinistra c’erano gli acquitrini, ma qui c’era un passaggio di terra solida e pianeggiante. Sulle Alture, arcieri, balestrieri e dragonieri si preparavano a scagliare salve ai nemici in avvicinamento.

Sharani sul davanti, un’enorme armata di Trolloc che si radunava dietro, tutti a ovest delle Alture. Il boato del fuoco dei Draghi scuoteva l’aria dalla cima degli altopiani e presto gli Sharani ebbero altre esplosioni con cui fare i conti.

Lan spianò la lancia, mirò un soldato sharano che caricava verso le Alture Polov, poi si preparò all’impatto.

Elayne schioccò la testa all’insù, voltandosi di lato. Quella canzone terribile, una nenia, un motivetto stupendo e spaventoso allo stesso tempo. Diede di sprone a Ombra di Luna, attirata verso quel dolce suono. Dov’era?

Si levava da qualche parte in profondità nell’accampamento seanchan alla base del Bozzo di Dashar. Strapazzare Mat per non averle detto il suo piano di guerra poteva attendere. Doveva trovare la sorgente di quel suono, quel suono meraviglioso, quel…

«Elayne!» disse Birgitte.

Elayne spronò il cavallo in avanti.

«Elayne! Draghkar!»

Draghkar. Elayne si riscosse, poi guardò su e trovò le creature che cadevano come gocce d’acqua nel campo attorno agli uomini. Le donne della Guardia abbassarono le spade, gli occhi che si sgranavano mentre la nenia continuava.

Elayne intessé un tuono. Proruppe da lei dividendo l’aria, riversandosi sulle donne della Guardia e costringendole a urlare e coprirsi le orecchie. Il dolore perforò la testa di Elayne e lei imprecò, chiudendo gli occhi per il trauma. E poi… poi non sentì nulla.

Era quello lo scopo.

Si costrinse ad aprire gli occhi e vide Draghkar tutt’intorno, i corpi allampanati e gli occhi disumani. Aprirono le labbra per cantilenare, ma le orecchie assordate di Elayne non potevano udire quella canzone. Lei sorrise, poi intessé fruste di fuoco, abbattendo le creature. Non riusciva a sentire le loro grida acute di dolore, il che era un peccato.

Le donne della Guardia di Elayne, che erano in ginocchio, si alzarono e si radunarono, abbassando le mani dalle orecchie. Lei poteva capire dalle loro espressioni confuse che erano state assordate. Birgitte presto fece in modo che colpissero i Draghkar sorpresi. Tre delle creature cercarono di balzare su e volar via, ma Birgitte centrò ciascuna di esse con una freccia dall’impennaggio bianco, e l’ultima che abbatté si schiantò su una tenda vicina.

Elayne agitò la mano, attirando l’attenzione di Birgitte. I primi versi di Draghkar non erano giunti da sopra, ma dall’interno del campo. Elayne indicò, spronando Ombra di Luna in movimento, guidando le truppe tra i Seanchan. Tutt’attorno, gli uomini se ne stavano a fissare il cielo, a bocca aperta. Molti parevano respirare, ma avevano gli occhi morti. I Draghkar avevano consumato le loro anime lasciando in vita i corpi, come la crosta tagliata via dal pane di un benestante.

Approssimativo. Questi Draghkar — Luce, ce n’erano oltre un centinaio — avrebbero potuto prendere un uomo ciascuno, ucciderlo, poi ritirarsi prima che la loro presenza fosse scoperta. Il frastuono distante della battaglia — i corni belanti, i Draghi fragorosi, le palle di fuoco sibilanti, tutti suoni che adesso Elayne percepiva ma riusciva a stento a distinguere con le orecchie compromesse — aveva coperto l’attacco dei Draghkar. Le creature avrebbero potuto colpire e scappare, ma erano ingorde.

Le sue guardie si sparpagliarono, attaccando i Draghkar sorpresi, molti dei quali tenevano dei soldati. In termini di forza bruta, quelle bestie non erano grandi combattenti. Elayne attese, preparando flussi. Bruciò via dal cielo i Draghkar che cercavano di fuggire.

Una volta morto l’ultimo — almeno quelli che potevano vedere — Elayne fece cenno a Birgitte di avvicinarsi. L’aria aveva un odore penetrante di carne bruciata. Elayne arricciò il naso e allungò una mano per prendere la testa di Birgitte e Guarirle le orecchie. I bambini scalciarono quando lo fece. Reagivano cosi quando lei Guariva qualcuno oppure era la sua immaginazione? Elayne abbassò una mano per tenersi il ventre con un braccio mentre Birgitte indietreggiava, guardandosi attorno.

La Custode incoccò una freccia ed Elayne percepì la sua preoccupazione. Birgitte scagliò e un Draghkar barcollò all’indietro dalla copertura all’interno di una tenda vicina. Usci anche un Seanchan, gli occhi vitrei. Aveva interrotto il Draghkar mentre si nutriva; il poveretto non sarebbe mai stato più in grado di pensare correttamente.

Elayne fece voltare il cavallo e vide alcune truppe seanchan che arrivavano nella zona alla carica. Birgitte parlò con loro, poi si girò per parlare con Elayne. Lei si limitò a scuotere il capo e Birgitte esitò, poi disse qualcos’altro ai Seanchan.

Le guardie di Elayne si raggrupparono di nuovo attorno a lei, osservando i Seanchan con diffidenza. Elayne comprendeva perfettamente quell’atteggiamento.

Birgitte le fece cenno di venire avanti e continuarono nella direzione in cui stavano andando. Mentre lo facevano, si avvicinarono una damane e una sul’dam e — cosa sorprendente — rivolsero una riverenza a Elayne. Forse questa Fortuona aveva dato loro ordini di rispettare i monarchi stranieri.

Elayne esitò, ma cosa doveva fare? Poteva tornare al proprio accampamento per essere Guarita, ma avrebbe richiesto del tempo, ed era urgente che parlasse con Mat. Qual era lo scopo di trascorrere giorni a elaborare piani di guerra se poi lui li gettava via? Elayne si fidava di lui — Luce, doveva farlo — ma preferiva comunque sapere quali erano le sue intenzioni.

Sospirò, poi protese il piede verso la damane. La donna si accigliò, poi lanciò un’occhiata alla sul’dam. Entrambe parvero prenderlo come un insulto. Di sicuro era quella l’intenzione di Elayne.

La sul’dam annuì e la damane allungò una mano per toccare la gamba di Elayne appena sopra lo stivale. I robusti stivali di Elayne erano simili a quelli che avrebbe indossato un soldato, non una Regina, ma non aveva intenzione di andare in battaglia con delle scarpine ai piedi.

Una gelida, piccola ondata di Guarigione la attraversò e il suo udito tornò lentamente. Per primi i toni bassi. Esplosioni. Il boato distante del fuoco dei Draghi, lo scorrere del fiume vicino. Diversi Seanchan che parlavano. Poi giunsero quelli intermedi, quindi una piena di suoni. Fruscio di lembi di tende, urla di soldati, richiami di corni.

«Di’ loro di Guarire gli altri» disse Elayne a Birgitte.

Birgitte sollevò un sopracciglio, probabilmente domandandosi perché Elayne stessa non dava l’ordine. Be’, questi Seanchan prestavano molta attenzione a quali persone potevano parlare a chi. Elayne non avrebbe concesso l’onore di rivolgersi a loro direttamente.

Birgitte trasmise l’ordine e le labbra della sul’dam si contrassero in una linea. La donna aveva i lati del cranio rasati: era di nobili natali. Volesse la Luce che Elayne fosse riuscita a insultarla ancora.

«Lo farò» disse la donna. «Anche se non riesco proprio a capire perché chiunque di voi vorrebbe essere Guarito da un animale.»

Seanchan non amavano permettere a una damane di Guarire. Almeno era ciò che continuavano a sostenere: il che non aveva impedito loro di insegnare a usare quei flussi, pur con riluttanza, alle loro prigioniere, ora che avevano visto con i loro occhi quale vantaggio costituiva in battaglia. Da quello che Elayne aveva sentito, però, i nobili accettavano di rado quella Guarigione.

«Andiamo» disse Elayne, facendo avanzare il cavallo. Fece cenno ai soldati di restare indietro per essere Guariti.

Birgitte la fissò, ma non obiettò. Le due si affrettarono a procedere, con Birgitte che montava sul cavallo e avanzava con Elayne verso l’edificio di comando dei Seanchan. A un piano, forse delle dimensioni di una piccola fattoria, era posto in una vasta fenditura dalle alte pareti alla base meridionale del Bozzo di Dashar: l’avevano spostato dalla cima, dal momento che Mat temeva che sarebbe stato troppo esposto. Avrebbero continuato a usare la cima per supervisionare la battaglia a brevi intervalli.

Elayne permise a Birgitte di aiutarla a smontare… Luce, quanto stava cominciando a sentirsi ingombrante. Era come essere su una nave in un porto asciutto. Si prese un momento per ricomporsi a dovere. Piattezze calme, emozioni sotto controllo. Si mise a posto i capelli, si lisciò il vestito, poi entrò nell’edificio.

«Nel nome di un cumulo di dannati escrementi di Trolloc,» tuonò lei mentre entrava «cosa pensi di fare, Matrim Cauthon?»

Cosa non sorprendente, quell’imprecazione fece sogghignare l’uomo mentre alzava lo sguardo dal tavolo della mappa. Portava cappello e giacca sopra elegantissimi abiti di seta che parevano essere stati confezionati per adattarsi al colore del cappello e per includere cuoio lavorato a mano ai polsi e al colletto così da non essere troppo fuori posto. Puzzava di qualche tipo di compromesso. Ma perché il suo cappello era fasciato con un nastro rosa?

«Salve, Elayne» disse Mat. «Immaginavo di potermi aspettare di vederti presto.» Fece cenno verso una sedia su un lato della stanza che recava il rosso e il bianco dell’Andor. Aveva un’imbottitura aggiuntiva, e sul tavolino accanto c’era una tazza di tè caldo fumante.

Che tu sia folgorato, Matrim Cauthon, pensò lei. Quando sei diventato così scaltro?

L’Imperatrice seanchan sedeva sul trono a un capo della stanza, con Min al suo fianco, drappeggiata in tanta seta verde da rifornire una bottega a Caemlyn per due settimane. A Elayne non sfuggì il fatto che il trono di Fortuona era due dita più alto del suo. Donna dannatamente insopportabile. «Mat. Ci sono Draghkar nel tuo accampamento.»

«Dannazione» disse lui. «Dove?»

«Dovrei dire che c’erano Draghkar nel tuo accampamento» precisò Elayne. «Ce ne siamo occupati. Devi dire ai tuoi arcieri di fare meglio la guardia.»

«Gliel’ho detto» si lamentò Mat. «Dannate ceneri. Qualcuno vada a controllare gli arcieri, io…»

«Sommo principe!» disse un messaggero seanchan, slittando attraverso la porta. Si mise in ginocchio, poi si prostrò con un movimento fluido, non interrompendo mai il suo resoconto. «La fila di arcieri è caduta! Colpita da un’avanguardia di cavalieri sharani: hanno camuffato il loro attacco con il fumo delle palle di fuoco.»

«Sangue e dannate ceneri!» disse Mat. «Inviate sedici sul’dam e damane laggiù ora! Mandate a chiamare le unità di arcieri a nord e portate giù le squadre quarantadue e cinquanta. E dite agli esploratori che li farò fustigare se lasceranno che succeda di nuovo qualcosa del genere.»

«Sì, o sommo» disse l’esploratore, rivolgendogli il saluto e precipitandosi in piedi, uscendo dalla stanza senza alzare lo sguardo per evitare di incontrare quello di Mat.

Tutto sommato, Elayne era impressionata dalla facilità con cui l’esploratore mischiava l’obbedienza al suo rapporto. Era anche nauseata. Nessun governante avrebbe dovuto esigere questo dai suoi sudditi. La forza di una nazione derivava dalla forza del suo popolo: se lo spezzavi, era come se spezzassi la tua stessa schiena.

«Sapevi che stavo arrivando» disse Elayne dopo che Mat ebbe dato altri ordini ai suoi aiutanti. «E hai previsto la rabbia che i tuoi cambi di piani avrebbero causato. Che tu sia folgorato, Matrim Cauthon, perché hai sentito il bisogno di fare questo? Pensavo che il nostro piano di battaglia fosse solido.»

«Lo era» disse Mat.

«Allora perché cambiarlo!»

«Elayne» disse Mat, lanciandole un’occhiata. «Tutti mi hanno messo al comando contro la mia volontà, perché la mia mente non può essere cambiata dai Reietti, giusto?»

«Quella era l’idea generale» disse Elayne. «Anche se suppongo che abbia meno a che fare con quel tuo medaglione e più con il fatto che la tua testa è troppo dura perché la coercizione possa penetrarla.»

«Dannatamente corretto» disse Mat. «Comunque, se i Reietti stanno usando la coercizione su persone nei nostri accampamenti, probabilmente hanno qualche spia ai nostri incontri.»

«Suppongo di sì.»

«Dunque conoscono il nostro piano. Il nostro grande piano, che abbiamo trascorso così tanto tempo a preparare. Lo sanno.»

Elayne esitò.

«Luce!» disse Mat, scuotendo il capo. «La prima e più importante regola per vincere una guerra è sapere cosa farà il nemico.»

«Pensavo che la prima regola fosse conoscere il terreno» disse Elayne, incrociando le braccia.

«Anche quello. Comunque, mi rendo conto che, se il nemico sa cosa stiamo per fare, dobbiamo cambiarlo. Immediatamente. Meglio avere pessimi piani di battaglia piuttosto che quelli che il tuo nemico prevederà.»

«Perché non hai ipotizzato che sarebbe successo?» domandò Elayne.

Lui la guardò, inespressivo. Un lato della sua bocca si contrasse verso l’alto, poi si abbassò la tesa del cappello, mettendo in ombra la benda sull’occhio.

«Luce» disse Elayne. «Tu sapevi. Hai passato questa intera settimana a elaborare piani con noi e per tutto il tempo sapevi che li avresti gettati fuori con la risciacquatura dei piatti.»

«Questo vuol dire attribuirmi troppi dannati meriti» disse Mat, tornando a guardare le mappe. «Penso che una parte di me possa averlo saputo da sempre, ma non l’ho capito fino a poco prima dell’arrivo degli Sharani.»

«Dunque qual è il nuovo piano?»

Lui non rispose.

«Hai intenzione di tenerlo segreto» disse Elayne, sentendosi le gambe deboli. «Hai intenzione di guidare la battaglia e nessuno di noi saprà cosa, per la Luce, stai progettando, giusto? Altrimenti qualcuno potrebbe sentirlo e la notizia viaggerebbe fino all’Ombra.»

Lui annuì.

«Che il Creatore ci protegga» sussurrò lei.

Mat si accigliò. «Sai, è proprio quello che ha detto Tuon.»


Sulle Alture, Uno si coprì le orecchie mentre i Draghi vicini eruttavano fuoco contro i Trolloc e gli Sharani a ovest. L’odore di qualcosa di pungente ardeva nell’aria e gli scoppi erano così assordanti che non poteva sentire le proprie dannate imprecazioni.

Più in basso, i cavalieri di Lan Mandragoran stavano spazzando i lati della forza d’assalto, mantenendoli contenuti affinché i Draghi potessero causare più danni. Gli Sharani avevano con sé i Trolloc. Dovevano avere anche incanalatori, parecchi. Più a monte del fiume, un altro numeroso esercito di Trolloc, quelli che avevano causato così tanti danni alle armate di Dai Shan, era sceso da nordest e presto avrebbe raggiunto il Campo di Merrilor.

Draghi si fermarono per un momento, mentre i dragonieri riempivano di nuovo le fauci con la misteriosa sostanza che li faceva funzionare. Uno non aveva la dannata intenzione di avvicinarsi a essi. Quelle cose erano malasorte. Ne era certo. Il capo dei dragonieri era un Cairhienese segaligno, e Uno non aveva mai visto una grande utilità in quella gente. Lo guardavano dannatamente torvo ogni volta che parlava. Questo sedeva altezzoso sul suo cavallo, e non trasalì quando i Draghi spararono di nuovo.

L’Amyrlin Seat li aveva messi assieme a questi uomini, e anche ai Seanchan. Uno non aveva dannatamente intenzione di lamentarsi. Avevano bisogno di ogni spada che potevano ottenere, inclusi Cairhienesi e maledetti Seanchan.

«Ti piacciono i Draghi, capitano?» gridò il condottiero — Talmanes — a Uno. Capitano. Uno era stato dannatamente promosso. Ora guidava una truppa di picchieri e cavalleria leggera della Torre appena reclutati.

Non sarebbe dovuto essere al comando di un maledetto nulla; era stato felice come soldato semplice. Ma aveva sia l’addestramento che l’esperienza sul campo, cose di cui c’era penuria di questi tempi, come aveva detto Bryne a Salidar. Così ora era un folgorato ufficiale e comandava cavalleria e fanteria, nientemeno! Be’, sapeva come maneggiare una picca, se doveva usarne una, anche se di solito preferiva combattere a cavallo.

I suoi uomini erano pronti a difendere il margine delle Alture, nel caso in cui il nemico fosse riuscito ad arrivare in cima al pendio. Finora, gli arcieri posizionati di fronte ai dragonieri lo avevano impedito, ma molto presto gli arcieri avrebbero dovuto ripiegare e allora sarebbero stati i dannati soldati semplici a occuparsi del maledetto combattimento. Sotto, gli Sharani si fecero da parte per lasciare che il grosso delle forze dei Trolloc caricasse su per il pendio.

I picchieri sarebbero avanzati per resistere all’attacco dei Trolloc, e le picche avrebbero funzionato bene qui, dal momento che i Trolloc si sarebbero spinti su per la collina. Aggiungendo un po’ di folgorata cavalleria sui fianchi e alcuni dannati arcieri che lanciavano attraverso quei passaggi creati nell’aria, probabilmente potevano mantenere questa posizione per giorni. Forse settimane. Quando fossero stati pressati da una superiorità numerica, sarebbero indietreggiati pollice dopo pollice, aggrappandosi a ogni brandello di terra.

Uno immaginava che non ci fosse alcun modo per cui sarebbe sopravvissuto a questa folgorata battaglia. Era sorpreso di avercela fatta finora. Davvero, il maledetto Masema avrebbe dovuto prendere la sua testa, oppure i Seanchan vicino Falme, o un Trolloc qua o là. Lui aveva cercato di tenersi snello per avere un sapore terribile quando l’avessero ficcato in uno di quei maledetti pentoloni.

Draghi spararono di nuovo, squarciando buchi enormi tra orde di Trolloc che avanzavano. Uno si premette le mani contro le orecchie. «Avvisate quando lo fate, folgorati pezzi pendenti dal sedere di una capra…» colpo successivo lo sommerse del tutto.

I Trolloc più in basso furono sbalzati in aria quando i Draghi polverizzarono il terreno sotto di lui. Quelle uova esplodevano quando erano scagliate da quei maledetti tubi. Che genere di cosa, a parte l’Unico Potere, poteva far esplodere il metallo? Uno era certo di non volerlo dannatamente sapere.

Talmanes si avvicinò al bordo delle Alture, esaminando il danno. A lui si unì una donna tarabonese, quella che aveva inventato queste armi. Si guardò attorno e vide Uno, poi gli gettò qualcosa. Un pezzetto di cera. La donna tarabonese si picchiettò l’orecchio, poi iniziò a parlare con Talmanes, gesticolando. Poteva avere il comando delle truppe, ma la donna aveva il controllo di quegli aggeggi: diceva agli uomini dove posizionare i Draghi per combattere.

Uno bofonchiò, ma si mise in tasca la cera. Un manipolo di circa cento Trolloc si era fatto strada attraverso l’esplosione, e lui non aveva il tempo di preoccuparsi delle sue orecchie. Uno afferrò una picca, spianandola e facendo segno ai suoi uomini di fare lo stesso. Indossavano tutti il bianco della Torre; anche Uno portava un tabarro bianco.

Urlò ordini, approntando la picca mettendosi vicino alla sommità del pendio, con l’estremità inferiore del manico sollevata. Una mano stringeva l’impugnatura di fronte a lui per guidare e rafforzare l’affondo; l’altra mano, col palmo all’ingiù, stretta a un braccio di distanza dall’estremità, avrebbe portato a termine l’affondo quando i Trolloc fossero arrivati entro la sua portata. Diverse file di picchieri dietro Uno erano pronte ad avanzare seguendo l’impatto iniziale.

«Saldi con le picche, folgorati pastori!» tuonò Uno. «Saldi!»

I Trolloc si precipitarono su per la collina, schiantandosi contro la fila di picche. Le bestie nell’avanguardia cercarono di sbattere via le picche con le loro armi, ma gli uomini di Uno vennero avanti e li impalarono, spesso due picche per ogni bestia. Uno grugnì, rimettendo in linea la picca per trapassare un Trolloc alla gola.

«Prima fila, indietro!» gridò Uno, strattonando via la propria picca per liberarla dal Trolloc che aveva ucciso. I compagni fecero lo stesso, tirando via le armi e lasciando che i cadaveri rotolassero giù per il pendio.

I picchieri nella prima fila indietreggiarono mentre quelli nella seconda venivano avanti tra loro, conficcando le picche in Trolloc ringhianti. Ciascuna fila fece a turno sul davanti in successione finché, pochi minuti dopo, l’intero gruppo di Trolloc fu ucciso. «Buon lavoro» disse Uno, sollevando la picca in posizione eretta, con uno sgocciolio di sangue trolloc che colava giù per il manico dalla punta. «Buon lavoro.»

Lanciò un’occhiata verso i dragonieri, che stavano riempiendo quei tubi con altre uova. Si affrettò a tirar fuori la cera dalla tasca. Sì, potevano tenere questa folgorata posizione. Potevano tenerla bene. Avevano solo bisogno di…

Un urlo dall’alto lo fece fermare mentre si metteva la cera nelle orecchie. Qualcosa atterrò con un tonfo sul terreno accanto a Uno. Una palla di piombo con dei pennacchi cadde dall’alto. «Folgorata capra seanchan!» gridò Uno, alzando lo sguardo e scuotendo il pugno. «Mi ha quasi preso sulla zucca, mangiavermi marci.»

Il raken volò via, probabilmente senza che il suo cavaliere sentisse una parola di quello che Uno aveva urlato. Dannati Seanchan. Si chinò, togliendo la lettera dalla palla.

Ritiratevi giù per il pendio sudovest delle Alture.

«Mi stai dannatamente prendendo a calci» borbottò Uno. «Prendendo a calci in testa mentre dormo. Allin, dannato idiota, puoi leggere questo?»

Allin, un Andorano dai capelli scuri, portava una mezza barba rasata ai lati. Uno aveva sempre pensato che fosse maledettamente ridicolo.

«Ritirarci?» disse Allin. «Ora?»

«Hanno dannatamente perso la testa» disse Uno.

Lì vicino, Talmanes e la donna tarabonese stavano ricevendo un messaggero… E, a giudicare dal ripiglio della Tarabonese, stava riferendo gli stessi ordini. Ritirata.

«Sarà dannatamente meglio che Cauthon sappia cosa sta facendo» disse Uno, scuotendo la testa. Ancora non capiva perché qualcuno aveva messo Cauthon al comando di qualcosa. Si ricordava di quel ragazzo, che apostrofava sempre la gente, gli occhi infossati nella testa. Mezzo morto e mezzo viziato. Uno scosse il capo.

Ma l’avrebbe fatto. Si era votato alla dannata Torre Bianca. Perdo l’avrebbe fatto. «Trasmetti l’ordine» disse ad Allin, ficcandosi la cera nelle orecchie mentre Aludra, ai Draghi, preparava un’altra salva prima di andare. «Ci ritiriamo dalle dannate Alture e…»

Un suono fragoroso colpì Uno fisicamente, riverberando attraverso di lui, dannatamente vicino a fermare il suo cuore. La sua testa colpì il terreno prima che si rendesse conto di essere caduto.

Sbatte le palpebre per scacciare la polvere dagli occhi, gemendo e rotolando mentre un altro lampo, poi un altro ancora, colpiva le Alture dove si trovavano i Draghi. Fulmini! I soldati erano in ginocchio, gli occhi chiusi, le mani sopra le orecchie. Talmanes era già in piedi, però, a urlare ordini che Uno riusciva a malapena a sentire, facendo cenno ai suoi uomini di ripiegare.

Una dozzina di palle di fuoco, enormi e incredibilmente veloci, si levarono dall’esercito sharano dietro i Trolloc. Uno imprecò e si gettò in una depressione in cerca di riparo, rotolandovi solo pochi momenti prima che l’intera collina tremasse per un terremoto. Zolle di terra caddero sopra di lui, quasi seppellendolo.

Tutto stava crollando loro addosso. Tutto quanto. Ogni dannato incanalatore sharano nell’esercito pareva concentrato sulle Alture. I suoi avevano Aes Sedai messe a protezione dei Draghi, ma da come sembrava che andassero le cose dovevano essere in difficoltà a controbattere a quello! L’attacco durò per quella che parve un’eternità. Quando si placò, Uno strisciò fuori. Alcuni dei folgorati Draghi erano in pezzi e Aludra stava lavorando con i dragonieri per recuperarli e proteggere il resto. Talmanes, tenendosi una mano insanguinata alla testa, stava urlando. Uno si strappò via la cera da un orecchio — quello probabilmente gli aveva salvato l’udito — e si precipitò verso Talmanes.

«Dove sono le vostre dannate Aes Sedai?» gridò Uno. «Dovrebbero dannatamente fermare questo!»

Ne avevano quattro dozzine, a cui era stato ordinato di recidere i flussi in volo o deviarli per proteggere i Draghi. Avevano affermato di essere in grado di tenere le Alture al sicuro da qualunque cosa eccetto l’arrivo del Tenebroso. Adesso erano in preda alla confusione, dopo che i fulmini erano caduti in mezzo a loro.

Trolloc stavano avanzando di nuovo su per la collina. Uno ordinò ad Allin di formare un muro di picche e tenere indietro le creature, poi corse verso le Aes Sedai con alcune guardie. Si unì ai Custodi, aiutando le donne ad alzarsi e cercando quella che le capeggiava.

«Kwamesa Sedai?» chiese Uno, trovando la Aes Sedai al comando, che si stava ripulendo dalla polvere. La snella Arafelliana dalla carnagione scura stava borbottando sottovoce.

«Cos’era quello?» domandò.

«Uh…» disse Uno.

«Quella domanda non era per te» disse lei, esaminando il cielo. «Einar! Perché non hai notato quei flussi?»

Un Asha’man si precipitò da lei. «Sono giunti troppo rapidamente. Ci sono arrivati addosso prima che avessi il tempo di dare l’allarme. E… Luce! Chiunque li abbia mandati era forte. Più forte di quanto abbia mai visto, più forte di…»

Una linea di luce divise l’aria dietro di loro. Era enorme, lunga quanto la fortezza di Fal Dara. Ruotò su sé stessa, aprendo un vasto passaggio che divise il terreno al centro delle Alture. In piedi dall’altro lato c’era un uomo in un’armatura brillante fatta di anelli d’argento simili a monete, la testa senza elmo con una chioma scura e un naso forte. Teneva davanti a sé uno scettro d’oro, con la sommità a forma di clessidra o di un elegante calice.

Kwamesa reagì immediatamente, sollevando la mano e lasciando andare un flusso di Fuoco. L’uomo agitò la mano e il flusso di Fuoco venne deviato; poi indicò — quasi con indifferenza — e qualcosa di sottile, caldo e bianco lo collegò a Kwamesa. La forma della donna brillò e poi scomparve, con dei corpuscoli che cadevano lenti verso terra.

Uno balzò via ed Einar si unì a lui mentre rotolava dietro i resti di un Drago rotto.

«Vengo per il Drago Rinato!» annunciò la figura vestita d’argento. «Lo farete venire qui. Altrimenti farò in modo che siano le vostre urla a portarcelo.»

La terra sotto i Draghi si sollevò in aria solo a pochi piedi da Uno, che gettò in alto le braccia davanti al volto quando pezzi di legno e terra volarono contro di lui.

«La Luce ci aiuti» disse Einar. «Sto cercando di fermarlo, ma è in un circolo. Un circolo completo. Settantadue. Non ho mai visto un tale potere prima d’ora! Io…»

Una barra di luce incandescente attraversò il Drago rotto, vaporizzandolo e colpendo Einar. L’uomo scomparve in un istante e Uno si precipitò indietro imprecando. Si tuffò lontano mentre i resti del Drago crollavano per terra attorno a lui.

Uno urlò ai suoi uomini di ripiegare, spronandoli a muoversi e ritardando solo il tempo sufficiente ad afferrare un uomo ferito sotto il braccio e aiutarlo ad allontanarsi. Non mise più in discussione l’ordine di ritirarsi dalle Alture. Era il miglior dannatissimo ordine che un uomo avesse mai dato!


Logain Ablar lasciò andare l’Unico Potere. Era in piedi accanto al Mora, sotto le Alture, e percepiva gli attacchi su in alto.

Lasciar andare l’Unico Potere era una delle cose più difficili che avesse mai fatto. Più difficile della decisione di nominarsi Drago, più difficile che trattenersi dallo strangolare Taim durante i loro primi giorni assieme alla Torre Nera.

Il Potere scivolò via da lui, come se le sue vene fossero state aperte e si stesse dissanguando sul terreno. Prese un respiro profondo. Trattenere così tanto Unico Potere — quello di trentanove persone in un circolo — era stato inebriante. Lasciarlo andare gli ricordò quando era stato domato, quando il Potere gli era stato sottratto. Quando ogni respiro lo aveva incoraggiato a trovare un coltello e a tagliarsi la gola.

Sospettava che fosse questa la sua follia: il terrore che lasciar andare l’Unico Potere gliel’avesse fatto perdere per sempre.

«Logain?» chiese Androl.

Logain voltò la testa verso l’uomo più basso e i suoi compagni. Erano leali. Logain non sapeva perché, ma erano leali. Tutti quanti. Sciocchi. Sciocchi fedeli.

«Riesci a percepirlo?» chiese Androl. Gli altri — Canler, Emarin, Jonneth — stavano fissando le Alture. Il Potere rilasciato lì… era straordinario.

«Demandred» disse Emarin. «Dev’essere lui.»

Logain annuì lentamente. Un tale potere… Perfino uno dei Reietti non poteva essere così forte. Doveva avere con sé un sa’angreal dalla potenza immensa.

Con uno strumento del genere, sussurravano i suoi pensieri, nessun uomo o donna potrebbe sottrarti mai più il Potere.

Taim l’aveva fatto, durante la prigionia di Logain. Lo aveva tenuto prigioniero, schermato, incapace di toccare l’Unico Potere. I tentativi di Convertirlo erano stati dolorosi, devastanti. Ma essere senza saidin

Forza, pensò, osservando quell’incanalare così potente. Il desiderio di essere forte quasi soffocava il suo odio per Taim.

«Per ora non lo affronteremo» disse Logain. «Dividetevi nelle squadre preordinate.» Quelle comprendevano una donna e cinque o sei uomini ciascuna. La donna e due uomini potevano formare un circolo, mentre gli altri fornivano supporto. «Daremo la caccia ai traditori della Torre Nera.»

Pevara, in piedi al fianco di Androl, sollevò un sopracciglio. «Intendi andare già a dare la caccia a Taim? Cauthon non ti voleva qui per aiutare a muovere gli uomini?»

«L’ho messo in chiaro con Cauthon» disse Logain. «Non passerò questa battaglia a spostare soldati per il campo. Per quanto riguarda gli ordini, abbiamo una direttiva dal Drago Rinato in persona.»

Rand al’Thor li aveva definiti i suoi ‘ultimi’ ordini per loro, un messaggio recapitato con un piccolo angreal di un uomo che impugnava una spada. L’Ombra ha rubato i sigilli della prigione del Tenebroso. Trovateli. Se potete, vi prego, trovateli.

Durante la prigionia, Androl aveva sentito quello che pensava fosse Taim vantarsi dei sigilli. Era la loro unica pista. Logain guardò in lontananza. Le loro forze si stavano ritirando dalle Alture. Logain non poteva vedere lo schieramento di Draghi da dove si trovava, ma le dense colonne di fumo non promettevano bene per la loro sicurezza.

È comunque lui a dare gli ordini, pensò Logain. Sono ancora intenzionato a obbedirvi?

Per la possibilità di una vendetta contro Taim? Sì, avrebbe seguito gli ordini di Rand al’Thor. Una volta non lo avrebbe messo in discussione così tanto. Quello era stato prima della prigionia e della tortura.

«Andate» disse Logain ai suoi Asha’man. «Avete letto ciò che ha scritto il Lord Drago. Dobbiamo recuperare i sigilli a tutti i costi. Non c’è nulla di più importante. Dobbiamo sperare che sia davvero Taim ad averli. Badate a segni di uomini che incanalano, date loro la caccia e uccideteli.»

Non aveva importanza se quegli uomini che incanalavano fossero stati Sharani. Gli Asha’man avrebbero aiutato comunque in questa battaglia eliminando gli incanalatori nemici. Avevano discusso quella tattica in precedenza. Quando avessero percepito uomini incanalare, potevano usare dei balzi con passaggi per individuarne la posizione, poi cercare di sorprenderli e attaccarli.

«Se vedete uno degli uomini di Taim,» disse Logain «cercate di catturarlo in modo da potergli cavare dove Taim ha situato la sua base.» Fece una pausa. «Se siamo fortunati, il M’Hael in persona sarà qui. Badate che potrebbe portare con sé i sigilli; non sarebbe bene distruggerli con un attacco. Se lo vedete, tornate e riferitemi dove si trova.»

Le squadre di Logain si allontanarono. Lo lasciarono con Gabrelle, Arei Malevin e Karldin Manfor. Era un bene che almeno alcuni dei suoi uomini più abili fossero stati assenti dalla Torre durante il tradimento di Taim.

Gabrelle guardò Logain con occhi impassibili. «E Toveine?» chiese.

«La uccideremo se la troviamo.»

«È così semplice per te?»

«Sì.»

«Gabrelle, se fossi in lei preferiresti vivere? Vivere e servire lui

La donna chiuse la bocca, le labbra serrate in una linea. Aveva ancora paura di lui; Logain poteva percepirlo. Bene.

Era questo che desideravi, sussurrò la sua mente, quando innalzasti lo stendardo del Drago? Quando cercasti di salvare l’umanità? Lo facesti per essere temuto? Odiato?

Ignorò quella voce. Le uniche volte che aveva realizzato qualcosa nella vita erano state quando era stato temuto. Era l’unico vantaggio che aveva avuto contro Siuan e Leane. Il Logain primordiale, quel qualcosa dentro di lui che lo spingeva a vivere, aveva bisogno che la gente lo temesse.

«Riesci a percepirla?» chiese Gabrelle.

«Ho sciolto il vincolo.»

La sua invidia fu brusca e immediata. Lo sconcertò. Logain aveva pensato che il loro ruolo assieme stesse cominciando a piacerle, o almeno che lo sopportasse.

Ma, naturalmente, era tutta una recita per provare a manipolarlo. Era così che agivano le Aes Sedai. Sì, aveva percepito lussuria da lei in precedenza, forse perfino affetto. Non era certo di potersi fidare di ciò che pensava di percepire. Pareva che, nonostante tutto ciò che aveva fatto per essere forte e libero, avessero tirato i suoi fili fin da quando era un giovincello.

Incanalando, Demandred irradiava forza. Un tale potere.

Un boato fragoroso risuonò dalle Alture. Logain rise, gettando la testa all’indietro. Corpi furono scaraventati in aria come foglie dalle Alture.

«Collegatevi a me!» ordinò a quelli rimasti con lui. «Unitevi a me in un circolo e diamo la caccia al M’Hael e ai suoi uomini. Volesse la Luce che riuscissi a trovarlo: il mio desco merita solo la carne migliore, il capobranco in persona!»

Dopodiché… Chi lo sapeva? Aveva sempre voluto mettersi alla prova contro uno dei Reietti. Logain afferrò di nuovo la Fonte, trattenendo saidin che si dibatteva come un serpente che stesse cercando di morderlo. Usò il suo angreal per attingerne altro, e poi il Potere dagli altri fluì dentro di lui. Rise più forte.


Gawyn si sentiva stanco. Una settimana di preparativi di norma sarebbe stata un riposo, ma quel giorno si sentiva come se avesse camminato per decine di leghe.

Non c’era modo di evitarlo. Concentrò la propria attenzione verso il passaggio sul tavolo di fronte a lui, che dava sul campo di battaglia. «Sei certa che non riescano a vederlo?» chiese a Yukiri.

«Ne sono certa» ribatté lei. «È stato provato in modo approfondito.»

Stava diventando abile con questi passaggi per osservare. Aveva creato questo su un tavolo portato nel loro accampamento da Tar Valon. Gawyn stava guardando giù verso il campo di battaglia come avrebbe fatto con una mappa.

«Se hai davvero reso invisibile l’altro lato,» disse Egwene in tono ipotetico «potrebbe essere davvero utile…»

«Sarebbe più facile da notare da vicino» ammise Yukiri. «Questo si trova così in alto nel cielo che nessuno da sotto sarebbe in grado di distinguerlo.»

A Gawyn non piaceva che Egwene stesse lì, con testa e spalle sospese sopra il campo di battaglia. Trattenne la lingua; il passaggio era quanto di più sicuro potessero creare. Lui non poteva proteggerla da tutto.

«Luce,» disse Bryne piano «ci stanno facendo a pezzi.»

Gawyn gli lanciò un’occhiata. L’uomo rifiutava i suggerimenti — pure pressanti — di tornare alle sue tenute. Insisteva di essere ancora in grado di impugnare una spada; solo non poteva essergli permesso di comandare. Inoltre, obiettava, chiunque di loro poteva essere sotto coercizione. In un certo senso, sapere che lui lo era dava loro un vantaggio. Almeno potevano sorvegliarlo.

E Siuan lo faceva, tenendogli il braccio con fare protettivo. Le uniche altre persone nella tenda erano Silviana e Doesine.

La battaglia non stava andando bene. Cauthon aveva già perso le Alture — il piano originario era stato tenerle il più possibile — e i Draghi erano a pezzi. L’attacco di Demandred con l’Unico Potere era giunto con molta più forza di quanto chiunque di loro avesse previsto. E l’altro vasto esercito di Trolloc era arrivato da nordest e stava premendo contro i difensori di Cauthon a monte del fiume.

«Cos’ha in mente?» disse Egwene, picchiettando il lato del tavolo. Urla distanti giunsero attraverso l’apertura. «Se continua così, le nostre armate saranno circondate.»

«Sta cercando di mettere l’esca nella trappola» disse Bryne.

«Che tipo di trappola?»

«È un’ipotesi,» disse Bryne «e la Luce sa se sul mio giudizio non si può fare affidamento come un tempo. Pare che Cauthon stia progettando di accumulare tutto in una battaglia, senza indugi, senza cercare di stancare i Trolloc. Per come sta andando, tutto sarà deciso entro pochi giorni. Forse ore.»

«Sembra esattamente qualcosa che Mat farebbe» disse Egwene, rassegnata.

«Non riesco a vedere i flussi,» disse Lelaine «ma quel potere…»

«Demandred è in un circolo» disse Egwene. «I testimoni oculari dicono che si tratta di un circolo completo. Qualcosa che non si vede dall’Epoca Leggendaria. E ha un sa’angreal. Alcuni dei soldati l’hanno visto: uno scettro.»

Gawyn osservò il combattimento molto più in basso, la mano sulla spada. Poteva sentire uomini urlare mentre Demandred indirizzava contro di loro un’ondata di fuoco dopo l’altra.

La voce del Reietto rimbombò all’improvviso, diffondendosi su nell’aria. «Dove sei, Lews Therin! Sei stato visto su ognuno degli altri fronti, travestito. Sei anche qui? Combattimi!»

La mano di Gawyn si serrò sulla spada. I soldati si riversarono giù per il lato sudoccidentale delle Alture, per attraversare il guado. Alcuni piccoli gruppi resistevano sui pendii e i dragonieri — minuscoli come insetti per Gawyn — condussero in salvo i Draghi rimasti, tirati da muli.

Demandred scagliò distruzione contro le truppe che fuggivano. Era un esercito di per sé, che gettava corpi in aria, faceva esplodere cavalli, bruciava e distruggeva. Attorno a lui, i Trolloc conquistarono il terreno elevato. Le loro rozze acclamazioni si levarono attraverso il passaggio.

«Dovremo fare i conti con lui, Madre» disse Silviana. «Molto presto.»

«Sta cercando di spossarti» disse Egwene. «Ha quel sa’angreal. Noi stessi potremmo costituire un circolo di settantadue, ma poi? Cadremmo nella sua trappola? Saremmo massacrati?»

«Che scelta abbiamo, Madre?» chiese Lelaine. «Luce. Sta uccidendo migliaia di persone.»

Migliaia. E loro se ne stavano qui.

Gawyn indietreggiò.

Nessuno parve notarlo tranne Yukiri, che avanzò con impazienza e prese posto accanto a Egwene. Gawyn scivolò fuori dalla tenda e, quando le guardie gli lanciarono un’occhiata, disse di aver bisogno di un po’ d’aria fresca. Egwene avrebbe approvato. Lei percepiva quanto era stanco di recente; gliel’aveva fatto notare diverse volte. Aveva l’impressione di avere pesi di ferro legati alle palpebre, a trascinarle giù. Gawyn guardò verso il cielo annerito. Poteva sentire i boati distanti. Quanto tempo se ne sarebbe stato a far niente mentre degli uomini morivano?

Hai promesso, pensò tra sé. Hai detto di essere disposto a stare nella sua ombra.

Questo non voleva dire smettere di fare un lavoro importante, giusto? Frugò nel borsellino e tirò fuori un anello dei Coltelli del Sangue. Se lo infilò e la sua forza tornò immediatamente mentre la spossatezza se ne andava.

Esitò, poi tirò fuori gli altri anelli e infilò anche quelli.


Sulla riva meridionale del fiume Mora, di fronte alle rovine a nordest del Bozzo di Dashar, Tam al’Thor fece appello al vuoto come Kimtin gli aveva insegnato tutti quegli anni addietro. Tam immaginò l’unica fiamma e vi riversò dentro le sue emozioni. Diventò calmo, poi la calma lo lasciò e non rimase nulla. Come un muro appena verniciato, bello e bianco, che fosse appena stato lavato. Tutto si dissolse.

Tam era il vuoto. Estrasse il suo arco, il buon legno di tasso nero che si piegava, la freccia contro la guancia. Prese la mira, ma era solo una formalità. Quando era dentro il vuoto con questa forza, la freccia faceva esattamente come lui ordinava. Lui non sapeva questo, non più di quanto il sole sapesse di dover sorgere o i rami sapessero che le foglie sarebbero cadute. Queste non erano cose che si sapevano, ma cose che erano.

Scoccò: la corda scattò e la freccia perforò l’aria. Ne seguì un’altra, poi un’altra ancora. Ne lanciò cinque in aria allo stesso tempo, ciascuna mirata in previsione dei venti mutevoli.

I primi cinque Trolloc caddero mentre cercavano di passare su uno dei ponti di zattere che erano riusciti a posizionare sul fiume. I Trolloc odiavano l’acqua; perfino quella poco profonda li intimoriva. Qualunque cosa Mat avesse fatto per proteggere il fiume più a monte, stava funzionando, dato che scorreva ancora. L’Ombra avrebbe cercato di fermarlo. Stava cercando di fermarlo. Ogni tanto la carcassa di un Trolloc o di un mulo veniva trascinata dalla corrente.

Tam continuò a lanciare frecce mentre Abell e gli altri uomini dei Fiumi Gemelli si univano a lui. A volte miravano nella massa, non scegliendo nessun Trolloc in particolare, anche se lo facevano di rado. Un soldato normale poteva tirare senza prendere la mira e supporre che la sua freccia avrebbe trovato la carne, ma non un bravo arciere dei Fiumi Gemelli. Per i soldati le frecce avevano poco valore, ma per i boscaioli non era così.

I Trolloc cadevano a ondate. Accanto a Tam e agli uomini dei Fiumi Gemelli, i balestrieri caricavano le armi e scagliavano una salva dopo l’altra contro la Progenie dell’Ombra. I Fade frustavano i Trolloc da dietro, cercando di spronarli ad attraversare il fiume… con poco successo.

La freccia di Tam colpì un Fade proprio dove si sarebbero dovuti trovare i suoi occhi. Lì vicino, un omone di nome Bayrd fischiò di apprezzamento, appoggiandosi sull’ascia e osservando le frecce cadere. Era parte di un gruppo di soldati posizionati appena dietro gli arcieri per muoversi a loro protezione, una volta che i Trolloc fossero stati costretti ad attraversare.

Bayrd era uno dei capi mercenari che erano confluiti nell’esercito e, anche se era Andorano, né lui né i cento uomini circa che guidava volevano dire da dove provenissero. «Ho bisogno di avere uno di quegli archi» disse Bayrd ai suoi compagni. «Che io sia folgorato, l’avete visto?»

Lì vicino, Abell e Azi sorrisero, continuando a tirare. Tam non sorrise. Non c’era buonumore dentro il vuoto, anche se al di fuori svolazzava un pensiero. Tam sapeva perché Abell e Azi avevano sorriso. Avere un arco dei Fiumi Gemelli non trasformava una persona in un arciere dei Fiumi Gemelli.

«Penso» disse Galad Damodred da cavallo, lì accanto «che probabilmente potresti fare più male a te stesso che al nemico, se tentassi di usare uno di quelli. Al’Thor, quanto manca?»

Tam scagliò un’altra freccia. «Altre cinque» disse, allungando la mano verso la freccia successiva nella faretra che aveva al fianco. La sollevò, la scagliò, poi continuò. Due, tre, quattro, cinque.

Altri cinque Trolloc morti. In totale aveva scagliato oltre trenta frecce. Li aveva mancati solo una volta, ma solo perché Abell aveva ucciso il Trolloc a cui Tam aveva mirato.

«Arcieri, fermi!» urlò Tam.

Gli uomini dei Fiumi Gemelli ripiegarono e Tam lasciò andare il vuoto mentre un gruppo sparso di Trolloc arrancava sulle rive del fiume. Tam guidava ancora le truppe di Perrin, in un certo senso. Manti Bianchi, Ghealdani e la Guardia del Lupo, tutti guardavano a Tam per l’ultima parola, ma ciascuno aveva il proprio condottiero. Lui comandava personalmente gli arcieri.

Perrin, farai meglio a guarire come si deve. Quando Haral aveva trovato il ragazzo steso per terra ai margini dell’accampamento il giorno prima, coperto di sangue e prossimo alla morte… Luce, quello aveva causato a tutti loro un bello spavento.

Perrin era al sicuro a Mayene, dove avrebbe trascorso probabilmente il resto dell’Ultima Battaglia. Un uomo non si ristabiliva rapidamente dal tipo di ferite che erano state inferte a lui, perfino con la Guarigione delle Aes Sedai. Probabilmente Perrin sarebbe quasi impazzito per essere mancato al combattimento, ma a volte accadeva. Era parte dell’essere un soldato.

Tam e gli arcieri si ritirarono fino alle rovine per ottenere un miglior punto d’osservazione sulla battaglia, e lui organizzò gli arcieri nel caso fossero serviti mentre dei galoppini portavano frecce. Mat aveva posizionato le truppe di Perrin accanto ai Fautori del Drago, guidati da Tinna, una donna statuaria. Tam non immaginava da dove fosse venuta o perché fosse al comando: aveva il portamento di una nobildonna, la corporatura di una Aiel e il colorito di una Saldaeana. Gli altri parevano darle ascolto. I Fautori del Drago avevano poco senso per Tam, così se ne teneva alla larga.

All’armata di Tam era stato detto di mantenere la posizione. Mat si era aspettato che l’attacco degli Sharani e dei Trolloc da ovest fosse il più forte; pertanto Tam rimase sorpreso nel vedere che Mat inviava altri rinforzi a monte del fiume dal guado. I Manti Bianchi erano un arrivo recente e i loro abiti si increspavano mentre caricavano lungo la sponda del fiume, abbattendo i Trolloc che scendevano barcollando dai loro ponti instabili.

Cominciarono a volare frecce dai Trolloc sull’altra riva verso Galad e i suoi uomini. I clangori e i tintinnii delle punte di freccia su armature e scudi dei Manti Bianchi assomigliavano a grandine su un tetto. Tam ordinò ad Arganda di far avanzare la loro fanteria, inclusi Bayrd e i mercenari.

Non avevano abbastanza picche, così gli uomini di Arganda impugnavano alabarde e lance corte. Gli uomini iniziarono a urlare e morire tra gli ululati dei Trolloc. Vicino alla posizione di retroguardia di Tam, Alliandre giunse a cavallo, circondata da fanti ben armati. Tam sollevò l’arco verso di lei e la donna annuì, poi si sistemò per osservare. Aveva voluto essere lì per la battaglia.

Tam non poteva biasimarla per quello, né per aver dato ordine ai suoi soldati di portarla via al primo segno che questa stesse volgendo a loro sfavore.

«Tam! Tam!» Dannil arrivò al galoppo e Tam fece cenno ad Abell di prendere il comando degli arcieri. Si diresse da Dannil, incontrando il ragazzo all’ombra delle rovine.

All’interno di quelle mura diroccate, le riserve di Tam osservavano la battaglia con nervosismo. Molti di loro erano arcieri mercenari e Fautori del Drago. Molti di quest’ultimo gruppo non erano mai stati in battaglia prima. Be’, nemmeno molti degli uomini dei Fiumi Gemelli fino a pochi mesi addietro. Imparavano in fretta. Colpire un Trolloc con una freccia non era così diverso dal colpire un cervo.

Però, se mancavi il cervo, quello non ti sventrava con una spada pochi secondi dopo.

«Cosa c’è, Dannil?» chiese Tam. «Ordini da Mat?»

«Ti sta inviando compagnie di fanteria dalla Legione del Drago» disse Dannil. «Dice di tenere il fiume qui, a ogni costo.»

«Cos’ha in mente quel ragazzo?» disse Tam, guardando verso le Alture. La Legione del Drago aveva una buona fanteria, balestrieri ben addestrati che sarebbero stati utili. Ma cosa stava succedendo sulle Alture? lampi di luce si riflettevano da colonne di denso fumo nero che si sollevavano dalle Alture verso le nuvole in cielo. Il combattimento lassù era nel vivo.

«Non lo so, Tam» disse Dannil. «Mat… è cambiato. Penso V di non conoscerlo più. È sempre stato un po’ una canaglia, ma ora… Luce, Tam. È come qualcuno usato dalle storie.»

Tam grugni. «Siamo cambiati tutti. Probabilmente Mat direbbe cose simili su di te.»

Dannil rise. «Oh, ne dubito, Tam. Anche se a volte mi domando cosa sarebbe successo se fossi andato con loro tre. Voglio dire, Moiraine Sedai stava cercando ragazzi dell’età giusta e immagino che io fossi un po’ troppo vecchio…»

Pareva pensieroso. Dannil poteva dire e pensare quello che voleva, ma Tam dubitava che gli sarebbe piaciuto patire le cose che avevano costretto Mat, Perrin e Rand a diventare le persone che erano adesso. «Prendi il comando di questa truppa» disse Tam, indicando con il capo gli arcieri di riserva. «Mi assicurerò che Arganda e Galad sappiano che stiamo per ricevere rinforzi.»


Spesse frecce trolloc piovvero attorno a Pevara mentre intesseva disperatamente Aria. La folata soffiò via le frecce come sassolini gettati giù dalla plancia da un giocatore infuriato. Sudando, si aggrappò a saldar e ordì uno schermo più forte di Aria, spostandolo nel cielo per difendersi contro ulteriori raffiche.

«È sicuro!» urlò. «Andate!»

Un gruppo di soldati schizzò fuori da sotto una sporgenza sul ripido pendio delle Alture dal lato del fiume. Altre spesse frecce nere piombarono dall’alto. Colpirono il suo schermo; ciò le rallentò a un punto tale che, una volta attraversato, caddero indolenti come piume. I soldati che aveva aiutato scattarono verso il punto di raduno al Guado Hawal. Altri decisero di restare dov’erano e combattere mentre bande di Trolloc si riversavano giù dai pendii. Gran parte della Progenie dell’Ombra rimase in cima alle Alture per mantenere salda la posizione e terminare di spingere giù gli umani.

Dove? Le giunse il pensiero furioso di Androl, un sussurro sommesso dentro la sua mente.

Qui, gli trasmise lei. Non completamente un pensiero, più un’immagine, un senso di luogo.

Un passaggio si divise accanto a lei e Androl vi scattò attraverso, con Emarin che lo seguiva. Entrambi portavano spade, ma Emarin ruotò e protese la mano all’indietro, sparando una scia di fuoco attraverso il passaggio aperto. Dall’altro lato risuonarono delle urla. Urla umane.

«Siete andati fin dall’esercito sharano?» domandò Pevara. «Logain voleva che restassimo assieme!»

«Dunque ti importa di quello che vuole, adesso?» chiese Androl sogghignando.

Sei insopportabile, pensò lei. Attorno a loro, frecce sbatacchiavano sul terreno. I Trolloc più in alto ulularono dalla rabbia.

«Ottimo flusso» disse Androl.

«Grazie.» Lei lanciò un’occhiata alla spada.

«Sono un Custode ora.» Scrollò le spalle. «Tanto vale averne anche l’aspetto, eh?»

Androl poteva tagliare un Trolloc in due con un passaggio a trecento passi di distanza e chiamare a raccolta il fuoco dall’interno di Montedrago stesso, eppure voleva portare una spada. Pevara decise che era una mania da uomini.

L’ho sentito, le trasmise Androl. «Emarin, da me. Pevara Sedai, se vuoi cortesemente acconsentire ad accompagnarci…»

Lei lo guardò sprezzante, ma si unì agli altri due mentre si muovevano lungo la base sudoccidentale delle Alture, superando alcuni feriti che barcollavano verso il punto di raccolta. Androl lanciò loro un’occhiata, poi intessé un passaggio verso l’accampamento. Quegli uomini claudicanti urlarono dalla sorpresa e in ringraziamento, mettendosi in salvo attraverso di esso.

Androl era cresciuto… Era più fiducioso da quando avevano lasciato la Torre Nera. La prima volta che si erano incontrati, aveva mostrato esitazione su ogni cosa che faceva. Una specie di nervosa umiltà. Ora non più.

«Androl.» disse Emarin, indicando il pendio con la spada.

«Li vedo» disse Androl. Sopra, i Trolloc si riversavano oltre la sommità delle Alture come pece che ribolliva fuori dal bordo di una pentola. Dietro, il passaggio di Androl si chiuse, il gruppo di soldati ormai al sicuro. Altri urlarono quando lo videro chiudersi.

Non puoi salvarli tutti, pensò Pevara con severità rivolta ad Androl, percependo la sua punta di angoscia. Resta concentrato sul compito attuale. I tre si fecero strada tra i soldati, deviando verso diversi incanalatori che potevano percepire più avanti. Jonneth, Canler e Theodrin erano lì, a scagliare fuoco contro gruppi di Trolloc. La loro posizione stava soffrendo.

«Jonneth, Canler, a me» disse Androl, superandoli di corsa e aprendo un passaggio di fronte a sé. Pevara ed Emarin lo attraversarono dopo di lui, ritrovandosi sulla cima delle Alture, a qualche centinaio di passi di distanza.

Jonneth e gli altri li seguirono, unendosi a loro mentre il gruppo schizzava davanti a un manipolo di Trolloc sorpresi.

«Qualcuno sta incanalando!» urlò Pevara. Luce, quanto era difficile correre con queste gonne. Androl lo sapeva, vero?

Androl aprì un altro passaggio per loro mentre alcuni zampilli di fiamma provenivano da certi Sharani in cima alle Alture. Pevara vi passò attraverso, cominciando ad avere il fiatone. Comparvero dall’altro lato degli Sharani, che stavano bersagliando il punto dove Pevara si era trovata solo pochi istanti prima.

Pevara aprì i suoi sensi, cercando di notare — o percepire — la loro preda. Gli Sharani si voltarono verso di loro e indicarono, poi urlarono quando Androl fece calare su di loro una valanga di neve da un passaggio su un lato. Aveva cercato di creare quei Cancelli della Morte che usavano gli altri Asha’man, ma il flusso apparentemente era diverso quanto bastava da dargli problemi. Invece si atteneva a quello in cui era bravo.

Gruppi di uomini della Guardia della Torre combattevano ancora in cima alle Alture, tenendo terreno contravvenendo agli ordini. Pezzi di Draghi, inclusi i grossi tubi di lancio in bronzo, giacevano fumanti lì vicino tra cadaveri bruciati. Migliaia e migliaia di Trolloc ululavano, soprattutto ai bordi delle Alture, scagliando frecce su quelli al di sotto. I loro ruggiti gioiosi mettevano Pevara in apprensione e lei ordì Terra e mandò i flussi verso il suolo vicino a loro. Una grossa zolla di terra tremolò, poi si staccò, facendo precipitare due dozzine di Trolloc oltre il bordo.

«Stiamo attirando di nuovo l’attenzione!» disse Emarin, dando fuoco a un Myrddraal che si stava muovendo di soppiatto verso di loro. Quello si dimenò tra le fiamme, stridendo con voce inumana, rifiutandosi di morire. Sudando, Pevara prestò il suo Fuoco a Emarin, bruciando la creatura finché non ne rimasero che le ossa.

«Be’, non è poi così male!» disse Androl. «Se attiriamo abbastanza attenzione, presto o tardi una dell’Ajah Nera oppure uno degli uomini di Taim deciderà di affrontarci.»

Jonneth imprecò. «È un po’ come saltare dentro un formicaio e aspettare di essere morsi!»

«In effetti, è molto simile a quello» disse Androl. «Montate la guardia. Io mi occuperò dei Trolloc!»

Questa è un’affermazione forte, gli trasmise Pevara.

La sua risposta fu calda, come il calore emanato da un piatto da cucina. Eroica.

Suppongo potrebbe tornarti utile un po’ di forza in più

Sì, grazie, trasmise lui.

Pevara gli offrì un collegamento. Lui attinse la forza, prendendo il controllo del loro circolo. Come sempre, collegarsi con Androl era un’esperienza travolgente. Percepì le proprie emozioni rimbalzare contro di lui e tornare di nuovo verso di lei, e questo la fece arrossire. Androl percepiva come stava iniziando a considerarlo?

Sciocca come una ragazza con le gonne al ginocchio, pensò Pevara di sé — attenta a schermare i propri pensieri a lui -, grande solo quanto basta per conoscere la differenza tra ragazzi e ragazze. E nel mezzo di una guerra, perfino.

Trovava difficile indurire le proprie emozioni — come avrebbe dovuto fare una Aes Sedai — quando era collegata con Androl. Le loro identità si mischiavano, come colori che turbinavano, versati nella stessa dotala. Lottò, determinata a mantenere la propria identità. Era vitale quando ci si collegava, come le era stato insegnato più e più volte.

Androl gettò una mano in avanti verso un gruppo di Trolloc che avevano cominciato a scagliare frecce contro di lui. Il passaggio si formò, inghiottendo le frecce. Lei si guardò attorno e le trovò che cadevano su un altro gruppo di Trolloc.

Dei passaggi si aprivano nel terreno e i Trolloc vi cadevano dentro, apparendo a centinaia di piedi nell’aria. Un minuscolo passaggio staccò la testa dal collo di un Myrddraal, lasciandolo a dibattersi e a zampillare sangue nero come inchiostro sul terreno. La squadra di Androl si trovava vicino alla parte occidentale delle Alture, dove prima erano stati posizionati i Draghi. Su tutti i lati c’erano Sharani e Progenie dell’Ombra.

Androl, qualcuno sta incanalando! Pevara poteva percepirlo, si sollevava sopra di loro sulle Alture. Qualcosa di potente.

Taim! A Pevara parve che la scarica improvvisa di Androl potesse consumarla. In essa c’era la perdita di amici e la furia per essere stato tradito da uno che avrebbe dovuto proteggerli.

Attento, trasmise lei. Non sappiamo se sia lui.

Quello che li attaccava era in un circolo con uomini e donne, altrimenti Pevara non sarebbe stata in grado di percepirlo. Allo stato attuale, non poteva vedere i flussi. Però poté vedere la spessa colonna di fuoco che si abbatté su di loro, del diametro di un passo, il cui calore era sufficiente ad arrossare il terreno roccioso sotto di loro.

Androl creò un passaggio appena in tempo, intercettando la colonna di fuoco e indirizzandola da dove era venuta. Torrenti gemelli arsero cadaveri di Trolloc e infiammarono erbacce e chiazze di vegetazione.

Pevara non vide cosa accadde dopo. Il passaggio di Androl scomparve, come strappatogli via, e un’esplosione di fulmini colpì proprio accanto a loro. Pevara crollò a terra scomposta e Androl le cadde addosso.

In quel momento, lei si lasciò andare.

Lo fece per caso, a causa del trauma dell’impatto. In molti casi, il collegamento sarebbe scivolato via, ma Androl aveva una stretta forte. La diga che tratteneva l’identità di Pevara da quella di Androl si ruppe e si mescolarono. Fu come attraversare uno specchio, poi voltarsi a guardare sé stessa.

Si costrinse a tirarsene fuori, ma con una consapevolezza che non riusciva a descrivere. Dobbiamo andarcene di qui, pensò, ancora collegata con Androl. Tutti gli altri sembravano vivi, ma non sarebbero durati a lungo se il nemico avesse usato altri fulmini. Pevara iniziò d’istinto il flusso complesso per un passaggio, anche se non avrebbe fatto nulla. Androl aveva il comando del circolo, perciò solo lui…

Il passaggio si aprì. Pevara rimase a bocca aperta. Era stata lei a farlo, non lui. Era tra i flussi più complessi, più difficili e più costosi in termini di Potere che lei conoscesse, ma l’aveva creato con la stessa facilità con cui muoveva una mano. Mentre era in un circolo guidato da qualcun altro.

Theodrin fu la prima ad attraversarlo barcollando. La snella Domanese strattonò dietro di sé un arrancante Jonneth. Seguì Emarin, zoppicando e con un braccio che gli pendeva inutile al fianco.

Androl osservò il passaggio, sbalordito. «Pensavo che non si potesse incanalare se qualcun altro era al comando di un circolo di cui si fa parte.»

«Non si può» disse lei. «L’ho fatto per caso.»

«Per caso? Ma…»

«Attraversa il passaggio, testone» disse Pevara, spintonandolo. Lei lo seguì, poi crollò a terra dall’altro lato.


«Damodred, mi occorre che tu resti dove sei» disse Mat. Non alzò lo sguardo, ma sentì il cavallo di Galad sbuffare attraverso il passaggio aperto.

«Verrebbe da interrogarsi sulla tua sanità mentale, Cauthon» replicò Galad.

Mat alzò finalmente lo sguardo dalle mappe. Non era certo che si sarebbe mai abituato a questi passaggi. Si trovava nel loro edificio di comando, quello che Tuon aveva fatto erigere nella fenditura ai piedi del Bozzo di Dashar, e c’era un passaggio nella parete. Dall’altro lato, Galad era in sella al suo cavallo con indosso il bianco e oro dei Figli della Luce.

Era ancora vicino alle rovine, dove un’armata di Trolloc stava cercando di farsi strada dall’altra sponda del Mora.

Galad Damodred era un uomo a cui sarebbe tornato utile qualche bel cicchetto. Era simile a una statua, con quel volto cesellato e l’espressione immutabile. No, le statue avevano più vita.

«Farai come ti viene detto» disse Mat, tornando a guardare le mappe. «Devi tenere il fiume lassù e fare come ti ordina Tam. Non m’importa se pensi che il tuo ruolo non sia abbastanza importante.»

«Molto bene» disse Galad, la voce fredda come un cadavere nella neve. Fece voltare il cavallo e Mika la damane chiuse il passaggio.

«Là fuori è un bagno di sangue, Mat» disse Elayne. Luce, la sua voce era più fredda di quella di Galad!

«Voi tutti mi avete dato questa responsabilità. Lasciatemi fare il mio lavoro.»

«Ti abbiamo reso comandante delle armate» disse Elayne. «Non sei tu il responsabile.»

Cavillava su ogni minima parola, come ci si poteva aspettare da una Aes Sedai… Mat alzò lo sguardo, la fronte corrucciata. Min aveva appena detto qualcosa piano a Tuon. «Cosa c’è?» chiese lui.

«Ho visto il suo corpo da solo, su un campo,» disse Min «come morto.»

«Matrim» disse Tuon. «Sono… preoccupata.»

«Per una volta siamo d’accordo» disse Elayne dal trono. «Mat, il loro generale ti sta surclassando.»

«Non è così dannatamente semplice» disse Mat, le dita sulle mappe. «Non è mai così dannatamente semplice.»

L’uomo che comandava l’Ombra era bravo. Molto bravo.

È Demandred, pensò Mat. Sto combattendo uno dei dannati Reietti.

Assieme, Mat e Demandred stavano componendo un grande dipinto. Ciascuno reagiva alle mosse dell’altro con cura sottile. Mat stava cercando di usare un po’ troppo rosso tra i suoi colori. Voleva dipingere il quadro sbagliato, ma era comunque qualcosa di ragionevole.

Era difficile. Doveva essere abbastanza capace da tenere a bada Demandred, ma abbastanza debole da invitarlo all’aggressione. Una finta, molto sottile. Era pericoloso, potenzialmente disastroso. Doveva camminare sul filo di un rasoio. Non c’era modo di evitare di tagliarsi i piedi. La domanda non era se avrebbe perso sangue, ma se avrebbe raggiunto l’altro lato o no.

«Fate venire gli Ogier» disse Mat piano, le dita sulla mappa. «Li voglio a rinforzare gli uomini al guado.» Lì combattevano gli Aiel, sorvegliando la strada mentre gli uomini della Torre Bianca e i membri della Banda della Mano Rossa si ritiravano dalle Alture come da suo ordine.

L’ordine venne riferito agli Ogier. Riguardati, Loial, pensò Mat, prendendo un appunto sulla mappa di dove aveva mandato gli Ogier. «Avvertite Lan che è ancora sul lato occidentale delle Alture. Voglio che faccia il giro attorno, adesso che molte delle forze dell’Ombra sono in cima, e si diriga di nuovo verso il Mora, dietro l’altra armata di Trolloc che sta cercando di passare vicino alle rovine. Non deve attaccarli; deve solo stare fuori vista e tenere la posizione.» messaggeri corsero a riferire gli ordini e lui prese un altro appunto. Una dei so’jhin, quella graziosa con le lentiggini, gli portò del kaf. Mat era troppo assorto dalla battaglia per sorriderle.

Sorseggiando il suo kaf, Mat ordinò alla damane di creargli un passaggio sul tavolo affinché potesse vedere il campo di battaglia vero e proprio. Si sporse sopra di esso, ma tenne una mano sul bordo del tavolo. Solo un dannato sciocco avrebbe permesso che qualcuno lo spintonasse attraverso un buco a duecento piedi da terra.

Posò il kaf su un tavolino laterale e tirò fuori il cannocchiale.

Trolloc stavano scendendo dalle Alture, diretti verso gli acquitrini. Sì, Demandred era abile. Le enormi bestie che aveva mandato verso gli acquitrini erano lente, ma grosse e poderose, come una slavina. Inoltre un gruppo di Sharani a cavallo stava per galoppare giù dalle Alture. Cavalleria leggera. Avrebbero colpito le truppe di Mat a difesa del Guado Hawal, impedendo loro di attaccare il fianco sinistro dei Trolloc.

Una battaglia era un duello su larga scala. Per ogni mossa, c’era una contromossa; spesso tre o quattro. Rispondevi muovendo una squadra qui, una squadra lì, cercando di controbattere a quello che il nemico faceva mettendogli pressione in punti dove era sguarnito. Avanti e indietro, avanti e indietro. Mat era in inferiorità numerica, ma poteva essere un vantaggio.

«Riferisci a Talmanes quanto segue» disse Mat, l’occhio ancora sul cannocchiale. «‘Ricordi quando hai scommesso che non sarei riuscito a tirare una moneta in una tazza dall’altra parte dell’intera locanda?’»

«Sì, o Insigne» disse il messaggero seanchan.

Mat aveva risposto alla scommessa dicendo che ci avrebbe provato quando fosse stato più ubriaco, altrimenti non ci sarebbe stato alcun divertimento. Poi Mat aveva finto di ubriacarsi e aveva provocato Talmanes ad alzare la posta da argento a oro.

Talmanes l’aveva capito e aveva insistito che bevesse per davvero. Gli devo ancora alcuni marchi per quello, vero?, pensò Mat distrattamente.

Puntò il cannocchiale verso la parte settentrionale delle Alture. Una truppa di cavalleria pesante sharana si era radunata per scendere lungo il pendio; poteva distinguere le lunghe lance dalla punta d’acciaio.

Si stavano preparando a una carica per intercettare gli uomini di Lan mentre facevano il giro attorno al lato nord delle Alture. Ma l’ordine non aveva ancora raggiunto Lan.

Questo confermò i sospetti di Mat: Demandred non solo aveva spie nell’accampamento, ma ne aveva una dentro o vicino alla tenda di comando. Qualcuno che poteva inviare messaggi non appena Mat dava ordini. Quello probabilmente voleva dire un incanalatore, qui, all’interno della tenda, che stava camuffando la propria capacità.

Dannate ceneri, pensò Mat. Come se tutto non fosse già abbastanza difficile.

Il messaggero mandato da Talmanes tornò. «O Insigne,» disse, prostrandosi con il naso contro il pavimento «il tuo uomo dice che le sue forze sono completamente in pezzi. Desidera eseguire il tuo ordine, ma dice che i Draghi non saranno disponibili per il resto della giornata. Occorreranno settimane per ripararli. Sono… Mi dispiace, o Insigne, ma queste sono state le sue parole precise. Sono peggio di una cameriera di Sabinel. Non so cosa significhi.»

«Lì le cameriere lavorano per le mance,» disse Mat con un grugnito «ma la gente di Sabinel non dà mance.»

Naturalmente era una menzogna. Sabinel era una cittadina dove Mat aveva cercato di convincere Talmanes ad aiutarlo a conquistare un paio di cameriere. Talmanes aveva suggerito che Mat simulasse una ferita di guerra per ottenere solidarietà.

Brav’uomo. I Draghi potevano ancora combattere, ma probabilmente sembravano sfasciati per bene. In quello avevano un vantaggio: nessuno sapeva come funzionavano tranne Mat e Aludra. Dannate ceneri, e lui che si preoccupava che ogni volta che sparavano lo facessero dalla parte sbagliata.

Cinque o sei Draghi erano del tutto funzionanti; Mat li aveva portati in salvo attraverso un passaggio. Aludra li aveva posizionati a sud del guado, mirati verso le Alture. Mat li avrebbe usati, ma avrebbe lasciato che la spia avesse l’impressione che il grosso dei Draghi era stato distrutto. Talmanes invece poteva ripararli; poi Mat avrebbe potuto usarli di nuovo.

Ma, nel momento in cui lo farò, pensò Mat, Demandred userà tutto quello di cui dispone contro di essi. Doveva farlo al momento giusto. Dannate ceneri, di recente la sua vita era stata incentrata completamente sui momenti giusti. Quei tipi di momenti andavano scarseggiando. Per ora, ordinò ad Aludra di usare la mezza dozzina di Draghi funzionanti per bersagliare i Trolloc dall’altra parte del fiume che stavano scendendo lungo il pendio sudoccidentale delle Alture.

Lei era abbastanza lontana dalle Alture e si sarebbe mantenuta in movimento, così Demandred avrebbe avuto difficoltà a individuarla e ad abbattere i Draghi. Presto il fumo che emettevano avrebbe reso indistinta la posizione di Aludra.

«Mat» disse Elayne dal trono sul lato della stanza. Lui notò con divertimento che, per trovare una posizione ‘comoda’, in qualche modo aveva indotto Birgitte a puntellarlo e alzar lo di qualche pollice, così adesso era seduta esattamente allo stesso livello di Tuon. Forse un pollice più in alto. «Per favore. Puoi spiegarci almeno una parte di cosa stai facendo?»

Non senza che anche quella spia lo senta, pensò lui, guardandosi attorno. Chi era? Una delle tre coppie di damane e sul’dam Una damane poteva essere un’Amica delle Tenebre senza che la sua sul’dam lo sapesse? E il contrario? Quella nobildonna con la striscia bianca tra i capelli pareva sospetta.

Oppure era uno dei generali? Galgan? Tylee? Il Generale di Stendardo Gerish? Lei si trovava da un lato della stanza, guardandolo torvo. Sul serio. Donne. Gerish aveva davvero un bel didietro, ma Mat lo aveva menzionato solo per amicizia. Era un uomo sposato.

Il fatto era che c’erano così tante persone lì in giro che Mat immaginava che, se avesse sparso del miglio sul pavimento, per la fine della giornata avrebbe avuto della farina. In teoria erano tutti assolutamente affidabili e incapaci di tradire l’imperatrice, che potesse vivere per sempre. Cosa che non avrebbe fatto, se le spie avessero continuato a intrufolarsi.

«Mat?» disse Elayne. «Occorre che qualcun altro sappia qual è il tuo piano. Se tu dovessi cadere, dovremmo proseguirlo noi.»

Be’, questa era un’ottima argomentazione. Ci aveva riflettuto lui stesso. Assicuratosi che i suoi ordini stessero per essere eseguiti, si avvicinò a Elayne. Si guardò attorno per la stanza, poi sorrise agli altri con aria innocente. Non dovevano sapere che sospettava di loro.

«Perché quegli sguardi maliziosi verso tutti quanti?» chiese Elayne piano.

«Non sto guardando in modo dannatamente malizioso» disse Mat. «Fuori. Voglio fare una passeggiata e prendere un po’ d’aria fresca.»

«Knotai?» chiese Tuon, alzandosi in piedi.

Mat non guardò verso di lei: quegli occhi potevano penetrare solido acciaio. Invece si fece strada con noncuranza fuori dall’edificio di comando. Elayne e Birgitte lo seguirono pochi istanti dopo.

«Di che si tratta?» chiese Elayne piano.

«Ci sono molte orecchie là dentro» disse Mat.

«Sospetti che ci sia una spia all’interno dell’edificio…»

«Aspetta» disse Mat, prendendola per il braccio e strattonandola via. Mat rivolse un educato cenno del capo ad alcuni Sorveglianti della Morte. Quelli grugnirono come risposta. Per i Sorveglianti della Morte, equivaleva a essere loquaci.

«Puoi parlare liberamente» disse Elayne. «Ho appena intessuto una protezione contro orecchie indiscrete.»

«Grazie» disse Mat. «Ti voglio lontano dal centro di comando. Ti dirò cosa sto facendo. Se qualcosa va storto, dovrai scegliere un altro generale, d’accordo?»

«Mat,» disse Elayne «se pensi che ci sia una spia…»

«So che c’è una spia,» disse Mat «e ho intenzione di sfruttarlo. Funzionerà. Fidati di me.»

«Sì, e sei così fiducioso che hai già preparato un piano di riserva nel caso dovessi fallire.»

Mat ignorò quell’affermazione e annuì a Birgitte. Lei si guardò attorno con noncuranza, attenta che nessuno cercasse di avvicinarsi troppo.

«Quanto sei brava a carte, Elayne?» chiese Mat.

«A… Mat, non è il momento per giocare d’azzardo.»

«È precisamente il momento per giocare d’azzardo. Elayne, non vedi quanto siamo in inferiorità numerica? Non senti la terra quando Demandred attacca? Siamo fortunati che non abbia deciso di Viaggiare direttamente qui al centro di comando e attaccarci: sospetto che tema che Rand sia nascosto qui da qualche parte e che cadrebbe in un’imboscata. Ma sangue e dannate ceneri, è forte. Senza un azzardo, siamo morti. Finiti. Sepolti.»

Lei tacque.

«Per quanto riguarda le carte» disse Mat, sollevando un dito. «Le carte non sono come i dadi. A dadi, vuoi vincere più tiri possibile. Tanti tiri, tante vincite. È casuale, capisci? Ma le carte no. A carte, devi fare in modo che gli altri inizino a scommettere. Scommettere tanto. E puoi farlo lasciandoli vincere un poco. O molto.

«Qui non è così difficile, dato che siamo inferiori come forza e come numeri. L’unico modo che abbiamo per vincere è scommettere tutto sulla mano giusta. A carte, puoi perdere novantanove volte ma avere la meglio se vinci quella mano giusta. Fintantoché il nemico inizia a scommettere in modo avventato. Fintantoché riesci a far fronte alle perdite.»

«Ed è questo che stai facendo?» chiese Elayne. «Stai simulando che stiamo perdendo?»

«Dannate ceneri, no» disse Mat. «Non posso simularlo. Lo capirebbe. Io sto perdendo, ma sto anche osservando. Tenendo da parte quell’ultima puntata, quella che potrebbe fard vincere tutto.»

«Allora quando ci muoviamo?»

«Quando ci arrivano le carte giuste» disse Mat. Sollevò la mano, impedendole di obiettare. «Lo saprò, Elayne. Lo saprò dannatamente e basta. Questo è tutto ciò che posso dire.»

Elayne incrodò le braccia sopra il ventre gonfio. Luce, sembrava più grande ogni giorno. «D’accordo. Quali sono i tuoi piani per le forze dell’Andor?»

«Ho già Tam e i suoi uomini impegnati lungo il fiume alle rovine» disse Mat. «Per quanto riguarda il resto delle tue armate, vorrei che andassi ad aiutarli al guado. Probabilmente Demandred conta sul fatto che quei Trolloc a nord di qui attraversino il fiume e spingano i nostri difensori verso valle sul lato shienarese mentre il resto dei Trolloc e degli Sharani scendono dalle Alture per ricacciarci indietro oltre il guado e a monte del fiume.

«Cercheranno di stringerà nel mezzo, circondarci, e sarà la fine. Solo che Demandred ha mandato una truppa su per il Mora per fermare il flusso del fiume, e presto ci riusciranno. Vedremo se c’è un modo per far sì che la cosa funzioni a nostro vantaggio. Ma una volta che il fiume non ci sarà più, ci servirà una difesa solida per fermare i Trolloc quando tenteranno di precipitarsi lungo il letto del fiume. Ecco a cosa servono le tue forze.»

«Ci andremo» disse Elayne.

«Andremo?» sbraitò Birgitte.

«Io cavalcherò con le mie truppe» disse Elayne, dirigendosi verso le linee dei cavalli. «È sempre più evidente che non sarò in grado di fare nulla qui, e Mat vuole che stia lontano dalla posizione di comando. Quindi, che io sia dannata, ma andrò.»

«In battaglia?» disse Birgitte.

«Siamo già in battaglia, Birgitte» disse Elayne. «Gli incanalatori sharani potrebbero sferrare un assalto entro pochi minuti al Bozzo di Dashar e a questa fenditura con diecimila uomini. Vieni. Prometto che ti lascerò mettere attorno a me tante guardie che non sarò in grado di starnutire senza schizzare una dozzina di loro.»

Birgitte sospirò e Mat le rivolse un’occhiata consolatoria. Lei si congedò con un cenno del capo e poi si allontanò con Elayne.

D’accordo, pensò Mat, voltandosi di nuovo verso l’edificio di comando. Elayne stava facendo quello che doveva e Talmanes aveva ricevuto il segnale. Adesso c’era la vera sfida.

Poteva convincere Tuon a fare quello che voleva lui?


Galad condusse la cavalleria dei Figli della Luce in un attacco dirompente lungo il Mora, vicino alle rovine. I Trolloc avevano costruito altri ponti di zattere lì, e i corpi galleggiavano fitti come foglie autunnali su uno stagno. Gli arcieri avevano svolto bene il loro lavoro.

Quei Trolloc che alla fine erano riusciti a passare ora si ritrovavano a dover affrontare i Figli. Galad si sporse in basso, la lancia stretta, mentre spezzava il collo di un imponente Trolloc dalla faccia d’orso; continuò al galoppo, con la punta della lancia che gocciolava sangue e il Trolloc che cadeva in ginocchio dietro di lui.

Guidò il suo destriero Sidama tra la massa di Trolloc, travolgendoli o costringendoli a togliersi di mezzo con un balzo. La potenza di una carica di cavalleria era nei numeri, e quelli che Galad costringeva a scansarsi potevano essere travolti dai cavalli che lo seguivano.

Dopo la carica giunse una salva dagli uomini di Tam, che lanciarono frecce nel corpo principale di Trolloc mentre arrancavano sulle sponde del fiume. Quelli dietro spinsero su di loro, schiacciando i feriti.

Golever e diversi altri Figli si unirono a Galad mentre la loro carica — che spazzò la prima fila di Trolloc — perdeva energia. Lui e i suoi uomini si impennarono e si voltarono, le lance in alto, galoppando indietro per individuare gruppetti di uomini separati che combattevano da soli.

Il campo di battaglia era enorme. Galad trascorse quasi un’ora a cercare tali gruppi, salvandoli e ordinando loro di dirigersi alle rovine affinché Tam o uno dei suoi capitani potesse organizzarli in nuove compagnie. Lentamente, man mano che i numeri diminuivano, le formazioni originarie si mischiavano tra loro. I mercenari adesso non erano più i soli a cavalcare con i Figli. Galad aveva Ghealdani, membri della Guardia Alata e un paio di Custodi sotto il suo comando. Kline e Alix. Entrambi avevano perso le loro Aes Sedai. Galad non si aspettava che durassero a lungo, ma stavano combattendo con ferocia terribile.

Dopo aver rimandato un altro gruppo di sopravvissuti verso le rovine, Galad fece rallentare Sidama al passo, sentendo il respiro affannoso del cavallo. Questo campo accanto al fiume era diventato un coacervo insanguinato di corpi e fango. Cauthon aveva avuto ragione a lasciare i Figli qui in posizione. Forse Galad attribuiva troppo pochi meriti a quell’uomo.

«Da quanto tempo diresti che stiamo combattendo?» chiese Golever, accanto a lui. Il tabarro di quel Figlio era stato strappato via, lasciando esposta la cotta di maglia. Una sezione di anelli lungo il lato destro era stata frantumata dalla lama di un Trolloc. La cotta aveva retto, ma la macchia di sangue indicava che molti degli anelli erano stati conficcati nel giaco imbottito di Golever e nel suo fianco. Non sembrava che la ferita fosse brutta, così Galad non disse nulla.

«Abbiamo toccato mezzodì» ipotizzò Galad, anche se non poteva vedere il sole a causa delle nuvole. Era ragionevolmente certo che stessero combattendo ormai da quattro o cinque ore.

«Pensi che si fermeranno per la notte?» chiese Golever.

«Ne dubito» disse Galad. «Sempre che questa battaglia duri così a lungo.»

Golever lo guardò preoccupato. «Pensi…»

«Non riesco a capire cosa sta succedendo. Cauthon ha mandato così tante truppe quassù e ha tolto tutti quanti dalle Alture, da quello che riesco a capire. Non so perché. È l’acqua nel fiume… Non ti sembra che scorra a tratti? Lo scontro a monte sicuramente sta andando male…» Scosse il capo. «Forse se potessi vedere di più del campo di battaglia potrei capire il piano di Cauthon.»

Era un soldato. Un soldato non aveva bisogno di capire la battaglia nel suo complesso per seguire gli ordini. Però, Galad di solito era almeno in grado di ricomporre la strategia del suo schieramento dagli ordini che venivano dati.

«Hai mai immaginato una battaglia così vasta?» chiese Golever, voltando la testa. La fanteria di Arganda si stava scontrando con i Trolloc al fiume. Sempre più Progenie dell’Ombra stava riuscendo a passare… Allarmato, Galad si rese conto che il fiume aveva smesso del tutto di scorrere.

La Progenie dell’Ombra aveva conquistato una posizione nell’ultima ora. Sarebbe stato uno scontro duro, ma almeno i numeri adesso erano più equilibrati, con tutti i Trolloc che avevano ucciso prima. Cauthon aveva saputo che il fiume avrebbe smesso di scorrere. Ecco perché aveva mandato così tante truppe lassù, per arginare questo massacro dall’altra parte.

Luce, pensò Galad, sto guardando il Gioco delle Casate sul campo di battaglia stesso. Sì, non aveva dato abbastanza credito a Cauthon.

Una palla di piombo con un pennacchio rosso cadde all’improvviso dal cielo circa venti passi più avanti, colpendo un Trolloc morto al cranio. Più in alto, il raken stridette e continuò il suo volo. Galad spronò Sidama in avanti e Golever smontò per prendere la lettera per lui. I passaggi erano utili, ma i raken potevano vedere il campo di battaglia nella sua vastità, cercare uomini specifici nelle compagnie e consegnare ordini.

Golever gli porse la lettera e Galad tirò fuori la sua lista di codici dalla busta di cuoio che portava in cima a uno stivale. I codici erano semplici: un elenco di numeri con parole accanto. Se gli ordini non usavano la parola giusta e il numero giusto assieme, erano sospetti.


Damodred, recati assieme a una dozzina degli uomini migliori della tua compagnia ventidue e spostati lungo la riva verso il Guado Hawal. Fermati quando riesci a vedere lo stendardo di Elayne e rimani lì in attesa di altri ordini.

P.S. Se vedi dei Trolloc con bastoni da guerra, ti suggerisco di lasciare che sia Golever a combatterli, dato che so che hai problemi con quei tipi.

Mat.


Galad sospirò, mostrando la lettera a Golever. Il codice la autenticava: il numero ventidue e il termine bastone da guerra erano appaiati.

«Cosa vuole da noi?» chiese Golever.

«Vorrei saperlo» disse Galad. Lo voleva davvero.

«Andrò a radunare alcuni uomini» disse Golever. «Immagino che vorrai Hamesh, Mallone, Brokel…» Continuò enunciando un elenco completo.

Galad annuì. «Una buona lista. Be’, non posso dire che questo ordine mi dispiaccia. Mia sorella è entrata in campo, pare. Così la terrò d’occhio.» Oltre a quello, voleva sorvegliare un’altra sezione del campo di battaglia. Forse lo avrebbe aiutato a capire cosa stava facendo Cauthon.

«Come ordini, Lord Capitano Comandante» disse Golever.


Il Tenebroso attaccò.

Era un tentativo per fare a brandelli Rand, distruggerlo pezzo dopo pezzo. Il Tenebroso cercava di rivendicare gli elementi stessi che componevano l’essenza di Rand, poi annichilirli.

Rand non riusciva a prendere fiato, non riusciva a urlare. Questo attacco non era al suo corpo, poiché in questo posto non aveva un vero corpo, solo un ricordo.

Rand si tenne assieme. Con difficoltà. Di fronte a questo attacco terrificante, ogni idea di sconfiggere il Tenebroso — di ucciderlo — scomparve. Rand non poteva sconfiggere nulla. Poteva a stento resistere.

Non avrebbe saputo descrivere quella sensazione se l’avesse provata. Era come se il Tenebroso lo stesse facendo a pezzi mentre allo stesso tempo tentava di schiacciarlo completamente, giungendo a Rand da direzioni infinite, tutto al lo stesso tempo, in un’ondata.

Rand cadde in ginocchio. Era una proiezione di lui stesso a farlo, ma a lui parve reale.

Passò un’eternità.

Rand lo sopportò. La pressione schiacciante, il rumore di distruzione. Lo subì in ginocchio, le dita contratte come artigli, il sudore che gli colava dalla fronte. Lo tollerò e alzò lo sguardo.

«Questo è tutto ciò che hai?» ringhiò Rand.

Io vincerò.

«Tu mi hai reso forte» disse Rand, la voce esausta. «Ogni volta che tu o i tuoi servi avete cercato di distruggermi, il vostro fallimento era come il martello del fabbro contro il metallo. Questo tentativo…» Rand prese un respiro profondo. «Questo tuo tentativo non è nulla. Io non mi spezzerò.»

Ti sbagli. Non è un tentativo di distruggerti. Sono preparativi.

«Per cosa?»

Per mostrarti la verità.

Frammenti del Disegno… fili… si tessero all’improvviso davanti a Rand, separandosi dal corpo principale di luce come centinaia di minuscoli ruscelli fluenti. Rand sapeva che non era davvero il Disegno, non più di quanto ciò che vedeva di sé stesso fosse realmente il suo corpo. Per interpretare qualcosa di così vasto come il tessuto della creazione, la sua mente aveva bisogno di qualche tipo di rappresentazione. Era questo che sceglieva la sua consapevolezza. I fili si tessero in modo simile a come facevano in un flusso dell’Unico Potere, solo che ce n’erano migliaia e migliaia, e i colori erano più vari, più accesi. Ciascuno era dritto, come un laccio teso. O un fascio di luce.

Si unirono come il prodotto di un telaio, creando una visione attorno a lui. Un terreno dal suolo viscido, piante punteggiate di nero, alberi con rami pendenti come braccia prive di forza.

Divenne un luogo. Una realtà. Rand si spinse in piedi e poté percepire il terreno. Riusciva a sentire odore di fumo nell’aria. Poteva udire… gemiti di disperazione. Rand si voltò e scoprì di essere su un pendio quasi completamente arido sopra una città scura con mura di pietra nera. E all’interno erano accalcati edifici, tozzi e smorti, come casematte.

«Questo cos’è?» sussurrò Rand. Cera qualcosa in quel luogo che gli sembrava familiare. Alzò lo sguardo, ma non riuscì a vedere il sole a causa delle nuvole che dominavano il cielo.

È ciò che sarà.

Rand saggiò l’Unico Potere, ma si ritrasse dalla repulsione. La corruzione era tornata, ma era peggio… molto peggio. Dove un tempo era stata una pellicola scura sulla luce fusa di saidin, adesso era una melma così densa che non riusciva a penetrarla. Avrebbe dovuto assorbire l’oscurità, avvilupparsi dentro di essa, per cercare l’Unico Potere al di sotto… Sempre che fosse ancora lì. Il solo pensiero gli fece montare la bile in gola e dovette lottare per impedire al suo stomaco di svuotarsi.

Fu attratto verso quella fortezza nelle vicinanze. Perché gli sembrava di conoscere questo posto? Era nella Macchia: era chiaro dalle piante. Come se non bastasse, poteva fiutare la decomposizione nell’aria. Il calore era come quello di un acquitrino in estate: afoso, opprimente malgrado le nuvole.

Procedette lungo il basso pendio e notò alcune figure che lavoravano nelle vicinanze. Uomini che colpivano alberi con delle scuri. Ce n’erano forse una dozzina. Mentre Rand si avvicinava, lanciò un’occhiata di lato e vide il nulla che era il Tenebroso in lontananza, che consumava parte del paesaggio come una fossa all’orizzonte. Un monito che ciò che Rand stava vedendo non era reale?

Superò ceppi di alberi tagliati. Gli uomini stavano raccogliendo legna da ardere. Il tock tock delle scuri e le posture degli uomini non avevano nulla della forza decisa che Rand associava ai boscaioli. I colpi erano indolenti, gli uomini lavoravano con spalle ingobbite.

L’uomo sulla sinistra… Quando Rand si avvicinò, lo riconobbe, malgrado la postura piegata e la pelle rugosa. Luce. Tam doveva avere almeno settantanni, forse ottanta. Perché stava lì fuori a lavorare duramente?

È una visione, pensò Rand. Un incubo. Una creazione del Tenebroso. Non è reale.

Eppure, mentre si trovava lì dentro, Rand trovò difficile non reagire come se fosse reale. E lo era, in un certo senso. Il Tenebroso usava fili in ombra del Disegno — le possibilità che si increspavano dalla creazione come cerchi da un ciottolo lanciato in uno stagno — per creare questo.

«Padre?» chiese Rand.

Tam si voltò, ma i suoi occhi non si misero a fuoco su Rand.

Rand prese Tam per la spalla. «Padre!»

Tam rimase lì apatico per un momento, poi tornò al suo lavoro, sollevando la scure. Lì accanto, Dannil e lori colpivano un ceppo. Anche loro erano invecchiati e adesso erano uomini di mezz’età. Dannil pareva soffrire di qualche malattia terribile, il volto pallido e la pelle spaccata da qualche tipo di piaga.

La scure di Jori si conficcò in profondità nel terreno aspro e dal suolo filtrò una fiumana nera: insetti che erano nascosti alla base del ceppo. La lama aveva perforato il loro covo.

Gli insetti sciamarono fuori e zampettarono su per il manico, ricoprendo Jori. Lui urlò, colpendoli ripetutamente, ma la sua bocca aperta permise a quegli esseri di arrampicarsi dentro. Rand aveva sentito parlare di una cosa del genere: uno sciame di morte, uno dei molti pericoli della Macchia. Sollevò una mano verso Jori, ma l’uomo si accasciò da un lato, morto, con la stessa rapidità di un respiro.

Tam urlò dal terrore e scappò via di corsa. Rand ruotò quando suo padre andò a finire in una macchia di cespugli lì vicino, cercando di sfuggire allo sciame di morte. Qualcosa balzò da un ramo, rapido come uno schiocco di frusta, e si avvolse attorno al collo di Tam, facendolo fermare con uno strattone.

«No!» disse Rand. Non era reale. Non riusciva comunque a guardare suo padre morire. Afferrò la Fonte, facendosi strada a forza attraverso l’oscurità malsana della corruzione. Parve soffocarlo, e Rand trascorse un tempo straziante a cercare di trovare saidin. Quando riuscì ad afferrarlo, ne venne fuori solo un rivoletto.

Intessé comunque, ruggendo e mandando un nastro di fiamma per uccidere il viticcio che aveva afferrato suo padre.

Tam cadde da quella stretta mentre i rampicanti avvizzivano e morivano.

Tam non si mosse. I suoi occhi erano fissi verso l’alto, morti.

«No!» Rand si rivolse verso lo sciame di morte. Lo distrusse con un flusso di Fuoco. Erano passati solo pochi secondi, ma di Jori rimanevano soltanto le ossa.

Gli insetti scoppiettarono quando li bruciò.

«Un incanalatore» mormorò Dannil, rannicchiandosi lì vicino, guardando Rand con occhi sgranati. Altri tra i boscaioli erano fuggiti tra la vegetazione. Rand udì diverse urla.

Non riuscì a trattenersi dal vomitare. La corruzione… era così terribile, così putrida. Non riusciva a trattenere la Fonte più a lungo di così.

«Vieni» disse Dannil, prendendo Rand per il braccio. «Vieni, ho bisogno di te!»

«Dannil» gracidò Rand, alzandosi in piedi. «Non mi riconosci?»

«Vieni» ripeté Dannil, trascinando Rand verso la fortezza.

«Sono Rand. Rand, Dannil. Il Drago Rinato.»

Negli occhi di Dannil non brillò alcuna comprensione.

«Cosa ti ha fatto?» sussurrò Rand.

Non ti conoscono, avversario. Li ho ricreati. Tutte le cose sono mie. Non sapranno cosa hanno perduto. Non conosceranno nulla tranne me.

«Io ti rifiuto» mormorò Rand. «Ti rifiuto.»

Rifiutare il sole non lo fa tramontare. Rifiutare me non impedisce la mia vittoria.

«Vieni» disse Dannil, trascinando Rand. «Ti prego. Devi salvarmi!»

«Metti fine a questo» disse Rand.

Mettervi fine? Non esiste nessuna fine, avversario. È e basta. Io l’ho creato.

«Tu lo immagini.»

«Per favore» disse Dannil.

Rand si lasciò trascinare verso la fortezza oscura. «Cosa ci facevi là fuori, Dannil?» domandò Rand. «Perché raccogliere legna nella Macchia stessa? Non è sicuro.»

«Era la nostra punizione» sussurrò Dannil. «A quelli che deludono il nostro padrone viene ordinato di andare a prendere un albero tagliato con le proprie mani. Se gli sciami di morte o i ramoscelli non ti uccidono, il rumore delle asce attira altre cose…»

Rand si accigliò mentre giungevano su una strada che portava alla cittadina e alla sua fortezza oscura. Sì, questo posto era familiare. La Strada della Cava, pensò Rand sorpreso. E quella davanti… La fortezza dominava quello che un tempo era stato il Parco al centro di Emond’s Field.

La Macchia aveva consumato i Fiumi Gemelli.

Le nuvole in cielo parevano premere su Rand, e lui udì le urla di Jori nella sua testa. Vide di nuovo Tam dibattersi mentre veniva strangolato.

Non è reale.

Questo era ciò che sarebbe successo se Rand avesse fallito. Così tante persone dipendevano da lui… Così tante. Alcune le aveva già deluse. Doveva combattere per impedirsi di ripensare all’elenco di coloro che erano morti al suo servizio. Perfino se avesse salvato altri, aveva fallito nel proteggere questi.

Era un attacco di diverso tipo da quello di colui che aveva cercato di distruggere la sua essenza. Rand lo percepì: il Tenebroso insinuava i suoi tentacoli dentro di lui, infettandogli la mente con preoccupazione, dubbio, paura.

Dannil lo condusse alle mura del villaggio dove un paio di Myrddraal con i loro mantelli immobili sorvegliavano i cancelli. Scivolarono in avanti. «Sei stato mandato a raccogliere legna» sussurrò uno con labbra troppo bianche.

«Io… Io ho portato questo!» disse Dannil, allontanandosi barcollando. «Un dono per il nostro padrone! Sa incanalare. L’ho trovato per voi!»

Rand ringhiò, poi si lanciò di nuovo verso l’Unico Potere, nuotando tra la lordura. Raggiunse quel rivoletto di saidin, afferrandolo.

Fu sbattuto via immediatamente dalla sua presa. Uno schermo scivolò tra lui e la Fonte.

«Non è reale» mormorò mentre si voltava per vedere chi avesse incanalato.

Nynaeve attraversò i cancelli cittadini a grandi passi, vestita di nero. «Un selvatico?» chiese. «Mai scoperto prima? Come ha fatto a sopravvivere così a lungo? Hai agito bene, Dannil. Ti restituisco la tua vita. Non fallire di nuovo.»

Dannil pianse di gioia, poi superò Nynaeve e si precipitò nella città.

«Non è reale» disse Rand mentre Nynaeve lo legava con flussi di Aria, poi lo trascinava nella versione di Emond’s Field del Tenebroso, con i due Myrddraal che la precedevano rapidi. Era una grande città ora. Le case davano l’impressione di topi radunati davanti a un gatto, ciascuna dello stesso grigiore uniforme. Gli abitanti sgattaiolavano per i vicoli, gli occhi bassi.

La gente si sparpagliava davanti a Nynaeve, a volte chiamandola ‘padrona’. Altri la chiamavano Prescelta. I due Myrddraal attraversarono rapidi la città, come ombre. Quando Rand e Nynaeve raggiunsero la fortezza, un gruppetto si era radunato nel cortile. Dodici persone: Rand poteva percepire che i quattro uomini del gruppo trattenevano saidin, anche se tra loro riconobbe solo Damer Flinn. Un paio delle donne erano ragazze che aveva conosciuto ai Fiumi Gemelli.

Erano in tredici. E tredici Myrddraal, radunati sotto il cielo coperto. Per la prima volta dall’inizio della visione, Rand provò paura. Non questo. Tutto ma non questo.

E se l’avessero Convertito? Questo non era reale, ma era una versione della realtà. Un mondo riflesso, creato dal Tenebroso. Cosa sarebbe successo a Rand se l’avessero Convertito qui? Era stato intrappolato così facilmente?

Iniziò a dibattersi in preda al panico contro i lacci di Aria. Era inutile, naturalmente.

«Sei davvero un tipo interessante» disse Nynaeve, voltandosi verso di lui. Non sembrava avere un giorno di più di quando l’aveva lasciata nella caverna, ma c’erano altre differenze. Portava di nuovo i capelli in una treccia, ma il suo volto era più esile, più… severo. E quegli occhi.

Gli occhi erano tutti sbagliati.

«Come sei sopravvissuto là fuori?» gli chiese lei. «Come hai fatto a non essere scoperto per tutto questo tempo?»

«Provengo da un posto dove il Tenebroso non regna.»

Nynaeve rise. «Ridicolo. Un racconto per bambini. Il Sommo Signore regna da sempre.»

Rand poteva vederlo. Il collegamento al Disegno, lo scintillio di mezze verità e di strade in ombra. Questa eventualità… poteva accadere. Era un sentiero che il mondo poteva intraprendere. Il Tenebroso, qui, aveva vinto l’Ultima Battaglia e aveva spezzato la Ruota del Tempo.

Quello gli aveva permesso di ricostruirlo, di tessere il Disegno in un modo nuovo. Tutti coloro che erano vivi avevano dimenticato il passato e adesso sapevano solo quello che il Tenebroso aveva inserito nelle loro menti. Rand poteva leggere la verità, la storia di questo posto, nei fili del Disegno che aveva toccato prima.

Nynaeve, Egwene, Logain e Cadsuane adesso facevano parte dei Reietti, Convertiti all’Ombra contro la loro volontà. Moiraine era stata giustiziata perché troppo debole.

Elayne, Min, Aviendha… Loro erano state consegnate a una tortura interminabile a Shayol Ghul.

Il mondo era un incubo vivente. Ogni membro dei Reietti governava come un despota sulla propria piccola parte di mondo. Regnava un autunno senza fine mentre mettevano eserciti, Signori del Terrore e fazioni gli uni contro gli altri. Una battaglia eterna.

La Macchia si era estesa a ogni oceano. Seanchan non esisteva più, bruciato e in rovina a un punto tale che nemmeno ratti e corvi potevano sopravvivere lì. Chiunque fosse in grado di incanalare veniva scoperto da giovane e Convertito. Il Tenebroso non gradiva il rischio che qualcuno potesse riportare speranza al mondo.

E nessuno l’avrebbe mai fatto.

Rand urlò quando i tredici cominciarono a incanalare.

«Questo è il vostro peggio?» gridò Rand.

Premettero la loro volontà contro la sua. Lui li percepì come chiodi conficcati nel cranio, che gli separavano la carne. Spinse indietro con tutto ciò che aveva, ma gli altri iniziarono una pressione pulsante. Ciascun colpo, come quello di un’ascia, andava sempre più vicino a penetrare dentro di lui.

È così vinco.

Il fallimento colpì Rand con forza, la consapevolezza che quello che succedeva qui era colpa sua. Nynaeve, Egwene, Convertite all’Ombra a causa sua. Quelli che amava, diventati giocattoli per l’Ombra.

Rand avrebbe dovuto proteggerli.

Io vinco. Di nuovo.

«Pensi che io sia lo stesso giovane che Ishamael ha tentato con tutte le sue forze di spaventare?» urlò Rand, ricacciando indietro terrore e vergogna.

Lo scontro è terminato.

«Non è nemmeno cominciato!» urlò Rand.

La realtà attorno a lui si frantumò di nuovo in nastri di luce. La faccia di Nynaeve andò in pezzi, sbrindellandosi come merletto con un filo sciolto. La terra si disintegrò e la fortezza cessò di esistere.

Rand cadde da fasci d’Aria che non erano mai stati completamente lì. La realtà che il Tenebroso aveva creato, fragile, si dissipò nelle sue componenti. Fili di luce si staccarono come una spirale, fremendo come le corde di un’arpa.

Attendevano di essere intessuti.

Rand prese un respiro profondo tra i denti e alzò lo sguardo verso l’oscurità oltre i fili. «Stavolta non me ne starò seduto passivamente a subirlo, Shai’tan. Non sarò prigioniero dei tuoi incubi. Sono diventato qualcosa di più grande di ciò che ero un tempo.»

Rand afferrò quei filamenti che ruotavano attorno a lui, prendendoli… Centinaia e centinaia. Non c’erano Fuoco, Aria, Terra, Acqua o Spirito qui… Questi erano in qualche modo più basilari, più variegati. Ciascuno era individuale, unico. Invece di Cinque Poteri, ce n’erano migliaia.

Rand li prese, li raccolse e tenne in mano il tessuto della creazione stessa.

Poi lo incanalò, filandolo in una diversa possibilità.

«Ora» disse Rand, respirando a fondo e cercando di scacciare l’orrore di ciò che aveva visto. «Ora io mostrerò a te cosa accadrà.»


Bryne si inchinò. «Gli uomini sono in posizione, Madre.»

Egwene prese un respiro profondo. Mat aveva mandato le forze della Torre Bianca oltre il letto del fiume asciutto sotto il guado e attorno al lato occidentale degli acquitrini; era tempo che Egwene si unisse a loro. Lei esitò per un istante, guardando attraverso il passaggio verso il centro di comando di Mat. Egwene incontrò gli occhi della donna seanchan dall’altra parte del tavolo, dove sedeva imperiosa sul trono.

Non ho ancora finito con te, pensò Egwene.

«Andiamo» disse, voltandosi e facendo cenno a Yukiri di chiudere il passaggio per l’edificio di Mat. Tastò il sa’angreal di Vora con una mano mentre usciva a grandi passi dalla sua tenda.

Esitò quando vide qualcosa lì. Qualcosa di lieve, sul terreno. Un reticolo di minuscole fratture sulle rocce. Si chinò.

«Ce ne sono sempre di più in giro, Madre» disse Yukiri, abbassandosi accanto a lei. «Pensiamo che, quando i Signori del Terrore incanalano, le fratture possano diffondersi. In particolare se viene usato il Fuoco Malefico…»

Egwene le percepiva. Anche se al tocco parevano normali crepe, davano su un puro nulla. Un nero fin troppo intenso per essere generato da semplici fratture con ombre della luce.

Egwene intessé. Tutti e cinque i Poteri assieme, per saggiare le crepe. Sì…

Non era del tutto certa di ciò che faceva, ma il flusso in formazione coprì le crepe come una benda. L’oscurità svanì, lasciandosi dietro solo fratture normali… e una sottile pellicola di cristalli.

«Interessante» disse Yukiri. «Cos’era quel flusso?»

«Non lo so» rispose Egwene. «Ho percepito che era quello giusto. Gawyn, hai…» Si interruppe.

Gawyn.

Egwene si mise dritta con un sussulto. Si ricordava vagamente che aveva lasciato la tenda di comando per prendere una boccata d’aria. Quanto tempo era passato? Si voltò lentamente, percependo dove si trovava. Il legame le permetteva di individuare la direzione. Si fermò quando era puntata verso di lui.

Stava guardando verso il letto del fiume, poco più su rispetto al guado, dove Mat aveva posizionato le forze di Elayne.

Oh, Luce

«Cosa?» domandò Silviana.

«Gawyn è andato a combattere» disse Egwene, mantenendo la voce calma con un certo sforzo. Quello zuccone idiota! Non poteva aspettare un’ora o due finché le sue armate non fossero state in posizione? Egwene sapeva che era impaziente di combattere, ma avrebbe almeno dovuto chiederglielo!

Bryne gemette piano.

«Mandate qualcuno a prenderlo» disse Egwene. Adesso la sua voce era fredda, arrabbiata. Non poteva renderla diversa. «A quanto pare si è unito alle armate andorane.»

«Lo farò io» disse Bryne, una mano sulla spada e l’altro braccio sollevato verso uno degli stallieri. «Non mi può essere affidato il comando degli eserciti, ma almeno questo posso farlo.»

Aveva senso. «Porta con te Yukiri» disse lei. «Una volta trovato il mio sciocco Custode, Viaggiate da noi a ovest degli acquitrini.»

Bryne si inchinò, poi si ritirò. Siuan lo osservò, esitante.

«Puoi andare con lui» disse Egwene.

«È lì che hai bisogno di me?» chiese Siuan.

«In effetti…» Egwene abbassò la voce. «Voglio che qualcuno si unisca a Mat e all’imperatrice seanchan e ascolti con orecchie abituate a udire ciò che non viene detto.»

Siuan annuì, e nella sua espressione c’era approvazione… Perfino rispetto. Egwene era Amyrlin; non aveva bisogno di nessuna delle due cose da Siuan, eppure ciò alleviò un poco della sua fatica devastante.

«Sembri divertita» disse Egwene.

«Quando Moiraine e io abbiamo deciso di trovare il ragazzo,» disse Siuan «non avevo idea che il Disegno ci avrebbe mandato anche te.»

«Il tuo rimpiazzo?» disse Egwene.

«Quando una Regina invecchia,» disse Siuan «comincia a pensare alla sua eredità. Luce, ogni donna di una certa età probabilmente inizia a pensare le stesse cose. Avrà una erede che possa mantenere ciò che ha creato? Più una donna cresce in saggezza, più si rende conto che ciò che può realizzare da sola impallidisce a paragone di ciò che può realizzare il suo retaggio.

«Ebbene, suppongo di poterti reclamare del tutto come mia e non ero esattamente lieta che qualcuno mi succedesse. Ma è… rassicurante sapere che ho avuto una parte nel plasmare ciò che verrà. E se una donna deve desiderare un retaggio, non potrebbe sognarne uno migliore di te. Grazie. Sorveglierò questa donna seanchan per te e forse aiuterò Min a sfuggire alla rete per pesa zannuti in cui si è ritrovata.»

Siuan si allontanò, chiedendo a Yukiri di crearle un passaggio prima di andare con Bryne. Egwene sorrise, osservandola dare un bacio al generale. Siuan. Che badava un uomo davanti a tutti.

Silviana incanalò ed Egwene montò in sella a Dashar mentre un passaggio si apriva per loro. Abbracciò la Fonte, tenendo il sa’angreal di Vora davanti a sé, e si avviò al trotto dietro un gruppo di Guardie della Torre. Venne assalita immediatamente dalla puzza di fumo.

L’Alto Capitano Chubain la attendeva dall’altra parte. L’uomo dai capelli scuri le aveva sempre dato l’impressione di essere troppo giovane per il suo ruolo, ma Egwene immaginava che non tutti i comandanti dovessero essere brizzolati come Bryne. Dopotutto, stavano affidando questa battaglia a un uomo che aveva solo qualche anno più di lei, ed Egwene stessa era l’Amyrlin più giovane che ci fosse mai stata.

Egwene si voltò verso le Alture e scoprì di poterle vedere a malapena attraverso i fuochi che ardevano lungo il pendio e il margine orientale degli acquitrini.

«Cos’è successo?» chiese.

«Frecce infuocate» disse Chubain «tirate dalle nostre forze al fiume. Sulle prime pensavo che Cauthon fosse pazzo, ma ora posso vedere come ragiona. Ha fatto tirare contro i Trolloc per incendiare i campi lì sulle Alture e alla base per darci copertura. Il sottobosco laggiù è secco e friabile come legna secca. I fuochi hanno indotto i Trolloc e la cavalleria sharana a risalire il pendio per adesso. E penso che Cauthon conti sul fatto che il fumo offuscherà i nostri movimenti per gli acquitrini.»

L’Ombra avrebbe saputo che qualcuno si stava muovendo qui, ma quante truppe e in quale configurazione… Si sarebbero dovuti affidare a esploratori, invece che al punto elevato in cima alle Alture.

«I nostri ordini?» chiese Chubain.

«Non te l’ha detto?» domandò Egwene.

Lui scosse il capo. «Ci ha fatto mettere semplicemente in posizione qui.»

«Noi proseguiamo su per il lato occidentale dell’acquitrino e cogliamo gli Sharani da dietro» disse lei.

Chubain grugnì. «Questo significa frammentare parecchio le forze. E li assale sulle Alture dopo avergliele lasciate?»

Egwene non aveva una risposta a quella obiezione. Be’, era stata lei — a tutti gli effetti — a mettere Mat al comando. Lanciò un’altra occhiata verso gli acquitrini, nella direzione da cui percepiva Gawyn. Doveva essere impegnato a combattere al…

Egwene esitò. La sua posizione precedente le aveva permesso di percepire Gawyn in direzione del fiume, ma dopo aver attraversato il passaggio aveva una percezione migliore della sua posizione. Lui non era al fiume con gli eserciti di Elayne.

Gawyn era sulle Alture stesse, dove l’Ombra aveva concentrato le forze.

Oh, Luce!, pensò. Gawyn… Cosa stai facendo?


Gawyn avanzò a grandi passi attraverso il fiume. Viticci neri si arricciavano attorno a lui e il calore dell’erba fumante gli riscaldava gli stivali, ma il fuoco si era quasi estinto in cima alle Alture, lasciando il terreno scuro di cenere.

Corpi e alcuni Draghi rotti giacevano anneriti, come cumuli di scorie di ferro o carbone. Gawyn sapeva che a volte, per rinnovare un campo, i contadini bruciavano le erbacce dell’anno precedente. Il mondo stesso era in fiamme ora. Mentre scivolava attraverso il mulinante fumo nero — con il fazzoletto inumidito e legato sulla faccia — pregò per un rinnovamento.

Cerano reticoli di fratture per tutto il terreno. L’Ombra stava distruggendo questa Terra.

Molti Trolloc si stavano radunando sulle Alture che davano sul Guado Hawal, anche se una manciata di essi erano occupati a pungolare corpi sul pendio. Forse erano stati attirati dall’odore di carne bruciata. Un Myrddraal emerse dal fumo e iniziò a rimproverarli in un linguaggio che Gawyn non comprese. Sferzò la frusta contro le schiene dei Trolloc.

Gawyn si immobilizzò dove si trovava, ma il Mezzo Uomo non lo notò. Condusse i Trolloc che si erano staccati dagli altri nel punto dove si era radunato il resto delle creature. Gawyn attese, respirando piano attraverso il fazzoletto, sentendo le ombre dei Coltelli del Sangue avvolgerlo. I tre anelli avevano avuto effetto su di lui. Si sentiva euforico e i suoi arti si muovevano troppo rapidamente quando camminava. Gli ci era voluto del tempo per abituarsi ai cambiamenti, per mantenere l’equilibrio ogni volta che si muoveva.

Un Trolloc con le fattezze di lupo si levò da dietro una pila di rottami e annusò l’aria, guardando oltre il Fade. Il Trolloc poi usci dal suo nascondiglio, con un cadavere sopra la spalla. Passò davanti a Gawyn, a meno di cinque piedi, si soffermò e annusò di nuovo l’aria. Poi, ingobbendosi, prosegui. Il corpo che portava sopra la spalla trascinava dietro di sé il mantello di un Custode. Povero Symon. Non avrebbe mai giocato un’altra mano a carte. Gawyn ringhiò piano e, prima di potersi fermare, balzò in avanti. Si mosse in ‘badare la vipera’, piroettando e alleviando le spalle del Trolloc dal peso della sua testa.

La carcassa piombò a terra. Gawyn rimase con la spada all’infuori, poi si maledisse, accucciandosi e spostandosi di nuovo nel fumo. Avrebbe camuffato il suo odore e quell’oscurità mulinante avrebbe mascherato la sua forma indistinta. Era stato sciocco a rischiare di esporsi per uccidere un solo Trolloc. Il cadavere di Symon sarebbe finito comunque in un pentolone. Gawyn non poteva uccidere l’intero esercito. Era qui per un uomo preciso.

Gawyn si accovacciò, attendendo per vedere se il suo attacco era stato notato. Forse non sarebbero stati in grado di vedere lui — non era certo di quanto gli anelli lo nascondessero — ma chiunque avesse guardato avrebbe visto il Trolloc cadere.

Nessun grido d’allarme. Gawyn si alzò e continuò. Solo allora notò che le sue dita mostravano del rosso tra il nero della cenere. Se l’era ustionate. Il dolore era distante. Gli anelli. Gli riusciva difficile pensare correttamente, ma questo — per fortuna — non comprometteva la sua capacità di combattere. Semmai ora i suoi istinti erano più forti.

Demandred. Dov’era Demandred? Gawyn percorse rapidamente la sommità delle Alture avanti e indietro. Cauthon aveva posizionato truppe al fiume vicino al guado, ma il fumo rendeva impossibile vedere chi c’era. Dall’altro lato, gli uomini delle Marche di Confine erano impegnati con un’unità di cavalleria sharana. Eppure qui, sulla cima, tutto era pacifico, malgrado la presenza di Progenie dell’Ombra e Sharani. Ora Gawyn procedeva di soppiatto lungo le retrovie della Progenie dell’Ombra, mantenendosi tra le chiazze più accidentate di legna morta ed erbacce. Nessuno pareva notarlo. Qui c’erano delle ombre, e le ombre erano protezione. Più in basso, nel corridoio tra le Alture e gli acquitrini, i fuochi si stavano spegnendo. Pareva che avessero fatto troppo in fretta a estinguersi. Qualcuno aveva incanalato?

Gawyn era stato intenzionato a trovare Demandred cercando l’origine dei suoi attacchi, ma se stava solo incanalando per spegnere gli incendi, allora…

L’esercito dell’Ombra caricò, precipitandosi giù per il pendio verso il Guado Hawal. Anche se gli Sharani rimasero indietro, il grosso dei Trolloc si mosse. Era evidente che intendevano spingersi oltre l’alveo del fiume ora asciutto e affrontare l’esercito di Cauthon.

Se Cauthon aveva voluto attirare tutte le forze di Demandred giù dalle Alture, aveva fallito. Molti Sharani rimasero indietro, sia unità di fanteria che di cavalleria, osservando impassibili mentre i Trolloc si precipitavano verso la battaglia. Delle esplosioni colpirono tutto il pendio, scagliando i Trolloc in aria come lo sporco da un tappeto battuto. Gawyn esitò, accucciandosi. Draghi, i pochi funzionanti. Mat li aveva posizionati da qualche parte al di là del fiume: era difficile individuare la posizione precisa a causa del fumo. Dal rumore, erano solo una mezza dozzina circa, ma il danno che causavano era enorme, in particolare considerando la distanza.

Uno scoppio di luce rossa dalla cima delle Alture lì vicino balzò verso il fumo dei Draghi. Gawyn sorrise. Grazie mille. Mise la mano sulla spada. Era il momento di verificare quanto funzionavano bene questi anelli.

Scattò fuori dalla copertura, basso e rapido. La maggior parte dei Trolloc si stava riversando giù per il pendio, procedendo a grandi passi verso il letto del fiume asciutto. Quadrelli di balestra e frecce li bersagliarono e un’altra salva di fuoco di Draghi provenne da una posizione leggermente diversa. Cauthon stava facendo muovere i Draghi e Demandred aveva problemi a individuarli.

Gawyn corse tra la Progenie dell’Ombra ululante. Il terreno risuonava come un cuore palpitante per gli impatti lungo il suolo dietro di lui. Il fumo sferzava tutt’attorno, denso nella gola. Le sue mani erano annerite e Gawyn ipotizzò che lo fosse anche la sua faccia. Sperava che avrebbe aiutato a tenerlo nascosto.

Trolloc si girarono, strepitando o grugnendo, ma nessuno si fissò su di lui. Sapevano che qualcosa era passato, ma per loro Gawyn era semplicemente una forma indistinta.

La rabbia di Egwene si riversò attraverso il legame. Gawyn sorrise. Non si era aspettato che sarebbe stata contenta. Mentre correva e delle frecce tranciavano il terreno attorno a lui, trovò pace nella sua scelta. Una volta, forse, l’avrebbe fatto per l’orgoglio della battaglia e l’opportunità di confrontarsi con Demandred.

Non era questa la sua intenzione ora. La sua intenzione era la necessità. Qualcuno doveva combattere questa creatura, qualcuno doveva ucciderla oppure avrebbero perso la battaglia. Lo capivano tutti. Rischiare Egwene o Logain sarebbe stato un azzardo troppo grande.

Gawyn era sacrificabile. Nessuno l’avrebbe mandato a fare questo — nessuno avrebbe osato -, ma era necessario.

Aveva un’opportunità di cambiare le cose, di avere davvero importanza. Lo faceva per l’Andor, per Egwene, per il mondo stesso.

Più avanti, Demandred urlava la sua sfida ormai familiare. «Mandatemi al’Thor, non questi cosiddetti Draghi!» Da lui volò un’altra scia di fuoco.

Gawyn superò i Trolloc che caricavano e giunse dietro un gruppo numeroso di Sharani con strani archi, grandi quasi quanto quelli dei Fiumi Gemelli. Circondavano un uomo a cavallo in un’armatura di monete interconnesse, legate per i buchi al centro, con una gorgiera e dei parabraccia. La piastra frontale del suo elmo temibile era aperta. Quel volto orgoglioso era inspiegabilmente familiare a Gawyn, avvenente e imperioso.

Dovrà essere rapido, pensò Gawyn. E, Luce, farò meglio a non dargli l’opportunità di incanalare.

Gli arcieri sharani erano in allerta, ma solo due di loro si voltarono quando Gawyn scivolò lì in mezzo. Gawyn estrasse il pugnale dal fodero alla cintura. Avrebbe dovuto trascinare Demandred giù da cavallo, poi colpirlo al volto con il coltello. Gli sembrava un attacco da codardo, ma era il modo migliore. Se l’avesse fatto cadere a terra, Gawyn avrebbe potuto…

Demandred si girò all’improvviso e guardò verso Gawyn. Un secondo dopo, protese la mano in avanti e un fascio di fuoco incandescente — sottile come un ramoscello — schizzò verso Gawyn.

Lo mancò, colpendo appena accanto a Gawyn mentre balzava via. Delle fratture si aprirono nel terreno tutt’attorno. Crepe nere e profonde, che parevano spalancate sull’eternità stessa.

Gawyn balzò in avanti, tagliando la sella di Demandred. Così veloce. Questi anelli gli permettevano di reagire mentre Demandred lo stava ancora fissando in preda alla confusione.

La sella si staccò e Gawyn conficcò il coltello nel fianco del cavallo. L’animale urlò e si imbizzarrì, gettando Demandred all’indietro, con sella e tutto quanto.

Gawyn balzò, il coltello insanguinato proteso, mentre il cavallo schizzava via e gli arcieri sharani urlavano. Fu sopra Demandred, il coltello sollevato a due mani.

Il corpo del Reietto sussultò all’improvviso e l’uomo fu spinto di lato. Aria soffiò per il terreno annerito, depositandolo in piedi con un tintinnio, la spada sfoderata. Il Reietto si accucciò e lasciò andare un altro flusso: Gawyn percepì l’aria roteare accanto a lui, come se fili fatti con essa avessero cercato di afferrarlo. Ma era troppo veloce ed era evidente che a Demandred risultava difficile colpirlo a causa degli anelli.

Gawyn indietreggiò e passò il coltello alla mano sinistra, sfoderando la spada con la destra.

«Dunque,» disse Demandred «un sicario. E Lews Therin ha sempre parlato dell’‘onore’ di affrontare un uomo faccia a faccia.»

«Non sono stato mandato dal Drago Rinato.»

«Con l’Ombra della Notte che ti circonda, un flusso che nessuno di quest’Epoca ricorda? Sai che ciò che Lews Therin ti ha fatto ti spillerà la vita? Sei morto, omiciattolo.»

«Allora puoi unirti a me nella tomba» disse Gawyn.

Demandred si mise in piedi, prendendo la spada a due mani in una posa da battaglia che Gawyn non conosceva. Pareva in grado di individuarlo in qualche modo, malgrado gli anelli, ma le sue reazioni erano un pelo più lente di quanto sarebbero dovute essere.

‘Boccioli di melo al vento’, con tre rapidi colpi, costrinse Demandred a indietreggiare. Diversi Sharani vennero avanti con le spade, ma Demandred sollevò una mano guantata per tenerli lontani. Non sorrise a Gawyn — pareva che quest’uomo non sorridesse mai — ma eseguì qualcosa di simile a ‘fulmine con tre punte’. Gawyn rispose con ‘il cinghiale si precipita dalla montagna’.

Demandred era abile. Con il vantaggio fornito dagli anelli, Gawyn sfuggì a malapena alla risposta di Demandred. I due danzarono per un piccolo cerchio di terreno con gli Sharani lì ad assistere. Boati distanti lanciavano sfere di ferro contro il fianco della collina, facendo tremare la terra. C’erano solo pochi Draghi che ancora sparavano, ma parevano concentrati su questa posizione.

Gawyn grugnì, gettandosi in ‘la tempesta scuote il ramo’, cercando di spingersi all’interno della guardia di Demandred. Gli sarebbe servito arrivare vicino e conficcare la spada nell’ascella oppure tra le giunture dell’armatura di monete.

Demandred rispondeva con abilità ed eleganza. Presto Gawyn si ritrovò a sudare sotto la cotta di maglia. Si sentiva più veloce di quanto fosse mai stato, le sue reazioni come i movimenti guizzanti di un colibrì. Eppure, per quanto tentasse, non riusciva a portare a segno un colpo.

«Chi sei, omiciattolo?» ringhiò Demandred, indietreggiando con la spada sollevata al suo fianco. «Combatti bene.»

«Gawyn Trakand.»

«Il fratellino della Regina» disse Demandred. «Ti rendi conto di chi sono io.»

«Un assassino.»

«E il tuo Drago non ha mai assassinato nessuno?» disse Demandred. «Tua sorella non ha mai ucciso per mantenere, o meglio per conquistare, il trono?»

«È diverso.»

«Così dicono tutti.» Demandred venne avanti. Le sue forme di spada erano flessuose, la schiena sempre dritta ma rilassata, e usava gli ampi movimenti di un ballerino. Aveva il dominio assoluto della sua arma; Galad non aveva sentito che Demandred fosse noto per la sua maestria con la spada, ma era abile come qualunque altro Gawyn avesse mai affrontato. Meglio, per la verità.

Gawyn eseguì ‘il gatto danza sul muro’, una forma della spada bellissima e ampia, adatta a quella di Demandred. Poi si tuffò in avanti con ‘la lingua del serpente danza’, sperando che la forma precedente avesse indotto Demandred a lasciar passare un affondo.

Qualcosa andò a sbattere contro Gawyn, gettandolo a terra. Rotolò, rimettendosi in posizione accucciata. Il suo respiro divenne affannoso. Non provava dolore grazie agli anelli, ma probabilmente aveva una costola rotta.

Una roccia, pensò Gawyn. Ha incanalato e mi ha colpito con una roccia. Demandred aveva problemi a colpire Gawyn con dei flussi a causa delle ombre, ma qualcosa di grosso poteva essere lanciato verso le ombre e centrarlo comunque.

«Tu imbrogli» disse Gawyn con un sogghigno.

«Imbrogliare?» chiese Demandred. «Esistono regole, piccolo spadaccino? A quanto ricordo, tu hai cercato di pugnalare me alle spalle mentre eri nascosto in un manto d’oscurità.»

Gawyn inspirò ed espirò, tenendosi il fianco. La sfera di ferro di un Drago cadde con un tonfo sul terreno a poca distanza, poi esplose. Lo scoppio fece a pezzi alcuni Sharani e il loro corpo fece da scudo a Gawyn e Demandred per la parte peggiore della detonazione. Piovve terra come uno schizzo di spuma sul ponte di una nave. Almeno uno dei Draghi funzionava ancora.

«Mi hai definito un assassino,» disse Demandred «e lo sono. Sono anche il tuo salvatore, che tu lo voglia o no.»

«Tu sei pazzo.»

«Non credo proprio.» Demandred gli girò attorno, tagliando l’aria con alcuni fendenti della spada. «Quell’uomo che segui, Lews Therin Telamon, lui è pazzo. Pensa di poter sconfiggere il Sommo Signore. Non può. Questo è un semplice fatto.»

«Vorresti che ci unissimo all’Ombra, invece?»

«Sì.» Gli occhi di Demandred erano freddi. «Se uccido Lews Therin, nella vittoria mi sarà dato il diritto di ricreare il mondo come desidero. Al Sommo Signore non importa nulla del dominio. L’unico modo per proteggere questo mondo è distruggerlo e mettere al riparo la sua gente. Non è quello che il tuo Drago afferma di poter fare?»

«Perché continui a chiamarlo il mio Drago?» disse Gawyn, poi sputò sangue da un lato. Gli anelli… lo spingevano in avanti. I suoi arti pulsavano con forza, energia. Combatti! Uccidi!

«Tu lo segui» disse Demandred.

«Non è così.»

«Menzogne» disse Demandred. «O forse sei stato semplicemente abbindolato. So che Lews Therin comanda questo esercito. Sulle prime non ne ero certo, ma ora sì. Quel flusso attorno a te ne è la prova, ma ne ho una migliore. Nessun generale mortale ha un’abilità tale come questo giorno ha mostrato; sto affrontando un vero maestro del campo di battaglia. Forse Lews Therin indossa la Maschera degli Specchi, o forse comanda inviando messaggi a questo Cauthon tramite l’Unico Potere. Non ha importanza, io vedo la verità. Quest’oggi gioco a dadi con Lews Therin.

«Sono sempre stato io il generale migliore. Lo dimostrerò qui. Te lo farei riferire a Lews Therin, ma non vivrai abbastanza, piccolo spadaccino. Preparati.» Demandred sollevò la spada.

Gawyn si mise dritto, lasciando cadere il pugnale e impugnando la spada a due mani. Demandred avanzò a grandi passi verso di lui, usando forme che erano diverse da quelle che Gawyn conosceva. Erano ancora abbastanza familiari perché potesse controbattere, ma nonostante la sua velocità superiore, Demandred intercettò la sua spada più e più volte e la deviò di lato senza il minimo danno.

L’uomo non colpì. Si limitò a muoversi, i piedi divaricati, la spada impugnata a due mani, deflettendo tutti gli attacchi che Gawyn gli scagliava contro. ‘La colomba prende il volo’, ‘la foglia cadente’, ‘carezza del leopardo’. Gawyn digrignò i denti, ringhiando attraverso di essi. Gli anelli sarebbero dovuti bastare. Perché non erano sufficienti?

Gawyn indietreggiò, poi si tuffò all’indietro quando un’altra pietra fu scagliata verso di lui. Lo mancò di pochi pollici. Grazie alla Luce ho questi anelli, pensò.

«Combatti con abilità» disse Demandred «per uno di quest’Epoca. Ma impugni ancora la tua spada, omiciattolo.»

«Cos’altro dovrei fare?»

«Diventare la spada tu stesso» disse Demandred, come perplesso che Gawyn non capisse.

Gawyn ringhiò e attaccò di nuovo, menando fendenti contro Demandred. Gawyn era ancora più veloce. Demandred non attaccava: era sulla difensiva, allora, anche se non si ritirava. Se ne stava semplicemente lì, deviando ogni colpo.

Demandred chiuse gli occhi. Gawyn sorrise, poi affondò un ‘ultimo colpo della lancia nera’.

La spada di Demandred divenne indistinta.

Qualcosa colpì Gawyn. Annaspò, fermandosi di colpo. Ondeggiò e cadde in ginocchio, guardando giù verso un buco che aveva in pancia. Demandred gli aveva trapassato la cotta di maglia, poi aveva estratto la spada in un unico movimento fluido.

Perché nonperché non riesco a sentire nulla?

«Se sopravvivi e vedi Lews Therin,» disse Demandred «riferiscigli che non vedo l’ora di un duello tra noi due, spada contro spada. Sono migliorato dal nostro ultimo incontro.»

Demandred sferzò la spada attorno, afferrando la parte posteriore della lama nell’incavo tra pollice e indice. Fece scorrere la lama, togliendo il sangue dall’acciaio e schizzandolo a terra.

Fece scivolare l’arma nel fodero. Scosse il capo, poi scagliò una palla di fuoco verso un Drago che stava ancora sparando.

Quello tacque. Demandred si allontanò a grandi passi lungo il bordo del ripido pendio che si affacciava sul fiume mentre la sua scorta sharana si metteva in formazione attorno a lui. Gawyn crollò a terra, stordito, mentre la sua vita sgorgava a fiotti sull’erba bruciata. Cercò di trattenere il sangue fra dita tremolanti.

In qualche modo riuscì a spingersi sulle ginocchia. Il suo cuore lanciò un urlo: aveva bisogno di tornare da Egwene. Iniziò a strisciare, il sangue che si mischiava con la terra sotto di lui mentre trasudava dalla ferita. Attraverso occhi offuscati da sudore freddo, notò diversi destrieri di cavalleria venti passi più avanti, che ficcavano il muso tra ciuffi anneriti d’erba, legati a una linea di picchetti. Dopo diversi minuti di sforzi, un intervallo impossibile di tempo che lo lasciò prosciugato, si tirò su in sella al primo cavallo che riuscì a raggiungere e a liberare dalla cavezza. Gawyn, frastornato, vi si chinò sopra, afferrando la criniera con una mano. Facendo appello alla forza che gli rimaneva, diede di talloni nella cassa toracica dell’animale.


«Mia signora,» disse Mandevwin a Faile «conosco quei due da anni! Non sono privi di macchie nel loro passato. Nessun uomo arriva dalla Banda senza averne qualcuna. Ma, lo voglia la Luce, non sono Amici delle Tenebre!»

Faile mangiava le sue razioni di mezzodì in silenzio, ascoltando le proteste di Mandevwin con tutta la pazienza che riusciva a radunare. Desiderò che Perrin fosse lì per poterci fare una bella litigata. Si sentiva sul punto di scoppiare dalla pressione.

Erano vicini a Thakan’dar, terribilmente vicini. Il cielo nero rombava di fulmini ed erano giorni che non vedevano una creatura vivente, pericolosa o no. Né avevano rivisto Vanin o Haman, anche se Faile predisponeva una guardia raddoppiata ogni notte. Gli sgherri del Tenebroso non si arrendevano.

Ora portava il Corno in una grossa borsa legata in vita. Gli altri lo sapevano e passavano dall’orgoglio per il loro compito al terrore per la sua importanza. Almeno adesso Faile condivideva tutto questo con loro.

«Mia signora» disse Mandevwin, inginocchiandosi. «Vanin è là fuori da qualche parte, vicino. È un esploratore molto dotato, il migliore nella Banda. Non lo vedremo a meno che lui non voglia, ma giurerei che ci sta seguendo. Dove altro andrebbe? Forse se lo chiamassi e lo invitassi a raccontare la sua storia, potremmo risolvere tutto questo.»

«Ci penserò, Mandevwin» disse Faile.

Lui annuì. L’uomo con un occhio solo era un buon comandante, ma aveva l’immaginazione di un mattone. Gli uomini semplici supponevano che gli altri avessero motivazioni semplici, e non riusciva a immaginare che qualcuno come Vanin o Haman fosse stato nella Banda per così tanto tempo — senza dubbio con ordini di evitare sospetti — solo per fare qualcosa di così terribile adesso.

Almeno ora lei sapeva di non essersi preoccupata senza motivo. Quell’espressione di puro terrore negli occhi di Vanin quando era stato colto sul fatto era stata una conferma sufficiente, se non lo era stata trovarlo con il Corno tra le mani. Lei non si era aspettata due Amici delle Tenebre, e quelli, nel loro furto, erano stati più astuti di lei. Comunque, avevano anche sottovalutato i pericoli della Macchia. Faile odiava pensare a cosa sarebbe successo se non avessero attirato l’attenzione della creatura-orso. Lei sarebbe rimasta nella sua tenda, aspettando l’arrivo di ladri che erano già scomparsi con uno dei più potenti artefatti al mondo.

Il cielo rimbombò. L’oscura Shayol Ghul incombeva più avanti, elevandosi sulla valle di Thakan’dar da una catena di montagne più piccole. L’aria era diventata fredda, quasi invernale. Raggiungere quel picco sarebbe stato difficile… ma in un modo o nell’altro avrebbe portato questo Corno alle forze della Luce per l’Ultima Battaglia. Faile posò le dita sul sacco al suo fianco, tastando il metallo all’interno.

Lì vicino, Olver zampettava per le rocce grigie senza vita delle Terre Inaridite, portando il coltello alla cintura come una spada. Forse Faile non avrebbe dovuto portarlo. D’altra parte, i ragazzi della sua età nelle Marche di Confine imparavano a portare messaggi e provviste a forti assediati. Non sarebbero usciti con una squadra di guerra né avrebbero ricevuto un’assegnazione finché non avessero avuto almeno dodici anni, ma il loro addestramento cominciava molto prima.

«Mia signora?»

Faile guardò verso Selande e Arrela mentre si avvicinavano. Faile aveva messo Selande al comando degli esploratori, ora che Vanin si era rivelato. La piccola donna pallida assomigliava a una Aiel meno di molti altri dei Cha Faile. Ma l’atteggiamento aiutava.

«Sì?»

«Movimento, mia signora» disse Selande piano.

«Cosa?» Faile si alzò in piedi. «Che genere di movimento?»

«Una specie di carovana.»

«Nelle Terre Inaridite?» chiese Faile. «Fatemi vedere.»


Non era una semplice carovana. C’era un villaggio là fuori. Faile riusciva a distinguerlo attraverso il cannocchiale, anche solo come una macchia di oscurità a indicare gli edifici. Era situato sulle colline pedemontane vicino a Thakan’dar. Un villaggio. Luce!

Faile abbassò il cannocchiale fino al punto in cui una carovana procedeva lenta per il paesaggio tetro, diretta verso una stazione di rifornimento posizionata a una certa distanza fuori dal villaggio.

«Stanno facendo quello che abbiamo fatto noi» sussurrò lei.

«Di che si tratta, mia signora?» Arrela si stese prona accanto a Faile. Mandevwin era dall’altro lato e scrutava attraverso il cannocchiale.

«È una stazione di rifornimento centrale» spiegò Faile, guardando sopra le pile di scatole e i fasci di frecce. «La Progenie dell’Ombra non può muoversi attraverso i passaggi, ma le loro provviste sì. Non hanno avuto bisogno di portare frecce e armi come parte dell’invasione. Invece le scorte vengono raccolte qui, poi mandate ai campi di battaglia all’occorrenza.»

In effetti, più in basso un nastro di luce annunciò l’apertura di un passaggio. Un grosso convoglio di uomini dall’aspetto sporco arrancò attraverso di esso con zaini sulla schiena, seguiti da dozzine di altri che tiravano piccoli carretti.

«Ovunque stiano andando quelle provviste,» disse Faile lentamente «vicino ci saranno degli scontri. Quei carretti portano frecce ma non cibo, dato che i Trolloc trascinano via i cadaveri per banchettare ogni notte.»

«Perciò se potessimo sgattaiolare attraverso uno di quei passaggi…» disse Mandevwin.

Arrela sbuffò, come se quella conversazione fosse uno scherzo. Guardò Faile e il sorriso abbandonò le sue labbra. «Dite sul serio. Tutti e due.»

«Siamo ancora a parecchia distanza da Thakan’dar» disse Faile. «E quel villaggio ci blocca la strada. Potrebbe essere più facile intrufolarci in uno di quei passaggi che cercare di arrivare fino a valle.»

«Finiremmo dietro le linee nemiche!»

«Siamo già dietro le loro linee,» disse Faile in tono cupo «perdo in quel senso non cambierebbe nulla.»

Arrela tacque.

«Quello sarà un problema» disse Mandevwin piano, voltando il cannocchiale. «Guardate i tizi che si avvicinano al campo dal villaggio.»

Faile sollevò di nuovo il cannocchiale. «Aiel?» bisbigliò. «Luce! Gli Shaido si sono uniti alle forze del Tenebroso?»

«Perfino i cani Shaido non lo farebbero» disse Arrela, poi sputò da una parte. I nuovi arrivati sembravano davvero diversi. Portavano i veli alzati, come per uccidere, ma quei veli erano rossi. A ogni modo, sgattaiolare davanti a degli Aiel sarebbe stato quasi impossibile. Probabilmente soltanto il fatto che il gruppo era così distante aveva impedito che venissero scoperti. Quello e il fatto che nessuno si aspettava di trovare qui un gruppo come quello di Faile.

«Indietro» disse lei, arretrando piano giù per la collina. «Dobbiamo elaborare un piano.»


Perrin si svegliò sentendosi come se fosse stato gettato dentro un lago in inverno. Annaspò.

«Stenditi, sciocco» disse Janina, mettendogli la mano sul braccio. La Sapiente dai capelli biondi pareva esausta quanto lui.

Si trovava in qualche posto morbido. Troppo morbido. Un bel letto, lenzuola pulite. Fuori dalle finestre, le onde si infrangevano gentilmente contro ima costa e i gabbiani lanciavano richiami. Sentiva anche dei gemiti che riecheggiavano da qualche posto vicino.

«Dove mi trovo?» chiese Perrin.

«Nel mio palazzo» disse Berelain. Era in piedi vicino alla porta e non l’aveva notata in precedenza. La Prima indossava il suo diadema, il falco in volo, e portava un abito cremisi con finiture gialle. La stanza era sontuosa, con oro e bronzo su specchi, finestre e montanti del letto.

«Potrei aggiungere» disse Berelain «che è una situazione piuttosto familiare per me, Lord Aybara. Ho preso delle precauzioni stavolta, nel caso te lo stessi domandando.»

Precauzioni? Perrin annusò l’aria. Uno? Poteva fiutarlo. In effetti, Berelain indicò da una parte con un cenno del capo e Perrin si voltò e trovò Uno seduto su una sedia lì vicino, il braccio al collo.

«Uno! Cosa ti è successo?» chiese Perrin.

«Mi sono successi dei dannati Trolloc» bofonchiò Uno. «Sto aspettando il mio turno per la Guarigione.»

«Quelli con ferite potenzialmente mortali vengono Guariti per primi» disse Janina. Era la Sapiente più esperta nella Guarigione; a quanto pareva, aveva deciso di restare con le Aes Sedai e Berelain. «Tu, Perrin Aybara, sei stato Guarito fino al punto di sopravvivenza. Solo fino al punto di sopravvivenza. Solo ora ci siamo potuti occupare delle ferite che non minacciavano la tua vita.»

«Aspetta!» disse Perrin. Si sforzò di mettersi a sedere. Luce, quanto era esausto. «Da quanto tempo sono qui?»

«Dieci ore» disse Berelain.

«Dieci ore! Devo andare. Il combattimento…»

«Il combattimento continuerà senza di te» disse Berelain. «Sono spiacente.»

Perrin ringhiò piano. Così stanco. «Moiraine conosceva un modo per annullare la fatica di una persona. Tu lo conosci, Janina?»

«Anche se lo conoscessi, non lo farei per te» disse Janina. «Hai bisogno di dormire, Perrin Aybara. La tua partecipazione all’Ultima Battaglia è finita.»

Perrin digrignò i denti, poi fece per alzarsi.

«Scendi da quel letto» disse Janina, voltando gli occhi verso di lui «e ti avvolgerò in Aria e ti lascerò appeso lì per ore.»

Il primo istinto di Perrin fu di traslare via. Iniziò a formare il pensiero nella sua testa e si sentì sciocco. In qualche modo era tornato nel mondo reale. Non poteva traslare qui. Era inerme come un bambino.

Si appoggiò all’indietro nel letto, frustrato.

«Gioisci, Perrin» disse Berelain piano, accostandosi al letto. «Dovresti essere morto. Come hai raggiunto quel campo di battaglia? Se Haral Luhhan e i suoi uomini non ti avessero notato steso lì…»

Perrin scosse il capo. Quello che aveva fatto sfidava ogni spiegazione per qualcuno che non conoscesse il sogno del lupo. «Cosa sta succedendo, Berelain? La guerra? I nostri eserciti?»

Lei increspò le labbra.

«Posso fiutare la verità su di te» disse Perrin. «Preoccupazione, ansia.» Sospirò. «Ho visto che i fronti si erano spostati.

Se anche gli uomini dei Fiumi Gemelli si trovano al Campo di Merrilor, tutti e tre i nostri eserciti sono stati spinti indietro verso lo stesso posto. Tutti tranne quelli a Thakan’dar.»

«Non sappiamo come sta andando per il Lord Drago» disse lei piano, sedendosi con grazia su uno sgabello accanto al letto. Vicino alla parete, Janina prese Uno per il braccio. Lui rabbrividì quando fu attraversato dalla Guarigione.

«Rand combatte ancora» disse Perrin.

«È passato troppo tempo» disse lei. C’era qualcosa che non gli stava dicendo, qualcosa a cui stava girando attorno. Poteva fiutarlo su di lei.

«Rand combatte ancora» ripete Perrin. «Se avesse perso, non saremmo qui.» Si appoggiò all’indietro, la spossatezza che gli arrivava nel profondo delle ossa. Luce! Non poteva starsene semplicemente sdraiato qui mentre degli uomini morivano, giusto? «Il tempo è diverso al Foro. L’ho visitato e l’ho visto con i miei occhi. Sono passati molti giorni qua fuori, ma scommetto che si è trattato solo di un giorno per Rand. Forse meno.»

«Questo è un bene. Riferirò ciò che dici agli altri.»

«Berelain,» disse Perrin «ho bisogno che tu faccia qualcosa per me. Ho mandato Elyas con un messaggio per i nostri eserciti, ma non so se l’abbia recapitato. Graendal sta interferendo con le menti dei nostri gran capitani. Vuoi scoprire per me se il suo messaggio è arrivato?»

«È arrivato» disse lei. «Quasi troppo tardi, ma è arrivato. Hai agito bene. Ora dormi, Perrin.» Berelain si alzò.

«Berelain?» chiese lui.

Lei si voltò di nuovo nella sua direzione.

«Faile» disse Perrin. «Che ne è di Faile?»

L’ansia di Berelain si accentuò. No.

«La sua carovana di rifornimenti è stata distrutta in una bolla di male, Perrin» disse Berelain piano. «Sono spiacente.»

«Il suo corpo è stato ritrovato?» si costrinse a chiedere Perrin.

«No.»

«Allora è ancora viva.»

«Ma…»

«È ancora viva» insistette Perrin. Avrebbe presunto che fosse vero. Se non l’avesse fatto…

«Naturalmente c’è speranza» disse lei, poi si diresse da Uno, che stava flettendo il braccio Guarito, e gli fece cenno di unirsi a lei mentre lasciava la stanza. Janina stava lavoricchiando preso il portacatino. Perrin poteva ancora sentire gemiti nei corridoi lì fuori, e il posto odorava di erbe curative e dolore.

Luce, pensò. La carovana di Faile aveva con sé il Corno. Adesso era l’Ombra ad averlo?

E Gaul. Doveva tornare da Gaul. L’aveva lasciato nel sogno del lupo, a guardare le spalle a Rand. Se poteva basarsi sulla propria spossatezza, Gaul non poteva reggere ancora a lungo.

Perrin si sentiva come se potesse dormire per settimane. Janina tornò al suo capezzale, poi scosse il capo. «Non serve a nulla tenere gli occhi aperti a forza, Perrin Aybara.»

«Ho troppo da fare, Janina. Per favore. Devo tornare al campo di battaglia e…»

«Tu resterai qui, Perrin Aybara. Non sei di alcuna utilità a nessuno nelle tue condizioni, e non otterrai ji cercando di dimostrare altrimenti. Se il fabbro che ti ha portato qui sapesse che ti ho lasciato barcollare via e morire sul campo di battaglia, credo che verrebbe qui per provare ad appendermi fuori dalla finestra per i talloni.» Esitò. «E quel tipo… Quasi penso che potrebbe riuscirci.»

«Mastro Luhhan» disse Perrin, ricordando vagamente i momenti prima di aver perso i sensi. «Lui era lì. Mi ha trovato?»

«Ti ha salvato la vita» disse Janina. «Quell’uomo ti ha preso in spalla ed è corso da una Aes Sedai per farsi creare un passaggio. Quando è arrivato, ti restavano solo pochi secondi di vita. Considerando la tua taglia, già sollevarti dev’essere stata un’impresa.»

«Non ho davvero bisogno di dormire» disse Perrin, sentendo le palpebre abbassarsi. «Mi occorre… mi occorre andare…»

«Ne sono certa» disse Janina.

Perrin lasciò che i suoi occhi si chiudessero. Questo l’avrebbe convinta che avrebbe fatto come diceva. Poi, una volta che se ne fosse andata, si sarebbe potuto alzare.

«Ne sono certa» ripeté Janina, la voce che si affievoliva per qualche motivo.

Sonno, pensò lui. Mi sto addormentando. Di nuovo vide i tre sentieri davanti a sé. Stavolta uno conduceva al sonno normale e un altro al sogno del lupo mentre dormiva, il sentiero che prendeva di solito.

E tra questi un terzo sentiero. Il sogno del lupo in carne e ossa.

Era assai tentato, ma al momento scelse di non prendere quel sentiero. Scelse il sonno normale, poiché — in un attimo di comprensione — seppe che senza il suo corpo sarebbe morto.


Androl giaceva a corto di fiato, fissando il cielo sopra di sé in qualche punto lontano dal campo di battaglia, dopo la fuga dalla cima delle Alture.

Quell’attacco… era stato così potente.

Cos’è stato? trasmise a Pevara.

Non era Taim, replicò lei, alzandosi in piedi e ripulendosi le gonne. Penso che fosse Demandred.

Vi ho portati appositamente in un posto lontano da dove stava combattendo.

Già. Come osa spostarsi e interferire con il gruppo di incanalatoti che sta attaccando le sue forze?

Androl si mise a sedere con un gemito. Sai, Pevara, sei insolitamente sarcastica per una Aes Sedai.

Rimase sorpreso dal divertimento della donna. Non conosci le Aes Sedai nemmeno la metà di quanto pensi. Pevara si diresse a controllare le ferite di Emarin.

Androl prese un respiro profondo, pieno degli odori dell’autunno. Foglie cadute. Acqua stagnante. Un autunno che era arrivato troppo presto. La collina dava su una valle dove, come una sfida al modo in cui stava andando il mondo, alcuni contadini avevano dissodato la terra in grandi riquadri.

Non era cresciuto nulla.

Lì vicino, Theodrin si rimise in piedi. «Laggiù è follia» disse, rossa in viso.

Androl poteva avvertire la disapprovazione di Pevara. La ragazza non sarebbe dovuta essere così schietta con le sue emozioni: non aveva ancora imparato l’autocontrollo da Aes Sedai.

Non è una Aes Sedai vera e propria, gli trasmise Pevara, leggendogli nella mente. Non importa quello che afferma l’Amyrlin. Non ha ancora superato la prova.

Theodrin parve sapere cosa pensasse Pevara e le due si tennero a distanza. Pevara Guarì Emarin, che lo accettò stoicamente. Theodrin Guarì un taglio sul braccio di Jonneth. Lui parve confuso per quelle cure materne.

Lei lo vincolerà a breve, gli trasmise Pevara. Hai notato come ha lasciato che una delle altre donne prendesse il suo dei cinquanta per iniziare a seguirlo? Non siamo riusciti a scrollarcela di dosso dalla Torre Nera.

E se lui la vincola a sua volta? trasmise Androl.

Allora vedremo se quello che tu e io abbiamo è unico o no. Pevara esitò. Stiamo brancolando su cose che non sono mai state conosciute.

Androl incontrò i suoi occhi. Pevara si stava riferendo a quello che era successo durante il loro collegamento l’ultima volta. Lei aveva aperto un passaggio, ma nel modo in cui l’avrebbe fatto lui.

Dovremo riprovarci, le trasmise lui.

A breve, disse lei, Sondando Emarin per essere certa che la sua Guarigione avesse funzionato.

«Direi che sono a posto, Pevara Sedai» disse lui, cortese come sempre. «E, se posso farlo notare, pare che anche a te servirebbe un po’ di Guarigione.»

Pevara abbassò lo sguardo al tessuto bruciato sul suo braccio. Era ancora riottosa a lasciare che un uomo la Guarisse, ma era anche irritata per la propria ritrosia.

«Grazie» disse lei, la voce inespressiva mentre gli permetteva di toccarle il braccio e incanalare.

Androl sganciò la piccola tazza di stagno dalla cintura e sollevò distrattamente la mano, le dita verso il basso. Le premette come se stesse schiacciando qualcosa tra esse e, quando le allargò, un minuscolo passaggio si aprì nel mezzo. Ne uscì dell’acqua, riempiendo la tazza.

Pevara si sedette accanto a lui, accettando la tazza quando gliela offrì. Bevve, poi sospirò. «Fresca come acqua montana.»

«Proprio di quello si tratta» disse Androl.

«Mi ricorda che volevo chiederti qualcosa. Come fai?»

«Questo?» disse lui. «È solo un piccolo passaggio.»

«Non è questo che intendo. Androl, sei appena arrivato qui. Non puoi aver avuto il tempo per memorizzare questa zona abbastanza bene da aprire un passaggio verso una qualche sorgente montana a centinaia di miglia di distanza.»

Androl fissò Pevara con sguardo vacuo, come se avesse appena udito una notizia sorprendente. «Non lo so. Forse ha qualcosa a che fare con il mio Talento.»

«Capisco.» Pevara rimase in silenzio per un momento. «A proposito, cos’è successo alla tua spada?»

Androl allungò una mano verso il fianco di riflesso. Il fodero pendeva lì, vuoto. Aveva lasciato cadere la spada quando il fulmine si era abbattuto vicino a loro e non aveva avuto la presenza di spirito di raccoglierla mentre fuggivano. Gemette. «Garfin mi manderebbe a macinare orzo dal furiere per quattro settimane di fila se lo venisse a sapere.»

«Non è così importante» disse Pevara. «Hai armi migliori.»

«È il principio» disse Androl. «Portare una spada me lo ricorda. È come… Be’, vedere una rete mi ricorda quando pescavo attorno a Mayene e l’acqua montana mi ricorda Jain. Piccole cose, ma le piccole cose hanno importanza. Mi occorre essere di nuovo un soldato. Dobbiamo trovare Taim, Pevara. I sigilli…»

«Be’, non possiamo trovarlo come abbiamo provato. Non sei d’accordo?»

Lui sospirò ma annuì.

«Eccellente» disse lei. «Odio essere un bersaglio.»

«Cosa facciamo invece?»

«Il nostro approccio dev’essere esaminare attentamente la situazione, non agitare spade.»

Probabilmente aveva ragione. «E… quello che abbiamo fatto? Pevara, tu hai usato il mio Talento.»

«Vedremo» disse lei, sorseggiando dalla tazza. «Ora, se so lo questo fosse tè.»

Androl sollevò le sopracciglia. Riprese la tazza, aprì un piccolo passaggio tra due dita e lasciò cadere dentro qualche foglia secca di tè. Fece bollire l’acqua per un attimo con un filamento di Fuoco, poi lasciò cadere dentro un po’ di miele da un altro passaggio.

«Ne avevo un po’ nella mia officina alla Torre Nera» disse lui, porgendole di nuovo la tazza. «A quanto pare, nessuno l’ha spostato.»

Pevara sorseggiò il tè, poi sorrise con affetto. «Androl, sei meraviglioso.»

Lui sorrise. Luce! Quanto tempo era passato da quando aveva provato questo per una donna? L’amore sarebbe dovuto essere qualcosa per giovani sciocchi, giusto?

Naturalmente i giovani sciocchi non riuscivano mai a vedere le cose per bene. Guardavano un volto grazioso e si fermavano lì. Androl era in giro da un tempo sufficiente per sapere che un volto grazioso non era nulla paragonato al tipo di solidità che una donna come Pevara dimostrava. Controllo, stabilità, determinazione.

Queste erano cose che potevano derivare solo dall’invecchiare nel modo giusto.

Per il cuoio valeva la stessa cosa. Il cuoio nuovo andava bene, ma il cuoio davvero buono era quello che era stato usato e consumato, come una cinghia che fosse stata curata nel corso degli anni. Non sapevi mai con certezza se potevi contare su una cinghia nuova. Ma quando era stata tua compagna per alcune stagioni, lo sapevi.

«Sto cercando di leggere quel pensiero» disse Pevara. «Mi hai appena… paragonata a una vecchia cinghia di cuoio?»

Lui arrossì.

«Supporrò che si tratti di una cosa da conciatori.» Sorseggiò il tè.

«Be’, tu continui a paragonarmi a… Cos’è? Un mucchio di statuette?»

Lei sorrise. «La mia famiglia.»

Quelli uccisi dagli Amici delle Tenebre. «Mi dispiace.»

«È accaduto molto, moltissimo tempo fa, Androl.» Androl poteva percepire che era ancora adirata per quello, però.

«Luce» disse lui. «Continuo a dimenticarmi che sei più vecchia di parecchi alberi, Pevara.»

«Mmm…» disse lei. «Prima sono una cinghia di cuoio, ora sono più vecchia degli alberi. Immagino che, malgrado le diverse dozzine di lavori che hai svolto nella tua vita, nulla del tuo addestramento riguardi come parlare con una signora?»

Lui scrollò le spalle. Quando era più giovane, poteva aver provato imbarazzo quando gli si era aggrovigliata la lingua a quel modo, ma aveva imparato che non c’era modo di evitarlo. Provarci rendeva solo le cose peggiori. Stranamente, Pevara apprezzò il modo in cui lui reagì. Androl immaginò che alle donne piacesse vedere un uomo confuso.

Ma l’allegria di Pevara scemò quando le capitò di alzare lo sguardo al cielo. All’improvviso Androl si ricordò dei campi vuoti lì sotto. Gli alberi morti. Il borbottio del tuono. Questo non era un momento per l’allegria né per l’amore. Per qualche motivo, però, si ritrovò ad aggrapparsi a entrambi proprio per quello.

«Dovremmo muoverci presto» disse lui. «Qual è il tuo piano?»

«Taim sarà sempre circondato da tirapiedi. Se continuiamo ad attaccare come prima, verremo fatti a brandelli prima di riuscire ad arrivare da lui. Dobbiamo raggiungerlo in modo furtivo.»

«E come possiamo riuscire?»

«Dipende. Quanto puoi essere pazzo, se la situazione lo richiede?»


La valle di Thakan’dar era diventata un luogo di fumo, caos e morte.

Rhuarc la attraversava a grandi passi, con Trask e Baelder ai suoi fianchi. Erano suoi fratelli degli Scudi Rossi. Non li aveva mai incontrati prima di giungere in questo posto, ma erano comunque fratelli, e il loro legame era stato sigillato dal sangue di Progenie dell’Ombra e traditori.

Un fulmine infranse l’aria, cadendo lì vicino. Mentre Rhuarc camminava, i suoi piedi scrocchiavano su sabbia che era stata trasformata in frammenti di vetro dal fulmine. Raggiunse un riparo — una pila di cadaveri di Trolloc — e si accovacciò, con Trask e Baelder che si univano a lui. Alla fine era giunta la tempesta, con venti furiosi che assalivano la valle, tanto forti da strappargli quasi il velo dalla faccia.

Era difficile distinguere qualunque cosa. La nebbia era stata spazzata via, ma il cielo si era oscurato e la tempesta sollevava polvere e fumo. Molte persone combattevano in branchi che si aggiravano furtivi.

Non c’erano più formazioni di battaglia. Poco tempo prima, un attacco di Myrddraal — e un assalto di Trolloc subito dopo — aveva infine spezzato la tenuta dei Difensori all’imboccatura della valle. I Tairenesi e i Fautori del Drago avevano ripiegato all’interno, verso Shayol Ghul, e ora molti di loro combattevano vicino alla base della montagna.

Per fortuna, i Trolloc che erano riusciti a entrare non erano in numero soverchiante. Le uccisioni nel valico e il lungo assedio avevano ridotto i Trolloc a Thakan’dar. Nel complesso, probabilmente i Trolloc rimasti erano pari al numero dei Difensori.

Sarebbe stato comunque un problema, ma a parere di Rhuarc i Senza Onore che indossavano veli rossi erano una minaccia di gran lunga maggiore. Vagavano per la distesa della valle, proprio come gli Aiel. In questo mattatoio all’aria aperta, oscurato da nebbia e polvere turbinante per compromettere la visibilità, Rhuarc cacciava. Di tanto in tanto si imbatteva in Trolloc a gruppi, ma molti erano stati spinti dai Fade a combattere le forze regolari: i Tairenesi e i Domanesi.

Rhuarc fece cenno ai suoi fratelli e si mossero attraverso la tempesta lungo un lato della valle. Volesse la Luce che le forze regolari e gli incanalatori riuscissero a tenere il sentiero su per la montagna dove il Car’a’carn stava affrontando l’Accecatore.

Rand al’Thor avrebbe dovuto completare la sua battaglia al più presto, poiché Rhuarc sospettava che non sarebbe passato molto tempo prima che l’Ombra conquistasse questa valle.

Lui e i suoi fratelli superarono un gruppo di Aiel che danzavano le lance contro i traditori che indossavano i veli rossi. Mentre molti dei veli rossi erano in grado di incanalare, pareva che nessuno in questo gruppo potesse. Rhuarc e i suoi si gettarono nella danza, le lance protese.

Questi veli rossi combattevano bene. Trask si svegliò dal sogno durante questo scontro, anche se cadendo uccise uno dei veli rossi. La schermaglia terminò quando i veli rossi rimasti fuggirono. Rhuarc ne uccise uno con l’arco e Baelder ne abbatté un altro. Colpire uomini alle spalle: era qualcosa che non avrebbero fatto se avessero affrontato dei veri Aiel. Ma queste creature erano peggio della Progenie dell’Ombra. I tre Aiel rimasti che avevano aiutato rivolsero loro cenni di ringraziamento. Si unirono a lui e Baelder, e assieme tornarono verso Shayol Ghul per controllare le difese lì.

Per fortuna, l’esercito in quel punto teneva ancora. Molti erano Fautori del Drago giunti in battaglia per ultimi, ed erano principalmente uomini e donne comuni. Sì, c’erano alcune Aes Sedai tra loro, e perfino alcuni Aiel e un paio di Asha’man. Comunque parecchi avevano spade che non erano state usate per anni o bastoni che probabilmente un tempo erano stati attrezzi per coltivare.

Combattevano come lupi messi all’angolo contro i Trolloc. Rhuarc scosse il capo. Se gli assassini dell’Albero avessero combattuto con tanta ferocia, forse Laman avrebbe ancora avuto il suo trono.

Una saetta giunse dal cielo, uccidendo parecchi difensori. Rhuarc sbatté le palpebre per scacciare il lampo dagli occhi, si voltò da una parte ed esaminò i paraggi tra i venti che soffiavano. LÀ.

Fece cenno ai suoi fratelli di stare indietro, poi scivolò in avanti accucciato. Afferrò una mandata della polvere grigia simile a cenere che copriva il terreno e se la strofinò sui vestiti e sulla faccia; il vento gliene strappò via un po’ dalle dita.

Si mise a terra prono, con un pugnale stretto fra i denti. La sua preda si trovava in cima a una collinetta, a osservare il combattimento. Uno dei veli rossi con il velo abbassato, che sogghignava. I denti della creatura non erano a punta. Tutti quelli con i denti limati potevano incanalare; anche alcuni senza. Rhuarc non sapeva cosa significasse.

Questo era un incanalatore, cosa che risultò evidente quando evocò Fuoco come una lancia e lo scagliò verso i Tairenesi che combattevano a poca distanza. Rhuarc strisciò in avanti lentamente, procedendo piano lungo il terreno in una depressione tra le rocce.

Fu costretto a osservare il velo rosso che uccideva un Difensore dopo l’altro, ma non accelerò. Continuò a strisciare in modo insopportabilmente lento, ascoltando il fuoco sfrigolare mentre il velo rosso se ne stava con le mani dietro la schiena, con flussi dell’Unico Potere che colpivano attorno a lui.

Il velo rosso non lo vide. Anche se alcuni di questi uomini combattevano come Aiel, molti non lo facevano. Non erano silenziosi quando avanzavano e non parevano conoscere l’arco o la lancia come avrebbero dovuto. Uomini come quello di fronte a lui… Rhuarc dubitava che avessero mai dovuto muoversi silenziosamente, cogliere un nemico alla sprovvista o uccidere un cervo nelle regioni selvagge. Perché avrebbero voluto farlo, quando potevano incanalare?

L’uomo non notò Rhuarc che scivolava attorno a un cadavere di Trolloc vicino ai suoi piedi, e poi si allungava per recidergli i tendini. Crollò con un urlo e, prima che potesse incanalare ancora, Rhuarc gli tagliò la gola, poi scivolò di nuovo tra due cadaveri per nascondersi.

Due Trolloc giunsero per vedere cos’era quel trambusto. Rhuarc uccise il primo, poi abbatté il secondo mentre si girava, prima che avesse un’opportunità di vederlo. Poi, ancora una volta, si confuse con il paesaggio.

Nessun’altra Progenie dell’Ombra venne a indagare, così Rhuarc indietreggiò verso i suoi uomini. Mentre si muoveva — correndo accucciato — superò un piccolo branco di lupi che finivano un paio di Trolloc. I lupi si girarono verso di lui, i musi insanguinati e le orecchie dritte. Lo lasciarono passare, muovendosi in silenzio tra i venti tempestosi per trovare un’altra preda.

Lupi. Erano arrivati con la tempesta senza pioggia e ora combattevano al fianco degli uomini. Rhuarc non sapeva molto di come stesse andando la battaglia nel complesso. Poteva vedere che alcune truppe di Darlin Sisnera in lontananza tenevano ancora la formazione. I balestrieri si erano schierati accanto ai Fautori del Drago. L’ultima volta che Rhuarc aveva guardato, avevano quasi terminato i quadrelli, e gli strani carri sputa-vapore che avevano consegnato le scorte adesso giacevano a pezzi. Aes Sedai e Asha’man continuavano a incanalare contro l’offensiva, ma non con l’energia che lui aveva visto usare loro prima.

Gli Aiel facevano ciò che sapevano fare meglio: uccidere. Finché queste armate tenevano il sentiero che portava a Rand al’Thor, forse sarebbe stato sufficiente. Forse…

Qualcosa lo colpì. Rimase senza fiato e cadde in ginocchio. Alzò lo sguardo e qualcosa di bellissimo giunse tra la tempesta a esaminarlo. Lei aveva occhi stupendi, anche se non allineati tra loro. Rhuarc non si era mai reso conto di quanto fossero terribilmente equilibrati gli occhi di chiunque altro. Pensarci lo nauseava. E tutte le altre donne avevano troppi capelli in testa. Questa creatura, con i capelli radi, era meravigliosa.

Lei si avvicinò, splendida, stupefacente. Incredibile. Gli toccò il mento mentre era inginocchiato a terra, e le punte delle sue dita erano soffici come nuvole.

«Sì, andrai bene» disse lei. «Vieni, mio animaletto. Unisciti agli altri.»

Fece un gesto verso un gruppo che la seguiva. Diverse Sapienti, un paio di Aes Sedai, un uomo con una lancia. Rhuarc ringhiò. Quest’uomo voleva sottrargli l’affetto della sua amata? L’avrebbe ucciso per quello. Avrebbe…

La sua padrona ridacchiò. «E Moridin crede che questo volto sia una punizione. Be’, a te non importa che volto indosso, vero, animaletto mio?» La sua voce divenne più morbida e allo stesso tempo più severa. «Quando avrò terminato, a nessuno importerà. Moridin stesso loderà la mia bellezza, poiché la vedrà attraverso occhi che gli concederò. Proprio come te, animaletto. Proprio come te.»

Accarezzò Rhuarc. Lui si unì a lei e agli altri e si mosse per la valle, lasciandosi indietro gli uomini che aveva chiamato fratelli.


Rand venne avanti mentre una strada si formava dai fili di luce di fronte a lui. Il suo piede calò su una pietra del selciato liscia e lucente, e passò dal nulla alla maestosità.

La strada era abbastanza larga da permettere a sei carri di passare affiancati, ma nessun veicolo la intasava. Solo persone. Persone vivaci, in abiti colorati, che chiacchieravano e si chiamavano con entusiasmo. I suoni riempivano il vuoto… Suoni di vita.

Rand si voltò, guardando gli edifici mentre crescevano attorno a lui. Alte case fiancheggiavano quell’arteria, bordate di colonne sul davanti. Lunghe e sottili, erano vicine le une alle altre, le facciate rivolte verso la strada. Al di là si trovavano cupole e meraviglie, edifici che si elevavano verso il cielo. Era diverso da qualunque città avesse mai visto, anche se la fattura era ogier.

In parte ogier, per la precisione. Lì vicino, degli operai riparavano una facciata di pietra che si era rotta durante una tempesta. Ogier dalle dita spesse emettevano risate roboanti mentre lavoravano accanto gli uomini. Quando gli Ogier erano venuti nei Fiumi Gemelli a ripagare Rand per il suo sacrificio, intenzionati a costruirvi un monumento, i capi della città avevano saggiamente richiesto invece il loro aiuto per migliorare la cittadina.

Nel corso degli anni, gli Ogier e la gente dei Fiumi Gemelli avevano lavorato assieme da vicino, fino al punto che ora gli artigiani dei Fiumi Gemelli erano ricercati in tutto il mondo. Rand procedette lungo la strada, muovendosi tra persone di tutte le nazionalità. I Domanesi erano abbigliati con indumenti sottili e colorati. I Tairenesi avevano vestiti larghi e camicie contrassegnate da maniche a strisce, e le divisioni tra popolani e nobili andavano scomparendo ogni giorno che passava. I Seanchan indossavano sete esotiche. Gli uomini delle Marche di Confine avevano un’aria nobile. C’erano perfino alcuni Sharani.

Tutti erano a Emond’s Field. Ora la città assomigliava poco al suo nome, eppure ce n’erano accenni. Il paesaggio era punteggiato da più alberi e spazi verdi di quanti se ne trovavano in altre grandi città come Caemlyn o Tear. Nei Fiumi Gemelli gli artigiani erano tenuti in grande considerazione. E i loro tiratori scelti erano i migliori che il mondo conoscesse. Un gruppo selezionato di uomini dei Fiumi Gemelli, armati con i nuovi bastoni di fuoco che la gente chiamava fucili, servivano con gli Aiel nelle campagne per mantenere la pace a Shara. Era runico posto al mondo in cui esistesse la guerra. Oh, c’erano dispute qua e là. Le tensioni tra Murandy e Tear di cinque anni prima avevano quasi provocato la prima vera guerra nel secolo successivo all’Ultima Battaglia.

Rand sorrise mentre si muoveva tra la folla, senza sgomitare ma ascoltando con orgoglio la gioia nelle voci della gente. Le ‘tensioni’ nel Murandy erano state dinamiche per i criteri dell’Epoca Quarta, ma in verità non era successo nulla. Un unico nobile contrariato aveva sparato su una pattuglia di Aiel. Tre feriti, nessun morto, e questo era lo ‘scontro’ peggiore da anni, a eccezione della campagna sharana.

In cielo la luce del sole filtrava attraverso la sottile coltre di nubi, inondando la strada. Rand raggiunse finalmente la piazza cittadina, che un tempo era stato il Parco di Emond’s Field. Cosa pensare della Strada della Cava ora che era abbastanza larga da permettere a un esercito di marciarvi? Camminò attorno all’imponente fontana al centro della piazza, un monumento a coloro che erano caduti nell’Ultima Battaglia, costruita dagli Ogier.

Vide facce familiari tra le statue al centro della fontana e si voltò.

Non è ancora definitivo, pensò. Questo non è ancora reale. Lui aveva costruito questa realtà da filamenti di ciò che poteva essere, da specchi della storia come ora si svolgeva. Non era stabilito.

Per la prima volta da quando era entrato in questa visione creata da lui stesso, la sua fiducia fu scossa. Sapeva che l’Ultima Battaglia non era un fallimento. Ma la gente stava morendo. Pensava di mettere fine a tutta la morte, a tutto il dolore?

Questa dovrebbe essere la mia lotta, pensò. Loro non dovrebbero morire. Il suo sacrificio non era sufficiente?

Questo si era domandato, più e più volte.

La visione tremolò, le ottime pietre sotto i suoi piedi ronzarono, gli edifici oscillarono e vacillarono. La gente si fermò dove si trovava, immobile, e i suoni morirono. Lungo una stradina laterale, vide un’oscurità comparire come una puntura di spillo che si espandeva, avvolgendo tutto ciò che c’era attorno e risucchiandolo. Crebbe fino alle dimensioni di una delle case, espandendosi lentamente.

Il tuo sogno è debole, avversario.

Rand affermò la propria volontà e il tremolio si fermò. La gente che si era immobilizzata ricominciò a camminare e il chiacchiericcio tranquillo riprese. Un vento placido soffiò lungo la strada, facendo frusciare stendardi su aste per proclamare la festa.

«Mi assicurerò che accada» disse Rand all’oscurità. «Questa è la tua debolezza. Felicità, crescita, amore…»

Queste persone sono mie ora. Io le prenderò.

«Tu sei oscurità» disse Rand a gran voce. «L’oscurità non può ricacciare indietro la Luce. L’oscurità esiste solo quando la Luce viene a mancare, quando fugge. Io non verrò a mancare. Io non fuggirò. Tu non puoi vincere finché io ti sbarro la strada, Shai’tan.»

Lo vedremo.

Rand voltò le spalle all’oscurità e continuò ostinatamente a girare attorno alla fontana. Dall’altro lato della piazza, un’imponente rampa di maestosi scalini bianchi conduceva a un edificio di quattro piani di fattura incredibile. Intagliato di bassorilievi, sormontato da uno scintillante tetto di rame, l’edificio era decorato di stendardi. Cent’anni. Cent’anni di vita, cent’anni di pace.

La donna che si trovava in cima ai gradini aveva fattezze familiari. Un retaggio saldaeano, ma anche ricci capelli scuri che erano decisamente dei Fiumi Gemelli. Lady Adora, nipote di Perrin e sindaco di Emond’s Field. Rand salì le scale mentre pronunciava il suo discorso di commemorazione. Nessuno lo notò. Lui fece in modo che fosse così. Scivolò dietro di lei come un Uomo Grigio mentre la donna proclamava il giorno di celebrazioni; poi Rand entrò nell’edificio.

Non era un ufficio di governo, anche se poteva sembrarlo dalla facciata. Era molto più importante.

Era una scuola.

Sulla destra, dipinti e ornamenti erano appesi a sontuosi corridoi, tanto da rivaleggiare con quelli di qualunque palazzo … Ma questi rappresentavano i grandi insegnanti e cantastorie del passato, da Anla a Thom Merrilin. Rand percorse quel corridoio guardando dentro stanze dove chiunque poteva entrare e ottenere conoscenza, dal più povero dei contadini fino ai figli del sindaco. Il palazzo doveva essere vasto per accogliere tutti coloro che volevano imparare.

Il tuo paradiso è difettoso, avversario.

L’oscurità era sospesa in uno specchio alla destra di Rand. Non rifletteva il corridoio, bensì la Sua presenza.

Tu pensi di poter eliminare la sofferenza? Anche se vincessi, non lo farai. Su quelle strade perfette, gli uomini vengono ancora assassinati di notte. I bambini patiscono la fame malgrado gli sforzi dei tuoi lacchè. I ricchi sfruttano e corrompono; semplicemente lo fanno in silenzio.

«È meglio» mormorò Rand. «È buono.»

Non è sufficiente e non lo sarà mai. Il tuo sogno è difettoso. Il tuo sogno è una menzogna. Io sono l’unica onestà che il vostro mondo abbia mai conosciuto.

Il Tenebroso lo attaccò.

Giunse come una tempesta. Una raffica di vento così terribile che minacciò di strappare la pelle di Rand dalle ossa. Lui rimase dritto, gli occhi verso il nulla, incrociando le braccia dietro la schiena. L’attacco fece a pezzi la visione: la bellissima città, la gente che rideva, il monumento all’istruzione e alla pace. Il Tenebroso la consumò e ancora una volta divenne una semplice possibilità.


Silviana tratteneva l’Unico Potere e lo sentiva riempirla, illuminando il mondo. Quando tratteneva saidar, aveva l’impressione di poter vedere tutto. Era una sensazione meravigliosa, fintantoché riconosceva che era solo una sensazione. Non era la verità. La seduzione del potere di saidar aveva indotto parecchie donne a gesti avventati. Di sicuro molte Azzurre vi cadevano, prima o poi.

Silviana plasmò Fuoco dalla sella, spianando soldati sharani. Aveva addestrato il suo castrone, Stinger, a non essere mai ombroso in presenza di flussi.

«Arcieri, ripiegate!» gridò Chubain da poca distanza dietro di lei. «Via, via! Compagnie di fanteria pesante, avanti!» fanti in armatura marciarono accanto a Silviana con asce e mazze per affrontare gli Sharani disorientati sui pendii. Delle picche sarebbero state meglio, ma non ne avevano abbastanza per tutti.

Silviana intessé un’altra scarica di Fuoco contro il nemico, preparando la strada, poi rivolse l’attenzione verso gli arcieri sharani più in alto sul pendio.

Una volta che le forze di Egwene avevano aggirato gli acquitrini, si erano divise in due gruppi di assalto. Le Aes Sedai si erano aggregate alla fanteria della Torre Bianca, attaccando gli Sharani sulle Alture da ovest. A quest’ora i fuochi si erano estinti e molti Trolloc erano scesi dalle Alture per attaccare sotto.

L’altra metà dell’esercito di Egwene, perlopiù cavalleria, era stata mandata nel corridoio che costeggiava gli acquitrini e guidata verso il guado; attaccavano le retrovie vulnerabili dei Trolloc che erano scesi per i pendii per colpire le truppe di Elayne che difendevano la zona attorno al guado.

Il compito principale del primo gruppo era farsi strada su per il declivio occidentale. Silviana iniziò a mirare un’attenta serie di fulmini contro gli Sharani che stavano avanzando per respingerli.

«Una volta che la fanteria si sarà fatta abbastanza strada su per il pendio,» disse Chubain accanto a Egwene «faremo in modo che le Aes Sedai inizino… Madre?» La voce di Chubain si era alzata.

Silviana ruotò sulla sella, guardando Egwene allarmata. L’Amyrlin non stava incanalando. Il suo volto era impallidito e stava tremando. Era sotto l’attacco di un flusso? Nessuno che Silviana potesse vedere.

Delle figure si radunarono in cima al pendio, spingendo da parte la fanteria sharana. Iniziarono a incanalare e fulmini caddero sull’esercito della Torre Bianca, ciascuno con un crepitio assordante e un lampo di luce tanto abbagliante da stordire.

«Madre!» Silviana accostò il cavallo a quello di Egwene. Doveva essere sotto attacco di Demandred. Toccando il sa’angreal nelle mani di Egwene per un ulteriore incremento di potere, Silviana intessé un passaggio. La donna seanchan che cavalcava dietro a Egwene afferrò le redini dell’Amyrlin e strattonò il cavallo al sicuro attraverso il passaggio. Silviana la seguì, urlando: «Tenete testa a quegli Sharani! Avvisate gli incanalatori maschi dell’attacco di Demandred all’Amyrlin Seat!»

«No» disse Egwene debolmente, oscillando sulla sella mentre i cavalli scalpitavano fin dentro una grossa tenda. Silviana avrebbe preferito portarla più lontano, ma non conosceva la zona abbastanza bene per un lungo balzo. «No, non è…»

«Cosa c’è che non va?» domandò Silviana, arrestandosi accanto a lei e lasciando svanire il passaggio. «Madre?»

«È Gawyn» disse lei, pallida e tremante. «È stato ferito. Gravemente. Sta morendo, Silviana.»

Oh, Luce, pensò Silviana. Custodi! Aveva temuto qualcosa del genere dal momento in cui aveva visto quello sciocco ragazzo.

«Dove?» chiese Silviana.

«Sulle Alture. Andrò a cercarlo. Userò dei passaggi, Viaggerò nella sua direzione…»

«Luce, Madre» disse Silviana. «Hai qualche idea di quanto sarà pericoloso? Resta qui e guida la Torre Bianca. Proverò io a trovarlo.»

«Tu non puoi percepirlo.»

«Passa il legame a me.»

Egwene rimase impietrita.

«Sai che è la cosa giusta da fare» disse Silviana. «Se morisse potrebbe distruggerti. Lascia che sia io ad avere il legame. Mi permetterà di trovarlo e proteggerà te, nel caso in cui dovesse morire.»

Egwene la guardò come se avesse giurato fedeltà al Tenebroso. Forse, essendo una Rossa, non avrebbe dovuto chiederlo: le Rosse sapevano poco sui Custodi. Le sorelle potevano comportarsi in modo sciocco al riguardo.

«No» disse Egwene. «No, non lo prenderò nemmeno in considerazione. Inoltre, se muore, mi proteggerebbe solo passando il dolore a te.»

«Io non sono l’Amyrlin.»

«No. Se muore, sopravvivrò e continuerò a combattere. Balzare da lui tramite un passaggio sarebbe sciocco, come dici tu, e non permetterò che tu faccia nemmeno quello. È sulle Alture. Ci faremo strada combattendo, come ordinato, e in quel modo potremo raggiungerlo. È la scelta migliore.»

Silviana esitò, poi annuì. Quello poteva andare. Assieme, tornarono al lato occidentale delle Alture, ma Silviana era furibonda. Uomo sciocco! Se fosse morto, per Egwene sarebbe stato molto difficile continuare a combattere.

All’Ombra non serviva abbattere l’Amyrlin in persona per fermarla. Bastava che uccidesse un ragazzo idiota.


«Cosa stanno facendo quegli Sharani?» chiese Elayne piano.

Birgitte tenne fermo il cavallo, prendendo il cannocchiale da Elayne. Lo sollevò, guardando dall’altra parte del fiume asciutto verso il pendio delle Alture dove si era radunato un vasto numero di truppe sharane. Grugnì. «Probabilmente stanno aspettando che i Trolloc si riempiano di frecce.»

«Non sembri molto convinta» disse Elayne, riprendendo il cannocchiale. Tratteneva l’Unico Potere ma per ora non lo stava utilizzando. Il suo esercito combatteva al fiume da due ore. I Trolloc si erano precipitati nell’alveo del fiume su e giù per il Mora, ma le sue truppe li stavano tenendo a bada, non facendo mettere loro piede su suolo shienarese. Gli acquitrini impedivano che il nemico lo aggirasse sul fianco sinistro; il fianco destro era più vulnerabile e avrebbe dovuto tenerlo sotto controllo. Sarebbe stato molto peggio se tutti i Trolloc avessero spinto per attraversare il fiume, ma la cavalleria di Egwene li stava colpendo da dietro. Quello alleviava parte della pressione dalla sua armata.

Gli uomini tenevano indietro i Trolloc con le picche e il piccolo flusso d’acqua che ancora scorreva per il letto del fiume era diventato completamente rosso. Elayne sedeva risoluta al cospetto delle sue truppe. Gli uomini migliori dell’Andor sanguinavano e morivano, trattenendo i Trolloc con difficoltà. Pareva che l’esercito sharano stesse preparando una carica giù dalle Alture, ma Elayne non era convinta che avrebbero lanciato un attacco così presto; l’assalto della Torre Bianca sul lato occidentale doveva costituire una preoccupazione per loro. Il fatto che Mat avesse mandato l’armata di Egwene ad attaccare le Alture da dietro era un colpo di genio.

«Non sono molto certa di ciò che ho detto» disse Birgitte piano. «Niente affatto. Ormai non ho più molte certezze.»

Elayne si accigliò. Aveva pensato che la conversazione fosse finita. Cosa stava dicendo Birgitte? «E i tuoi ricordi?»

«La prima cosa che ricordo ora è che mi sono svegliata con te e Nynaeve» disse Birgitte piano. «Riesco a ricordare le nostre conversazioni sull’essere nel Mondo dei Sogni, ma non riesco a ricordare il posto. Tutto è scivolato via, come acqua tra le dita.»

«Oh, Birgitte…»

La donna scrollò le spalle. «Non può mancarmi quello che non ricordo.» Il dolore nella voce tradiva le parole.

«Gaidal?»

Birgitte scosse il capo. «Nulla. Ho come l’impressione che dovrei conoscere qualcuno con quel nome, ma no.» Ridacchiò. «Come ho detto. Non so cos’ho perso, perciò è tutto a posto.»

«Stai mentendo?»

«Dannate ceneri, certo che sto mentendo. È come un buco dentro di me, Elayne. Un buco profondo, spalancato. Da cui fuoriescono la mia vita e i miei ricordi.» Distolse lo sguardo.

«Birgitte… Sono spiacente.»

Birgitte voltò il cavallo e si allontanò un poco, non volendo chiaramente discutere ancora della faccenda. Il dolore irradiava fitte in fondo alla mente di Elayne.

Come sarebbe stato perdere tanto? Birgitte non aveva un’infanzia, non aveva genitori. La sua intera vita, tutto ciò che ricordava, di solito abbracciava meno di un anno. Elayne fece per andarle dietro, ma le guardie si scostarono per lasciar avvicinare Galad, con indosso armatura, tabarro e mantello del Lord Capitano Comandante dei Figli della Luce.

Elayne serrò le labbra. «Galad.»

«Sorella» disse Galad. «Suppongo che sarebbe completamente inutile informarti di quanto è inappropriato per una donna nella tua condizione essere sul campo di battaglia.»

«Se perdiamo questa guerra, Galad, i miei figli nasceranno schiavi del Tenebroso, sempre che nascano. Credo che combattere valga il rischio.»

«Sempre che tu ti astenga dall’impugnare la spada personalmente» disse Galad, schermandosi gli occhi per esaminare il campo di battaglia. Le parole implicavano che le stava dando il permesso — il permesso — di guidare le truppe.

Strisce di luce schizzarono dalle Alture, colpendo gli ultimi Draghi che sparavano dal campo appena dietro le truppe. Una tale forza! Demandred aveva un potere che eclissava quello di Rand. Se rivolge quel potere contro le mie truppe

«Perché Cauthon mi porterebbe quaggiù?» disse Galad piano. «Voleva una dozzina dei miei uomini migliori…»

«Non mi starai chiedendo di indovinare cosa pensa Matrim Cauthon, vero?» chiese Elayne. «Sono convinta che Mat agisca in modo semplice soltanto affinché la gente gliela faccia passare liscia più volte.»

Galad scosse il capo. Elayne poteva vedere un gruppo dei suoi radunato lì vicino. Stavano indicando i Trolloc che si stavano dirigendo lentamente a monte del fiume sulla riva arafelliana. Elayne si rese conto che il suo fianco destro era in pericolo.

«Manda a chiamare sei compagnie di balestrieri» disse Elayne a Birgitte. «È necessario che Guybon rinforzi le truppe a monte.»

Luce. La situazione inizia a sembrare brutta. La Torre Bianca era là fuori sul pendio occidentale delle Alture, dove si stava incanalando in modo più furibondo. Lei non poteva vedere molto di tutto ciò, ma poteva percepirlo.

Del fumo si levava sopra la cima delle Alture, illuminate da esplosioni diffuse di fulmini. Come una bestia di tempesta e fame che si agitava tra l’oscurità, i suoi occhi che lampeggiavano mentre si svegliava.

All’improvviso Elayne fu consapevole dell’odore penetrante nell’aria, delle urla di dolore degli uomini. Dei tuoni dal cielo, dei tremori nella terra. Dell’aria fredda posata su un suolo dove non cresceva nulla, delle armi che si rompevano, delle picche che si schiantavano contro gli scudi. La fine. Era arrivata davvero, e lei si trovava sul precipizio.

Un messaggero giunse al galoppo, portando una busta. Diede le giuste parole d’ordine alla guardia di Elayne, smontò e gli fu permesso di avvicinarsi a lei e a Galad. Si rivolse a Galad, porgendogli la lettera. «Da Lord Cauthon, signore. Ha detto che saresti stato qui.»

Galad prese la lettera e, accigliato, l’aprì. Fece scivolare fuori un foglio di carta.

Elayne attese con pazienza — pazienza — contando fino a tre, poi accostò il cavallo a quello di Galad e allungò il collo per leggere. Sul serio, c’era da pensare che si sarebbe preoccupato che una donna incinta stesse comoda.

La lettera era scritta con la grafia di Mat. E, come notò Elayne divertita, la calligrafia era molto più chiara e l’ortografia decisamente migliore in questa rispetto a quella che le aveva mandato settimane fa. A quanto pareva, la pressione della battaglia trasformava Mat Cauthon in un funzionario migliore.


Galad, non c’è molto tempo per un linguaggio elaborato. Tu sei il solo di cui mi fido per questa missione. Farai ciò che è giusto, perfino quando nessuno dannatamente lo vuole. Gli uomini delle Marche di Confine potrebbero non avere il fegato, ma scommetto di potermi fidare di un Manto Bianco. Prendi questo. Di’ a Elayne di crearti un passaggio. Fai ciò che va fatto.

Mat.


Galad si accigliò, poi rovesciò la busta e qualcosa di argenteo cadde fuori. Un medaglione a una catena. Un unico marco di Tar Valon scivolò accanto a esso.

Elayne espirò, poi toccò il medaglione e incanalò. Non poteva. Questa era una delle copie che aveva fatto, una di quelle che aveva dato a Mat. Mellar ne aveva rubata un’altra.

«Protegge chi lo indossa dai flussi» disse Elayne. «Ma perché mandarlo a te?»

Galad rigirò il foglio di carta, apparentemente notando qualcosa. Scritto sul retro, in una calligrafia più affrettata, c’era:


P.S. In caso tu non sappia cosa significa ‘fare ciò che va fatto’, significa che voglio che tu vada dannatamente a massacrare quante più incanalatrici sharane puoi. Scommetto un intero marco di Tar Valon — è stato limato solo un poco ai bordi — che non riesci a ucciderne venti.

MC


«Questo è dannatamente subdolo» mormorò Elayne. «Sangue e dannate ceneri, lo è davvero.»

«Un linguaggio che certo non si addice a una sovrana» disse Galad, piegando il messaggio e mettendolo nella tasca del mantello. Esitò, poi si mise il medaglione attorno al collo. «Mi domando se sappia cosa sta facendo consegnando a uno dei Figli un artefatto che lo rende immune al tocco delle Aes Sedai. Gli ordini sono sensati. Mi assicurerò che vengano eseguiti.»

«Puoi farlo, allora?» chiese Elayne. «Uccidere delle donne?»

«Forse una volta avrei esitato,» disse Galad «ma sarebbe stata la scelta sbagliata. Le donne sono pienamente capaci di essere malvagie quanto gli uomini. Perché dovrei esitare a uccidere le une ma non gli altri? La Luce non giudica basandosi sul sesso, bensì sui meriti del cuore.»

«Interessante.»

«Cos’è interessante?» chiese Galad.

«Hai effettivamente detto qualcosa che non mi fa venire voglia di strangolarti. Forse c’è speranza per te, prima o poi, Galad Damodred.»

Lui si accigliò. «Questo non è né il momento né il luogo per l’umorismo, Elayne. Dovresti andare da Gareth Bryne. Sembra agitato.»

Lei si voltò, sorpresa di trovare l’attempato generale che parlava con le sue guardie. «Generale?» lo chiamò.

Bryne alzò lo sguardo, poi si inchinò formalmente dalla sella.

«La mia scorta ti ha fermato?» chiese Elayne mentre si avvicinava. Si era sparsa la notizia della sua coercizione?

«No, Maestà» disse lui. Il suo cavallo schiumava. Lo aveva cavalcato fino a spossarlo. «Non volevo disturbarti personalmente.»

«Qualcosa ti turba» disse Elayne. «Parla.»

«Tuo fratello è venuto da questa parte?»

«Gawyn?» chiese lei, guardando verso Galad. «Non l’ho visto.»

«Nemmeno io» disse Galad.

«L’Amyrlin era certa che sarebbe stato con le tue truppe…» disse Bryne, scuotendo il capo. «È andato a combattere in prima linea. Forse è venuto travestito.»

Perché mai… Era Gawyn. Avrebbe voluto combattere. Eppure insinuarsi fino alla prima linea con un travestimento non pareva da lui. Poteva radunare alcuni uomini a lui fedeli e guidare alcune cariche. Ma intrufolarsi? Gawyn? Era difficile da immaginare.

«Spargerò la voce» disse Elayne mentre Galad le rivolgeva un inchino, e poi si allontanava per la sua missione. «Forse uno dei miei comandanti l’ha visto.»


Ah… pensò Mat, la faccia così vicina alle mappe da essere quasi sullo stesso piano. Poi agitò una mano da un lato, facendo aprire un passaggio a Mika la damane. Mat avrebbe potuto Viaggiare sulla cima del Bozzo di Dashar per avere una visione globale. Però l’ultima volta che lo aveva fatto gli incanalatori nemici lo avevano preso di mira, tagliando via parte della sommità; e, nonostante fosse così in alto, il Bozzo di Dashar non gli permetteva di vedere tutto ciò che accadeva sotto sul lato occidentale delle Alture Polov. Vi si diresse, mettendo le mani sul bordo del passaggio sul tavolo, ispezionando il paesaggio sottostante.

Il fronte di Elayne al fiume stava venendo respinto. Avevano fatto arrivare degli arcieri sul fianco destro. Bene. Sangue e dannate ceneri… Quei Trolloc avevano dietro di sé quasi lo stesso peso di una carica di cavalleria. Avrebbe dovuto dire a Elayne di schierare la sua cavalleria dietro le picche.

Come quando ho combattuto Sana Ashraf alle Cascate di Pena, pensò. Cavalleria pesante, arcieri a cavallo, cavalleria pesante, arcieri a cavallo. Uno dopo l’altro. Taer’ain dhai hochin cheb sene.

Mat non riusciva a ricordare di essere mai stato così coinvolto da una battaglia. Il combattimento contro gli Shaido non era stato altrettanto appassionante, anche se Mat non aveva comandato quella battaglia per intero. Nemmeno il combattimento di Elbar non era stato così soddisfacente. Naturalmente, quello era avvenuto su una scala molto più piccola.

Demandred sapeva come giocare d’azzardo. Mat poteva percepirlo attraverso i movimenti delle truppe. Mat stava giocando contro uno dei migliori che fossero mai vissuti e stavolta la posta in gioco non era la ricchezza. Stavano giocando a dadi le vite degli uomini e il premio finale era il mondo stesso. Sangue e dannate ceneri, questo lo eccitava davvero. Si sentiva in colpa, ma era eccitante.

«Lan è in posizione» disse Mat, raddrizzandosi e tornando alle mappe, prendendo appunti. «Ditegli di colpire.»

L’esercito di Trolloc che stava attraversando il letto del fiume presso le rovine doveva essere annientato. Mat aveva spostato gli uomini delle Marche di Confine attorno alle Alture per attaccare le retrovie vulnerabili mentre Tam e le sue forze combinate continuavano a bersagliarli davanti. Tam ne aveva ucciso moltissimi prima e dopo che il fiume smettesse di scorrere. Quell’orda di Trolloc era prossima a essere spezzata, e un’azione coordinata su due fronti poteva riuscirci.

Gli uomini di Tam dovevano essere stanchi. Potevano reggere quanto bastava perché Lan arrivasse e colpisse i Trolloc da dietro? Luce, Mat sperava di sì. Se non ce l’avessero fatta…

Qualcosa oscurò la porta della posizione di comando, un uomo alto con capelli scuri e ricciuti che indossava la giubba di un Asha’man. Aveva l’espressione di un uomo a cui fossero state appena date delle carte perdenti. Luce. Un Trolloc avrebbe trovato quello sguardo irritante.

Min, che stava parlando con Tuon, tacque all’improvviso; Logain parve avere un’occhiataccia speciale per lei. Mat si rimise dritto, pulendosi le mani. «Spero che tu non abbia fatto nulla di troppo cattivo alle guardie, Logain.»

«I flussi di Aria si slegheranno da soli tra un minuto o due» disse l’uomo, la voce severa. «Non penso che fossero propensi a lasciarmi entrare.»

Mat lanciò un’occhiata a Tuon. Lei si era irrigidita come un grembiule ben inamidato. I Seanchan non si fidavano delle donne in grado di incanalare, tantomeno di qualcuno come Logain.

«Logain» disse Mat. «Ho bisogno che tu combatta a fianco dell’esercito della Torre Bianca. Quegli Sharani li stanno martellando.»

Logain aveva fissato il suo sguardo in quello di Tuon.

«Logain!» disse Mat. «Se non l’avessi notato, stiamo combattendo una maledetta guerra qui.»

«Non è la mia guerra.»

«Questa è la nostra guerra» sbottò Mat. «Di tutti noi.»

«Mi sono fatto avanti per combattere» disse Logain. «E qual è stata la mia ricompensa? Chiedilo all’Ajah Rossa. Loro ti diranno qual è la ricompensa per un uomo segnato dal Disegno.» Proruppe in una risata. «Il Disegno esigeva un Drago! E io sono arrivato! Troppo presto. Un po’ troppo presto!»

«Ascoltami» disse Mat, avvicinandosi a Logain. «Sei arrabbiato perché non hai potuto essere il Drago?»

«Nulla di così meschino» disse Logain. «Io seguo il Lord Drago. Che sia lui a morire. Non desidero alcuna parte in quel banchetto. Io e i miei dovremmo essere con lui, non qui a combattere. Questa battaglia per le piccole vite degli uomini non è nulla a paragone di quella che sta avvenendo a Shayol Ghul.»

«Eppure sai che abbiamo bisogno di voi qui» disse Mat. «Altrimenti ve ne sareste già andati.»

Logain non disse nulla.

«Va’ da Egwene» disse Mat. «Porta tutti quelli che hai e tieni impegnati quegli incanalatovi sharani.»

«E Demandred?» domandò Logain piano. «Chiama a gran voce il Drago. Ha il potere di una dozzina di uomini. Nessuno di noi può affrontarlo.»

«Ma tu vuoi provarci, vero?» replicò Mat. «Ecco il vero motivo per cui sei qui ora. Vuoi che ti mandi contro Demandred.»

Logain esitò, poi annuì. «Lui non può avere il Drago Rinato. Dovrà prendere me al suo posto. Il… rimpiazzo del Drago, se vuoi.»

Sangue e dannate ceneriSono tutti pazzi. Purtroppo, cos’altro poteva fare Mat contro uno dei Reietti? In questo momento il suo piano di battaglia ruotava attorno al tenere Demandred occupato, costringendolo a rispondere. Se Demandred doveva agire come generale, non poteva fare tanti danni incanalando.

Mat avrebbe dovuto escogitare qualcosa per occuparsi del Reietto. Ci stava lavorando. Ci aveva lavorato per l’intera dannata battaglia e non gli era venuto in mente nulla.

Mat lanciò un’occhiata all’indietro attraverso il passaggio. Elayne veniva incalzata con troppa forza. Lui doveva fare qualcosa. Far intervenire i Seanchan? Li aveva posizionati all’estremità meridionale del campo sulle sponde dell’Erinin. Sarebbero stati un asso nella manica per Demandred, impedendogli di impegnare tutte le truppe nelle battaglie che venivano combattute sotto le Alture. In aggiunta, aveva dei progetti per loro. Progetti importanti.

Logain non aveva molte possibilità contro Demandred, stando alla stima di Mat, ma avrebbe dovuto occuparsi di quell’uomo in qualche modo. Se Logain voleva provare, che facesse pure.

«Puoi combatterlo» disse Mat. «Fallo ora oppure aspetta finché non si sarà indebolito un poco. Luce, spero che possiamo indebolirlo. Comunque lascio la cosa a te. Scegli il momento migliore e attacca.»

Logain sorrise, poi creò un passaggio proprio nel mezzo della stanza e lo attraversò, la mano sulla spada. Aveva abbastanza orgoglio da essere il Drago Rinato, quello era sicuro. Mat scosse il capo. Cosa avrebbe dato per non aver più a che fare con tutti questi blasonati. Mat poteva essere uno di loro adesso, ma quello si poteva aggiustare. Tutto ciò che doveva fare era convincere Tuon ad abbandonare il trono e scappare via con lui. Quello non sarebbe stato facile, ma dannate ceneri, stava combattendo l’Ultima Battaglia. Paragonata alla sfida che stava affrontando ora, Tuon sembrava un nodo facile da sciogliere.

«Gloria degli uomini…» sussurrò Min. «Deve ancora accadere.»

«Qualcuno vada a controllare quelle guardie» disse Mat, tornando alle mappe. «Tuon, potremmo volerti trasferire. Questo posto non è mai stato sicuro e Logain l’ha appena dimostrato.»

«Posso proteggermi da sola» disse lei in tono altezzoso.

Troppo altezzoso. Lui la guardò sollevando un sopracciglio e lei annuì.

Davvero?, pensò Mat. È di questo che vuoi discutere? Mat non era certo che la spia se la sarebbe bevuta. Era una ragione troppo inconsistente.

Ó suo piano con Tuon era prendere esempio da quello che Rand una volta aveva fatto con Perrin. Se Mat fosse riuscito a fingere una divisione tra lui e i Seanchan e nel farlo avesse convinto Tuon a ritirare le sue forze, forse l’Ombra l’avrebbe ignorata. Mat aveva bisogno di un vantaggio di qualche tipo.

Entrarono due guardie. No, tre. Il terzo era facile non notarlo. Mat scosse la testa rivolto a Tuon — avevano bisogno di trovare qualcosa di più realistico su cui litigare — e tornò a guardare le mappe.

Qualcosa sulla piccola guardia non gli tornava. Assomiglia più a un servitore che a un soldato, pensò Mat. Si costrinse ad alzare lo sguardo, anche se in effetti non si sarebbe dovuto lasciar distrarre da comuni servitori. Sì, il tizio era lì, in piedi accanto al tavolo di Mat. Non era il caso di prestargli attenzione, perfino se stava tirando fuori un coltello.

Un coltello.

Mat barcollò all’indietro mentre l’Uomo Grigio attaccava. Mat urlò, allungando la mano verso uno dei pugnali, proprio mentre Mika urlava: «Qualcuno sta incanalando! Qui vicino!»


Min si gettò contro Fortuona mentre la parete dell’edificio di comando veniva avvolta dalle fiamme. Sharani in strane armature di bande di metallo dipinte d’oro irruppero attraverso l’apertura ardente. Erano accompagnati da incanalatori con i volti tatuati: le donne con abiti neri, lunghi e rigidi, gli uomini senza camicia e con pantaloni laceri. Min osservò tutto questo appena prima di rovesciare il trono di Fortuona.

Del fuoco bruciò nell’aria sopra Min, strinando le sue sete eleganti e consumando la parete dietro di loro. Fortuona si precipitò via dalla stretta di Min, restando bassa, e Min sbatté le palpebre dalla sorpresa. La donna aveva abbandonato il suo costume voluminoso — era fatto per staccarsi — e sotto portava dei pantaloni di seta e una camicia attillata, entrambi neri.

Tuon si mise in piedi con un pugnale in mano, ringhiando in modo quasi selvaggio. Lì vicino, Mat cadde a terra all’indietro, sovrastato da un uomo che impugnava un coltello. Da dove era uscito quell’uomo? Min non si ricordava di averlo visto entrare.

Tuon corse verso Mat mentre gli incanalatori sharani iniziavano a bersagliare il centro di comando con il fuoco. Min si sforzò di rimettersi in piedi in quegli abiti tremendi. Tirò fuori un pugnale e si rannicchiò accanto al trono, mettendosi con le spalle contro di esso mentre la terra sussultava.

Non poteva raggiungere Fortuona, perciò si costrinse a uscire dalla parte posteriore, fatta del materiale simile a carta che i Seanchan chiamavano tenni.

Tossì per il fumo, ma adesso che era fuori l’aria era più limpida. Su questo lato dell’edificio non c’erano Sharani. Stavano tutti attaccando dalle altre direzioni. Min scattò lungo il muro. Gli incanalatori erano pericolosi, ma se fosse riuscita a trapassarli con un coltello, tutto l’Unico Potere del mondo non avrebbe avuto importanza.

Sbirciò oltre l’angolo e fu sorpresa da un uomo accucciato lì con un’espressione selvaggia negli occhi. Aveva un volto angoloso; i tatuaggi rosso sangue sul collo sembravano artigli che gli sostenevano testa e mento dalla pelle chiara.

Ringhiò e Min si getto all’indietro per terra, tuffandosi sotto un nastro di fuoco e scagliando il coltello.

L’uomo lo prese a mezz’aria. Venne avanti in una posa accucciata, bestiale, sorridendole.

Poi sussultò all’improvviso e piombò a terra, dibattendosi. Dalle labbra gli uscì un rivoletto di sangue.

«Quello» disse una donna lì vicino, un totale disprezzo nel tono «è qualcosa che non dovrei saper fare, ma fermare il cuore di qualcuno con l’Unico Potere è silenzioso. Richiede pochissimo Potere, sorprendentemente, cosa che mi si adatta.»

«Siuan!» disse Min. «Non dovresti essere qui.»

«Sei fortunata che lo sia» disse Siuan con uno sbuffo, esaminando il corpo e restando bassa. «Bah. Pessima faccenda quella, ma se hai intenzione di mangiare un pesce, dovresti essere disposta a togliere tu stessa le interiora. Cosa c’è che non va, ragazza? Sei al sicuro ora. Non c’è bisogno di essere così pallida.»

«Tu non dovresti essere qui!» disse Min. «Te l’ho detto. Sta’ vicino a Gareth Bryne!»

«Sono stata vicino a lui, quasi quanto i suoi indumenti intimi, se vuoi saperlo. Grazie a questo ci siamo salvati la vita a vicenda, perdo suppongo che le visioni siano esatte. Si sono mai rivelate sbagliate?»

«No, te l’ho detto» sussurrò Min. «Mai. Siuan… Ho visto un’aura attorno a Bryne che significava che dovevate restare assieme, oppure tutti e due sareste morti. È sospesa sopra di te in questo momento. Qualunque cosa pensi di aver fatto, la visione non si è realizzata. È ancora lì.»

Siuan rimase impietrita per un momento. «Cauthon è in pericolo.»

«Ma…»

«Non m’importa, ragazza!» Lì accanto la terra tremò per la forza dell’Unico Potere. Le damane stavano rispondendo all’attacco. «Se Cauthon cade, questa battaglia è perduta! Non m’importa se moriamo entrambi per questo. Dobbiamo aiutarlo. Muoviti!»

Min annuì, poi si unì a lei mentre aggirava il lato dell’edificio rovinato. Lo scontro lì fuori era un miscuglio scomposto di esplosioni, fumo e fiamme. Membri dei Sorveglianti della Morte caricavano gli Sharani, le spade sguainate, incuranti dei compagni che venivano massacrati attorno a loro. Quello almeno stava tenendo impegnati gli incanalatori.

Il centro di comando bruciava con un calore tale che Min dovette farsi indietro, sollevando un braccio.

«Aspetta» disse Siuan, poi usò l’Unico Potere per attirare una piccola colonna d’acqua fuori da un barile vicino, schizzandole entrambe. «Cercherò di smorzare le fiamme» disse, reindirizzando la piccola colonna d’acqua verso il centro di comando. «D’accordo. Andiamo.»

Min annuì, precipitandosi tra le fiamme, e Siuan si unì a lei. Tutte le pareti di tenni all’interno stavano bruciando e venivano consumate rapidamente. Il fuoco colava dal soffitto.

«Là» disse Min, scacciando dagli occhi lacrime causate da fumo e calore. Indicò delle sagome scure che lottavano vicino al centro dell’edificio e il tavolo della mappa di Mat che ardeva. Pareva ci fosse un gruppo di tre o quattro persone a combattere contro Mat. Luce, erano tutti Uomini Grigi… Non uno solo! Tuon era a terra.

Min superò di corsa il cadavere di una sul’dam accanto a diverse guardie. Siuan usò l’Unico Potere per strattonare uno degli Uomini Grigi via da Mat. I cadaveri delle guardie con la luce del fuoco creavano ombre sul pavimento. Una damane era ancora viva, rannicchiata in un angolo con un’espressione terrorizzata, il guinzaglio per terra. La sua sul’dam giaceva a una certa distanza, immobile. Pareva che il suo capo del guinzaglio le fosse stato strappato via e poi fosse stata uccisa mentre stava tentando di tornare dalla sua damane.

«Fa’ qualcosa!» urlò Min alla ragazza, afferrandola per il braccio.

La damane scosse il capo, piangendo.

«Che tu sia folgorata…» disse Min.

Il soffitto della struttura gemette. Min corse da Mat. Un Uomo Grigio era morto, ma ce n’erano altri due che indossavano le uniformi di guardie seanchan. Min aveva problemi a vedere quelli vivi: erano insolitamente ordinari in ogni senso. Del tutto vaghi.

Mat lanciò un urlo, accoltellando uno degli uomini, ma non aveva la lancia. Min non sapeva dove fosse. Mat si spinse avanti in modo avventato, cosa che gli causò una ferita nel fianco. Perché?

Tuon, si rese conto Min, arrestandosi di colpo. Uno degli Uomini Grigi si inginocchiò sopra la sua forma immobile, sollevando un pugnale e…

Min scagliò.

Mat ruzzolò a terra a pochi piedi da Tuon; l’ultimo Uomo Grigio lo teneva per le gambe. Il coltello di Min roteò per l’aria, riflettendo le fiamme, e colpì l’Uomo Grigio sopra Tuon nel petto.

Min esalò un sospiro. In tutta la vita non era mai stata così lieta di vedere un coltello centrare il bersaglio. Mat aveva imprecato, voltandosi e dando al suo aggressore una pedata in faccia. A quella seguì una coltellata, poi si precipitò da Tuon, issandosela in spalla.

Min gli si accostò. «Anche Siuan è qui. Lei…»

Mat indicò. Siuan era stesa sul pavimento dell’edificio. I suoi occhi fissavano il vuoto e tutte le immagini sopra di lei erano sparite.

Morta. Min rimase paralizzata, provando un tuffo al cuore. Siuan! Si mosse verso la donna, comunque, incapace di credere che fosse morta, anche se i suoi vestiti bruciavano per l’esplosione di fuoco che aveva investito lei e metà della parete lì vicino.

«Fuori!» disse Mat, tossendo e cullando Tuon. Si gettò con la spalla contro una parete che era bruciata solo per metà, uscendo all’aria aperta.

Min gemette, lasciando il cadavere di Siuan, scacciando via le lacrime di dolore e quelle dovute al fumo. Tossì mentre seguiva Mat fuori all’aria aperta. L’esterno aveva un odore così dolce, così freddo. Dietro di loro, l’edificio gemette, poi crollò.

Dopo pochi istanti, Min e Mat furono circondati da membri dei Sorveglianti della Morte. Nemmeno uno cercò di prendere Tuon — che respirava ancora, debolmente — e portarla via da Mat. Dal suo sguardo, Min dubitava che ci sarebbero riusciti.

Addio, Siuan, pensò Min, guardandosi indietro mentre i Sorveglianti la scortavano via dal combattimento sotto il Bozzo di Dashar. Che il Creatore protegga la tua anima.

Avrebbe fatto sapere agli altri di proteggere Bryne, ma dentro di sé sapeva che sarebbe stato inutile. Di sicuro lui era caduto preda di una rabbia vendicatrice nel momento in cui Siuan era morta e, a parte quello, c’era la visione.

Min non si sbagliava mai. A volte odiava la sua precisione. Ma non si sbagliava mai.


«Colpite i loro flussi» urlò Egwene. «Io attaccherò!»

Non attese di vedere se le avessero obbedito. Colpì, trattenendo più Potere possibile, attingendolo attraverso il sa’angreal di Vora e scagliando tre diversi fasci di Fuoco su per il pendio verso gli Sharani trincerati.

Attorno a lei, le truppe ben addestrate di Bryne si sforzavano di mantenere lo schieramento mentre combattevano contro i soldati sharani, conquistando terreno su per il lato occidentale delle Alture. Il fianco della collina era butterato da centinaia di solchi e buchi, creati da flussi di una fazione o dell’altra.

Egwene avanzò combattendo disperatamente. Poteva avvertire Gawyn sopra, ma pensava fosse privo di sensi; la sua scintilla di vita era così debole che riusciva a percepire a malapena la sua direzione. La sua unica speranza era farsi strada attraverso gli Sharani e raggiungerlo.

La terra brontolò mentre vaporizzava una donna sharana più in alto; Saerin, Doesine e altre sorelle si concentravano a deviare i flussi nemici, mentre Egwene si occupava di scagliare attacchi. Avanzò. Un passo dopo l’altro.

Sto arrivando, Gawyn, pensò lei, sempre più frenetica. Sto arrivando.


«Veniamo a fare rapporto, Wyld.»

Demandred ignorò i messaggeri per il momento. Volava sulle ali di un falcone, ispezionando la battaglia attraverso gli occhi dell’uccello. I corvi erano meglio, ma ogni volta che cercava di usare uno di quelli, un qualche uomo delle Marche di Confine lo abbatteva. Tra tutte le usanze che erano state tramandate nel corso delle Epoche, perché proprio quella?

Non aveva importanza. Un falcone sarebbe andato bene, anche se l’uccello faceva resistenza al suo controllo. Lo guidò per il campo di battaglia, esaminando formazioni, schieramenti, avanzate di truppe. Non doveva affidarsi ai rapporti di altri.

Sarebbe dovuto essere un vantaggio quasi insormontabile. Lews Therin non poteva usare un animale a quel modo: si trattava di un dono che solo il Vero Potere poteva concedere. Demandred riusciva a incanalare solo un sottile rivoletto del Vero Potere: non abbastanza per flussi distruttivi, ma c’erano altri modi per essere pericolosi. Purtroppo, Lews Therin aveva un vantaggio. Passaggi che guardavano su un campo di battaglia? Era sconfortante tutto ciò che la gente di quest’Epoca aveva scoperto, cose che non erano note durante l’Epoca Leggendaria.

Demandred aprì gli occhi e interruppe il legame con il falcone. Le sue forze stavano avanzando, ma ogni passo era una fatica estenuante. Decine di migliaia di Trolloc erano stati uccisi. Doveva essere cauto: i loro numeri non erano illimitati.

Attualmente si trovava sul lato orientale delle Alture, guardando giù il fiume sottostante e a nordest del punto dove l’assassino di Lews Therin aveva cercato di ucciderlo.

Demandred si trovava quasi di fronte alla collina che, stando a Moghedien, chiamavano Bozzo di Dashar. Quella formazione rocciosa si elevava alta nell’aria; la sua base era un’ottima posizione per un centro di comando, al riparo da attacchi con l’Unico Potere.

Era così allettante colpire lì in prima persona, Viaggiarvi e seminare devastazione. Ma era quello che voleva Lews Therin? Demandred avrebbe affrontato quell’uomo. L’avrebbe fatto. Comunque, Viaggiare nella roccaforte del nemico e probabilmente in una trappola, circondata com’era da quelle alte pareti di roccia… Meglio attirare Lews Therin da lui. Demandred dominava il campo di battaglia. Poteva scegliere dove sarebbe avvenuto il confronto.

Il letto del fiume era stato rallentato fino a un ruscelletto fangoso e i Trolloc di Demandred lottavano per prendere il controllo della riva meridionale. Per ora i difensori resistevano, ma presto li avrebbe spazzati via. Più a monte del fiume, M’Hael aveva svolto bene il suo lavoro per deviare quell’acqua, anche se aveva riferito di una resistenza insolita. Popolani e una piccola unità di soldati? Una stranezza che Demandred non aveva ancora decifrato.

Quasi aveva desiderato che M’Hael fallisse. Anche se era stato Demandred in persona a reclutarlo, non si era aspettato che M’Hael si facesse strada così rapidamente tra i ranghi dei Prescelti.

Demandred si voltò di lato. Davanti a lui si inchinarono tre donne in nero con nastri bianchi. Accanto a loro, Shendla.

Shendla. Aveva pensato che ormai non avrebbe più tenuto a una donna: in che modo l’affetto poteva prosperare accanto alla passione ardente del suo odio per Lews Therin? Eppure Shendla… Subdola, capace, potente. Era quasi sufficiente per cambiare il suo cuore.

«Qual è il vostro rapporto?» chiese alle tre donne in nero inchinate.

«La caccia è stata un fallimento» disse Galbrait a testa bassa.

«È fuggito?»

«Sì, Wyld. Ti ho deluso.» Demandred sentì il dolore nella voce della donna. Era lei a capo delle Ayyad.

«Il tuo compito non era ucciderlo» disse Demandred. «È un nemico che va oltre le tue capacità. Hai distrutto il suo centro di comando?»

«Sì» disse Galbrait. «Abbiamo ucciso mezza dozzina delle sue incanalatrici, abbiamo dato alle fiamme l’edificio e abbiamo distrutto le mappe.»

«Lui ha incanalato? Si è rivelato?»

Lei esitò, poi scosse il capo.

Dunque Demandred non poteva sapere per certo se questo Cauthon era Lews Therin travestito. Lui sospettava di sì, ma c’erano rapporti da Shayol Ghul secondo cui Lews Therin era stato visto lì, sulle pendici della montagna. Si era già rivelato subdolo nel corso dell’Ultima Battaglia, saltando da un fronte all’altro, mostrandosi qua e là.

Quanto più Demandred manovrava contro il generale nemico, tanto più credeva che Lews Therin fosse qui. Sarebbe proprio stato da lui inviare un’esca a nord mentre veniva a combattere questa battaglia di persona. Lews Therin aveva difficoltà a lasciare che altri combattessero per lui. Voleva sempre fare tutto in prima persona, comandando ogni battaglia… Perfino ogni carica, se poteva.

Sì… In quale altro modo Demandred avrebbe potuto spiegare l’abilità del generale nemico? Solo un uomo con l’esperienza di un antico poteva essere così magistrale nella danza dei campi di battaglia. Essenzialmente, molte tattiche erano semplici. Evitare di essere attaccati ai fianchi, opporre picche a forze pesanti, una fila ben addestrata a fanteria, incanalatoti ad altri incanalatori. Eppure, quella sottigliezza… I piccoli dettagli… Erano cose che richiedevano secoli per essere padroneggiate. Nessuno di quest’Epoca aveva vissuto abbastanza da imparare i dettagli con tale cura.

Durante la Guerra del Potere, l’unica cosa che Demandred aveva mai fatto meglio del suo amico era ricoprire il ruolo di generale in battaglia. Gli doleva ammetterlo, ma non si sarebbe più nascosto da quella verità. Lews Therin era stato più forte nell’Unico Potere. Lews Therin era stato più abile a catturare i cuori degli uomini. Lews Therin aveva preso Ilyena.

Ma Demandred… Demandred era stato più capace nella guerra. Lews Therin non era mai stato in grado di equilibrare correttamente cautela e audacia. Quell’uomo si tratteneva e meditava, preoccupandosi delle sue decisioni finché non scoppiava in un’avventata azione militare.

Se questo Cauthon era Lews Therin, allora era migliorato.

Il generale nemico sapeva quando lanciare la moneta e lasciare che fosse il destino a fare il suo corso, ma non permetteva che ogni risultato influenzasse troppe cose. Sarebbe stato un eccellente avversario a carte.

Demandred l’avrebbe sconfitto comunque, naturalmente. Questa battaglia sarebbe stata semplicemente più… interessante.

Posò la mano sulla spada, riflettendo sulla sua ispezione del campo di battaglia di pochi istanti prima. I Trolloc continuavano il loro attacco nell’alveo del fiume, ma Lews Therin aveva schierato i picchieri di fronte alle creature in formazioni a quadrato disciplinate, una mossa difensiva. Dietro Demandred, i boati degli incanalatori che scuotevano la terra contrassegnavano la guerra più grande, quella tra i suoi Ayyad sharani e le Aes Sedai.

Lui era in posizione di vantaggio lì. I suoi Ayyad erano più abili nella guerra rispetto alle Aes Sedai. Quando Cauthon avrebbe impegnato le damane? Moghedien aveva riferito di alcuni dissensi tra loro e le Aes Sedai. Forse Demandred poteva allargare la frattura in qualche modo?

Diede degli ordini e le tre Ayyad lì vicino si ritirarono. Shendla rimase, attendendo che le desse il permesso per andare. La incaricò di esplorare la zona circostante e stare in allerta contro altri assassini.

«Sei preoccupata?» le chiese. «Ora sai per quale fazione combattiamo. A quanto ne so, non sei votata all’Ombra.»

«Mi sono votata a te, Wyld.»

«E per me combatti accanto ai Trolloc? Ai Mezzi Uomini? A creature da incubo?»

«Hai detto che alcuni avrebbero definito le tue azioni malvagie» disse lei. «Ma io non le vedo come tali. Il nostro sentiero è chiaro. Una volta che avrai vinto, ricreerai il mondo e il nostro popolo sarà preservato.» Lei gli prese la mano e qualcosa si agitò dentro di lui. Fu rapidamente soffocato dal suo odio.

«Getterei via tutto quanto» disse lui, guardandola negli occhi. «Tutto quanto per avere una possibilità di affrontare Lews Therin.»

«Hai promesso di provare» disse lei. «Quello sarà sufficiente. E se distruggerai lui, distruggerai un mondo e ne preserverai un altro. Io ti seguirò. Noi ti seguiremo.»

La sua voce pareva sottintendere che forse, una volta che Lews Therin fosse morto, Demandred sarebbe stato in grado di diventare nuovamente sé stesso.

Lui non ne era certo. Il dominio lo interessava solo nella misura in cui poteva usarlo contro il suo ancestrale nemico. Gli Sharani, devoti e fedeli, erano solo uno strumento. Ma dentro di lui c’era qualcosa che desiderava che così non fosse. Quella era una novità. Sì, lo era.

L’aria vicino si deformò, piegandosi. Non era visibile nessun flusso: era uno squarcio del tessuto del Disegno, Viaggiare con il Vero Potere. M’Hael era arrivato.

Demandred si voltò e Shendla gli lasciò andare il braccio, ma non abbandonò il suo fianco. A M’Hael era stato dato accesso all’essenza. Quello non faceva ingelosire Demandred. M’Hael era solo un altro strumento. Tuttavia lo faceva dubitare. C’era qualcuno a cui fosse negato il Vero Potere, in questi giorni?

«Perderai la battaglia vicino alle rovine, Demandred» disse M’Hael con un sorriso arrogante. «I Trolloc lì saranno annientati. Il tuo nemico era in netta inferiorità numerica eppure ti sconfiggerà lo stesso! Pensavo che dovessi essere il nostro più grande generale, eppure perdi di fronte a questa marmaglia? Sono deluso.»

Demandred sollevò la mano con noncuranza, muovendo due dita.

M’Hael sussultò quando due dozzine di incanalatori sharani lì vicino interposero schermi tra lui e l’Unico Potere. Lo avvolsero in Aria, strattonandolo all’indietro. Lui si oppose, circondato dall’aura del Vero Potere che deformava l’aria, ma Demandred fu più veloce. Intessé uno schermo di Vero Potere, costruendolo da fili ardenti di Spirito. I fili tremolarono nell’aria, ciascuno con serpeggianti barbigli di energia così piccoli che le estremità scomparivano nel nulla. Il Vero Potere era instabile, pericoloso. Uno schermo foggiato con esso aveva un effetto strano, attingendo il Potere di un altro che tentava di incanalarlo.

Lo schermo di Demandred sottrasse il Potere di M’Hael e usò l’uomo come condotto. Demandred radunò il Vero Potere e lo intessé in una palla crepitante di forza sopra la sua mano. Solo M’Hael sarebbe stato in grado di vederla e gli occhi fieri di quell’uomo si spalancarono mentre Demandred lo prosciugava.

Non era dissimile da un circolo. L’estrazione di energia fece tremolare M’Hael, lo fece sudare mentre era trattenuto dai flussi degli Ayyad di Demandred. Questa sottrazione poteva consumare M’Hael, se non fosse stata tenuta sotto controllo: poteva scorticare la sua anima con l’impeto del Vero Potere, come un fiume che esondava. La massa contorta di fili nelle mani di Demandred pulsò e sfrigolò, deformando l’aria e iniziando a sfilacciare il Disegno.

Un reticolo di minuscole fratture si diffuse sul terreno attorno a lui. Crepe sul nulla.

Si avvicinò a M’Hael. L’uomo iniziò ad avere una crisi, della schiuma gli colava dalle labbra.

«Tu mi ascolterai, M’Hael» disse Demandred piano. «Io non sono come gli altri Prescelti. Non m’importa un fico secco dei vostri giochi politici. Non m’interessa quale di voi gode della benevolenza del Sommo Signore, a quale di voi Moridin dà pacche sulla testa. M’importa solo di Lews Therin.

«Questo è il mio scontro. Tu sei mio. Io ti ho portato all’Ombra e io posso distruggerti. Se interferisci con ciò che faccio qui, ti spegnerò come una candela. Mi rendo conto che ti ritieni forte, con i Signori del Terrore e gli incanalatori non addestrati che hai rubato. Sei un bambino, un neonato. Prendi i tuoi uomini, crea tutto il caos che vuoi, ma sta’ lontano dalla mia strada. E sta’ lontano dal mio premio. Il generale nemico è mio.»

Gli occhi di M’Hael erano pieni di odio, non paura, anche se il suo cuore lo tradiva con dei palpiti. Sì, costui era sempre sembrato promettente.

Demandred girò la mano e lanciò un torrente di Fuoco Malefico con il Vero Potere che aveva accumulato. La linea incandescente di distruzione liquida attraversò bruciando gli eserciti al fiume lì sotto, vaporizzando ogni uomo o donna che toccava. Le forme divennero punti di luce, poi polvere, e scomparvero a centinaia. Lasciò una lunga linea di terra arsa, come un solco tagliato da una mannaia enorme.

«Lasciatelo andare» disse Demandred, permettendo allo schermo del Vero Potere di dissiparsi.

M’Hael barcollò all’indietro, tenendosi in piedi, con il sudore che gli colava dalla faccia. Annaspò, la mano sollevata al petto.

«Rimani vivo nel corso di questa battaglia» gli disse Demandred voltandogli le spalle e iniziando un flusso per evocare di nuovo il falcone. «Se ci riuscirai, forse ti mostrerò come fare ciò che ho appena fatto. Potresti pensare che desideri uccidermi ora, ma sappi che il Sommo Signore osserva. Inoltre, considera questo. Puoi avere cento Asha’man come tuoi seguaci. Io ho oltre quattrocento Ayyad. Sono io il salvatore di questo mondo.»

Quando si guardò alle spalle, M’Hael se n’era andato, Viaggiando via con il Vero Potere. Era sorprendente che fosse riuscito a radunare la forza dopo quello che Demandred aveva appena fatto. Sperava di non doverlo uccidere. Si sarebbe potuto dimostrare utile.


Alla fine io vincerò.

Rand stava in piedi saldo davanti alle folate di vento, anche se gli lacrimavano gli occhi mentre fissava l’oscurità. Da quanto tempo era in questo posto? Mille anni? Diecimila?

Per il momento, si preoccupava solo di opporsi. Non si sarebbe piegato davanti a questo vento. Non poteva cedere nemmeno per una frazione di secondo.

Il tempo è giunto, finalmente.

«Il tempo non è nulla per te» disse Rand.

Era vero, e non lo era. Rand poteva vedere i fili mulinare attorno a lui, formando il Disegno. Mentre si delineava, vide i campi di battaglia sotto di lui. Quelli che amava combattevano per le loro vite. Queste non erano possibilità; questa era la verità, ciò che stava accadendo realmente.

Il Tenebroso si avvolse attorno al Disegno, incapace di distruggerlo, ma in grado di toccarlo. Tentacoli di tenebra, aculei toccavano il mondo in vari punti per tutta la sua lunghezza. Il Tenebroso giaceva come un’ombra sul Disegno.

Quando il Tenebroso toccava il Disegno, per lui il tempo esisteva. E così, mentre per il Tenebroso il tempo non era nulla, lui — o esso, poiché il Tenebroso non aveva sesso — poteva solo operare entro i suoi limiti. Come… come uno scultore che aveva visioni e sogni meravigliosi ma era comunque limitato dalla realtà dei materiali con cui lavorava.

Rand fissò il Disegno, resistendo all’attacco del Tenebroso. Non si mosse o respirò. Non c’era bisogno di respirare qui.

Lì sotto la gente moriva. Rand udiva le loro urla. Così tanti cadevano.

Alla fine vincerò, avversario. Guardali urlare. Guardali morire. I morti sono miei.

«Menzogne» disse Rand.

No. Ti mostrerò.

Il Tenebroso filò nuovamente una possibilità, radunando ciò che poteva essere, e gettò Rand in un’altra visione.


Juilin Sandar non era un comandante. Era un cacciatore di ladri, non un nobile. Di certo non un nobile. Lavorava per conto suo.

Tranne che, a quanto pareva, quando finiva su un campo di battaglia, e veniva messo al comando di una squadra di uomini perché era riuscito a catturare pericolosi malfattori in qualità di cacciatore di ladri. Gli Sharani premevano contro i suoi uomini, mirando alle Aes Sedai. Combattevano sul lato occidentale delle Alture, e il compito della sua squadra era proteggere le Aes Sedai dalla fanteria sharana.

Aes Sedai. Come era rimasto invischiato con le Aes Sedai? Lui, un buon Tairenese.

«Difendete!» urlò Juilin ai suoi uomini. «Difendete!» Lo gridava anche a proprio beneficio. La sua squadra teneva strette lance e picche, costringendo la fanteria sharana a risalire il pendio. Juilin non era certo del perché si trovasse qui perché stessero combattendo in questo settore. Voleva solo restare in vita!

Gli Sharani urlavano e imprecavano in una lingua sconosciuta. Avevano molti incanalatori, ma il gruppo che lui fronteggiava era composto da truppe regolari che usavano una varietà di armi da mischia, perlopiù spade e scudi. Il terreno era disseminato di cadaveri e rendeva combattere difficoltoso per entrambi gli schieramenti mentre Juilin e i suoi uomini seguivano gli ordini, spingendo contro le truppe sharane mentre le Aes Sedai e gli incanalatori nemici si scambiavano flussi.

Juilin impugnava una lancia, un’arma con cui aveva poca familiarità. Una squadra di Sharani in armatura si fece strada a forza tra le picche di Myk e Cham. Gli ufficiali indossavano corazze, stranamente avvolte in stoffa variopinta, mentre soldati semplici portavano cuoio con strisce di metallo. Tutti quanti avevano la schiena dipinta con strani motivi.

Il capo delle truppe sharane impugnava una mazza terribile, che calò con forza su un picchiere e poi su un altro. L’uomo urlò a Juilin imprecazioni che non comprese.

Juilin fece una finta e lo Sharano sollevò il suo scudo, così gli conficcò la lancia nell’armatura, nel varco tra la corazza e il braccio. Luce, non trasalì neanche! Sbatté lo scudo contro Juilin, costringendolo a indietreggiare.

La lancia scivolò via dalle dita sudate di Juilin. Lui imprecò, allungando la mano verso il frangilama, un’arma che conosceva bene. Myk e gli altri combattevano lì vicino, impegnando il resto della squadra sharana. Cham tentò di aiutare Juilin, ma lo Sharano forsennato gli calò la mazza sulla testa, spaccandola in due come una noce.

«Muori, mostro maledetto!» urlò Juilin, balzando avanti e conficcando il frangilama nel collo dell’uomo appena sopra la gorgiera. Altri Sharani si stavano muovendo rapidi verso la sua posizione. Juilin arretrò mentre l’uomo di fronte a lui cadeva e moriva. Appena in tempo, poiché uno Sharano alla sua sinistra cercò di staccargli la testa con un ampio fendente della sua spada. La punta dell’arma gli passò accanto all’orecchio e Juilin alzò per istinto la propria lama. L’arma del suo avversario si spezzò in due e lui eliminò rapidamente l’uomo con un taglio di rovescio alla gola.

Juilin si precipitò a raccogliere la sua lancia. Tutt’intorno cadevano palle di fuoco, attacchi delle Aes Sedai dietro e degli Sharani sulle Alture più avanti. I capelli di Juilin erano pieni di terra, addensata a grumi sul sangue sulle sue braccia.

«Saldi!» urlò Juilin ai suoi uomini. «Che siate folgorati, dobbiamo restare saldi!»

Attaccò un altro Sharano che lo assalì. Uno dei picchieri alzò la sua arma in tempo per bloccare l’uomo alla spalla e Juilin lo infilzò nel petto ricoperto di cuoio.

L’aria tremolò. Le orecchie gli fischiavano debolmente per tutte le esplosioni. Juilin indietreggiò, gridando ordini ai suoi uomini.

Non sarebbe dovuto essere qui. Sarebbe dovuto essere in qualche posto caldo, con Amathera, a pensare al prossimo criminale che doveva catturare.

Immaginò che ogni uomo sul campo avesse la sensazione di doversi trovare altrove. L’unica cosa da fare era continuare a combattere.


Stai bene in nero, trasmise Androl a Pevara mentre si muovevano tra l’esercito nemico in cima alle Alture.

Questo, replicò lei, è qualcosa che nessuno dovrebbe mai, mai dire a una Aes Sedai. Mai. L’unica risposta di Androl fu un senso di nervosismo attraverso il legame. Pevara comprendeva. Stavano camminando tra Amici delle Tenebre, Progenie dell’Ombra e Sharani, indossando flussi invertiti della Maschera degli Specchi. E stava funzionando. Pevara portava un abito bianco e sopra un mantello nero — non erano parte di un flusso -, ma chiunque avesse guardato dentro il cappuccio di quel mantello avrebbe visto il volto di Alviarin, un membro dell’Ajah Nera. Theodrin portava la faccia di Riarma.

Androl ed Emarin indossavano flussi che davano loro i volti di Nensen e Kash, due dei tirapiedi di Taim. Jonneth era molto diverso da sé, con la faccia di un Amico delle Tenebre qualunque, e recitava bene la parte, muovendosi furtivo dietro di loro e portando il loro equipaggiamento. Nessuno avrebbe mai potuto vedere il bonario uomo dei Fiumi Gemelli in quel tipo aquilino dai capelli untuosi e l’atteggiamento nervoso.

Si mossero a passo rapido lungo le retrovie dell’esercito sharano sulle Alture. Dei Trolloc trascinavano avanti fasci di frecce; altri lasciavano le file per banchettare su pile di cadaveri. Qui bollivano pentoloni. Quello sconcertò Pevara. Si stavano fermando per mangiare? Ora?

Solo alcuni di loro, trasmise Androl. È comune anche per gli eserciti umani, anche se quei momenti non vengono narrati nelle ballate. Il combattimento dura da questa mattina e i soldati hanno bisogno di energie mentre lottano. Di solito si usa una rotazione ternaria. Le prime linee, le riserve e quelli fuori servizio, ovvero truppe che si staccano dal combattimento e mangiano più in fretta che possono prima di dormire un poco. E poi tornano alle prime linee.

Una volta lei aveva visto la guerra in modo diverso. Aveva immaginato ogni uomo impegnato in ogni momento della giornata. Una battaglia vera, però, non era una corsa: era un lento, prolungato arrancare demoralizzante.

Era già tardo pomeriggio e si avvicinava la sera. A est, sotto le Alture, le linee di battaglia si estendevano lontano in entrambe le direzioni lungo l’alveo asciutto. Molte migliaia di uomini e Trolloc si davano battaglia lì. Numerosi Trolloc erano impegnati in quello scontro, ma altri venivano fatti ruotare di nuovo sulle Alture per mangiare o crollare privi di conoscenza per qualche tempo.

Pevara non guardò troppo attentamente i pentoloni, anche se Jonneth cadde in ginocchio e vomitò accanto al sentiero. Aveva notato parti di corpi galleggiare nello stufato denso. Mentre svuotava lo stomaco per terra, un gruppo di Trolloc di passaggio sbuffò e fischiò in segno di scherno.

Perché si stanno spingendo giù dalle Alture per prendere il fiume? trasmise ad Androl. Quassù sembra una posizione migliore.

Forse lo è, trasmise Androl. Ma l’Ombra è l’aggressore. Se restano in questa posizione, ne trae vantaggio l’esercito di Cauthon. A Demandred serve continuare a incalzarlo. Questo significa attraversare il fiume.

Dunque Androl ne sapeva anche di tattica. Interessante.

Ho imparato alcune cose, trasmise lui. Ma non mi metterò certo a comandare una battaglia a breve.

Ero solo curiosa di quante vite hai vissuto, Androl.

Una strana affermazione, da parte di una donna che è abbastanza vecchia da essere la nonna di mia nonna.

Continuarono lungo il lato orientale delle Alture. Lontano, sul lato occidentale, le Aes Sedai stavano combattendo per salire fino in cima, ma per ora le Alture erano sotto il controllo delle forze di Demandred. La zona che Pevara stava attraversando era piena di Trolloc. Alcuni si inchinarono in modo goffo mentre Pevara e gli altri passavano, altri erano raggomitolati sulle rocce per dormire, senza cuscini o coperte. Ciascuno teneva l’arma a portata di mano.

«Questo non sembra buono» disse Emarin piano da dietro la maschera. «Non ce lo vedo Taim a socializzare con i Trolloc più di quanto deve.»

«Più avanti» disse Androl. «Guardate lì.»

Trolloc erano separati da un gruppo di Sharani con indosso delle uniformi sconosciute. Portavano armature avvolte con della stoffa, cosicché non traspariva nulla del metallo tranne sulla schiena, anche se la forma delle corazze era comunque evidente. Pevara guardò verso gli altri.

«Riuscirei a vedere Taim in quel gruppo» disse Emarin. «Tanto per cominciare, è probabile che puzzi meno di questi Trolloc.»

Pevara stava ignorando il fetore: aveva imparato a farlo anni fa, annullando odori forti nello stesso modo in cui ignorava caldo e freddo. Come diceva Emarin, però, un accenno di quello che gli altri stavano fiutando filtrò attraverso le sue difese. Riacquistò rapidamente il controllo. Era tremendo.

«Gli Sharani ci lasceranno passare?» chiese Jonneth.

«Vedremo» disse Pevara, avviandosi verso gli Sharani; gli altri si misero al passo e la attorniarono. Le guardie sharane mantenevano una linea inquieta contro i Trolloc, guardandoli come avrebbero fatto con dei nemici. Questa alleanza, o qualunque cosa fosse, non era molto apprezzata dai soldati sharani. Non cercavano di mascherare le espressioni di disgusto, e molti si legavano dei panni alla faccia per stemperare gli odori.

Mentre Pevara passava davanti alla fila, un nobile — o tale lo ritenne dalla sua armatura di anelli di ottone — si mosse per fronteggiarla. Uno sguardo ben studiato da Aes Sedai lo tenne a bada. Sono troppo importante perché mi importuni, diceva quello sguardo. Funzionò alla perfezione e passarono.

L’accampamento delle riserve sharane era ordinato e gli uomini ruotavano da ovest, dove combattevano contro le forze della Torre Bianca. Il feroce incanalare che proveniva da quella direzione continuava ad attirare l’attenzione di Pevara, come una luce forte.

Cosa pensi? le trasmise Androl.

Ci occorrerà parlare con qualcuno. Il campo di battaglia è troppo grande perché riusciamo a trovare Taim per conto nostro.

Lui le trasmise il suo accordo. Non per la prima volta, Pevara trovò che il loro legame la distraeva. Non solo doveva fare i conti con il proprio nervosismo, ma anche con quello di Androl. Quello si insinuava dal fondo della mente e doveva tenerlo a bada a forza, con esercizi di respirazione che aveva imparato appena arrivata alla Torre.

Si fermò al centro dell’accampamento, guardandosi attorno per cercare di decidere chi avvicinare. Poteva distinguere i servitori dai nobili. Avvicinare i primi sarebbe stato meno pericoloso, ma avrebbe anche avuto meno probabilità di successo. Forse…

«Voi!»

Pevara sussultò, ruotando.

«Voi non dovreste essere qui.» Lo Sharano attempato era completamente calvo, con una corta barba grigia. Else di spade gemelle a forma di teste di serpente gli spuntavano da sopra le spalle; portava le lame incrociate sulla schiena e aveva un bastone con strani buchi per tutta la lunghezza. Un flauto di qualche tipo?

«Venite» disse l’uomo con un accento molto marcato, tanto che Pevara riusciva a stento a capirlo. «Il Wyld vorrà vedervi.»

Chi è il Wyld? trasmise Pevara ad Androl.

Lui scosse il capo, perplesso quanto lei.

Questo potrebbe finire molto male.

L’anziano si fermò davanti a loro con espressione irritata. Cosa avrebbe fatto se avessero rifiutato? Pevara era tentata di creare un passaggio e farli fuggire.

Seguiamolo, pensò Androl, andando avanti. Non troveremo mai Taim in questo posto a meno che non parliamo con qualcuno.

Pevara si accigliò mentre Androl iniziava a seguire l’uomo e gli altri Asha’man si univano a lui. Si affrettò a raggiungerli. Pensavo avessimo deciso che ero io al comando, pensò rivolta a lui.

No, replicò Androl. Pensavo che avessimo deciso che ti saresti comportata come se tu fossi al comando.

Lei gli inviò un miscuglio calcolato di disappunto e un’implicazione che quella conversazione non era ancora finita.

Androl rispose con divertimento. Mi hai appenalanciato un’occhiataccia mentale? Davvero notevole.

Stiamo correndo un rischio, trasmise Pevara. Quest’uomo potrebbe portarci ovunque.

Sì, replicò lui.

Qualcosa fumava dentro Androl, qualcosa di solo accennato finora. Hai così voglia di affrontare Taim?

Sì. Ce l’ho.

Lei annuì.

Tu capisci? trasmise lui.

Anch’io ho perso delle amiche a causa sua, Androl, ribatté Pevara. Le ho viste prendere proprio davanti ai miei occhi. Dobbiamo essere cauti, però. Non possiamo correre troppi rischi. Non ancora.

È la fine del mondo, Pevara, le trasmise Androl di rimando. Se non possiamo correre rischi ora, quando?

Lei seguì senza ulteriori obiezioni, interrogandosi sul proposito determinato che percepiva in Androl. Taim aveva risvegliato qualcosa dentro di lui prendendo i suoi amici e Convertendoli all’Ombra.

Mentre seguivano il vecchio Sharano, Pevara si rese conto che non comprendeva quello che Androl stava provando, non del tutto. Le sue amiche Aes Sedai erano state prese, ma non era la stessa cosa di Androl che aveva perso Evin. Evin si era fidato di Androl, era stato certo che l’avrebbe protetto. Le Aes Sedai per Pevara erano state conoscenti, amiche, ma era diverso.

Il vecchio Sharano li condusse da un gruppo più numeroso di persone, molte delle quali indossavano abiti eleganti. I nobili di più alto rango tra gli Sharani non parevano combattere, dato che nessuno di loro portava un’arma. Fecero spazio all’uomo più anziano, anche se molti guardarono le sue spade e sogghignarono.

Jonneth ed Emarin si misero accanto a Pevara e Theodrin, uno da ciascun lato, come guardie del corpo. Fissarono gli Sharani, le mani sulle armi, e lei sospettò che entrambi stessero trattenendo l’Unico Potere. Be’, probabilmente sarebbe stato atteso da parte di Signori del Terrore con alleati di cui non si fidavano del tutto. Non avevano bisogno di proteggere Pevara a quel modo, ma era un bel gesto. Lei aveva sempre pensato che sarebbe stato utile avere un Custode. Era andata alla Torre Nera con l’intenzione di prendere più Asha’man come Custodi. Forse…

Androl provò immediatamente gelosia. Cosa sei? Una Verde con uno stuolo di uomini che la guardano rapiti?

Lei gli inviò divertimento. Perché no?

Sono troppo giovani per te, replicò lui. Jonneth, perlomeno. E Theodrin si batterebbe con te per lui.

Sto meditando se vincolarli, trasmise lei, non se portarli a letto, Androl. Suvvia. Inoltre, Emarin preferisce gli uomini.

Androl esitò. Ah sì?

Ma certo. Non te n’eri accorto?

Androl parve confuso. A volte gli uomini potevano essere sorprendentemente ottusi, perfino quelli perspicaci come Androl.

Pevara abbracciò l’Unico Potere mentre raggiungevano il centro del gruppo. Avrebbe avuto tempo per creare un passaggio se qualcosa fosse andato storto? Non conosceva la zona, ma fintantoché avesse Viaggiato in qualche posto vicino, non avrebbe avuto importanza. Si sentiva come se si stesse avvicinando a un cappio per esaminarlo e decidere quanto si adattava al suo collo.

Un uomo alto in un’armatura di dischi argentei con buchi nel mezzo si trovava al centro del gruppo, dispensando ordini. Mentre osservavano, una tazza si mosse verso di lui volando. Androl si irrigidì. Sta incanalando, Pevara? Demandred, dunque? Doveva esserlo. Pevara si lasciò inondare da saidar con il suo bagliore caldo, lasciando che portasse via le sue emozioni. L’anziano che li aveva guidati avanzò e bisbigliò qualcosa a Demandred. Malgrado i sensi accresciuti da saidar, Pevara non riuscì a sentire quello che aveva detto.

Demandred si voltò verso il gruppo. «Cosa c’è? M’Hael ha dimenticato così presto i suoi ordini?»

Androl si mise in ginocchio, così come gli altri. Anche se la infastidiva, anche Pevara lo fece.

«O Sommo,» disse Androl «stavamo semplicemente…»

«Niente scuse!» sbraitò Demandred. «Niente giochetti! M’Hael deve prendere tutti i Signori del Terrore e distruggere le forze della Torre Bianca. Se vedo chiunque di voi lontano da quella battaglia, vi farò desiderare di avervi dato ai Trolloc!»

Androl annuì con vigore, poi iniziò a indietreggiare. Una sferzata di Aria che Pevara non poté vedere — anche se poté avvertire il dolore di Androl attraverso il legame — lo colpì al volto. Gli altri lo seguirono, precipitandosi via con la testa bassa.

È stato sciocco e pericoloso, pensò Pevara rivolta ad Androl.

Ed efficace, replicò lui, gli occhi fissi in avanti, la mano alla guancia e il sangue che gli filtrava tra le dita. Sappiamo per certo che Taim è sul campo di battaglia e sappiamo dove trovarlo. Muoviamoci.


Galad scattò attraverso un incubo. Aveva saputo che l’Ultima Battaglia poteva essere la fine del mondo, ma ora… ora lo sentiva.

Incanalatori da entrambi i lati si flagellavano a vicenda, scuotendo le Alture Polov. Il fulmine aveva colpito così spesso che ormai Galad riusciva a malapena a sentire e gli occhi gli lacrimavano dal dolore alle esplosioni nei paraggi.

Si gettò contro il lato della collina, conficcando la spalla nel terreno e abbassandosi in cerca di copertura mentre una serie di esplosioni squarciavano la terra di fronte a lui. La sua squadra — dodici uomini con mantelli bianchi sbrindellati — si tuffò al riparo assieme a lui.

Le forze della Torre Bianca erano messe a dura prova dagli attacchi, ma lo stesso valeva per le forze sharane. Il potere di così tanti incanalatori era incredibile.

Il grosso della fanteria della Torre Bianca e un vasto numero di truppe sharane combattevano sulle Alture occidentali. Galad si trovava sul perimetro di quella battaglia, cercando incanalatrici sharane sole o in piccoli gruppi. In molti punti i fronti da entrambi i lati erano andati in pezzi. Non c’era da sorprendersi: era quasi impossibile mantenere file salde con tutto quel Potere che veniva scagliato avanti e indietro.

Bande di soldati si precipitavano in giro, cercando copertura in buchi nella roccia creati dagli scoppi. Altri proteggevano drappelli di incanalatrici. Lì vicino, uomini e donne vagavano a gruppetti, distruggendo soldati con fuoco e fulmine.

Erano proprio quelle a cui Galad dava la caccia.

Sollevò la spada, indicando un terzetto di donne sharane che difendevano la cima delle Alture. Lui e i suoi uomini erano a più di metà strada su per il pendio.

Tre. Tre sarebbero state difficili. Quelle indirizzarono la loro attenzione su una piccola banda di uomini che portavano la Fiamma di Tar Valon. Un fulmine colpì quei soldati sventurati.

Galad alzò quattro dita. Piano quattro. Balzò fuori dalla conca e scattò verso le tre donne. I suoi uomini contarono fino a cinque, poi lo seguirono.

Le donne lo videro. Se fossero rimaste voltate, Galad avrebbe ottenuto un vantaggio. Una alzò una mano ed evocò Fuoco, scagliandolo verso di lui. La fiamma lo colpì e, anche se poté avvertire il calore, il flusso si sfilacciò e si dissipò, lasciandolo bruciacchiato ma pressoché indenne.

Gli occhi della Sharana si sgranarono dallo stupore. Quel lo sguardo… Quello sguardo ormai stava diventando familiare per Galad. Era lo sguardo di un soldato la cui spada si era spezzata in battaglia, lo sguardo di qualcuno che avesse visto qualcosa che non sarebbe dovuto accadere. Cosa facevi quando falliva l’Unico Potere, la cosa su cui facevi affidamento perché ti elevasse sopra la gente comune?

Morivi. La spada di Galad decapitò la donna mentre una delle sue compagne cercava di afferrarlo con Aria. Lui avvertì il metallo raffreddarsi contro il petto e percepì l’impeto di Aria muoversi attorno a lui.

Una pessima scelta, pensò Galad, conficcando la spada nel petto di una seconda donna. La terza si dimostrò più scaltra e gli scagliò contro una grossa roccia. Galad riuscì a stento a sollevare lo scudo prima che la pietra gli sbattesse contro il braccio, gettandolo all’indietro. La donna sollevò un’altra pietra proprio mentre la squadra di Galad la colpiva. Cadde sotto colpi delle loro spade.

Galad riprese fiato, la testa all’indietro, il dolore che si irradiava per l’impatto della roccia. Gemette e si mise a sedere. Lì vicino i suoi uomini colpivano ripetutamente il corpo della terza donna sharana. Non era necessario che fossero così accurati, ma alcuni Figli avevano strane idee su ciò che le Aes Sedai potevano fare. Lui aveva visto Laird tagliar via le teste delle donne sharane per seppellirle separatamente dal corpo. Affermava che, senza quell’accorgimento, sarebbero tornate in vita la luna piena successiva.

Mentre gli uomini macellavano gli altri due cadaveri, Golever andò da Galad e gli offrì una mano. «Che la Luce mi folgori,» disse Golever, con un ampio sorriso che separava il suo volto barbuto «se questo non è il lavoro migliore che abbiamo mai fatto, Lord Capitano Comandante, non so cosa lo è!»

Galad si alzò in piedi. «È ciò che dev’essere fatto, Figlio Golever!»

«Vorrei che dovesse essere fatto più spesso! Questo è ciò che i Figli hanno atteso per secoli. Tu sei il primo a renderlo realtà. Che la Luce ti illumini, Galad Damodred. Che la Luce ti illumini!»

«Possa la Luce illuminare un giorno in cui gli uomini non avranno alcun bisogno di uccidere» disse Galad in tono stanco. «Non è consono provare gioia per la morte.»

«Ma certo, mio Lord Capitano Comandante.» Golever continuò a sogghignare.

Galad guardò quel sanguinoso pandemonio sul pendio occidentale delle Alture. Volesse la Luce che Cauthon potesse trarre un qualche senso da questa battaglia, poiché Galad non ci riusciva proprio.

«Lord Capitano Comandante!» gridò una voce spaventata.

Galad si girò, la mano sulla spada. Era Alhanra, uno dei suoi esploratori.

«Cosa c’è, Figlio Alhanra?» chiese Galad mentre l’uomo allampanato accorreva. Niente cavalli. Erano su un declivio e gli animali non avrebbero reagito bene ai fulmini. Meglio affidarsi ai propri piedi.

«Occorre che tu veda questo, mio signore» disse Alhanra, col fiatone. «È… è tuo fratello.»

«Gawyn?» Impossibile. No, pensò. Non impossibile. Doveva essere con Egwene, a combattere sul loro fronte. Galad corse dietro ad Alhanra, con Golever e gli altri che lo attorniavano.

Il corpo di Gawyn giaceva con il volto terreo in un varco tra due rocce sulla cima delle Alture. Lì vicino un cavallo stava brucando dell’erba e una striscia di sangue gli colava lungo il fianco. All’apparenza, non era sangue del cavallo. Galad si inginocchiò accanto al cadavere di suo fratello.

Gawyn non era morto senza combattere. Ma che ne era stato di Egwene?

«Pace, fratello» disse Galad, posando una mano sul corpo. «Che la Luce possa…»

«Galad…» mormorò Gawyn, i suoi occhi che si aprivano tremolando.

«Gawyn?» chiese Galad sconcertato. Gawyn aveva una tremenda ferita al ventre. Indossava degli anelli molto strani. C’era sangue dappertutto. La mano, il petto… Il suo intero corpo.

Come poteva essere ancora vivo?

Il legame da Custode, si rese conto Galad. «Dobbiamo portarti da una Guaritrice! Una delle Aes Sedai.» Allungò una mano nella depressione, raccogliendo Gawyn.

«Galad… ho fallito.» Gawyn fissava il cielo, gli occhi vuoti.

«Hai agito bene.»

«No. Ho fallito. Avrei dovuto… avrei dovuto stare con lei. Ho ucciso Hammar. Lo sapevi? L’ho ucciso. Luce. Avrei dovuto scegliere da che parte stare…»

Galad cullò suo fratello e cominciò a correre giù per il pendio verso le Aes Sedai. Cercò di tenere Gawyn al riparo tra gli attacchi degli incanalatori. Dopo pochi istanti, la terra esplose tra i Figli, scagliandoli via e facendo ruzzolare a terra Galad. Lasciò cadere Gawyn mentre crollava sul terreno accanto a lui.

Gawyn tremava, i suoi occhi fissi in lontananza.

Galad strisciò da lui e cercò di raccoglierlo di nuovo, ma Gawyn lo afferrò per il braccio e incontrò il suo sguardo. «Io l’ho amata, Galad. Diglielo.»

«Se siete davvero vincolati, lo sa.»

«Questo le farà del male» disse Gawyn attraverso labbra pallide. «E alla fine ho fallito. Non l’ho ucciso.»

«Ucciso?»

«Demandred» sussurrò Gawyn. «Ho cercato di ucciderlo, ma non ero abbastanza bravo. Non sono mai… stato abbastanza… bravo…»

Galad si ritrovò a provare molto freddo. Aveva visto uomini morire. Aveva perso amici Questo faceva più male. Luce, quanto faceva male. Aveva amato suo fratello, lo aveva amato intensamente… E Gawyn, a differenza di Elayne, aveva ricambiato il sentimento.

«Ti porterò in salvo, Gawyn» disse Galad raccogliendolo, stupito di trovare lacrime nei propri occhi. «Non rimarrò senza un fratello.»

Gawyn tossì. «Non succederà. Hai un altro fratello, Galad. Uno che non conosci. Un figlio di… Tigraine… che andò nel Deserto… Figlio di una Fanciulla. Nato su Montedrago…»

Oh, Luce.

«Non odiarlo, Galad» sussurrò Gawyn. «Io l’ho sempre odiato, ma ho smesso. Ho… smesso…»

Gli occhi di Gawyn smisero di muoversi.

Galad cercò un battito, poi si sedette, guardando suo fratello morto. La benda che Gawyn aveva improvvisato sul fianco trasudava sangue sul terreno asciutto, che lo assorbiva avidamente.

Golever lo raggiunse, aiutando Alhanra, il cui volto annerito e i vestiti bruciati puzzavano di fumo per via del fulmine. «Porta i feriti in salvo, Golever» disse Galad alzandosi. Allungò una mano e tastò il medaglione che aveva al collo. «Prendi tutti gli uomini e andate.»

«E tu, Lord Capitano Comandante?» chiese Golever.

«Farò quel che va fatto» disse Galad, freddo dentro. Freddo come acciaio in inverno. «Porterò Luce all’Ombra. Porterò giustizia ai Reietti.»


Il filo di vita di Gawyn scomparve.

Egwene si arrestò di colpo sul campo di battaglia. Qualcosa si ruppe dentro di lei. Fu come se un coltello le si fosse conficcato dentro all’improvviso e le avesse strappato via il pezzo di Gawyn che aveva in sé, lasciando solo un vuoto.

Urlò, cadendo in ginocchio. No. No, non poteva essere. Poteva percepirlo, poco più avanti! Stava correndo verso di lui. Poteva… Poteva…

Se n’era andato.

Egwene urlò, aprendosi all’Unico Potere e attingendone quanto più riusciva a trattenerne. Lo lasciò andare come un muro di fiamme verso gli Sharani che erano attorno a lei ora. Poco prima avevano occupato le Alture, tenendo le Aes Sedai sotto, ma adesso era follia.

Lei li assalì con il Potere, stringendo forte il sa’angreal di Vora. Li avrebbe distrutti! Luce! Faceva male. Faceva così male.

«Madre!» urlò Silviana, prendendola per il braccio. «Sei fuori controllo, Madre! Ucciderai la tua stessa gente. Ti prego!»

Egwene respirava a rantoli. Lì vicino, un gruppo di Manti Bianchi passò arrancando, portando i feriti giù dalla collina.

Così vicino! Oh, Luce! Lui non c’era più!

«Madre?» disse Silviana. Egwene la udì a malapena. Si toccò la faccia e vi trovò lacrime.

Era stata audace prima. Aveva affermato che avrebbe potuto continuare a combattere nonostante la perdita. Quanto era stata ingenua. Lasciò morire il fuoco di saidar dentro di lei. Estinto quello, la vita la abbandonò. Si afflosciò da un lato e avvertì delle mani portarla via. Attraverso un passaggio, lontano dal campo di battaglia.


Tam usò la sua ultima freccia per salvare un Manto Bianco. Non era qualcosa che si era mai immaginato di fare, ma la fece. Il Trolloc con la testa di lupo barcollò all’indietro con la freccia conficcata nell’occhio, rifiutando di andar giù finché il giovane Manto Bianco non si tirò su dal fango e gli colpì le ginocchia. I suoi uomini adesso erano sui camminamenti della palizzata, scagliando raffiche di frecce contro i Trolloc che si erano precipitati per il letto del fiume. I loro numeri erano esauriti, ma ce n’erano ancora tanti.

Fino a questo punto, la battaglia era andata bene. Le forze combinate di Tam erano schierate con forza lungo il fiume dal lato shienarese. Più a valle, la Legione del Drago, compagnie di balestrieri e cavalleria pesante, arginava l’avanzata dei Trolloc. Lo stesso accadeva più a monte del fiume, con arcieri, fanti e cavalleria che fermavano l’incursione dei Trolloc sull’alveo. Finché i rifornimenti non avessero cominciato a scarseggiare e Tam fosse stato costretto a ritirare i suoi uomini alla relativa sicurezza della palizzata.

Tam guardò da una parte. Abell alzò il suo arco, scrollando le spalle. Anche lui aveva terminato le frecce. Su e giù per il camminamento, gli uomini dei Fiumi Gemelli sollevarono i loro archi. Niente frecce.

«Non ne arriveranno altre» disse Abell piano. «Il ragazzo ha detto che quell’infornata era l’ultima.»

L’armata di Manti Bianchi combatteva disperatamente, mischiata con membri della Guardia del Lupo di Perrin, ma stavano venendo spinti indietro dal letto del fiume a ondate. Combattevano su tre lati, e un’altra truppa di Trolloc aveva appena fatto il giro per circondarli del tutto. Lo stendardo di Ghealdan sventolava più vicino alle rovine. Arganda teneva quella posizione assieme a Nurelle e a ciò che restava della Guardia Alata.

Se fosse stata qualunque altra battaglia, Tam avrebbe ordinato ai suoi di risparmiare le frecce per coprire una ritirata. Non ci sarebbe stata nessuna ritirata oggi, e l’ordine di tirare era stato giusto: i ragazzi avevano preso il tempo necessario per ogni colpo. Probabilmente avevano ucciso migliaia di Trolloc durante le ore di combattimento.

Ma cos’era un ardere senza il suo arco? Comunque un uomo dei Fiumi Gemelli, pensò Tam. Sempre non disposto a lasciare che questa battaglia fosse perduta.

«Giù dai camminamenti, mettetevi in formazione con le armi» ordinò Tam ai ragazzi. «Lasciate gli archi qui. Li torneremo a prendere quando ci porteranno altre frecce.»

Non sarebbero arrivate altre frecce, ma gli uomini dei Fiumi Gemelli sarebbero stati più contenti fingendo che potevano tornare ai loro archi. Si schierarono su file come Tam aveva insegnato loro, armati di lance, asce, spade, perfino qualche falce. Tutto ciò che avevano a portata di mano, assieme a scudi per quelli con asce o spade, e buone armature di cuoio per tutti. Niente picche, purtroppo. Dopo che la fanteria pesante era stata equipaggiata, non ne era rimasta nessuna.

«Serrate i ranghi» disse loro Tam. «Formate due cuspidi. Spingeremo contro i Trolloc attorno ai Manti Bianchi.» La miglior cosa da fare — almeno la migliore che a Tam veniva in mente — era colpire quei Trolloc che avevano appena aggirato i Manti Bianchi, frammentarli e aiutare i Manti Bianchi a liberarsi.

Gli uomini annuirono, anche se probabilmente avevano pochissima comprensione della tattica. Non aveva importanza. Fintantoché avessero mantenuto ranghi disciplinati come Tam aveva insegnato loro.

Iniziarono ad avanzare, di corsa, e a Tam questo ricordò un altro campo di battaglia. Neve che sferzava la faccia, soffiata da venti terribili. In un certo senso, era stato quel campo di battaglia a far cominciare tutto questo. Ora finiva qui.

Tam si mise sulla punta della prima cuspide, poi mise Deoan — un uomo di Deven Ride che aveva servito nell’esercito andorano — sulla punta dell’altro. Tam guidò i suoi uomini avanti speditamente, per non lasciare che loro — o lui — riflettessero troppo su cosa stava per accadere.

Mentre si avvicinavano agli imponenti Trolloc, con le loro spade, armi ad asta e asce da combattimento, Tam cercò la fiamma e il vuoto. Il nervosismo scomparve. Tutte le emozioni evaporarono. Sfoderò la spada che Rand gli aveva dato, quella con i Draghi dipinti sul fodero. Era l’arma migliore che Tam avesse mai visto. Quelle pieghe nel metallo sussurravano un’origine antica. Pareva un’arma troppo buona per Tam. Aveva provato lo stesso per ogni spada che aveva usato.

«Ricordate, mantenete la formazione!» urlò Tam ai suoi uomini. «Non lasciate che ci disgreghino. Se qualcuno cade, un uomo avanza e prende il suo posto mentre un altro trascina l’uomo caduto al centro della cuspide.»

Quelli annuirono in risposta e poi attaccarono i Trolloc alle spalle, dove avevano circondato i Figli della Luce al fiume.

La formazione colpì, scagliandosi in avanti. Gli enormi Trolloc si voltarono per combattere.


Fortuona cacciò con un gesto la so’jhin che cercava di cambiare i suoi abiti regali. Puzzava di fumo a causa del fuoco, e aveva le braccia bruciate ed escoriate in diversi punti. Non avrebbe accettato la Guarigione delle damane. Fortuona pensava che la Guarigione fosse uno sviluppo utile — e alcuni Seanchan stavano modificando il loro atteggiamento al riguardo — ma lei non era certa che l’imperatrice dovesse sottostare a essa. Inoltre le sue ferite non erano terribili.

Sorveglianti della Morte inginocchiati davanti a lei avrebbero avuto bisogno di qualche forma di punizione. Questa era la seconda volta che avevano permesso a un assassino di raggiungerla e, per quanto non li incolpasse per il fallimento, negare loro una punizione sarebbe equivalso a negare il loro onore. Le faceva torcere il cuore nel petto, ma sapeva cosa avrebbe dovuto fare.

Diede l’ordine di persona. Avrebbe dovuto farlo Selucia, come sua Parola, ma in questo momento le sue ferite stavano venendo curate. E Karede meritava il piccolo onore di ricevere il suo ordine di essere giustiziato da Fortuona stessa.

«Andrete ad affrontare le marath’damane nemiche direttamente» ordinò a Karede. «Tutti quelli di voi che erano in servizio. Combattete con valore per l’impero e cercate di uccidere le marath’damane del nemico.»

Fortuona poté vedere Karede rilassarsi. Era un modo per continuare a servire; probabilmente si sarebbe ucciso cadendo sulla propria spada, se gli fosse stata data scelta. Questo era un atto di pietà.

Voltò le spalle all’uomo che l’aveva accudita durante la sua giovinezza, l’uomo che aveva sfidato ciò che ci si aspettava da lui. Tutto per lei. Più tardi Fortuona avrebbe trovato una penitenza per ciò che doveva fare. A questo punto, gli avrebbe garantito l’onore che poteva.

«Darbinda» disse, voltandosi verso la donna che insisteva per chiamarsi ‘Min’ malgrado l’onore di un nuovo nome che Fortuona le aveva concesso. Voleva dire ‘Ragazza delle Immagini’ nella Lingua Antica. «Tu mi hai salvato la vita e forse anche quella del Principe dei Corvi. Ti nomino del Sangue, Occhi del Fato. Che il tuo nome sia venerato per generazioni a venire.»

Darbinda incrodò le braccia. Quanto era simile a Knotai. Caparbiamente umili, questi abitanti del continente. Erano realmente fieri — fieri — del loro retaggio da popolani. Sconcertante.

Knotai stesso sedeva su un ceppo vicino, a ricevere rapporti di battaglia e sbraitare ordini. La battaglia delle Aes Sedai per le Alture occidentali stava piombando nel caos. Lui incontrò gli occhi di Fortuona lungo la breve distanza che li separava, poi annuì una volta.

Se c’era una spia — e Fortuona sarebbe stata sorpresa se non ce ne fosse stata una — adesso era il momento di ingannarla. Tutti quelli che erano sopravvissuti all’attacco si erano radunati lì attorno. Fortuona aveva insistito per averli vicino, all’apparenza per ricompensare quelli che l’avevano servita bene e per dispensare punizioni a coloro che non lo avevano fatto. Ogni guardia, servitore e nobile poteva sentirla quando parlava.

«Knotai,» disse lei «dobbiamo ancora discutere cosa dovrei fare con te. I Sorveglianti della Morte sono incaricati della mia sicurezza, ma tu sei incaricato della difesa di questo accampamento. Se sospettavi che il nostro centro di comando non fosse sicuro, perché non hai parlato prima?»

«Stai dannatamente insinuando che sia colpa mia?» Knotai si alzò e interruppe i rapporti degli esploratori con un gesto.

«Ti ho dato il comando qui» disse Fortuona. «La responsabilità definitiva per il fallimento è tua, dunque, o no?»

Lì vicino, il generale Galgan si accigliò. Lui non la vedeva a questo modo. Altri guardarono verso Knotai con occhi accusatori. Nobili sicofanti: l’avrebbero incolpato perché non era nato seanchan. Sorprendente come Knotai avesse convertito Galgan così rapidamente. Oppure Galgan stava esponendo le sue emozioni di proposito? Era lui la spia? Forse aveva manipolato Suroth, oppure poteva semplicemente essere un infiltrato di riserva se Suroth avesse fallito.

«Non mi assumerò la responsabilità per questo, Tuon» disse Knotai. «Sei stata tu quella che ha dannatamente insistito per osservare dall’accampamento quando avresti potuto essere in qualche posto sicuro.»

«Forse avrei dovuto fare proprio quello» replicò lei con freddezza. «Quest’intera battaglia è stata un disastro. Perdi terreno in ogni momento. Parli in tono spensierato e scherzi, rifiutando il protocollo adeguato; non penso che tu ti ci accosti con la solennità che si addice alla tua posizione.»

Knotai rise. Era una risata fragorosa, genuina. Era bravo in questo. Fortuona pensò di essere Tunica a vedere le linee di fumo gemelle che si levarono proprio dietro di lui dalle Alture. Un presagio appropriato per Knotai: un grosso azzardo avrebbe dato grandi ricompense. O richiesto un costo enorme.

«Ne ho abbastanza di te» disse Knotai, agitando una mano verso di lei. «Tu e le tue dannate regole seanchan non fate altro che mettervi in mezzo.»

«Allora anch’io ne ho abbastanza di te» disse Fortuona, sollevando la testa. «Non avremmo mai dovuto unirci a questa battaglia. Faremmo meglio a prepararci a difendere le nostre terre a sudovest. Non ti permetterò di gettare via le vite dei miei soldati.»

«Vai, allora» ringhiò Knotai. «Cosa me ne importa?»

Lei si girò e si avviò. «Venite» disse agli altri. «Radunate le nostre damane. Tutti noi, tranne quei Sorveglianti della Morte, Viaggeremo all’accampamento del nostro esercito all’Erinin, poi torneremo a Ebou Dar. Combatteremo la vera Ultima Battaglia lì una volta che questi sciocchi avranno indebolito la Progenie dell’Ombra per noi.»

La sua gente la seguì. Lo stratagemma era stato convincente? La spia l’aveva vista consegnare alla morte uomini che la amavano; questo avrebbe mostrato che era avventata? Avventata e tanto altezzosa da togliere le sue truppe a Knotai? Era abbastanza plausibile. In un certo senso, voleva fare come aveva detto e combattere al Sud.

Ma farlo, naturalmente, avrebbe voluto dire ignorare il cielo in tempesta, la terra che tremava e il combattimento del Drago Rinato. Questi non erano presagi che poteva ignorare.

La spia non lo sapeva. Non poteva conoscerla. La spia avrebbe visto una giovane donna, tanto sciocca da voler combattere per conto suo. Così sperava Fortuona.


Il Tenebroso ordì una rete di possibilità attorno a Rand.

Rand sapeva che questa contesa tra loro — la lotta per ciò che poteva essere — era vitale per l’Ultima Battaglia. Rand non poteva intessere il futuro. Lui non era la Ruota, nemmeno lontanamente. Nonostante tutto quello che gli era successo, era ancora soltanto un uomo.

Eppure in lui c’era la speranza dell’umanità. L’umanità aveva un destino, una scelta per il proprio futuro. Il sentiero che avrebbero intrapreso… Sarebbe stata questa battaglia a deciderlo, con la sua volontà opposta a quella del Tenebroso. Finora, quello che poteva essere poteva diventare quello che sarebbe stato. Interrompersi ora avrebbe significato consentire al Tenebroso di scegliere quel futuro.

Osserva, disse il Tenebroso mentre le linee di luce si univano e Rand entrava in un altro mondo. Un mondo che non era ancora accaduto, un mondo che probabilmente poteva diventare reale molto presto.

Rand si accigliò, alzando lo sguardo verso il cielo. In questa visione non era rosso, il paesaggio non era in rovina. Si trovava a Caemlyn, per quanto ne sapesse. Oh, c’erano differenze. Carri a vapore sferragliavano lungo le strade, mischiandosi con il traffico di carri tirati da cavalli e folle che camminavano.

La città si era espansa oltre le nuove mura: poteva vederlo dalla posizione elevata della collina centrale su cui si trovava. Poteva perfino distinguere il punto in cui Talmanes aveva fatto un buco nel muro con i Draghi. Non era stato riparato. Invece la città si era riversata attraverso di esso. Degli edifici ricoprivano quelli che una volta erano stati campi fuori dall’abitato.

Corrucciato, Rand si voltò e si avviò lungo la strada. A che gioco stava giocando il Tenebroso? Di sicuro questa città normale, prospera perfino, non poteva far parte dei suoi piani per il mondo. La gente era pulita e non pareva oppressa. Rand non vedeva alcun segno della depravazione che aveva caratterizzato il mondo precedente che il Tenebroso aveva creato per lui.

Incuriosito, si avvicinò a un banchetto dove una donna vendeva frutta. Quella donna snella gli rivolse un sorriso invitante, gesticolando verso le sue mercanzie. «Benvenuto, mio buon signore. Io sono Renel e il mio negozio è una seconda casa per tutti quelli che cercano la frutta migliore da tutto il mondo. Ho pesche fresche da Tear!»

«Pesche!» disse Rand, sbigottito. Tutti sapevano che erano velenose.

«Ah! Non temere, mio buon signore! A queste è stata rimossa la tossina. Sono sicure quanto io sono onesta.» La donna sorrise, prendendone un morso per dimostrarglielo. Quando lo fece, una mano sudicia comparve da sotto il banco di frutta: sotto era nascosto un monello di strada, un ragazzino che Rand non aveva notato prima.

Il ragazzino agguantò un frutto rosso di un tipo che Rand non riconobbe, poi schizzò via. Era così magro che Rand poteva vedere le costole premere contro la pelle della sua forma troppo piccola, e correva su gambe tanto esili che era un miracolo che riuscisse a camminare.

La donna continuò a sorridere a Rand mentre allungava la mano da un lato, poi tirava fuori una piccola verga con una leva su un lato per il dito. Tirò la leva e la verga crepitò.

Il monello morì in uno schizzo di sangue. Cadde a terra bocconi. La gente gli girò attorno nello scorrere del traffico, anche se qualcuno — un uomo con molte guardie — raccolse il frutto. Lo ripulì del sangue e prese un morso, continuando per la sua strada. Pochi istanti dopo, un carro a vapore passò sopra il cadavere, schiacciandolo nella strada fangosa.

Rand, esterrefatto, tornò a guardare la donna. Lei ripose la sua arma, ancora con un sorriso in volto. «Stavi cercando qualche frutto in particolare?» gli chiese.

«Hai appena ucciso quel ragazzino!»

La donna si accigliò dalla confusione. «Sì. Apparteneva a te, mio buon signore?»

«No, ma…» Luce! Quella donna non mostrava nessun accenno di rimorso o preoccupazione. Rand si voltò e nessun altro pareva curarsi minimamente di ciò che era accaduto.

«Signore?» chiese la donna. «Ho come l’impressione di doverti conoscere. Quelli sono abiti pregiati, anche se un po’ fuori moda. A quale fazione appartieni?»

«Fazione?» chiese Rand, tornando a guardarla.

«E dove sono le tue guardie?» chiese la donna. «Un uomo ricco come te le ha sempre, naturalmente.»

Rand incontrò i suoi occhi, poi corse da una parte mentre la donna allungava di nuovo la mano verso la sua arma. Si precipitò dietro un angolo. Lo sguardo nei suoi occhi… Totale mancanza di qualunque solidarietà umana o preoccupazione. Lo avrebbe ucciso in un attimo senza un ripensamento. Rand lo sapeva.

Altri per strada lo videro. Diedero di gomito a quelli assieme a loro, indicandolo. Rand superò un uomo che gli gridò: «Nomina la tua fazione!» Altri si misero all’inseguimento.

Rand corse dietro un altro angolo. L’Unico Potere. Osava utilizzarlo? Non sapeva cosa stesse accadendo in questo mondo. Come in precedenza, aveva problemi a separare sé stesso dalla visione. Sapeva che non era completamente reale, ma non riusciva a fare a meno di ritenersi parte di essa.

Non si arrischiò a usare l’Unico Potere e per il momento si fidò dei propri piedi. Non conosceva benissimo Caemlyn, ma si ricordava questa zona. Se avesse raggiunto la fine di questa strada e avesse svoltato… Sì, là! Più avanti vide un edificio familiare, con un’insegna che mostrava un uomo inginocchiato davanti a una donna con capelli biondo-rossicci. La Benedizione della Regina.

Rand raggiunse le porte principali mentre quelli che lo inseguivano si ammucchiavano attorno all’angolo dietro di lui. Si fermarono mentre Rand si precipitava alla porta, superando un tizio nerboruto da un lato. Un nuovo buttafuori? Rand non lo conosceva. Basel Gill era ancora il proprietario della locanda oppure l’aveva venduta a qualcun altro? Rand fece irruzione nella vasta sala comune, il cuore che gli palpitava. Diversi uomini con caraffe di birra alzarono lo sguardo verso di lui. Rand era fortunato: dietro il bancone c’era Basel Gill in persona, impegnato a strofinare una tazza con un panno.

«Mastro Gill!» disse Rand.

L’uomo robusto si voltò, accigliandosi. «Ti conosco?» Squadrò Rand dall’alto in basso. «Mio signore?»

«Sono io, Rand!»

Gill inclinò il capo, poi sogghignò. «Oh, tu! Mi ero dimenticato di te. Il tuo amico non è con te, vero? Quello con lo sguardo cupo negli occhi?»

Dunque la gente non riconosceva Rand come il Drago Rinato in questo posto. Cosa aveva fatto loro il Tenebroso?

«Mi occorre parlare con te, Mastro Gill» disse Rand, avviandosi verso una saletta da pranzo privata.

«Cosa c’è, ragazzo?» chiese Gill, seguendolo. «Ti sei cacciato in qualche guaio? Di nuovo?»

Rand chiuse la porta dietro Mastro Gill. «In che Epoca siamo?»

«L’Epoca Quarta, naturalmente.»

«Dunque l’Ultima Battaglia è avvenuta?»

«Sì, e abbiamo vinto!» disse Gill. Guardò Rand con attenzione, stringendo gli occhi. «Stai bene, figliolo? Come fai a non sapere…»

«Ho trascorso il mio tempo nei boschi, in questi ultimi anni» disse Rand. «Avevo paura di quello che stava accadendo.»

«Ah, allora. Non sai delle fazioni?»

«No.»

«Luce, figliolo! Sei in guai belli grossi. Ecco, ti procurerò il simbolo di una fazione. Te ne servirà uno, e in fretta!» Gill aprì la porta e si precipitò fuori.

Rand incrociò le braccia, notando con disappunto che il caminetto nella stanza conteneva un nulla al di là. «Cos’hai fatto alla gente?» domandò Rand.

Ho lasciato che pensassero di aver vinto.

«Perché?»

Molti che mi seguono non comprendono la tirannia.

«E questo cosa ha a che fare con…» Rand si interruppe quando Gill tornò. Non portava nessun ‘simbolo di fazione’, di qualunque cosa si trattasse. Invece aveva radunato tre guardie dal collo taurino. Indicò Rand.

«Gill…» disse Rand, indietreggiando e afferrando la Fonte. «Cosa stai facendo?»

«Be’, immagino di poter vendere quella giacca per un bel gruzzolo» disse Gill. Non sembrava minimamente dispiaciuto.

«E così vuoi derubarmi?»

«Be’, sì.» Gill pareva confuso. «Perché non dovrei?»

Gli energumeni entrarono nella stanza, guardando Rand con occhi cauti. Portavano dei randelli.

«Per via della legge» disse Rand.

«E perché mai dovrebbero esistere leggi contro il furto?» chiese Gill, scuotendo il capo. «Che genere di persona sei, per pensare certe cose? Se un uomo non può proteggere ciò che possiede, perché dovrebbe averlo? Se un uomo non riesce a difendere la propria vita, a cosa gli serve?»

Gill fece cenno ai tre uomini di avanzare. Rand li legò in corde di Aria.

«Hai preso le loro coscienze, vero?» chiese lui piano.

Gill sgranò gli occhi all’uso dell’Unico Potere. Cercò di scappare. Rand ghermì anche lui in corde di Aria.

Uomini che pensano di essere oppressi prima o poi combatteranno. Toglierò loro non solo la volontà di resistere, ma il sospetto stesso che ci sia qualcosa di sbagliato.

«Dunque li lasci senza compassione?» domandò Rand, guardando Gill negli occhi. L’uomo pareva terrorizzato che Rand lo uccidesse, così come i tre energumeni. Nessun rimorso. Nemmeno un poco.

La compassione non è necessaria.

Rand si sentì mortalmente freddo. «Questo è diverso dal mondo che mi hai mostrato prima.»

Quello che ti ho mostrato prima è ciò che gli uomini si aspettano. È il male che pensano di combattere. Ma io creerò un mondo dove non esistono né bene né male.

Esisto solo io.

«I tuoi servi lo sanno?» mormorò Rand. «Quelli che tu chiami Prescelti? Pensano di combattere per diventare Lord e dominatori di un mondo creato da loro. Invece tu darai loro questo. Lo stesso mondo… senza Luce.»

Ci sono solo io.

Niente Luce. Niente amore per gli uomini. L’orrore di tutto ciò penetrò in profondità dentro Rand, scuotendolo. Questa era una delle possibilità che il Tenebroso poteva scegliere, se avesse vinto. Non significava che l’avrebbe fatto o che doveva accadere, ma… Oh, Luce, era terribile. Molto di più di un mondo di prigionieri, molto di più di una terra buia con un paesaggio spezzato.

Questo era vero orrore. Era una corruzione completa del mondo, era portar via tutto ciò che era bello, lasciando soltanto un involucro. Un bell’involucro, ma comunque un involucro.

Rand avrebbe preferito vivere mille anni di tortura e mantenere la parte di sé che gli dava la capacità di fare del bene, che vivere un solo attimo in questo mondo senza Luce.

Adirato, si voltò verso l’oscurità. Consumò la parete opposta, sempre più vasta. «Tu commetti un errore, Shai’tan!» gridò Rand verso quel nulla. «Credi di farmi disperare? Pensi di mandare in pezzi la mia volontà? Non servirà, te lo giuro. Questo mi rende certo di combattere!»

Qualcosa rimbombò dentro il Tenebroso. Rand urlò, spingendosi all’esterno con la sua volontà, mandando in frantumi il cupo mondo di menzogne e uomini che uccidevano senza compassione. Esplose in fili, e Rand si ritrovò di nuovo in quel posto fuori dal tempo, con il Disegno che si increspava attorno a lui.

«Mi mostri le tue vere intenzioni?» domandò Rand al nulla mentre afferrava quei fili. «Io ti mostrerò le mie, Shai’tan. Esiste un opposto a questo mondo senza Luce che vorresti creare.

«Un mondo senza Ombra.»


Mat si allontanò a grandi passi, calmando la rabbia. Tuon era sembrata davvero adirata con lui! Luce. Sarebbe tornata quando Mat avesse avuto bisogno di lei, vero?

«Mat?» disse Min, affrettandosi a raggiungerlo.

«Va’ con lei» disse Mat. «Tienila d’occhio per me, Min.»

«Ma…»

«Non ha bisogno di molta protezione» disse Mat. «È una donna forte. Dannate ceneri, lo è davvero. Ha bisogno di essere tenuta d’occhio, però. Mi preoccupa, Min. Comunque, ho questa dannata guerra da vincere. Non posso farlo e andare con lei. Perciò la terrai d’occhio? Per favore?»

Min rallentò, poi lo cinse in un abbraccio inatteso. «Buona fortuna, Mat Cauthon.»

«Buona fortuna, Min Farshaw» disse Mat. La lasciò andare, poi si mise in spalla la sua ashandarei. I Seanchan avevano cominciato a lasciare il Bozzo di Dashar, ripiegando verso l’Erinin prima di lasciare del tutto il Campo di Merrilor. Demandred li avrebbe lasciati andare; sarebbe stato uno sciocco a non permetterlo. Sangue e dannate ceneri, in cosa si stava cacciando Mat? Aveva appena mandato via circa un quarto delle sue truppe.

Torneranno, pensò. Se il suo azzardo avesse funzionato. Se i dadi fossero caduti come gli occorrevano.

Solo che questa battaglia non era una partita a dadi. In essa c’era troppa sottigliezza. Semmai era una partita a carte. Di solito Mat vinceva a carte. Di solito.

Alla sua destra, un gruppo di uomini in armatura seanchan scura marciavano verso il campo di battaglia. «Ehi, Karede!» urlò Mat.

L’omone scoccò a Mat un’occhiata cupa. All’improvviso, Mat seppe cosa provava un lingotto di metallo quando Perrin lo fissava, sollevando un martello. Karede gli si avvicinò e, anche se era evidente che stava compiendo uno sforzo per mantenere il volto calmo, Mat poteva percepire la tempesta che emanava da lui.

«Grazie» disse Karede, con voce tesa «per aver aiutato a proteggere l’imperatrice, che possa vivere per sempre.»

«Tu pensi che avrei dovuto tenerla in un posto sicuro» disse Mat. «Non al centro di comando.»

«Non sta a me mettere in discussione il Sangue, o Insigne» disse Karede.

«Non mi stai mettendo in discussione,» disse Mat «stai pensando di infilzarmi con qualcosa di appuntito. È completamente diverso.»

Karede esalò un respiro lungo e profondo. «Scusami, o Insigne» disse, voltandosi per andar via. «Devo prendere i miei uomini e morire.»

«Io non penso» disse Mat. «Venite con me.»

Karede si voltò di nuovo verso di lui. «L’imperatrice, che possa vivere per sempre, ha ordinato…»

«Che combattiate in prima linea» disse Mat, schermandosi l’occhio mentre esaminava il letto del fiume, che brulicava di Trolloc. «Grandioso. Dove pensi che stia dannatamente andando?»

«Cavalchi in battaglia?» chiese Karede.

«Stavo pensando a un’andatura un po’ più rilassata» disse Mat. Scosse il capo. «Devo saggiare cosa sta facendo Demandred… Sto andando là fuori, Karede, e mettere voialtri fra me e i Trolloc mi sembra un’ottima idea. Venite?»

Karede non rispose, anche se non continuò ad allontanarsi.

«Ascolta, che scelte avete?» chiese Mat. «Cavalcare là fuori e morire per nessun vero motivo? Oppure cercare di mantenermi in vita per la vostra imperatrice? Sono quasi certo che lei provi dell’affetto per me. Forse. È una persona difficile da interpretare, Tuon.»

«Non chiamarla con quel nome» disse Karede.

«La chiamerò come dannatamente mi pare.»

«Non se vuoi che veniamo con te» disse Karede. «Se devo cavalcare con te, Principe dei Corvi, non voglio che i miei uomini sentano quel nome dalle tue labbra. Sarebbe un cattivo presagio.»

«Be’, nonne vogliamo, di cattivi presagi» disse Mat. «Bene, dunque, Karede. Tuffiamoci di nuovo in questo caos e vediamo cosa possiamo fare. Nel nome di Fortuona.»


Tam sollevò la spada come per cominciare un duello, ma non trovò nessun nemico onorevole. Solo Trolloc feroci che grugnivano e ululavano. Attirati via dai Manti Bianchi accerchiati in questa battaglia vicino alle rovine.

Trolloc si voltarono verso gli uomini dei Fiumi Gemelli e attaccarono. Tam, che si trovava sulla punta della cuspide, si mise in ‘giunco al vento’. Si rifiutava di fare anche un solo passo indietro. Si piegò da una parte e dall’altra, ma rimase saldo mentre spezzava la linea dei Trolloc, menando rapidi fendenti con la spada.

Gli uomini dei Fiumi Gemelli spinsero in avanti, una spina nel piede del Tenebroso e un rovo per la sua mano. Nel caos che seguì, urlarono e imprecarono, e lottarono per frammentare i Trolloc.

Ma presto il loro scopo diventò tenere terreno. I Trolloc si riversarono attorno agli uomini. La formazione a cuspide, solitamente una tattica offensiva, funzionava bene anche in questo caso. I Trolloc si muovevano lungo i lati della cuspide, ricevendo colpi dagli uomini dei Fiumi Gemelli con asce, spade e lance.

Tam lasciò che fosse l’addestramento dei ragazzi a guidarli. Avrebbe preferito stare al centro della cuspide, urlando incoraggiamenti come faceva ora Dannil, ma era uno dei pochi ad avere un reale addestramento di battaglia e la formazione a cuspide dipendeva dall’avere una punta che poteva restare salda.

E così lui restava saldo. Calmo dentro il vuoto, lasciò che i Trolloc si avventassero su di lui. Passava da ‘scuotere la rugiada dal ramo’ a ‘i fiori di melo nel vento’ a ‘ciottoli cadono nello stagno’, tutte forme che lo stabilizzavano mentre combatteva contro più avversari.

Malgrado si fosse esercitato negli ultimi mesi, Tam non era minimamente forte quanto lo era stato da giovane. Per fortuna, a un giunco non occorreva forza. Non era allenato come una volta, ma nessun giunco si allenava per piegarsi al vento.

Lo faceva e basta.

Anni di maturazione avevano portato a Tam una comprensione del vuoto. Ora lo capiva, meglio di quanto avesse mai fatto. Anni a insegnare a Rand la responsabilità, anni a vivere senza Kari, anni ad ascoltare il vento soffiare e le foglie che frusciavano…

Tam al’Thor divenne il vuoto. Lo portò ai Trolloc, glielo mostrò e li mandò nelle sue profondità.

Danzò attorno a un Trolloc dalle fattezze di capra, spazzando la spada da un lato e tranciando la gamba della bestia al calcagno. La creatura barcollò e Tam si girò, lasciando che fossero gli uomini dietro di lui a occuparsene. Fece guizzare la spada verso l’alto — l’arma lasciò una scia di sangue — e schizzò quelle gocce scure sugli occhi di un Trolloc alla carica con fattezze da incubo. Quello ululò, accecato, e Tam fluì in avanti con le braccia in fuori e gli aprì lo stomaco sotto la corazza. Il Trolloc barcollò davanti a un terzo Trolloc, che calava un’ascia verso Tam ma colpì invece il suo compagno.

Ogni passo era parte di una danza, e Tam invitava i Trolloc a unirsi a lui. Aveva combattuto a questo modo solo una volta in precedenza, tempo prima, ma la memoria era qualcosa che il vuoto non permetteva. Non pensava ad altri tempi; non pensava a nulla. Se sapeva di aver fatto questo già un’altra volta, era per la risonanza dei suoi movimenti, una comprensione che pareva permeare i suoi stessi muscoli.

Tam infilzò il collo di un Trolloc con un volto quasi umano, soltanto con un po’ troppo pelo sulle guance. Cadde all’indietro e crollò, e all’improvviso Tam non trovò altri nemici. Si fermò, sollevando la spada e avvertendo un vento placido soffiare su di lui. Le bestie oscure si stavano precipitando via verso valle in rotta, inseguiti da cavalieri che sventolavano stendardi delle Marche di Confine. A breve avrebbero colpito un muro di truppe, la Legione del Drago, e sarebbero stati schiacciati tra loro e gli inseguitori delle Marche di Confine.

Tam ripulì la lama, lasciando il vuoto. Fu colpito dalla gravità della situazione. Luce! I suoi ragazzi sarebbero morti. Se quegli uomini delle Marche di Confine non fossero arrivati…

Rimise la spada nel fodero verniciato. Il Drago rosso e oro intercettò la luce del sole, scintillando, anche se Tam non avrebbe pensato che potesse esserci luce da intercettare con quella coltre di nubi in cielo. Cercò il sole e lo trovò — dietro le nuvole — quasi all’orizzonte. Era quasi notte!

Per fortuna pareva che i Trolloc presso le rovine si stessero finalmente sfaldando. Già indeboliti severamente dal prolungato attraversamento del fiume, ora si sgretolarono quando gli uomini di Lan li colpirono da dietro.

In poco tempo terminò. Tam aveva retto.

Lì vicino, un cavallo nero giunse al trotto. Il suo cavaliere, Lan Mandragoran — seguito dallo stendardiere e dalla scorta guardò verso gli uomini dei Fiumi Gemelli.

«Mi ero interrogato a lungo» disse Lan a Tam. «Sull’uomo che aveva dato a Rand quella lama con il marchio dell’airone. Mi domandavo se l’avesse guadagnata davvero. Ora lo so.» Lan sollevò la propria spada in un saluto.

Tam si voltò verso i suoi uomini, un gruppo esausto e coperto di sangue, le mani strette sulle armi. Il percorso della loro cuspide era facilmente visibile sulla pianura calpestata; dozzine di Trolloc giacevano lì dietro, dove la cuspide li aveva tranciati. A nord, gli uomini della seconda cuspide sollevarono le armi. Erano stati spinti indietro quasi fino alla foresta, ma avevano tenuto terreno lì e alcuni erano sopravvissuti. Tam non poté fare a meno di pensare alle dozzine di bravi ragazzi che erano morti. I suoi uomini esausti si misero a sedere proprio lì sul campo di battaglia, circondati da cadaveri. Alcuni iniziarono debolmente a legarsi le bende o a occuparsi dei feriti che avevano tirato all’interno della cuspide. A sud, Tam notò qualcosa di sconcertante. Quelli erano i Seanchan che si ritiravano dal loro accampamento al Bozzo di Dashar?

«Abbiamo vinto, allora?» chiese Tam.

«Tutt’altro» disse Lan. «Abbiamo occupato questa parte del fiume, ma è lo scontro minore. Demandred ci ha incalzato con i Trolloc qui per impedirà di attingere risorse per la battaglia più grande al guado più a valle.» Lan voltò il cavallo. «Raduna i tuoi uomini, maestro spadaccino. Questa battaglia non terminerà con il calar del sole. Ci sarà di nuovo bisogno di te nelle prossime ore. Tai’shar Manetheren.»

Lan tornò a spron battuto verso i suoi uomini delle Marche di Confine.

«Tai’shar Malkier» gli gridò dietro Tam, tardivamente.

«Allora… non abbiamo ancora finito?» chiese Dannil.

«No, ragazzo. Ancora no. Ma ci prenderemo una pausa, faremo Guarire gli uomini e troveremo un po’ di cibo.» Vide passaggi aprirsi accanto al campo. Cauthon era stato abbastanza sveglio da mandare a Tam un mezzo per portare i feriti a Mayene. Era…

Delle persone si riversarono attraverso i passaggi. A centinaia, a migliaia. Tam corrucciò la fronte. Lì vicino, i Manti Bianchi si stavano rimettendo in sesto: erano stati colpiti pesantemente dagli attacchi dei Trolloc, ma l’arrivo di Tam aveva impedito che fossero distrutti. La truppa di Arganda si stava schierando alle rovine e la Guardia del Lupo issò alta la bandiera; erano circondati da cumuli insanguinati di cadaveri di Trolloc.

Tam arrancò per il campo. Ora sentiva gli arti come pesi morti. Era più esausto che se avesse passato un mese a sradicare ceppi.

Al primo dei passaggi trovò Berelain in persona, accompagnata da alcune Aes Sedai. Quella bellissima donna era terribilmente fuori posto qui, tra il fango e la morte. Il suo abito nero e argento, il diadema tra i capelli… Luce, non era questo il suo posto.

«Tam al’Thor» disse. «Sei tu al comando di questa truppa?»

«Più o meno» disse Tam. «Perdonami, mia Lady Prima, ma chi sono tutte queste persone?»

«I profughi di Caemlyn» disse Berelain. «Ho mandato alcune persone a vedere se avevano bisogno di Guarigione. L’hanno rifiutata e hanno insistito che li portassi alla battaglia.»

Tam si grattò la testa. Alla battaglia? Qualunque uomo — e qualunque donna — potesse impugnare una spada era già stato preso nell’esercito. Le persone che vedeva attraversare i passaggi erano perlopiù bambini, anziani, e alcune matrone che erano rimaste indietro a prendersi cura dei più giovani.

«Perdonami,» disse Tam «ma questo è un mattatoio.»

«Ho tentato di spiegarglielo» disse Berelain, con un accenno di esasperazione nella voce. «Affermano di poter essere di qualche utilità. Meglio che aspettare accalcati assieme sulla strada per Whitebridge che finisca l’Ultima Battaglia, così dicono.»

Tam osservò accigliato i bambini che si sparpagliavano per il campo. Gli si rivoltò lo stomaco a vederli esaminare quei morti ricoperti di sangue, e sulle prime molti si ritrassero. Altri iniziarono a cercare tra i caduti segni che quelle persone fossero ancora vive o potessero essere Guarite. Alcuni soldati attempati che erano stati messi a protezione dei profughi andarono tra loro, accertandosi che non ci fossero Trolloc ancora vivi.

Donne e bambini iniziarono a raccogliere frecce in mezzo ai caduti. Quello sarebbe stato utile. Molto utile. Sorpreso, Tam vide centinaia di Calderai riversarsi fuori da un passaggio. Andarono a cercare i feriti sotto la direzione di diverse sorelle Gialle.

Tam si ritrovò ad annuire. Permettere a dei bambini di assistere a scene del genere lo preoccupava ancora. Be’, pensò, assisteranno a scene peggiori se falliamo. Se volevano rendersi utili, doveva essere loro consentito.

«Dimmi, Tam al’Thor,» chiese Berelain «Galad Damodred… sta bene? Vedo qui i suoi uomini, ma non il suo stendardo.»

«È stato chiamato ad altri compiti, mia Lady Prima» disse Tam. «Più a valle. Sono ore che non ho sue notizie, temo.»

«Ah. Bene, Guariamo e nutriamo i tuoi uomini. Forse giungeranno notizie di Lord Damodred.»


Elayne toccò con delicatezza la guancia di Gareth Bryne. Gli chiuse gli occhi, prima uno e poi l’altro, prima di annuire ai soldati che avevano trovato il corpo. Portarono via Bryne, le gambe che dondolavano oltre il bordo del suo scudo e la testa che pendeva dall’altra parte.

«È partito al galoppo urlando» disse Birgitte. «Proprio contro le linee nemiche. Non c’è stato modo di fermarlo.»

«Siuan è morta» disse Elayne, provando un senso di perdita quasi soverchiante. Siuan… Siuan era sempre stata così forte. Elayne placò le proprie emozioni con sforzo. Doveva mantenere la sua attenzione sulla battaglia. «Ci sono notizie dal centro di comando?»

«L’accampamento al Bozzo di Dashar è stato abbandonato» disse Birgitte. «Non so dove si trova Cauthon. I Seanchan ci hanno abbandonato.»

«Sollevate alto il mio stendardo» disse Elayne. «Finché non avremo notizie da Mat, prenderò io il comando del campo di battaglia. Fate venire i miei consiglieri.»

Birgitte si mosse per dare gli ordini. Le donne della Guardia di Elayne osservarono, spostandosi agitate, mentre i Trolloc spingevano contro gli Andorani al fiume. Avevano riempito del tutto il corridoio tra le Alture e gli acquitrini e minacciavano di riversarsi su suolo shienarese. Parte dell’esercito di Egwene aveva colpito i Trolloc dall’altro lato di quel corridoio, cosa che aveva alleviato parte della pressione sulle sue truppe per un po’; ma altri Trolloc avevano attaccato dall’alto e pareva che gli uomini di Egwene stessero subendo la parte peggiore di quell’offensiva.

Elayne aveva ricevuto valide lezioni di tattica di battaglia, anche se aveva poca esperienza pratica, e poteva vedere quanto stavano andando male le cose. Sì, aveva ricevuto la notizia che la posizione dei Trolloc più a monte era stata distrutta dall’arrivo di Lan e degli uomini delle Marche di Confine. Ma quello aveva portato un minimo sollievo alla situazione qui al guado.

Il sole iniziava a scivolare sotto l’orizzonte. I Trolloc non davano segno di ripiegare e i suoi soldati iniziavano con riluttanza ad accendere torce e falò. Organizzare i suoi uomini in schieramenti quadrati forniva una difesa migliore, ma significava abbandonare ogni speranza di spingere in avanti. Anche gli Aiel combattevano qui, così come i Cairhienesi. Ma quei quadrati di picche erano il cuore del loro piano di battaglia.

Ci stanno lentamente circondando, pensò lei. Se i Trolloc l’avessero fatto, avrebbero potuto stringere gli Andorani fino a farli scoppiare. Luce, questo è male.

Il sole divenne all’improvviso un fuoco ardente dietro le nuvole all’orizzonte. Con la notte, i Trolloc ottenevano un altro vantaggio. L’aria si era fatta fredda con l’arrivo del buio. Le sue ipotesi precedenti che questa battaglia sarebbe durata giorni adesso sembravano sciocche. L’Ombra spingeva con tutta la sua potenza. All’umanità non restavano giorni, ma ore.

«Maestà» disse il capitano Guybon, avvicinandosi a cavallo con i suoi comandanti. Le armature ammaccate e i tabarri coperti di sangue dimostravano che nessuno, nemmeno gli ufficiali anziani, poteva evitare un combattimento diretto.

«Consiglio» gli disse Elayne guardando lui, Theodohr — comandante della cavalleria — e Birgitte, che era Capitano Generale.

«Ritirata?» chiese Guybon.

«Pensi davvero che potremmo disimpegnare?» replicò Birgitte.

Guybon esitò, poi scosse il capo.

«Bene, allora» disse Elayne. «Come vinciamo?»

«Resistiamo» disse Theodohr. «Speriamo che la Torre Bianca riesca a vincere la sua battaglia contro gli incanalatori sharani e venga in nostro soccorso.»

«Non mi piace starcene seduti qui» disse Birgitte. «È…»

Un divampante fascio di Fuoco incandescente falciò le guardie di Elayne, vaporizzandone a dozzine. Il cavallo di Guybon scomparve sotto di lui, anche se lui stesso evitò per un pelo di essere colpito. Il cavallo di Elayne si impennò.

Imprecando, Elayne riportò la sua cavalcatura sotto controllo. Quello era Fuoco Malefico!

«Lews Therin!» Una voce amplificata dal Potere risuonò per il campo. «Do la caccia a una donna che ami! Vieni da me, codardo! Combatti!»

La terra esplose vicino a Elayne, sbalzando in aria il suo stendardiere, la bandiera che scoppiava in fiamme. Stavolta Elayne fu gettata giù di sella e colpì forte il terreno con un grugnito. I miei bambini! Gemette, rotolando mentre delle mani la afferravano. Birgitte. La donna issò Elayne sulla sella dietro di lei, aiutata da diverse donne della Guardia.

«Riesci a incanalare?» chiese Birgitte. «No. Lascia stare. Saranno in allerta per quello. Celebrain, alza un altro stendardo! Cavalca verso valle con una squadra di donne della Guardia.

Io porterò la Regina dall’altra parte!»

La donna in piedi accanto al cavallo di Birgitte le rivolse il saluto. Era una sentenza di morte! «Birgitte, no» disse Elayne.

«Demandred ha deciso che tu stanerai il Drago Rinato per lui» disse Birgitte, voltando il cavallo. «Non ho intenzione di lasciarlo accadere. Arri!» Spinse il cavallo al galoppo mentre un fulmine colpiva le guardie di Elayne, sbalzando corpi in aria.

Elayne strinse i denti. Le sue armate correvano il rischio di essere sopraffatte, circondate… Tutto mentre Demandred scagliava una scarica dopo l’altra di Fuoco Malefico, fulmini e flussi di Terra. Quell’uomo da solo era pericoloso quanto un esercito.

«Non posso andarmene» disse Elayne da dietro Birgitte.

«Sì che puoi, e lo stai facendo» replicò lei in tono burbero mentre il cavallo continuava a galoppare. «Se Mat è caduto voglia la Luce che non sia così — ci occorrerà organizzare un nuovo centro di comando. C’è un motivo per cui Demandred ha colpito il Bozzo di Dashar e poi te direttamente. Sta cercando di distruggere la nostra struttura di comando. Il tuo compito è assumere il comando da qualche posto segreto e sicuro. Una volta che saremo tanto lontani che gli esploratori di Demandred non potranno percepirti incanalare, creeremo un passaggio e tu tornerai al comando. Ora però, Elayne, devi chiudere il becco e permettermi di proteggerti.»

Birgitte aveva ragione. Che fosse folgorata, ma aveva ragione. Elayne le rimase aggrappata mentre Birgitte galoppava per il campo di battaglia, il cavallo che sollevava zolle di terra dietro di loro in una fuga verso la sicurezza.


Almeno sta rendendo facile trovarlo, pensò Galad mentre cavalcava, osservando le linee di fuoco sfrecciare dalla posizione nemica verso l’esercito di Elayne.

Galad diede di talloni nei fianchi del cavallo rubato, procedendo a tutta velocità per le Alture verso il margine orientale. Continuava a rivedere il corpo morente di Gawyn tra le sue braccia.

«Affrontami, Lews Therin!» Il boato del grido di Demandred scuoteva il terreno più avanti. Si era preso il fratello di Galad. Ora il mostro dava la caccia a sua sorella.

Prima a Galad la cosa giusta era sempre sembrata chiara, ma non l’aveva mai sentita giusta come adesso. Quelle scie di luce erano come indicatori su una mappa, frecce che puntavano nella sua direzione. La Luce stessa lo guidava. L’aveva preparato, mettendolo qui in questo momento.

Si fece largo tra le retrovie dell’armata sharana fino al punto dove si trovava Demandred, appena sopra il letto del fiume, guardando giù verso le truppe di Elayne. C’erano frecce conficcate nel terreno attorno a lui, arcieri che tiravano, incuranti del rischio di colpire i loro stessi uomini. Con la spada sguainata, Galad tolse la gamba dalla staffa, preparandosi a balzare giù.

Una freccia colpì il cavallo. Galad si gettò giù dall’animale. Colpì con forza il terreno, slittando fino a fermarsi, e tagliò la mano di un balestriere lì vicino. Un incanalatore maschio ringhiante si avventò su di lui e il medaglione divenne freddo contro il suo petto.

Galad conficcò la lama attraverso il collo dell’uomo. Quel lo impazzì, con il sangue che gli sprizzava a ogni battito del cuore. Non parve sorpreso mentre moriva, solo arrabbiato. Le sue urla attirarono altra attenzione.

«Demandred!» gridò Galad. «Demandred, chiami il Drago Rinato! Pretendi di affrontarlo! Lui non è qui, ma suo fratello sì! Ti scontrerai con me?»

Dozzine di balestre vennero sollevate. Dietro Galad, il cavallo crollò a terra, espellendo una schiuma sanguinosa dalle froge.

Rand al’Thor. Suo fratello. Il trauma della morte di Gawyn aveva reso Galad insensibile a questa rivelazione. Avrebbe dovuto fare i conti con essa prima o poi, se fosse sopravvissuto. Ancora non sapeva se sarebbe stato orgoglioso o imbarazzato.

Una figura in una strana armatura fatta di monete si fece largo tra le file di Sharani. Demandred era un uomo fiero: bastava vedere il suo volto per capirlo. Assomigliava ad al’Thor, in effetti. Avevano qualcosa di simile nella loro espressione.

Demandred esaminò Galad, che impugnava la spada insanguinata. L’incanalatore morente graffiò il terreno con dita ad artiglio davanti a lui.

«Suo fratello?» chiese Demandred.

«Figlio di Tigraine,» disse Galad «che divenne una Fanciulla della Lancia. Che diede alla luce mio fratello su Montedrago, la tomba di Lews Therin. Avevo due fratelli. Tu hai ucciso l’altro su questo campo di battaglia.»

«Hai un artefatto interessante, vedo» disse Demandred mentre il medaglione si raffreddava di nuovo. «Di sicuro non pensi che ti impedirà di incontrare lo stesso fato del tuo patetico fratello? Quello morto, intendo.»

«Combattiamo, figlio delle Ombre? O parliamo?»

Demandred sfoderò la spada, aironi su lama ed elsa. «Che tu possa darmi un duello migliore di tuo fratello, omiciattolo. Sono sempre più contrariato. Lews Therin può odiarmi o inveire contro di me, ma non dovrebbe ignorarmi.»

Galad avanzò all’interno dell’anello di balestrieri e incanalatori. Se avesse vinto, sarebbe morto comunque. Ma Luce, magari avesse portato uno dei Reietti con sé. Sarebbe stata una fine adeguata.

Demandred lo attaccò e il duello ebbe inizio.


Con la schiena premuta contro una stalagmite, vedendo solo grazie alla luce di Callandor riflessa contro le pareti della caverna, Nynaeve si sforzava di salvare la vita di Alanna.

C’erano alcuni che, nella Torre Bianca, avevano sbeffeggiato il fatto che lei si affidasse a comuni tecniche di guarigione. Cosa potevano fare due mani e un po’ di filo che non potesse fare anche l’Unico Potere?

Se qualcuna di quelle donne fosse stata qui al posto di Nynaeve, il mondo sarebbe finito.

Le condizioni erano terribili. Poca luce, nessuno strumento a parte quei pochi che teneva nel borsello. Tuttavia Nynaeve cuciva, usando l’ago e il filo che portava sempre con sé. Aveva mischiato una pozione di erbe per Alanna e gliel’aveva fatta bere a forza. Non avrebbe fatto molto, ma ogni piccola cosa poteva aiutare. Avrebbe mantenuto Alanna in forze, l’avrebbe aiutata con il dolore e avrebbe impedito che il suo cuore cedesse mentre Nynaeve lavorava.

La ferita era brutta, ma aveva cucito lesioni del genere in precedenza. Anche se dentro di sé tremava, le mani di Nynaeve erano salde mentre sigillava la ferita e costringeva la donna a tornare dal precipizio della morte.

Rand e Moridin non si muovevano, ma lei percepiva qualcosa pulsare da loro. Rand stava combattendo. Combattendo una battaglia che lei non poteva vedere.


«Matrim Cauthon, dannato sciocco. Sei ancora vivo?»

Matrim lanciò un’occhiata mentre Davram Bashere gli si accostava a cavallo nell’oscurità della prima sera. Mat si era spostato con i Sorveglianti della Morte presso le retrovie degli Andorani che combattevano al fiume.

Bashere era accompagnato da sua moglie e da una scorta di Saldaeani. A giudicare dal sangue sui vestiti della donna, aveva visto la sua dose di scontri.

«Sì, sono vivo» disse Mat. «Di solito sono piuttosto bravo a sopravvivere. Ho fallito una volta sola, che mi ricordi, e quasi non conta. Cosa stai facendo qui? Non sei…»

«Si sono insinuati nella mia dannata mente» disse Bashere accigliandosi. «Lo hanno fatto, amico. Deira e io ne abbiamo parlato. Non ho intenzione di comandare, ma perché questo dovrebbe impedirmi di uccidere qualche Trolloc?»

Mat annui. Alla caduta di Tenobia, quest’uomo era diventato Re della Saldaea, ma finora aveva rifiutato la corona. La corruzione nella sua mente l’aveva scosso. Tutto ciò che aveva detto era che la Saldaea combatteva a fianco di Malkier, e alle truppe di far riferimento a Lan. La questione del trono sarebbe stata decisa se tutti fossero sopravvissuti all’Ultima Battaglia.

«Cosa ti è successo?» chiese Bashere. «Ho sentito che il centro di comando è caduto.»

Mat annuì. «I Seanchan ci hanno abbandonato.»

«Sangue e ceneri!» urlò Bashere. «Come se la situazione non fosse già abbastanza brutta. Maledetti cani Seanchan.»

Sorveglianti della Morte che attorniavano Mat non reagirono a quello.

Le forze di Elayne lungo la riva del fiume reggevano, a malapena, ma i Trolloc li stavano lentamente aggirando più a monte. Le linee di Elayne tenevano solo grazie alla tenacia e all’addestramento accurato. Ogni enorme quadrato di uomini teneva le picche verso l’esterno, rendendosi ispido come un porcospino.

Quelle formazioni potevano essere separate se Demandred avesse conficcato dei cunei in mezzo a loro nel modo giusto. Mat impiegava spazzate di cavalleria, inclusa quella andorana e della Banda, cercando di impedire ai Trolloc di penetrare i quadrati di picche o di circondare Elayne. Il ritmo della battaglia pulsava sotto i polpastrelli di Mat. Lui sentiva cosa stava facendo Demandred. Per chiunque altro, la fine della battaglia probabilmente sembrava una faccenda semplice ora. Attaccare in forze, rompere le formazioni di picche, incrinare le difese di Mat. Ma era molto più sottile.

Gli uomini delle Marche di Confine di Lan avevano finito di distruggere i Trolloc più a monte e avevano bisogno di ordini. Bene. Mat aveva bisogno di quegli uomini per la prossima fase del piano.

Tre delle enormi formazioni di picche stavano cedendo, ma se avesse potuto mettere un incanalatore o due al centro di ciascuna, avrebbe potuto puntellarle. Che la Luce proteggesse chiunque aveva distratto Demandred. Gli attacchi del Reietto avevano distrutto intere formazioni di picche. A Demandred non serviva uccidere ogni uomo; gli bastava lanciare attacchi dell’Unico Potere per mandare in frantumi il quadrato. Quel lo permetteva ai Trolloc di sopraffarli.

«Bashere,» disse Mat «per favore, dimmi che qualcuno ha avuto notizie da tua figlia.»

«Nessuno» disse Deira. «Sono spiacente.»

Dannate ceneri, pensò Mat. Povero Perrin.

Povero lui. Come avrebbe fatto tutto questo senza il Corno? Luce. Non era certo di poterlo fare con il Corno.

«Vai» urlò Mat mentre cavalcavano. «Galoppa da Lan; è a monte del fiume. Digli di ingaggiare quei Trolloc che stanno cercando di aggirare gli Andorani sul fianco destro! E digli che presto avrò altri ordini per lui.»

«Ma io…»

«Non m’importa se sei stato dannatamente toccato dall’Ombra!» disse Mat. «Ogni uomo ha avuto le dita del Tenebroso sul cuore, questa è la maledetta verità. Puoi combatterlo. Ora cavalca da Lan e digli cosa va fatto!»

Bashere sulle prime si irrigidì; poi — stranamente — gli rivolse un ampio sorriso sotto i baffi cascanti. Dannati Saldaeani. A loro piaceva che gli urlassero contro. Le parole di Mat parvero dargli coraggio e si allontanò al galoppo, con la moglie al suo fianco. Lei scoccò a Mat un’occhiata affettuosa che lo mise a disagio.

Ora… gli serviva un esercito. E un passaggio. Gli serviva un dannato passaggio. Idiota, pensò. Aveva mandato via le damane. Perché non se n’era tenuta almeno una? Anche se gli facevano accapponare la pelle come se fosse coperta di ragni.

Mat fece fermare Pips e i Sorveglianti della Morte si arrestarono con lui. Alcuni accesero delle torce. Di sicuro avevano ottenuto la punizione che avevano voluto, unendosi a Mat per combattere gli Sharani. Pareva che fremessero per averne ancora, però.

Là, pensò Mat, spronando Pips verso un’armata a sud della formazione di picche di Elayne. I Fautori del Drago. Prima che i Seanchan lasciassero il Bozzo di Dashar, Mat aveva mandato questo esercito a rinforzare le truppe di Elayne.

Ancora non sapeva cosa pensare di loro. Non erano stati al Campo quando si erano radunati, ma aveva sentito i rapporti. Persone di ogni rango ed estrazione sociale, di ogni nazionalità, che si erano riunite per combattere l’Ultima Battaglia, incuranti di lealtà o confini nazionali. Rand rompeva tutti i voti e tutti gli altri legami.

Mat cavalcava in un rapido trotto — con i Sorveglianti della Morte che correvano per tenere il passo — girando dietro le file andorane. Luce, le linee stavano cedendo. Questo era male. Be’, aveva fatto la sua scommessa. Ora poteva solo cavalcare la maledetta battaglia e sperare che non sgroppasse troppo.

Mentre galoppava verso i Fautori del Drago, sentì che qualcosa era fuori posto. Gente che cantava? Mat si arrestò. Gli Ogier erano arrivati per combattere i Trolloc e avevano spinto sull’alveo del fiume asciutto per aiutare il fianco sinistro di Elayne, dall’altra parte degli acquitrini, per impedire che i Trolloc li aggirassero da quella parte.

Tenevano terreno lì, saldi come querce davanti a un’inondazione, menando fendenti con le asce mentre cantavano. I Trolloc giacevano a mucchi attorno a loro.

«Loial!» urlò Mat, mettendosi in piedi sulle staffe. «Loial!»

Uno degli Ogier si staccò dallo scontro e si voltò. Mat fu colto alla sprovvista. Il suo amico solitamente calmo aveva le orecchie basse, i denti serrati dalla rabbia e un’ascia inzuppata di sangue tra le dita. Luce, quell’espressione trasmise terrore per tutto il corpo di Mat. Avrebbe preferito sostenere un confronto di sguardi con dieci uomini che pensavano che stesse barando piuttosto che combattere un unico Ogier adirato!

Loial gridò qualcosa agli altri e poi si ricongiunse a loro nel combattimento. Continuarono ad avventarsi contro i Trolloc lì vicino, abbattendoli. Trolloc e Ogier erano all’incirca della stessa taglia, ma in qualche modo gli Ogier parevano torreggiare sopra la Progenie dell’Ombra. Non combattevano come soldati, ma come boscaioli che abbattevano alberi. Un colpo da una parte, poi dall’altra, spezzando i Trolloc. Ma Mat sapeva che gli Ogier odiavano abbattere gli alberi, mentre sembravano entusiasti di abbattere i Trolloc.

Gli Ogier spezzarono il manipolo di Trolloc che stavano combattendo, facendoli fuggire. I soldati di Elayne avanzarono e bloccarono il resto dell’armata, e le diverse centinaia di Ogier indietreggiarono verso Mat. Tra loro Mat notò che c’erano non pochi Ogier seanchan: i Giardinieri. Lui non l’aveva ordinato. I due gruppi combattevano assieme, ma ora sembravano guardarsi a malapena.

Tutti quanti gli Ogier, maschi e femmine, avevano numerosi tagli su braccia e gambe. Non indossavano armatura, ma molti dei tagli parevano superficiali, come se la loro pelle avesse la resistenza della corteccia.

Loial si diresse da Mat e dai Sorveglianti della Morte, sollevando la sua ascia sulla spalla. I pantaloni di Loial erano scuri fino alle cosce, come se avesse sguazzato nel vino. «Mat» disse Loial, prendendo un respiro profondo. «Abbiamo fatto come hai chiesto, combattendo qui. Nessun Trolloc è riuscito a superarla.»

«Avete agito bene, Loial» disse Mat. «Grazie.»

Attese una risposta. Qualcosa di prolisso ed entusiasta, senza dubbio. Loial rimase a inspirare ed espirare con polmoni che potevano contenere abbastanza aria da riempire una stanza. Niente parole. Gli altri con lui, anche se molti erano più anziani di Loial, non dissero nulla. Alcuni sollevarono delle torce. Il bagliore del sole era svanito sotto l’orizzonte. La notte era scesa completamente su di loro.

Ogier silenziosi. Quello che era strano. Ogier in guerra, però… Era qualcosa che Mat non aveva mai visto. Non ne aveva nessuna memoria nei ricordi che non erano suoi.

«Ho bisogno di voi» disse Mat. «Dobbiamo rovesciare le sorti di questa battaglia o siamo finiti. Andiamo.»

«Il Suonatore del Corno ordina» tuonò Loial. «Su le asce!»

Mat trasalì. Se mai avesse avuto bisogno di qualcuno che urlasse un messaggio da Caemlyn a Cairhien per lui, sapeva a chi chiedere. Solo che probabilmente lo avrebbero sentito anche su fino alla Macchia.

Spronò Pips, e Ogier e Sorveglianti della Morte si misero al passo attorno a lui. Gli Ogier non avevano problemi a farlo.

«O Insigne,» disse Karede «a me e ai miei è stato ordinato di…»

«Di andare a morire in prima linea. Ci sto dannatamente lavorando, Karede. Per il momento tieni la spada fuori dalle tue budella, gentilmente.»

L’espressione dell’uomo si rabbuiò, ma tenne a freno la lingua.

«Lei non vi vuole davvero morti, te ne rendi conto» disse Mat. Non poteva dire di più senza rivelare lo stratagemma per riportarla indietro.

«Se la mia morte serve l’imperatrice, che possa vivere per sempre, lo faccio volentieri.»

«Sei dannatamente pazzo, Karede» disse Mat. «Purtroppo lo sono anch’io. Sei in buona compagnia. Tu laggiù! Chi è al comando di questa truppa?»

Avevano raggiunto le retrovie, dove erano posizionate le riserve dei Fautori del Drago, i feriti e quelli che stavano riposando dopo il turno in prima linea.

«Mio signore?» disse uno degli esploratori. «È Lady Tinna.»

«Valla a prendere» disse Mat. Quei dadi gli continuavano a sbatacchiare nella testa. Sentiva anche qualcosa tirarlo da nord, uno strattone, come se fosse trascinato da alcuni fili attorno al petto.

Non ora, Rand, pensò. Sono dannatamente occupato.

Non si formarono colori, solo oscurità. Buia come il cuore di un Myrddraal. Gli strattoni divennero più forti.

Mat scacciò la visione. Non ora.

Aveva del lavoro da fare qui. Aveva un piano. Luce, che funzionasse.

Tinna si rivelò una ragazza graziosa, più giovane di quanto si era aspettato, alta e dalle braccia forti. Portava lunghi capelli castani in una coda, anche se dei riccioli parevano volersi staccare qua e là. Indossava delle brache e aveva visto alcuni scontri, a giudicare dalla spada che teneva al fianco e dal sangue scuro di Trolloc sulle maniche.

Si accostò a lui sul cavallo, squadrandolo su e giù con occhi perspicaci. «Finalmente ti sei ricordato di noi, eh, Lord Cauthon?» Si, lei gli ricordava decisamente Nynaeve.

Mat alzò lo sguardo verso le Alture. Lo scontro a fuoco tra Aes Sedai e Sharani lassù era diventato un caos.

Farai meglio a vincere lì, Egwene. Conto su di te.

«Il tuo esercito» disse Mat, guardando Tinna. «Mi è stato detto che alcune Aes Sedai si sono unite a voi?»

«Alcune l’hanno fatto» rispose lei in tono cauto.

«Tu sei una di loro?»

«No. Non esattamente.»

«Non esattamente? Cosa intendi? Ascolta, donna, mi serve un passaggio. Se non ne abbiamo uno, questa battaglia potrebbe essere perduta. Ti prego, dimmi che abbiamo degli incanalatori che possono mandarmi dove ho bisogno di andare.»

Tinna contrasse le labbra in una linea. «Non sto cercando di irritarti, Lord Cauthon. Le vecchie abitudini sono come corde forti, e ho imparato a non parlare di certe cose. Sono stata mandata via dalla Torre Bianca, per… motivi complicati. Sono spiacente, non conosco il flusso per Viaggiare. So per certo che molte di quelle che si sono unite a noi sono troppo deboli per quel flusso. Richiede una gran quantità dell’Unico Potere, oltre la capacità di molte che…»

«Io sono in grado di crearne uno.»

Una donna in abito rosso si alzò dalle file dei feriti, dove a quanto pareva stava Guarendo. Era magra e ossuta, e con un’espressione acida in volto, ma Mat fu così felice di vederla che avrebbe potuto baciarla. Sarebbe stato come baciare dei vetri rotti. Ma lui l’avrebbe fatto comunque. «Teslyn!» urlò. «Cosa ci fai qui?»

«Combatto l’Ultima Battaglia, credo» disse, pulendosi le mani. «Come tutti, no?»

«Ma i Fautori del Drago?» chiese Mat.

«Al mio ritorno ho trovato che la Torre Bianca non era più un luogo in cui fossi a mio agio» disse. «Era cambiata. Mi sono avvalsa dell’opportunità qui, dato che questa esigenza era superiore a ogni altra. Ora, desideri un passaggio? Quanto grande?»

«Grande abbastanza da muovere quante più di queste truppe possiamo, i Fautori del Drago, gli Ogier e questa compagnia di cavalleria della Banda della Mano Rossa» disse Mat.

«Mi servirà un circolo, Tinna» disse Teslyn. «Niente lamentele che non puoi incanalare: posso percepirlo dentro di te, e tutte le precedenti fedeltà e promesse sono spezzate per noi qui. Raduna le altre donne. Dove stiamo andando, Cauthon?»

Mat sogghignò. «In cima a quelle Alture.»

«Le Alture!» esclamò Karede. «Ma le hai abbandonate all’inizio della battaglia. Le hai cedute alla Progenie dell’Ombra!»

«Sì, l’ho fatto.»

E ora… Ora aveva un’opportunità per far finire tutto questo. Le forze di Elayne reggevano lungo il fiume, Egwene combatteva a ovest… Mat doveva occupare la parte nord delle Alture. Sapeva che, adesso che i Seanchan se n’erano andati e molte truppe erano occupate attorno alla parte inferiore delle Alture, Demandred avrebbe mandato una forte armata di Sharani e Trolloc lungo la sommità a nordest, per scendere, attraversare il letto del fiume e attaccare da dietro le truppe di Elayne. Gli eserciti della Luce sarebbero stati circondati e alla mercé di Demandred. La sua unica possibilità era impedire che le armate di Demandred scendessero dalle Alture, malgrado fossero in superiorità numerica. Luce. Era un grosso azzardo, ma a volte dovevi correre l’unico azzardo che avevi.

«Ci stai dividendo troppo» disse Karede. «Rischi tutto spostando sulle Alture truppe che sono necessarie qui.»

«Tu volevi andare in prima linea» replicò Mat. «Loial, siete con noi?»

«Un attacco al cuore del nemico, Mat?» chiese Loial, soppesando la sua ascia. «Non sarà il posto peggiore in cui mi sono trovato, seguendo uno di voi tre. Spero proprio che Rand stia bene. Tu lo pensi, vero?»

«Se Rand fosse morto» disse Mat «lo sapremmo. Dovrà badare a sé stesso, senza Matrim Cauthon a salvarlo, questa volta. Teslyn, crea quel passaggio! Tinna, organizza le forze. Falle preparare a caricare attraverso il passaggio. Dobbiamo occupare il pendio nord di quelle Alture in fretta e poi tenerlo, qualunque cosa l’Ombra ci scagli contro!»


Egwene aprì gli occhi. Anche se non si sarebbe dovuta trovare all’interno, era stesa in una stanza. Ed era una stanza elegante. L’aria fresca odorava di sale, e stava su un materasso soffice.

Sto sognando, pensò. O forse era morta. Avrebbe spiegato il dolore? Un dolore terribile. Il nulla sarebbe stato meglio, molto meglio di questa agonia.

Gawyn non c’era più. Un pezzo di lei era stato tagliato via.

«Mi dimentico quanto è giovane.» Dei bisbigli giunsero nella stanza. Quella voce era familiare. Silviana? «Prenditi cura di lei. Io devo tornare in battaglia.»

«Come sta andando?» Egwene conosceva anche quella voce. Rosil, della Gialla. Era andata a Mayene, con le novizie e le Ammesse, per aiutare con la Guarigione.

«La battaglia? Sta andando male.» Silviana non era una persona che edulcorava le parole. «Bada a lei, Rosil. È forte; non dubito che sopravviverà a questo, ma c’è sempre da stare attenti.»

«Ho aiutato donne che hanno perso Custodi in precedenza, Silviana» disse Rosil. «Ti assicuro, sono assai capace. Non potrà fare nulla per i prossimi giorni, ma poi inizierà a rimettersi.»

Silviana tirò su col naso. «Quel ragazzo… Avrei dovuto sapere che l’avrebbe rovinata. La prima volta che ho notato come la guardava, avrei dovuto prenderlo per l’orecchio, trascinarlo fino a una fattoria lontana e metterlo a lavorare per il prossimo decennio.»

«Non puoi controllare un cuore facilmente, Silviana.»

«I Custodi sono una debolezza» disse Silviana. «È tutto ciò che sono sempre stati e quello che saranno sempre. Quel ragazzo… Quello sciocco ragazzo…»

«Quello sciocco ragazzo» disse Egwene «mi ha salvato da sicari seanchan. Non sarei qui a piangerlo se non l’avesse fatto. Ti suggerisco di ricordartelo, Silviana, quando parli dei morti.»

Le altre tacquero. Egwene cercò di superare il dolore della perdita. Era a Mayene, naturalmente. Silviana doveva averla portata dalle Gialle.

«Me ne ricorderò, Madre» disse Silviana. Riusciva davvero a sembrare contrita. «Riposa bene. Io…»

«Il riposo è per i morti, Silviana» disse Egwene, mettendosi a sedere.

Silviana e Rosil si trovavano sulla soglia della bellissima stanza, che era drappeggiata di stoffa blu sotto il soffitto con intarsi in madreperla. Entrambe le donne incrociarono le braccia e le rivolsero occhiate severe.

«Sei passata attraverso qualcosa di estremamente doloroso, Madre» disse Rosil. Vicino alla porta, Leilwin montava la guardia. «La perdita di un Custode è sufficiente a fermare qualunque donna. Non c’è vergogna nel permettere a te stessa di scendere a patti con la sofferenza.»

«Egwene al’Vere può affliggersi» disse Egwene, alzandosi in piedi. «Egwene al’Vere ha perso un uomo che amava e lo ha sentito morire attraverso un legame. L’Amyrlin è solidale con Egwene al’Vere, proprio come lo sarebbe con qualunque Aes Sedai che dovesse fare i conti con una perdita del genere. E poi, di fronte all’Ultima Battaglia, l’Amyrlin si aspetterebbe che quella donna si ricomponesse e tornasse a combattere.»

Attraversò la stanza, ogni passo più deciso. Protese la mano verso Silviana, annuendo in direzione del sa’angreal di Vora, che lei teneva. «Quello mi servirà.»

Silviana esitò.

«A meno che voi due desideriate scoprire di quanto sono capace al momento,» disse Egwene piano «non vi suggerisco di disobbedire.»

Silviana guardò verso Rosil, che sospirò e annuì con riluttanza. Silviana le consegnò la verga.

«Io non ammetto questo, Madre» disse Rosil. «Ma se sei determinata…»

«Lo sono.»

«…Allora ti do questo suggerimento. L’emozione minaccerà di distruggerti. È questo il pericolo. Di fronte all’aver perso un Custode, abbracciare saidar sarà difficile. Se ci riuscirai, la serenità da Aes Sedai probabilmente sarà impossibile. Questo può essere pericoloso. Molto pericoloso.»

Egwene si aprì a saidar. Come Rosil aveva previsto, fu difficile abbracciare la Fonte. Troppe emozioni si contendevano la sua attenzione, sopraffacendola, scacciando via la calma. Arrossì a un secondo fallimento.

Silviana aprì la bocca, senza dubbio per suggerire a Egwene di tornare a sedersi. In quel momento, Egwene trovò saidar, il bocciolo nella sua mente che germogliava, l’Unico Potere che si riversava dentro di lei. Scoccò a Silviana un’occhiata di sfida, poi cominciò a tessere un passaggio.

«Non hai sentito il resto del mio consiglio, Madre» disse Rosil. «Non sarai in grado di scacciare le emozioni che ti assillano, non del tutto. La tua unica scelta è pessima: sopraffare quelle emozioni di sofferenza e dolore con emozioni più forti.»

«Quello non dovrebbe essere affatto difficile» disse Egwene. Prese un respiro profondo, attingendo altro Unico Potere. Si concesse di provare rabbia. Furia verso la Progenie dell’Ombra che minacciava il mondo, ira verso di loro per averle portato via Gawyn.

«Mi serviranno occhi a controllarmi» disse Egwene, sfidando le precedenti parole di Silviana. Gawyn non era stato una debolezza per lei. «Mi servirà un altro Custode.»

«Ma…» cominciò Rosil.

Egwene la fermò con un’occhiata. Sì, parecchie donne aspettavano. Sì, Egwene al’Vere era addolorata per la sua perdita e nessuno avrebbe mai potuto rimpiazzare Gawyn. Ma lei credeva nei Custodi. All’Amyrlin Seat occorreva qualcuno che le guardasse le spalle. Oltre a quello, ogni persona con un legame da Custode era un combattente migliore di chi non l’avesse. Essere senza un Custode era come negare alla Luce un altro soldato.

C’era una persona che le aveva salvato la vita. No, disse una parte di lei, i suoi occhi che cadevano su Leilwin. Non una Seanchan.

Un’altra parte di lei, l’Amyrlin, rise a quello. Smettila di fare la bambina. Lei avrebbe avuto una Custode. «Leilwin Senzanave,» disse Egwene a gran voce «vuoi accettare questo compito?»

La donna si inginocchiò, chinando il capo. «Io… Sì.»

Egwene formò il flusso per il legame. Leilwin rimase immobile, sembrando meno affaticata e prendendo un respiro profondo. Egwene aprì un passaggio verso l’altro lato della stanza, poi usò la conoscenza immediata di questo ambiente per aprirne un altro che conduceva dove combatteva la sua gente. Dentro si riversarono esplosioni, urla e il fragore di armi che battevano contro scudi.

Egwene si avviò di nuovo verso quel mattatoio, portando con sé la furia dell’Amyrlin.


Demandred era un maestro spadaccino. Galad aveva presunto che sarebbe stato così, ma preferiva mettere alla prova le sue supposizioni. I due danzavano avanti e indietro all’interno dell’anello di spettatori sharani. Galad indossava un’armatura più leggera, una cotta di maglia sotto il tabarro, e si muoveva più rapidamente. Le monete intrecciate che portava Demandred erano più pesanti della semplice maglia, ma più efficaci contro una spada.

«Sei meglio di tuo fratello» disse Demandred. «Lui è morto facilmente.»

L’uomo stava cercando di far arrabbiare Galad. Non ci riuscì. Freddo, attento, Galad si fece sotto. ‘La cortigiana agita il ventaglio’. Demandred rispose con qualcosa di molto simile a ‘il falco in picchiata’, deviando l’attacco di Galad. Demandred indietreggiò, girando attorno al perimetro dell’anello, la spada protesa da un lato. All’inizio aveva parlato parecchio. Ora si limitava a una frecciatina occasionale.

Si giravano attorno nell’oscurità, illuminati da torce tenute in mano dagli Sharani. Un giro. Due.

«Andiamo» disse Demandred. «Sto aspettando.»

Galad rimase in silenzio. Ogni momento in cui temporeggiava era un momento in cui Demandred non poteva scagliare distruzione su Elayne o le sue truppe. Il Reietto parve rendersene conto, poiché si avventò rapidamente su di lui. Tre colpi: basso, lato, di rovescio. Galad intercettò ciascuno, le loro armi indistinte.

Movimento da una parte. Proveniva da una roccia che Demandred aveva tirato contro Galad incanalando. Galad la schivò a malapena, poi sollevò la spada contro i colpi che seguirono. Colpi furiosi verso il basso, ‘il cinghiale si precipita dalla montagna’, sbattendo contro la lama di Galad. Lui resse contro quello, ma non fu in grado di fermare la torsione successiva della lama che gli incise l’avambraccio.

Demandred indietreggiò, con la lama che colava sangue di Galad. Ricominciarono a girarsi attorno, osservandosi a vicenda. Galad avvertì sangue caldo dentro il guanto, dove gli era finito gocciolando lungo il braccio. Una piccola perdita di sangue poteva rallentare un uomo, indebolirlo.

Galad inspirò ed espirò, abbandonando ogni pensiero e preoccupazione. Quando giunse il colpo successivo di Demandred, Galad lo anticipò, facendosi da parte e calando la spada a due mani, mordendo a fondo nel cuoio dietro la ginocchiera di Demandred. La spada rimbalzò via dal lato dell’armatura, ma a parte questo centrò il bersaglio. Mentre Galad si precipitava indietro, Demandred stava zoppicando.

Il Reietto fece una smorfia. «Mi hai ferito» disse. «È passato moltissimo tempo da quando qualcuno ci è riuscito.»

Il terreno iniziò a sollevarsi e rompersi sotto Galad. Disperato, balzò avanti, avvicinandosi a Demandred e costringendolo a smettere di incanalare, per non rischiare di cadere. Il Reietto grugnì, menando fendenti, ma Galad era all’interno della guardia nemica.

Troppo vicino per un fendente completo, Galad sollevò la spada e la abbatté — pomello in avanti — contro la faccia di Demandred. Demandred prese la mano di Galad con la sua, ma Galad lo afferrò per l’elmo, tenendolo stretto e cercando di calarlo sugli occhi del Reietto. Quello grugnì, ed entrambi rimasero bloccati, nessuno si muoveva.

Poi, con un suono nauseante che Galad udì in modo assai distinto, il suo muscolo si strappò nel braccio dov’era stato ferito. La spada gli scivolò da dita insensibili, il braccio venne colto da spasmi, e Demandred lo scagliò all’indietro e colpì con un guizzo della lama.

Demandred sbuffò, poi vibrò ancora una volta la lama.

Tutto divenne nero.


Androl aveva l’impressione di essersi dimenticato com’era respirare aria fresca. La terra attorno a lui fumava e tremava, il fumo si agitava nel vento, portando con sé la puzza di corpi in fiamme.

Lui e gli altri si erano mossi lungo la sommità delle Alture verso il lato orientale, in cerca di Taim. Molti dell’esercito sharano combattevano qui, lottando contro l’armata della Torre Bianca.

Gruppi di incanalatori attiravano il fuoco da uno schieramento o dall’altro, così Androl attraversava quel paesaggio orribile da solo. Passò sopra chiazze spezzate di terra fumante, accucciato, cercando di sembrare un uomo solitario ferito che tentava di strisciare in salvo. Indossava ancora la faccia di Nensen, ma con il capo chino e la postura bassa contava pochissimo.

Avvertì una punta di allarme da Pevara, che si muoveva da sola nelle vicinanze.

Cosa c’è? trasmise. Stai bene?

Dopo un momento di tensione, i pensieri di Pevara arrivarono. Sto bene. Uno spavento con alcuni Sharani. Li ho convinti che ero dalla loro parte prima di attaccarli.

È un miracolo che qui qualcuno riesca a distinguere gli amici dai nemici, le trasmise Androl. Sperava che Emarin e Jonneth fossero al sicuro. I due erano assieme, ma se…

Androl rimase immobile. Più avanti, attraverso la cortina di fumo, vide un anello di Trolloc che proteggevano qualcosa. Si trovavano su un affioramento di roccia che spuntava dal fianco della collina come il piano di una sedia.

Androl strisciò in avanti, sperando di poter dare un’occhiata.

Androl!! La voce di Pevara nella sua mente per poco non lo fece balzare in aria.

Cosa?

Eri allarmato per qualcosa, disse lei. Stavo reagendo a te.

Androl prese qualche respiro per calmarsi. Ho trovato qualcosa. Solo un momento.

Si avvicinò abbastanza da percepire che qualcuno all’interno dell’anello incanalava. Non sapeva se…

Trolloc si separarono quando qualcuno all’interno sbraitò un ordine. Mishraile guardò fuori, poi si accigliò. «È solo Nensen!» cuore di Androl gli palpitò dentro il petto.

Un uomo in nero che stava contemplando la battaglia si voltò. Taim. In mano portava un sottile disco bianco e nero. Vi sfregò sopra il pollice mentre supervisionava la battaglia con un sogghigno, come sprezzante degli incanalatori inferiori che sgobbavano tutt’attorno a lui.

«Ebbene?» sbraitò ad Androl, voltandosi e lasciando cadere il disco in un borsello che aveva alla cintura.

«Ho visto Androl!» disse Androl, ragionando rapidamente. Luce, gli altri si aspettavano che si avvicinasse. Lo fece, superando i Trolloc e mettendosi proprio nel ventre della bestia. Se fosse riuscito ad avvicinarsi abbastanza… «L’ho seguito per un po’.» Nensen parlava sempre con voce roca e stridula, e Androl fece del suo meglio per imitarlo. Pevara avrebbe potuto alterare la voce con un flusso, ma non lo conosceva abbastanza bene.

«Non mi importa di quel verme! Sciocco. Cosa sta facendo Demandred?»

«Mi ha visto» disse Androl. «Non gli è piaciuto che fossi laggiù. Mi ha rimandato da te e ha detto che, se dovesse trovare chiunque di noi lontano da questa posizione, ci ucciderà.»

Androl… trasmise Pevara, preoccupata. Androl non riusciva a trovare abbastanza concentrazione per rispondere. Gli servivano tutte le sue facoltà mentali per non tremare mentre si avvicinava a Taim.

Taim si sfregò la fronte con due dita, chiudendo gli occhi. «E io che pensavo che potessi fare questa semplice cosa.» Taim creò un flusso complesso di Spirito e Fuoco. Colpì Androl come una vipera.

All’improvviso il dolore risalì per il corpo di Androl, partendo dai piedi e poi su per gli arti. Lui urlò, crollando a terra.

«Ti piace?» chiese Taim. «L’ho imparato da Moridin. Penso che stia cercando di mettermi contro Demandred.»

Androl gridò con la propria voce. Questo lo terrorizzò, ma gli altri non parvero notarlo. Quando Taim infine lasciò andare il flusso, il dolore si placò. Androl si ritrovò a contorcersi sul terreno sporco, gli arti ancora in preda agli spasmi per il ricordo del dolore.

«Alzati» ringhiò Taim.

Androl iniziò a barcollare in piedi.

Sto arrivando, trasmise Pevara.

Sta’ indietro, replicò lui. Luce, quanto si sentiva inerme. Mentre si metteva in piedi, andò a sbattere contro Taim, con le gambe che si rifiutavano di funzionare a dovere.

«Sciocco» disse Taim, spintonandolo all’indietro. Mishraile lo prese. «Resta immobile.» Taim iniziò un altro flusso. Androl cercò di prestare attenzione, ma era troppo nervoso per cogliere i dettagli del flusso. Aleggiò di fronte a lui, poi gli si avvolse attorno.

«Cosa stai facendo?» chiese Androl. Non dovette simulare il tremito nella voce. Quel dolore.

«Hai detto di aver visto Androl!?» disse Taim. «Sto mettendo una Maschera degli Specchi su di te e invertendo il flusso, per farti sembrare lui. Voglio che tu finga di essere il galoppino, trovi Logain e poi lo uccida. Usa un coltello o un flusso, non m’interessa.»

«Mi stai… facendo sembrare Androl!» disse Androl.

«Androl è uno dei favoriti di Logain» disse Taim. «Non dovrebbe sospettare di te. Quello che ti sto chiedendo è qualcosa di straordinariamente semplice, Nensen. Per una volta pensi di riuscire a non trasformarlo in un completo disastro?»

«Sì, M’Hael.»

«Bene. Perché se fallisci ti ucciderò.» Il flusso si mise al suo posto e scomparve.

Mishraile grugnì, lasciando andare Androl e indietreggiando. «Penso che Androl sia più brutto di così, M’Hael.»

Taim sbuffò, poi agitò una mano verso Androl. «Va abbastanza bene. Scompari dalla mia vista. Toma con la testa di Logain o non tornare affatto.»

Androl si allontanò in tutta fretta, con il respiro affannoso, sentendo gli occhi di Taim sulla schiena. Una volta allontanatosi abbastanza, si riparò dietro un cespuglio che non era bruciato del tutto e quasi inciampò sopra Pevara, Emarin e Jonneth che erano nascosti lì.

«Androl!» sussurrò Emarin. «Il tuo travestimento! Cos’è successo? Quello era Taim?»

Androl si sedette in modo scomposto, tentando di placare il suo cuore. Poi sollevò il borsello che aveva tolto dalla cintura di Taim mentre barcollava in piedi. «Era lui. Non ci crederete, ma…»


Arganda teneva in mano il pezzo di carta, in sella a Possente, tirando fuori la sua lista di codici dalla tasca. Quei Trolloc continuavano a lanciare frecce. Finora aveva evitato di essere colpito. Così come la Regina Alliandre, che ancora cavalcava con lui. Almeno era disposta a restare un po’ indietro con le riserve, dove era più protetta.

In aggiunta alla Legione del Drago e agli uomini delle Marche di Confine, la sua truppa, assieme alla Guardia del Lupo e ai Manti Bianchi, si era mossa verso valle dopo la battaglia alle rovine. Arganda aveva più fanteria degli altri ed era rimasto dietro di loro.

Avevano trovato parecchi scontri qui, con i Trolloc e gli Sharani nel letto asciutto del fiume che cercavano di circondare le armate dell’Andor. Arganda aveva combattuto qui per alcune ore adesso che il sole tramontava, portando le ombre. Aveva indietreggiato una volta ricevuto il messaggio, però.

«Che grafia dannatamente orribile» bofonchiò Arganda, passando in rassegna il piccolo elenco di codici e voltandolo verso una torcia. Gli ordini erano autentici. O quello, oppure qualcuno aveva decifrato il codice.

«Ebbene?» chiese Turne.

«Cauthon è vivo» disse Arganda con un grugnito.

«Dov’è?»

«Non lo so» disse Arganda, piegando il foglio e riponendo i codici. «Il messaggero ha detto che Cauthon ha aperto un passaggio di fronte a lui, gli ha gettato la lettera in faccia e gli ha ordinato di trovarmi.»

Arganda si voltò verso sud, scrutando tra le tenebre. In preparazione per la notte, i suoi uomini avevano portato dell’olio tramite passaggi e avevano dato fuoco a cataste di legna. Con quella luce, poteva vedere gli uomini dei Fiumi Gemelli diretti dalla sua parte, proprio come avevano detto gli ordini.

«Ehi, Tam al’Thor!» esclamò Arganda, alzando una mano. Non aveva visto il comandante da quando si erano separati dopo la battaglia alle rovine, ormai ore fa.

Gli uomini dei Fiumi Gemelli parevano spossati proprio come Arganda. Era stata una giornata lunga, lunghissima, e lo scontro non era affatto finito. Vorrei che Gallenne fosse qui, pensò Arganda, esaminando i Trolloc al fiume mentre gli uomini di al’Thor si avvicinavano. Mi farebbe comodo qualcuno con cui discutere.

Poco più a valle, urla e clangori risuonarono da dove le formazioni di picche andorane tenevano — a malapena — contro le ondate di Trolloc. Oramai questa battaglia si estendeva lungo tutto il Mora, quasi fino al Bozzo di Dashar. I suoi uomini avevano contribuito a impedire che gli Andorani venissero attaccati sul fianco.

«Che notizie, Arganda?» chiese Tam arrivando.

«Cauthon è vivo» disse Arganda. «E questo è dannatamente incredibile, considerando che qualcuno ha fatto esplodere il suo centro di comando, ha dato fuoco alla sua tenda, ha ucciso un mucchio delle sue damane e ha fatto scappare sua moglie. In qualche modo Cauthon è strisciato via da tutto questo.»

«Ah!» disse Abell Cauthon. «Questo è il mio ragazzo.»

«Mi ha detto che sareste venuti» continuò Arganda. «Ha detto che avreste avuto delle frecce. Le avete?»

Tam annuì. «I nostri ultimi ordini ci hanno mandato attraverso il passaggio per Mayene per essere Guariti e riequipaggiarci. Non so come facesse Mat a sapere che sarebbero arrivate le frecce, ma è giunto un carico dalle donne dei Fiumi Gemelli proprio quando ci stavamo preparando per tornare qui. Abbiamo degli archi lunghi che potete usare, se vi servono.»

«Certo. Cauthon vuole che tutte le truppe risalgano il fiume fino alle rovine, attraversino l’alveo e marcino in cima alle Alture dal lato nordest.»

«Non sono certo, ma suppongo che lui sappia cosa sta facendo» disse Tam.

Le loro forze risalirono il fiume nella notte, lasciandosi alle spalle Andorani, Cairhienesi e Aiel che combattevano! Il Creatore vi protegga, amici, pensò Arganda.

Attraversarono il letto del fiume asciutto e iniziarono a risalire per i pendii nordorientali. Sulla cima, a questa estremità delle Alture, era tranquillo, ma il bagliore di file di torce era evidente.

«Sarà arduo se quelli lassù sono Sharani» disse Tam piano, guardando su per il pendio buio.

«Il messaggio di Cauthon diceva che avremmo avuto aiuto» ribatté Arganda.

«Che genere di aiuto?»

«Non lo so. Non ha…»

Ci fu un rombo di tuono nelle vicinanze e Arganda trasalì. Si pensava che molti incanalatori stessero combattendo dall’altro lato delle Alture, ma non voleva dire che non ne avrebbe visto nessuno qui. Lui odiava quella sensazione, che un incanalatore poteva essere lì a osservarlo, deridendo se ucciderlo con fuoco, fulmine o terra.

Incanalatori. Il mondo sarebbe stato decisamente migliore senza di loro. Ma quel suono si rivelò non essere un tuono. Un gruppo di cavalieri al galoppo che portavano delle torce comparve dalla notte, attraversando il letto del fiume per unirsi ad Arganda e ai suoi uomini. Sventolavano la Gru Dorata al centro di uno schieramento di stendardi delle Marche di Confine.

«Be’, che io sia un dannato Trolloc» disse Arganda. «Voi delle Marche di Confine avete deriso di unirvi a noi?»

Lan Mandragoran gli rivolse il saluto alla luce delle torce, la spada argentea che scintillava. Guardò su per il pendio. «Dunque è qui che dobbiamo combattere.»

Arganda annuì.

«Bene» disse Lan piano dalla sella. «Ho appena ricevuto dei rapporti su un numeroso esercito sharano che si sta spostando verso nordest sulla sommità delle Alture. Mi sembra chiaro che vogliono calare e accerchiare la nostra gente che sta affrontando i Trolloc al fiume; allora saremmo circondati e alla loro mercé. Pare che sia compito nostro impedire che accada.»

Si voltò verso Tam. «Sei pronto per ammorbidirli per noi, arciere?»

«Penso che possiamo riuscirci» replicò Tam.

Lan annuì, poi alzò la spada. Un Malkieri al suo fianco sollevò in alto la Gru Dorata. E allora caricarono su per quel pendio. Verso di loro stava giungendo un enorme esercito nemico che si estendeva su ampie file per tutto il paesaggio, il cielo illuminato dalle migliaia di torce che portavano.

Tam al’Thor urlò ai suoi uomini di mettersi in fila e tirare. «Scagliate!» urlò Tam, mandando raffiche di frecce contro gli Sharani.

Poi quelli iniziarono a rispondere alle frecce, ora che la distanza tra i due eserciti era diminuita. Arganda supponeva che gli arcieri non sarebbero stati precisi al buio quanto potevano esserlo di giorno… Ma sarebbe valso per entrambi gli schieramenti.

Gli uomini dei Fiumi Gemelli scagliarono un’ondata di morte, frecce veloci quanto falconi in picchiata.

«Fermi!» urlò Tam ai suoi uomini. Smisero di tirare appena in tempo perché la cavalleria di Lan colpisse le linee sharane ammorbidite.

Dov’è che Tam ha acquisito la sua esperienza di battaglia? pensò Arganda, ricordando le volte in cui aveva visto Tam combattere. Arganda aveva conosciuto generali veterani con molta meno percezione di un campo di battaglia di questo pastore.

Gli uomini delle Marche di Confine ripiegarono, permettendo a Tam e ai suoi uomini di scagliare altre frecce. Tam fece un segnale ad Arganda.

«Andiamo!» urlò Arganda alla fanteria. «Tutte le compagnie, avanti!»

L’attacco a due tempi di arcieri e cavalleria pesante era poderoso, ma aveva un vantaggio limitato una volta che il nemico predisponeva le difese. Presto gli Sharani avrebbero organizzato un solido muro di lance e scudi per deviare i cavalieri, oppure gli arcieri avrebbero mirato su di loro. Era lì che entrava in gioco la fanteria.

Arganda sganciò la mazza — quegli Sharani indossavano cotta di maglia e cuoio — e la sollevò in alto, guidando i suoi uomini per le Alture, incontrando Sharani a metà strada mentre avanzavano per ingaggiarli. Le truppe di Tam erano Manti Bianchi, Ghealdani, la Guardia del Lupo di Perrin e le Guardie Alate di Mayene, ma si consideravano un unico esercito. Nemmeno sei mesi prima, Arganda avrebbe giurato sulla tomba di suo padre che uomini come questi non avrebbero mai combattuto assieme, tantomeno sarebbero venuti in soccorso gli uni degli altri come faceva la Guardia del Lupo quando i Manti Bianchi stavano venendo sopraffatti.

Si sentivano alcuni Trolloc ululare e iniziare ad avanzare accanto agli Sharani. Luce! Anche i Trolloc?

Arganda agitò la mazza fino a che gli bruciò il braccio, poi cambiò mano e continuò, rompendo ossa e frantumando mani e braccia finché il manto di Possente non fu punteggiato di sangue.

All’improvviso lampi di luce vennero lanciati dall’estremità opposta delle Alture verso gli Andorani in difesa lì sotto. Arganda lo notò a malapena, coinvolto com’era dallo scontro, ma qualcosa dentro di lui mugolò. Demandred doveva aver ripreso il suo attacco.

«Ho sconfitto tuo fratello, Lews Therin!» La voce rimbombò per il campo di battaglia, fragorosa come il crepitio di un tuono. «Ora sta morendo, dissanguando la sua mortalità!»

Arganda fece danzare indietro Possente, voltandosi mentre un Trolloc imponente con una faccia quasi umana spintonava via lo Sharano ferito accanto a lui e mugghiava. Del sangue colava da un taglio sulla spalla della creatura, ma non sembrava notarlo. Ruotò, vibrando un mazzafrusto con catene corte e la testa come un tronco ricoperto di chiodi.

Il mazzafrusto colpì il terreno proprio accanto a Possente, spaventando il cavallo. Mentre Arganda lottava per riprenderne il controllo, l’immenso Trolloc venne avanti e tirò un pugno con la sinistra, schiantando una mano enorme contro il lato della testa di Possente e facendo finire il cavallo a terra.

«Non ti importa nulla della carne della tua carne?» tuonò Demandred in lontananza. «Non provi alcun amore per l’uomo che ti ha chiamato fratello, Quest’uomo in bianco?»

La testa di Possente si era spaccata come un uovo. Le zampe del cavallo si dibattevano dagli spasmi. Arganda si trascinò in piedi. Non si ricordava di essere balzato via mentre il cavallo cadeva, ma il suo istinto lo aveva preservato. Purtroppo la sua rotolata lo aveva portato lontano dalle guardie, che combattevano per le proprie vite contro un gruppo di Sharani.

I suoi uomini stavano avanzando e gli Sharani venivano lentamente ricacciati indietro. Non ebbe il tempo di guardare, però. Quel Trolloc era su di lui. Arganda sollevò la mazza e lo sguardo verso la bestia torreggiante davanti a lui, che agitava il mazzafrusto sopra la testa nel calpestare il cavallo morente.

Arganda non si era mai sentito così piccolo.

«Codardo!» ruggì Demandred. «E ti definisci salvatore di questa terra? Io rivendico quel titolo! Affrontami! Devo uccidere questo tuo familiare per stanarti?»

Arganda prese un respiro profondo, poi balzò in avanti. Immaginava che fosse l’ultima cosa che il Trolloc avrebbe previsto. Infatti il colpo della bestia andò largo. Arganda mise a segno un colpo poderoso sul suo fianco, centrando con la mazza il bacino del Trolloc e frantumando ossa.

Poi quell’essere gli rifilò un manrovescio. Arganda vide bianco e i suoni della battaglia sbiadirono. Urla, trepestii, strepiti. Urla e strepiti. Strepiti e urla… Nulla.

Qualche tempo dopo — non sapeva quanto — si sentì sollevare. Il Trolloc? Sbatté le palpebre, intenzionato almeno a sputare in faccia al suo assassino, solo per ritrovarsi issato sulla sella dietro a Lan Mandragoran.

«Sono vivo?» disse Arganda. Un’ondata di dolore sul fianco sinistro lo informò che sì, in effetti lo era.

«Ne hai abbattuto uno bello grosso, Ghealdano» disse Lan, spronando il cavallo al galoppo verso le retrovie. Arganda notò che gli altri uomini delle Marche di Confine stavano cavalcando con loro. «Il Trolloc ti ha colpito nei suoi spasmi di morte. Pensavo fossi morto, ma non potevo venire a prenderti prima che li avessimo respinti. Saremmo stati in difficoltà se quell’altro esercito non avesse sorpreso gli Sharani.»

«L’altro esercito?» disse Arganda, strofinandosi il braccio.

«Cauthon aveva un esercito in attesa sul lato nordest delle Alture. A quanto pare, Fautori del Drago e una compagnia di cavalleria, probabilmente parte della Banda. Mentre ti stavi azzuffando con quel Trolloc, sono piombati sul fianco sinistro degli Sharani, mandandoli in pezzi. Gli occorrerà un bel po’ per riorganizzarsi.»

«Luce» disse Arganda, poi gemette. Riusciva a capire che il braccio sinistro era rotto. Be’, era vivo. Per ora era sufficiente. Guardò verso le linee del fronte dove i suoi soldati tenevano ancora la formazione. La Regina Alliandre cavalcava in mezzo a loro, avanti e indietro per le file, incoraggiandoli. Luce. Arganda desiderava che fosse stata disposta a servire all’ospedale di Mayene.

Al momento qui la situazione era tranquilla: gli Sharani erano stati colpiti con tanta forza che avevano dovuto ripiegare, lasciando un tratto di terreno sgombro tra gli eserciti contrapposti. Probabilmente non si erano aspettati un attacco tanto forte e improvviso.

Ma, un momento. Delle ombre si avvicinarono dalla destra di Arganda, sagome troppo grandi che arrivavano dall’oscurità. Altri Trolloc? Si fece forza contro il dolore. Aveva lasciato cadere la mazza, ma aveva ancora il coltello nello stivale. Non sarebbe andato giù senza… senza…

Ogier, si rese conto, sbattendo le palpebre. Questi non sono Trolloc. Sono Ogier. I Trolloc non avrebbero portato torce come facevano questi.

«Gloria ai Costruttori!» li chiamò a gran voce Lan. «Dunque facevate parte dell’esercito che Cauthon ha mandato ad attaccare il fianco degli Sharani. Dov’è? Vorrei scambiare qualche parola con lui!»

Uno degli Ogier proruppe in una risata fragorosa. «Non sei runico, Dai Shan! Cauthon non sta mai fermo, come uno scoiattolo a caccia di noci nel sottobosco. Un momento è qui, il momento dopo non c’è più. Devo riferirti che dobbiamo impedire a questi Sharani di avanzare, a tutti i costi.»

Altra luce balenò dal lato opposto delle Alture. Lì si battevano Aes Sedai e Sharani. Cauthon stava cercando di intrappolare le forze dell’Ombra. Arganda mise da parte il dolore, cercando di pensare.

E Demandred? Arganda ora poté vedere un’altra scia di distruzione lanciata dal Reietto. Incenerì i difensori dall’altra parte del fiume. Le formazioni di picche avevano cominciato a frantumarsi, ogni scarica di luce ne uccideva a centinaia.

«Incanalatori sharani in lontananza su un lato» borbottò Arganda «e uno dei Reietti sull’altro! Luce! Non mi ero reso conto di quanti Trolloc c’erano. Sono inesauribili.» Li poteva vedere adesso, ad affrontare le truppe di Elayne; scariche dell’Unico Potere mostravano migliaia di essi laggiù in lontananza. «Siamo finiti, vero?»

Il volto di Lan rifletteva la luce delle torce. Occhi come ardesia, faccia di granito. Non corresse Arganda.

«Cosa faremo?» disse Arganda. «Per vincere… Luce, per vincere avremmo bisogno di spezzare questi Sharani, salvare i picchieri — presto saranno circondati dai Trolloc — e ognuno dei nostri dovrà uccidere almeno cinque di quelle bestie! E questo senza nemmeno contare Demandred.»

Nessuna risposta da Lan.

«Siamo condannati» disse Arganda.

«Se è così,» disse Lan «teniamo terreno quassù e combattiamo finché non moriamo, Ghealdano. Ti arrendi quando sei morto. A molti uomini è stato concesso meno.»


I fili delle possibilità si opponevano a Rand mentre li ordiva assieme nel mondo che immaginava. Non sapeva cosa volesse dire. Forse quello che lui pretendeva era altamente improbabile. Questa cosa che faceva, usare i fili per mostrare ciò che poteva essere, era più di semplice illusione. Comportava guardare a mondi che erano stati prima, mondi che potevano essere di nuovo. Specchi della realtà in cui viveva.

Lui non creava questi mondi. Si limitava a… manifestarli. Costrinse i fili ad aprire la realtà che pretendeva e finalmente obbedirono. Un’ultima volta, l’oscurità divenne luce e il nulla divenne qualcosa.

Entrò in un mondo che non conosceva il Tenebroso.

Scelse Caemlyn come punto di ingresso. Forse perché il Tenebroso aveva usato quel posto nella sua ultima creazione e Rand voleva dimostrare a sé stesso che quella visione tremenda non era inevitabile. Aveva bisogno di vedere di nuovo quella città, ma incontaminata.

Percorse la strada davanti al palazzo, prendendo un respiro profondo. Gli alberi di burrinella erano in fiore, i boccioli giallo brillante che fuoriuscivano dai giardini e pendevano sopra le mura del cortile. Lì dentro giocavano dei bambini, gettando in aria i petali.

Nemmeno una nuvola guastava il cielo luminoso. Rand alzò lo sguardo, sollevando le braccia, e uscì da sotto i rami in fiore alla luce del sole, calda e intensa. Non c’era nessuna guardia all’ingresso del palazzo, solo un gentile servitore che rispondeva alle domande di alcuni visitatori.

Rand avanzò, i piedi che lasciavano tracce tra i petali dorati mentre si avvicinava all’entrata. Una bambina venne verso di lui e Rand si fermò, sorridendole.

Lei gli si avvicinò, allungando la mano per toccare la spada che Rand portava alla cintura. La bimba pareva confusa. «Cos’è?» chiese lei, alzando lo sguardo con occhi sgranati.

«Un cimelio» sussurrò Rand.

La ragazzina voltò la testa nel sentire le risate degli altri bambini e si allontanò, ridacchiando mentre uno di loro gettava una manciata di petali in aria.

Rand proseguì.

Questa è perfezione per te? La voce del Tenebroso pareva distante. Poteva penetrare questa realtà per parlare a Rand, ma non riusciva ad apparire come aveva fatto nelle altre visioni. Questo posto era la sua antitesi.

Poiché era il mondo che sarebbe esistito se Rand l’avesse ucciso nell’Ultima Battaglia.

«Vieni a vedere» gli disse Rand, sorridendo.

Nessuna risposta. Se il Tenebroso avesse permesso di lasciarsi attirare troppo pienamente in questa realtà, avrebbe cessato di esistere. In questo posto, era morto.

Tutte le cose giravano e tornavano. Quello era il significato della Ruota del Tempo. Qual era lo scopo di vincere un’unica battaglia contro il Tenebroso solo per sapere che sarebbe tornato? Rand poteva fare di più. Poteva fare questo.

«Gradirei vedere la Regina» chiese Rand al servitore alle porte del palazzo. «È qui?»

«Dovresti trovarla nei giardini, giovane signore» disse la guida. Guardò la spada di Rand, ma per curiosità, non con preoccupazione. In questo mondo, gli uomini non potevano concepire che uno volesse fare del male a un altro. Non accadeva.

«Grazie» disse Rand, entrando nel palazzo. I corridoi erano familiari, eppure differenti. Caemlyn era stata quasi rasa al suolo durante l’Ultima Battaglia, il palazzo bruciato. La ricostruzione assomigliava a quello che c’era stato prima, ma non del tutto.

Rand percorse i corridoi. Qualcosa lo preoccupava, un malessere in fondo alla mente. Cos’era…

Non restare intrappolato qui, si disse. Non compiacerti troppo.

Questo mondo non era reale, non del tutto. Non ancora.

Poteva trattarsi di un piano del Tenebroso? Indurre con l’inganno Rand a creare un paradiso per sé stesso, solo per entrarvi e restare intrappolato mentre l’Ultima Battaglia infuriava? La gente stava morendo mentre loro lottavano.

Doveva ricordarselo. Non poteva lasciare che questa fantasia lo consumasse. Era difficile ricordarselo mentre entrava nella galleria, un lungo corridoio fiancheggiato da quelle che parevano finestre. Solo che quelle finestre non davano su Caemlyn. Questi nuovi portali di vetro permettevano a una persona di vedere altri luoghi, come un passaggio permanente.

Rand superò uno che guardava dentro una baia sommersa, con pesci variopinti che schizzavano da una parte all’altra. Un altro offriva una vista di un prato pacifico in alto sulle Montagne di Nebbia. Fiori rossi spuntavano tra il verde, come macchioline di vernice sparpagliate sul pavimento dopo una giornata di lavoro di un imbianchino.

Sull’altra parete, le finestre davano sulle grandi ritta del mondo. Rand superò Tear, dove la Pietra adesso era un museo per i giorni dell’Epoca Terza, con i Difensori come suoi curatori. Nessuno di questa generazione aveva mai portato un’arma, ed erano confusi dalle storie che narravano che i loro nonni avevano combattuto. Un’altra mostrava le Sette Torri di Malkier, ricostruite solide, ma come monumento, non come fortificazione. La Macchia era scomparsa alla morte del Tenebroso e la Progenie dell’Ombra era caduta all’istante. Come se il Tenebroso fosse stato collegato con tutti quanti, come un Fade che comandava un manipolo di Trolloc.

Le porte non avevano serrature. La moneta era un’eccentricità quasi dimenticata. Gli incanalatori aiutavano a creare cibo per tutti. Rand superò una finestra per Tar Valon, dove le Aes Sedai Guarivano chiunque venisse e creavano passaggi per riunire le persone che si volevano bene. Ognuno aveva tutto ciò di cui aveva bisogno.

Rand esitò accanto alla finestra successiva. Guardava sul Rhuidean. Questa città era mai stata in un luogo desolato? Il Deserto era rigoglioso, da Shara a Cairhien. E qui, attraverso la finestra, Rand vide i Campi di Chora: una foresta di piante circondava la favoleggiata città. Anche se non poteva sentire le parole, vedeva gli Aiel cantare.

Niente più armi. Niente più lance da far danzare. Ancora una volta, gli Aiel erano un popolo di pace.

Proseguì. Bandar Eban, Ebou Dar, le terre dei Seanchan, Shara. Ogni nazione era rappresentata, anche se di questi tempi la gente non prestava molta attenzione ai confini. Un altro cimelio. A chi importava chi vivesse in quale nazione, e perché qualcuno avrebbe cercato di ‘possedere’ della terra? Ce n’era abbastanza per tutti. La fioritura del Deserto aveva aperto spazio per nuove città, nuove meraviglie. Molte delle finestre che Rand superava guardavano su luoghi che lui non conosceva, anche se era lieto di vedere che i Fiumi Gemelli apparivano così maestosi, quasi come il Manetheren tornato a nuova vita.

L’ultima finestra lo fece esitare. Dava su una valle in quelle che un tempo erano state le Terre Inaridite. Una lastra di pietra, dove molto tempo prima era stato bruciato un corpo, se ne stava lì da sola. Ricoperta da vita vegetale: rampicanti, erba, fiori. Un ragno peloso delle dimensioni della mano di un bambino si mosse rapido sulle pietre.

La tomba di Rand. Il luogo dove il suo corpo era stato bruciato dopo l’Ultima Battaglia. Indugiò parecchio a quella finestra prima di costringersi finalmente a procedere, lasciando la galleria e dirigendosi verso i giardini del palazzo. I servitori erano disponibili ogni volta che parlava con loro. Nessuno gli chiedeva perché volesse vedere la Regina.

Rand supponeva che, quando l’avesse trovata, sarebbe stata circondata di gente. Se chiunque poteva vedere la Regina, quello non avrebbe richiesto tutto il suo tempo? Eppure, quando si avvicinò a lei, seduta nei giardini sotto i rami dell’albero di chora del palazzo, era sola.

Questo era un mondo senza preoccupazioni. Un mondo in cui la gente risolveva facilmente i problemi. Un mondo di doni, non di dispute. Che bisogno avrebbero avuto le persone della Regina?

Elayne era bellissima come l’aveva vista l’ultima volta che si erano separati. Non era più incinta, naturalmente. Erano passati cent’anni dall’Ultima Battaglia. Non sembrava invecchiata di un giorno.

Rand le si avvicinò, lanciando un’occhiata al muro del giardino da cui un tempo era caduto, ruzzolando per incontrarla la prima volta. Questi giardini erano molto differenti, ma quel muro rimaneva. Aveva resistito alla devastazione di Caemlyn e all’avvento di una nuova Epoca.

Elayne lo guardò dalla panca. Sgranò immediatamente gli occhi e si portò la mano alla bocca. «Rand?»

Lui fissò lo sguardo su di lei, la mano posata sul pomello della spada di Laman. Una postura formale. Perché l’aveva assunta?

Elayne sorrise. «È uno scherzo? Figlia, dove sei? Hai usato la Maschera degli Specchi per prenderti gioco di me di nuovo?»

«Non è un trucco, Elayne» disse Rand, mettendosi in ginocchio davanti a lei affinché le loro teste fossero sullo stesso piano. La guardò negli occhi.

C’era qualcosa che non andava.

«Oh! Ma come può essere?» chiese lei.

Quella non era Elayne… Vero? Il tono sembrava diverso, gli atteggiamenti sbagliati. Poteva essere cambiata così tanto? Erano passati cent’anni.

«Elayne?» chiese Rand. «Cosa ti è successo?»

«Successo? Be’, nulla! La giornata è stupenda, meravigliosa. Bella e pacifica. Quanto mi piace starmene seduta nei miei giardini a godermi la luce del sole.»

Rand si accigliò. Quel tono affettato, quella reazione scialba… Elayne non era mai stata così.

«Dovremo preparare un banchetto!» esclamò Elayne, battendo le mani. «Inviterò Aviendha! È la sua settimana libera dal canto, anche se probabilmente sta lavorando all’asilo. Di solito fa la volontaria lì.»

«Asilo?»

«Nel Rhuidean» disse Elayne. «A tutti piace così tanto giocare con i bambini, sia lì che qui. C’è una grande competizione per prendersi cura dei bambini! Ma comprendiamo la necessità di fare dei turni.»

Aviendha. Che si occupava di bambini e cantava agli alberi di chora. Non c’era nulla di sbagliato in quello, in effetti. Perché non le sarebbero dovute piacere attività del genere?

Ma era anche sbagliato. Rand pensava che Aviendha sarebbe stata una madre magnifica, ma immaginarla tutto il giorno a giocare con i bambini di altre persone…

Rand guardò Elayne negli occhi, vi guardò in profondità. Un’ombra era in agguato lì, dietro di essi. Oh, era un’ombra innocente, ma comunque un’ombra. Era come… Come quella…

Come quell’ombra dietro gli occhi di qualcuno che era stato Convertito al Tenebroso.

Rand balzò in piedi e barcollò all’indietro. «Cos’hai fatto qui?» urlò rivolto al cielo. «Shai’tan! Rispondimi!»

Elayne inclinò il capo. Non aveva paura. In questo posto la paura non esisteva. «Shai’tan? Giuro che ricordo quel nome. È passato così tanto tempo. Sono un po’ smemorata, a volte.»

«Shai’tan!» tuonò Rand.

Io non ho fatto nulla, avversario. La voce era distante. Questa è una tua creazione.

«Sciocchezze!» disse Rand. «Tu l’hai cambiata! Li hai cambiati tutti!»

Pensavi che togliermi dalle loro vite li avrebbe lasciati inalterati?

Le parole tuonarono attraverso Rand. Esterrefatto, si allontanò mentre Elayne si alzava, evidentemente preoccupata per lui. Sì, ora la vedeva, la cosa dietro i suoi occhi. Non era sé stessa… Perché Rand le aveva sottratto la capacità di essere sé stessa. Converto gli uomini a me, disse Shai’tan. È vero. Non possono scegliere il bene una volta che li ho resi miei a quella maniera. In che modo questo è diverso, avversario?

Se fai questo, siamo la stessa cosa.

«No!» urlò Rand, tenendosi la testa con la mano e cadendo in ginocchio. «No! Il mondo sarebbe perfetto senza di te!»

Perfetto. Immutabile. Rovinato. Fa’ questo, se desideri, avversario. Nell’uccidermi, io vincerei.

Qualunque cosa tu faccia, io vincerò.

Rand urlò, raggomitolandosi mentre l’attacco successivo del Tenebroso lo investiva. L’incubo che Rand aveva creato esplose all’infuori, nastri di luce schizzavano via come scie di fumo.

Non puoi salvarli.

Il Disegno — brillante, vivido — si avvolse di nuovo attorno a Rand. Il vero Disegno. La verità di ciò che stava avvenendo. Creando la sua visione di un mondo senza il Tenebroso, aveva generato qualcosa di orribile. Qualcosa di tremendo. Qualcosa di peggio di ciò che c’era stato prima.

Tenebroso attaccò di nuovo.


Mat indietreggiò dal combattimento, appoggiando l’ashandarei sulla spalla. Karede aveva preteso l’opportunità di combattere: quanto più disperata la situazione, tanto meglio. Bene, quell’uomo doveva essere dannatamente contento. Doveva ballare e ridere! Aveva realizzato il suo desiderio. Luce, era proprio così.

Mat si sedette su un Trolloc morto, l’unico sedile disponibile, e bevette a fondo dal suo otre. Aveva il polso della battaglia, il suo ritmo. Il battito che suonava era desolato. Demandred era scaltro. Non aveva abboccato all’esca di Mat al guado, dove aveva schierato un esercito più piccolo. Demandred aveva mandato lì i Trolloc, ma aveva tenuto indietro i suoi Sharani. Se Demandred avesse abbandonato le Alture per attaccare l’esercito di Elayne, Mat avrebbe invaso con le sue armate la sommità delle Alture da ovest e da nordest per distruggere l’Ombra da dietro. Ora Demandred stava cercando di far arrivare le truppe dietro quelle di Elayne, e Mat lo aveva fermato, per il momento. Ma quanto poteva resistere?

Le Aes Sedai non stavano andando bene. Gli incanalatori sharani stavano vincendo. Fortuna, pensò Mat. Avremo parecchio bisogno di te oggi. Non abbandonarmi ora.

Quella sarebbe stata una fine adeguata per Matrim Cauthon. Al Disegno piaceva ridergli in faccia. All’improvviso vide il suo grande scherzo: offrirgli fortuna quando non significava nulla, poi togliergliela tutta quando aveva davvero importanza.

Sangue e dannate ceneri, pensò Mat, mettendo via l’otre vuoto, vedendo solo grazie alla torcia che portava Karede. Mat non riusciva a percepire la sua fortuna in quel momento. A volte succedeva. Non sapeva se fosse con lui o no.

Be’, se non potevano avere un Matrim Cauthon fortunato, almeno avrebbero avuto un Matrim Cauthon ostinato. Lui non aveva intenzione di morire quest’oggi. C’erano ancora balli da fare; c’erano ancora canzoni da cantare e donne da baciare. Una donna, almeno.

Si alzò e si unì di nuovo a Sorveglianti della Morte, Ogier, esercito di Tam, Banda e uomini delle Marche di Confine: tutti quelli che aveva messo quassù. La battaglia era ricominciata, e combattevano duramente, perfino spingendo gli Sharani indietro di un paio di centinaia di passi. Ma Demandred aveva capito cosa stava facendo e aveva cominciato a mandare i Trolloc al fiume su per il pendio per unirsi alla mischia. Era il pendio più ripido — più difficile da risalire — ma Demandred sapeva di dover incalzare Mat.

I Trolloc erano un pericolo reale. Quelli al fiume potenzialmente erano abbastanza numerosi da circondare Elayne e farsi strada combattendo su fino alle Alture. Se uno qualunque degli eserciti di Mat si fosse spezzato, lui sarebbe finito.

Be’, Mat aveva tirato i dadi e inviato i suoi ordini. Non c’era altro da fare che combattere, sanguinare e sperare.

Un getto di luce, come fuoco liquido, avvampò dal lato occidentale delle Alture. Gocce ardenti di pietra fusa caddero per l’aria buia. Sulle prime, Mat pensò che Demandred avesse deciso di attaccare da quella direzione, ma il Reietto era ancora concentrato a distruggere gli Andorani.

Un altro lampo di luce. Proveniva da dove combattevano le Aes Sedai. Attraverso il buio e il fumo, Mat fu certo di vedere Sharani fuggire per le Alture, da ovest a est. Mat si ritrovò a sorridere.

«Guarda» disse, dando una pacca sulla spalla a Karede e attirando l’attenzione dell’uomo.

«Che cos’è?»

«Non lo so» disse Mat. «Ma sta dando fuoco agli Sharani, perciò sono quasi certo che mi piace. Continuate a combattere!» Guidò Karede e gli altri in un’altra carica contro i soldati sharani.


Olver camminava ingobbito sotto il fagotto di frecce legato sulla sua schiena. Dovevano avere un peso reale; lui aveva insistito. Cosa sarebbe successo se una delle persone dell’Ombra avesse ispezionato le merci e avesse scoperto che il suo pacco aveva della stoffa leggera nel mezzo?

Non c’era bisogno che Setalle e Faile continuassero a guardarlo come se potesse spezzarsi da un momento all’altro. Il fagotto non era così pesante. Naturalmente questo non gli avrebbe impedito di spremere un po’ di solidarietà da Setalle una volta tornati. Gli occorreva esercitarsi a fare cose del genere, oppure sarebbe finito senza speranza come Mat.

La loro fila proseguì verso il deposito di rifornimenti nelle Terre Inaridite, e mentre lo faceva lui ammise a sé stesso che non gli sarebbe dispiaciuto un pacco che fosse un poco più leggero. Non perché si stava stancando. Come avrebbe potuto combattere se ce ne fosse stato bisogno? Avrebbe dovuto lasciar cadere il pacco rapidamente e non sembrava il tipo di pacco che permetteva a una persona di fare qualunque cosa rapidamente. I suoi piedi erano coperti di polvere grigia. Niente scarpe, e ora i suoi abiti non sarebbero serviti nemmeno per degli stracci. In precedenza, Faile e la Banda avevano attaccato una delle patetiche carovane dirette verso il deposito di rifornimenti dell’Ombra. Non era stato un granché come combattimento: solo tre Amici delle Tenebre e un mercante untuoso a guardia di una fila di prigionieri spossati e malnutriti.

Molte delle loro provviste recavano il marchio di Kandor, un cavallo rosso. In effetti, molti di quei prigionieri erano stati Kandori. Faile aveva offerto loro la libertà, mandandoli a sud, ma solo la metà erano andati. Gli altri avevano insistito per unirsi a lei e marciare verso l’Ultima Battaglia, anche se Olver aveva visto mendicanti per le strade con molta più carne addosso di questi tizi. Tuttavia contribuivano a rendere autentica la fila di Faile.

Quello era importante. Olver lanciò un’occhiata verso l’alto mentre si avvicinavano al deposito di rifornimenti, il sentiero fiancheggiato da torce nella notte fredda. Da un lato si trovavano diversi di quegli Aiel con i veli rossi, a osservare la fila passare. Olver abbassò di nuovo lo sguardo, temendo che vedessero il suo odio. Lui sapeva che non ci si poteva fidare degli Aiel.

Un paio di guardie — non Aiel, ma altri Amici delle Tenebre — gridarono alla fila di fermarsi. Aravine avanzò, con indosso gli abiti del mercante che avevano ucciso. Faile era evidentemente Saldaeana, ed era stato deciso che era troppo peculiare per recitare la parte di una commerciante Amica delle Tenebre.

«Dove sono le vostre guardie?» chiese il soldato. «Questa è la carovana di Lifa, giusto? Cos’è successo?»

«Quegli sciocchi!» disse Aravine, poi sputò da una parte. Olver nascose un sorriso. Aravine cambiò completamente espressione. Sapeva come recitare. «Sono morti dove li ho lasciati! Ho detto loro di non andare in giro di notte. Non so cosa abbia preso quei tre, ma li abbiamo trovati al bordo del campo, gonfi, con la pelle nera.» Parve nauseata. «Penso che qualcosa abbia deposto delle uova nei loro stomaci svuotati. Non volevamo scoprire cosa sarebbe venuto fuori.»

Il soldato grugnì. «E tu sei?»

«Pansai» disse Aravine. «Socia in affari di Lifa.»

«Da quando in qua Lifa ha una soda in affari?»

«Da quando l’ho pugnalata e mi sono presa la sua carovana.»

Le informazioni che avevano su Lifa erano venute dai prigionieri liberati. Erano poche. Olver si accorse che stava sudando. La guardia scoccò una lunga occhiata ad Aravine, poi cominciò a camminare lungo la fila di persone. I soldati di Faile erano mischiati tra i prigionieri kandori. Cercavano di fare del loro meglio per tenere la postura giusta.

«Tu, donna» disse la guardia, indicando Faile. «Una Saldaeana, eh?» Rise. «Ho sempre pensato che una donna Saldaeana ucciderebbe un uomo prima di lasciare che lui la prenda prigioniera.» Diede uno spintone sulla spalla a Faile.

Olver trattenne il fiato. Oh, sangue e dannate ceneri! Lady Faile non sarebbe stata in grado di sopportarlo. La guardia stava osservando i prigionieri per vedere se fossero davvero pesti o no! La postura di Faile e il suo atteggiamento l’avrebbero tradita. Lei era nobile e…

Faile si ingobbì, diventando piccola, e frignò una risposta che Olver non riuscì a sentire.

Olver rimase a bocca aperta, poi si costrinse a chiuderla e abbassò lo sguardo a terra. Come? Come aveva fatto una signora come Lady Faile a imparare a comportarsi come una serva?

La guardia bofonchiò. «Andate avanti» disse, facendo cenno ad Aravine. «Aspettate lì finché non vi mandiamo a chiamare.»

Il gruppo si spostò lì vicino dove Aravine ordinò a tutti di sedersi. Lei rimase in piedi da un lato, le braccia incrociate, tamburellando un piede mentre aspettava. Il tuono rombò e Olver provò uno strano gelo. Alzò lo sguardo e si ritrovò davanti il volto senza occhi di un Myrddraal.

Olver fu attraversato da un tremito, come se fosse stato gettato in un lago ghiacciato. Non riusciva a respirare. Il Myrddraal pareva scivolare mentre si muoveva, il mantello immobile e morto, mentre radunava il gruppo. Dopo un momento terribile, proseguì, diretto verso il campo di rifornimenti.

«Cercava incanalatori» bisbigliò Faile a Mandevwin.

«La Luce ci aiuti» le sussurrò lui di rimando.

Quell’attesa era quasi insopportabile. Alla fine, una donna grassoccia in abiti bianchi si avvicinò e intessé un passaggio. Olver si unì alla fila, camminando vicino a Faile, e passarono dalla terra con il suolo rosso e aria fredda a un luogo che dall’odore pareva in fiamme.

Entrarono in un accampamento malandato pieno di Trolloc. Diversi grossi pentoloni bollivano lì vicino. Appena dietro il campo, un pendio conduceva bruscamente a qualche tipo di grosso altopiano. Dalla sommità si levavano colonne di fumo, e da lì e da qualche parte alla sinistra di Olver si potevano sentire suoni di combattimento. Voltandosi dal pendio, il ragazzo vide il contorno scuro di una montagna alta e stretta in lontananza, che si sollevava dalla pianura piatta come una candela in mezzo a un tavolo.

Tornò a guardare il pendio dietro l’accampamento e il suo cuore sobbalzò. Un corpo stava precipitando giù dalla cima del pendio, ancora tenendo stretto in mano uno stendardo… Uno stendardo su cui campeggiava una grande mano rossa. La Banda della Mano Rossa! L’uomo e lo stendardo caddero tra un gruppo di Trolloc che mangiavano pezzi di carne sfrigolante attorno a un fuoco. Volarono scintille in tutte le direzioni e le bestie adirate strattonarono via l’intruso dalle fiamme, ma l’uomo aveva superato da un pezzo il punto in cui gli importava cosa gli avrebbero fatto.

«Faile!» sussurrò.

«Lo vedo.» Il suo involto nascondeva il sacco con il Corno.

Aggiunse, quasi sussurrando: «Luce. Come faremo a raggiungere Mat?»

Si spostarono di lato mentre il resto del gruppo arrivava attraverso il passaggio. Avevano delle spade, ma le portavano infagottate come frecce in pacchi sulle schiene di alcuni degli uomini, come rifornimenti per il campo di battaglia.

«Sangue e ceneri» sussurrò Mandevwin, unendosi a loro due. Da un recinto vicino, dei prigionieri piagnucolavano. «Forse ci metteranno lì dentro? Potremmo sgattaiolare fuori nella notte.»

Faile scosse il capo. «Ci toglieranno i fagotti. Ci lasceranno disarmati.»

«Allora cosa facciamo?» chiese Mandevwin, lanciando un’occhiata di lato mentre passava un gruppo di Trolloc, trascinando cadaveri raccolti dalle prime linee. «Iniziamo a combattere? Speriamo che Lord Mat ci veda e ci mandi aiuto?»

Olver non confidava molto in quel piano. Voleva combattere, ma quei Trolloc erano grossi. Uno passò lì vicino e girò dalla sua parte la testa da lupo. Occhi che sarebbero potuti appartenere a un uomo lo squadrarono dall’alto in basso, come affamati.

Olver indietreggiò, poi allungò una mano verso il fagotto, dove aveva nascosto il coltello.

«Correremo» mormorò Faile una volta passato il Trolloc. «Ci sparpaglieremo in una dozzina di direzioni diverse e, nel farlo, cercheremo di disorientarli. Forse alcuni scapperanno.» Si accigliò. «Cos’è che sta ritardando Aravine?»

Quasi mentre lo diceva, Aravine attraversò il passaggio. La donna in bianco che aveva incanalato la seguì, poi Aravine indicò Faile.

Faile fu strattonata in aria. Olver rimase senza fiato, e Mandevwin imprecò, gettando a terra il fagotto e frugando in cerca della spada mentre Arrela e Selande urlavano. Tutti e tre furono scagliati in aria da flussi pochi istanti dopo, e Aiel con veli rossi corsero attraverso il passaggio, le armi sfoderate.

Seguì il pandemonio. Alcuni soldati di Faile caddero mentre cercavano di opporsi usando solo i pugni. Olver si tuffò a terra, cercando il coltello, ma quando riuscì a mettere la mano sull’impugnatura la schermaglia era terminata. Gli altri erano stati tutti sopraffatti o legati in aria.

Così rapido! pensò Olver con disperazione. Perché nessuno lo aveva avvertito che i combattimenti avvenivano così in fretta?

Parevano essersi dimenticati di lui, ma non sapeva cosa fare.

Aravine si diresse verso Faile, ancora sospesa in aria. Cosa stava succedendo? Aravine… Lei li aveva traditi?

«Sono spiacente, mia signora» disse Aravine a Faile. Olver riusciva a malapena a sentire. Nessuno gli prestava attenzione; gli Aiel tenevano d’occhio i soldati, spintonandoli in un gruppo per essere sorvegliati. Diversi dei loro giacevano sanguinanti a terra.

Faile si dibatté in aria, il volto sempre più rosso per gli sforzi. Era evidente che era stata imbavagliata. Faile non sarebbe mai rimasta in silenzio in un momento come questo.

Aravine slegò la borsa del Corno dalla schiena di Faile, poi guardò dentro. Sgranò gli occhi. Strinse per bene il sacco in cima e lo tenne chiuso. «Avevo sperato» sussurrò a Faile «di lasciarmi alle spalle la mia vecchia vita. Di ricominciare da capo. Pensavo di potermi nascondere o di essere dimenticata, che sarei potuta tornare alla Luce. Ma il Sommo Signore non dimentica, e non ci si può nascondere lui. Mi hanno trovato la notte stessa in cui abbiamo raggiunto l’Andor. Non era mia intenzione, ma è ciò che devo fare.»

Aravine si voltò. «Un cavallo!» gridò. «Consegnerò questo pacco a Lord Demandred in persona, come mi è stato ordinato.»

La donna in bianco le si accostò e le due cominciarono a discutere in toni sommessi. Olver si guardò attorno. Nessuno stava badando a lui.

Le sue dita iniziarono a tremolare. Sapeva che i Trolloc erano grossi e che erano orrendi. Ma… queste cose erano incubi. Incubi tutt’attorno. Oh, Luce!

Cos’avrebbe fatto Mat?

«Dovie’andi se tovya sagain» sussurrò Olver, sfoderando il coltello. Con un urlo, si avventò contro la donna in bianco e le conficcò il coltello nelle reni.

Lei urlò. Faile cadde a terra, libera dai lacci di Aria. E poi, all’improvviso, i recinti dei prigionieri si aprirono e un gruppo di uomini urlanti si precipitarono verso la libertà.


«Sollevala più in alto!» urlò Doesine. «Più in fretta, dannazione!»

Leane obbedì, intessendo Terra con le altre sorelle. La terra tremava di fronte a loro, cedendo e afflosciandosi come un tappeto piegato. Terminarono, poi usarono la montagnola come copertura mentre da sopra il pendio pioveva fuoco.

Doesine era a capo di quel gruppo eterogeneo. Circa una dozzina di Aes Sedai, una manciata di Custodi e soldati. Gli uomini tenevano strette le armi, ma ultimamente si erano rivelate efficaci quanto delle pagnotte. Il Potere crepitava e sfrigolava nell’aria. Il bastione improvvisato fu scosso da un tonfo quando gli Sharani lo bersagliarono di fuoco.

Leane sbirciò sopra le difese, tenendo stretto l’Unico Potere. Si era ristabilita dal suo incontro con il Reietto Demandred. Era stata un’esperienza che l’aveva scombussolata: era stata totalmente in suo potere e la sua vita poteva essere spenta in un attimo. Era stata anche innervosita dall’intensità delle sue farneticazioni; il suo odio per il Drago Rinato era diverso da qualunque cosa avesse mai visto.

Un gruppo di Sharani scese lungo il pendio e assieme mandarono flussi contro la fortificazione improvvisata. Leane recise un flusso in volo, lavorando come un chirurgo che tagliava via carne incancrenita. Leane adesso era molto più debole di un tempo nell’Unico Potere.

Doveva essere più efficiente con i flussi. Era notevole quello che una donna poteva ottenere con meno.

Il bastione esplose.

Leane si gettò da una parte mentre piovevano zolle di terreno. Rotolò tra volute di fumo, tossendo e aggrappandosi a saidar. Erano quegli uomini sharani! Lei non poteva vedere i loro flussi. Si rialzò, il vestito sbrindellato dall’esplosione e le braccia segnate da graffi. Colse un accenno di blu che spuntava da un solco lì accanto. Doesine. Si precipitò da lei.

Lì trovò il corpo. Non la testa, però.

Leane provò un senso di perdita e sofferenza immediato e quasi soverchiante. Lei e Doesine non erano mai state vicine, ma avevano combattuto assieme qui. Tutto questo stava spossando Leane: la perdita, la distruzione. Quanto ancora potevano sopportare? Quanti altri avrebbe dovuto veder morire?

Si fece forza con difficoltà. Luce, era un disastro. Avevano previsto Signori del Terrore nemici, ma c’erano centinaia e centinaia di Sharani. Incanalatori numerosi quanto la popolazione di uno Stato, tutti addestrati alla guerra. Il campo di battaglia era disseminato di vividi pezzi di colore: Aes Sedai cadute. I loro Custodi caricarono su per il versante della collina, urlando di rabbia per la perdita delle Aes Sedai mentre venivano abbattuti da scariche del Potere.

Leane si precipitò verso il punto dove un gruppo di Rosse e Verdi combattevano da un posto scavato nel terreno sul pendio occidentale. Il terreno le proteggeva, per ora, ma per quanto potevano resistere quelle donne?

Tuttavia si sentì orgogliosa. Pure in inferiorità numerica e di forze, le Aes Sedai continuavano a combattere. Era completamente diverso dalla notte in cui i Seanchan avevano attaccato, quando una Torre divisa si era spezzata dall’interno. Queste donne restavano salde; ogni volta che un drappello di loro veniva sparpagliato, si raggruppavano di nuovo e continuavano a combattere. Fuoco cadeva dall’alto, ma quasi altrettanto volava indietro, e fulmini colpivano ciascuno schieramento.

Leane si diresse con cautela dal gruppo, unendosi a Raechin Connoral, che era accucciata accanto a un macigno mentre lanciava flussi di Fuoco verso gli Sharani che avanzavano. Leane controllò i flussi avversari, poi ne deviò uno con un rapido flusso di Acqua, spegnendo la palla di fuoco in minuscole scintille.

Raechin le rivolse un cenno con il capo. «E io che pensavo fossi utile solo per fare gli occhi dolci agli uomini.»

«L’arte domanese è ottenere quello che vuoi, Raechin,» disse Leane in tono freddo «con il minor sforzo possibile.»

Raechin sbuffò e lanciò alcune palle di fuoco verso gli Sharani. «Dovrei chiederti consiglio su quello, qualche volta» disse. «Se esiste davvero un modo per far sì che gli uomini agiscano come vuoi, gradirei proprio conoscerlo.»

Quell’idea era così assurda che per poco Leane non scoppiò a ridere, malgrado le terribili circostanze. Una Rossa? Che si metteva trucchi e belletti e imparava le arti domanesi della manipolazione? Be’, perché no? pensò Leane, abbattendo un’altra palla di fuoco. Il mondo stava cambiando e le Ajah — anche se poco a poco — stavano cambiando con esso.

La resistenza delle sorelle stava attirando l’attenzione di altri incanalatori sharani. «Dovremo abbandonare presto questa posizione» disse Raechin.

Leane si limitò ad annuire.

«Quegli Sharani…» ringhiò la Rossa. «Guarda!»

Leane rimase senza fiato. Molte delle truppe sharane in questo settore prima si erano ritirate dal combattimento — qualcosa pareva averle attirate via — ma gli incanalato le avevano rimpiazzate con un grosso gruppo di persone dall’aspetto spaventato e le stavano guidando davanti alla loro linea per assorbire gli attacchi. Molti portavano bastoni o attrezzi di qualche tipo per combattere, ma si ammassarono assieme, impugnando armi con aria timida.

«Sangue e dannate ceneri!» disse Raechin, e Leane la guardò sollevando un sopracciglio. Continuò a tessere, cercando di mandare un fulmine dietro le file di persone spaventate. Colpì comunque molte di loro. Leane provò un senso di nausea, ma si unì agli attacchi.

Mentre lavoravano, Manda Wan strisciò fino a loro. Annerita e coperta di fuliggine, la Verde aveva un aspetto orribile. Probabilmente quello che ho anch’io, pensò Leane, abbassando lo sguardo verso le proprie braccia, graffiate e fuligginose.

«Stiamo ripiegando» disse Manda. «Forse dovremo usare dei passaggi.»

«E andare dove?» chiese Leane. «Abbandonare la battaglia?»

Le tre tacquero. No. Non c’era ritirata da questo combattimento. O vincevano o nulla.

«Siamo troppo frammentate» disse Manda. «Almeno dobbiamo indietreggiare per raggrupparci. Dobbiamo radunare le donne, è l’unica cosa a cui riesco a pensare. A meno che voi non abbiate un’idea migliore.»

Manda guardò verso Raechin. Leane ora era troppo debole nel Potere perché la sua opinione avesse molto peso. Ricominciò a recidere flussi mentre le due continuavano a parlare in toni sommessi. Le Aes Sedai lì vicino iniziarono a uscire dalla conca e a indietreggiare scendendo per il pendio. Si sarebbero raggruppate, avrebbero creato un passaggio verso il Bozzo di Dashar e avrebbero deciso la prossima mossa.

Un momento. Cos’era quello? Leane percepì un potente incanalare nei paraggi. Gli Sharani avevano creato un circolo? Strizzò gli occhi; ormai era notte fonda, ma buona parte del paesaggio bruciava e il fuoco emetteva luce. Sollevava anche parecchio fumo. Leane intessé Aria per soffiare via il fumo, ma quello si sollevò da sé, diviso come da un forte vento.

Egwene al’Vere le superò, salendo per il pendio risplendendo del potere di cento falò. Era più di quanto Leane avesse mai visto trattenere a una donna. L’Amyrlin procedeva con la mano protesa in avanti, impugnando una verga bianca. Gli occhi di Egwene parevano brillare.

Con una vampata di luce e di forza, Egwene rilasciò una dozzina di flussi di fuoco separati. Una dozzina. Bersagliarono il fianco della collina lì sopra, scagliando in aria i corpi degli incanalatoti sharani.

«Manda,» disse Leane «penso che abbiamo trovato un miglior punto di raccolta.»


Talmanes accese un ramoscello dalla lanterna, poi lo usò per accendersi la pipa. Prese una boccata prima di tossire e svuotare il fornello della pipa sul suolo roccioso. In qualche modo il tabacco era andato a male. Terribilmente a male. Tossì e schiacciò a terra il tabacco colpevole con il tallone.

«Tutto bene, mio signore?» chiese Melten, passandogli accanto mentre si destreggiava distrattamente con un paio di martelli nel camminare.

«Sono ancora dannatamente vivo» disse Talmanes. «Il che è molto più di quanto avrei probabilmente diritto di aspettarmi.»

Melten annuì senza espressione e proseguì, unendosi a una delle squadre che lavoravano sui Draghi. La caverna profonda attorno a loro riecheggiava di suoni di martelli su legno mentre la Banda faceva del suo meglio per ricostruire le armi. Talmanes picchiettò la lanterna, valutando l’olio. Aveva un odore terribile quando bruciava, anche se ci si stava abituando. Ne avevano quanto bastava per qualche altra ora.

Quello era un bene, dal momento che — a quanto ne sapeva lui — questa caverna non aveva sbocchi verso il campo di battaglia lì sopra. Era accessibile solo con un passaggio. Un Asha’man sapeva della sua esistenza. Strano tipo. Che genere d’uomo conosceva caverne che non potevano essere raggiunte, tranne con l’Unico Potere?

Comunque, la Banda era intrappolata quaggiù, in un posto sicuro ma isolato. Giungevano informazioni solo raramente con i messaggi di Mat.

Talmanes si tese, pensando di poter sentire i suoni distanti di incanalatori che combattevano sopra, ma era solo la sua immaginazione. La terra era silenziosa e queste pietre antiche non vedevano la luce dalla Frattura, se mai l’avevano vista.

Talmanes scosse il capo, dirigendosi verso una delle squadre da lavoro. «Come va?»

Dennel fece un gesto verso alcuni fogli di carta che Aludra gli aveva dato, istruzioni su come riparare questo particolare Drago. Aludra in persona dava indicazioni a un’altra squadra di lavoro, la sua voce dal lieve accento che riecheggiava per la caverna.

«Molti dei tubi sono solidi» disse Dannel. «Se ci pensi, sono stati costruiti per sopportare un piccolo fuoco e un’esplosione ogni tanto…» Ridacchiò, poi tacque, guardando Talmanes.

«Non lasciare che la mia espressione smorzi il tuo buonumore» disse Talmanes, riponendo la pipa. «E non lasciarti turbare dal fatto che stiamo combattendo alla fine del mondo, che le nostre armate sono in schiacciante inferiorità numerica e che, se perdiamo, le nostre stesse anime saranno distrutte dall’Oscuro Signore di tutti i mali.»

«Spiacente, mio signore.»

«Era una battuta.»

Dennel sbatté le palpebre. «Quella?»

«Sì.»

«Era una battuta.»

«Sì.»

«Hai un senso dell’umorismo interessante, mio signore» disse Dennel.

«Così mi è stato detto.» Talmanes si chinò ed esaminò il carro del Drago. Il legno bruciacchiato era tenuto assieme con viti e assi supplementari. «Non sembra molto efficiente.»

«Funzionerà, mio signore. Non riusciremo a farlo muovere veloce, però. Stavo dicendo, i tubi se la sono cavata bene, ma i carretti… Be’, abbiamo fatto il possibile con quello che abbiamo recuperato e i rifornimenti da Baerlon, ma possiamo soltanto fino a un certo punto con il tempo che abbiamo.»

«Che è finito» disse Talmanes. «Lord Mat potrebbe convocarci da un momento all’altro.»

«Sempre che siano ancora vivi lassù» disse Dennel, guardando verso l’alto.

Un pensiero sconfortante. La Banda poteva finire i propri giorni intrappolata qui. Almeno non sarebbero stati molti. O il mondo sarebbe finito, oppure la Banda avrebbe terminato il cibo. Non sarebbero durati una settimana. Sepolti qui. Al buio.

Dannate ceneri, Mat. Farai meglio a non perdere lassù. Farai meglio! La Banda era ancora in grado di combattere. Non sarebbero morti di fame sottoterra.

Talmanes tenne in alto la lanterna, voltandosi per andare, ma notò qualcosa. I soldati che lavoravano sui Draghi proiettavano un’ombra deformata sulla parete, come un uomo con un ampio mantello e un cappello che gli oscurava la faccia.

Dennel seguì lo sguardo. «Luce. Pare che siamo sorvegliati dal vecchio Jak in persona, vero?»

«Proprio così» disse Talmanes. Poi, con voce più forte, urlò. «Qui c’è fin troppo silenzio! Cantiamo qualcosa, uomini.»

Alcuni degli uomini si fermarono. Aludra si alzò, mettendosi le mani sulle anche, e gli scoccò un’occhiata contrariata.

Così fu Talmanes stesso a iniziare.

Coppe di vin ci scolerem

E dolci fanciulle bacerem

Lanciando dadi finché volerem

A danzare con Jak delle Ombre!

Silenzio. Poi loro cominciarono:

Comincerem con l’imprecar

Poi damigelle da abbracciar

E il Tenebroso derubar

Per danzare con Jak delle Ombre!

Le loro voci fragorose riverberarono contro le pietre mentre lavoravano, preparandosi in fretta e furia per il ruolo che avrebbero giocato.

E l’avrebbero giocato. Talmanes se ne sarebbe assicurato. Perfino se avessero dovuto farsi strada fuori da questa tomba in una tempesta di fuoco di Draghi.


Quando Olver accoltellò la donna in bianco, i lacci di Faile scomparvero. Lei crollò a terra, barcollando ma rimanendo dritta. Mandevwin cadde accanto a lei con un’imprecazione.

Aravine. Luce, Aravine. Docile, meticolosa e capace. Aravine era un’Amica delle Tenebre.

E aveva il Corno.

Aravine lanciò un’occhiata alla Aes Sedai caduta che Olver aveva attaccato, poi andò nel panico, afferrando il cavallo che un servitore aveva portato e saltando in sella.

Faile scattò verso di lei mentre i prigionieri usavano strepitando dai recinti lì vicino, gettandosi contro i Trolloc e cercando di strappar loro le armi. Aveva quasi raggiunto Aravine prima che la donna galoppasse via, portando il Corno con sé. Si diresse verso i pendii più dolci che le avrebbero permesso di cavalcare fino in cima alle Alture.

«No!» urlò Faile. «Aravine! Non farlo!» Faile iniziò a correrle dietro, ma vide che era inutile.

Un cavallo. Le serviva un cavallo. Faile si guardò attorno, frenetica, e trovò i pochi animali da soma che avevano portato attraverso il passaggio. Faile si precipitò al fianco di Bela, tagliando via la sella — e tutti i suoi carichi — con pochi colpi del coltello. Balzò a pelo sulla giumenta e prese le redini, poi la spronò in movimento.

L’ispida giumenta galoppò dietro Aravine e Faile si sporse bassa sulla sua schiena. «Corri, Bela» disse Faile. «Se ti rimane un po’ di forza, adesso è il momento di usarla. Ti prego. Corri, ragazza. Corri.»

Bela caricò per il terreno calpestato, il rumore dei suoi zoccoli accompagnava i tuoni in cielo. L’accampamento trolloc era un luogo di oscurità, illuminato da fuochi per cucinare e da un’occasionale torcia. Faile aveva l’impressione di cavalcare in un incubo.

Più avanti, alcuni Trolloc irruppero sul sentiero per sbarrarle la strada. Faile si sporse più in basso, pregando la Luce che il loro attacco la mancasse. Bela rallentò e poi due cavalieri caricarono accanto a Faile, impugnando delle lance. Uno infilzò il collo di un Trolloc, e anche se l’altro cavaliere non andò a segno, il suo destriero sbatte da parte un altro Trolloc, facendo spazio. Bela galoppò fra i Trolloc disorientati, raggiungendo due uomini che cavalcavano più avanti, uno panciuto, l’altro snello. Haman e Vanin.

«Voi due!» gridò Faile.

«Ehi, mia signora!» disse Haman ridendo.

«Come?» urlò loro Faile sopra il rumore degli zoccoli.

«Abbiamo lasciato che una carovana ci trovasse» le urlò a sua volta Haman «e che ci prendesse prigionieri. Ci hanno portato attraverso il passaggio poche ore fa e abbiamo preparato i prigionieri a liberarsi. Il tuo arrivo ci ha dato l’opportunità di cui avevamo bisogno!»

«Il Corno! Avete cercato di rubare il Corno!»

«No,» disse Haman «abbiamo provato a rubare un po’ del tabacco di Mat!»

«Pensavo che l’avessi seppellito per lasciarlo indietro» urlò Vanin dall’altro lato. «Immaginavo che a Mat non sarebbe importato. Mi è comunque debitore di alcuni marchi! Quando ho aperto il sacco e ho trovato il dannato Corno di Valere… Maledette ceneri! Scommetto che mi hanno sentito urlare fino a Tar Valon!»

Faile mugugnò, immaginando la scena. L’urlo che aveva sentito era stato di sorpresa, ed era stato quello ad attirare la creatura-orso.

Be’, non si poteva tornare indietro. Si aggrappò a Bela con le ginocchia, spronando il cavallo. Più avanti, Aravine galoppava fra i Trolloc, diretta verso il punto in cui i pendii ripidi si addolcivano. Aravine urlò freneticamente ai Trolloc di aiutarla. I cavalli al galoppo viaggiavano più veloci di qualunque Trolloc, però.

Demandred. Aravine aveva detto che avrebbe portato il Corno a uno dei Reietti. Faile ringhiò piano, abbassandosi ancora di più e, sorprendentemente, Bela superò Vanin e Haman. Faile non chiese dove avevano trovato i cavalli. Indirizzò la sua intera attenzione verso Aravine.

Un grido si levò per il campo, e Vanin e Haman si divisero, intercettando i cavalieri diretti verso Faile. Lei tagliò di lato, spronando Bela a saltare una pila di provviste e a caricare in mezzo a un gruppo di persone con strani vestiti che mangiavano accanto a un piccolo fuoco. Quelli le gridarono dietro con accenti marcati.

Recuperava terreno su Aravine, pollice dopo pollice. Bela sbuffava e grugniva, il sudore le scuriva il manto. La cavalleria saldaeana era tra le migliori esistenti, e Faile conosceva i cavalli. Aveva cavalcato tutte le razze. In quei minuti sul campo di battaglia, avrebbe preferito avere Bela piuttosto che la miglior cavalcatura tairenese. Quella giumenta ispida, di nessuna razza particolare, si muoveva come una campionessa di corsa. Seguendo il ritmo degli zoccoli sotto di lei, Faile fece scivolare un coltello fuori dalla manica. Spronò Bela a balzare sopra un avvallamento nel terreno e rimasero sospese in aria per un istante, con Faile che valutava il vento, la caduta, il momento. Tirò il braccio all’indietro e scagliò il coltello in aria appena prima che gli zoccoli di Bela toccassero terra.

Il coltello andò a segno, conficcandosi nella schiena di Aravine. La donna scivolò dalla sella, afflosciandosi al suolo, con il sacco che cadeva dalla sua stretta.

Faile balzò giù da Bela, atterrando mentre era ancora in moto e slittando fino a fermarsi accanto al sacco. Slegò i lacci che lo tenevano chiuso e vide il Corno scintillante.

«Sono… spiacente» mormorò Aravine, rotolando. Le sue gambe non si muovevano. «Non dire ad Aldin cos’ho fatto. Lui ha… un gusto davvero tremendo… per le donne…»

Faile si alzò in piedi, poi la guardò con compassione. «Prega che il Creatore protegga la tua anima, Aravine» disse Faile, e rimontò in sella a Bela. «Perché se così non fosse, il Tenebroso ti reclamerà come sua. Ti lascio a lui.» Spronò nuovamente Bela.

C’erano altri Trolloc più avanti, e fissarono la loro attenzione su Faile. Urlarono, e diversi Myrddraal scivolarono in avanti, puntando verso Faile. Iniziarono a spostarsi attorno a lei, bloccandole la strada.

Faile si fece forza, arcigna, e spronò Bela nella direzione da cui era venuta, sperando di incontrare Haman, Vanin o chiunque altro potesse aiutarla.

L’accampamento fremeva di attività e Faile notò dei cavalieri che la inseguivano, urlando: «Ha il Corno di Valere!»

Da qualche parte in cima alla collina, le forze di Mat Cauthon combattevano l’Ombra. Così vicino!

Una freccia colpì il terreno accanto a lei, seguita da altre. Faile raggiunse i recinti dei prigionieri; lo steccato rotto giaceva a pezzi e i corpi erano sparpagliati in giro. Bela stava sbuffando, forse perché aveva finito le forze. Faile notò un altro cavallo nei paraggi, un castrone roano sellato che stava dando dei colpetti a un soldato caduto ai suoi piedi.

Faile rallentò. Cosa fare? Cambiare cavallo, ma poi cosa? Si lanciò un’occhiata sopra la spalla, poi abbassò la testa quando un’altra freccia le passò sopra. Aveva notato una dozzina di soldati sharani a cavallo, che la inseguivano, con indosso armature di stoffa cucite con piccoli anelli. Erano seguiti da centinaia di Trolloc.

Perfino con un cavallo fresco, pensò, non posso seminarli. Condusse Bela dietro alcuni carri di rifornimenti per avere copertura e balzò giù, intendendo scattare verso la cavalcatura fresca.

«Lady Faile?» chiese una vocetta.

Faile guardò in basso. Era Olver, rannicchiato sotto un carro, il suo coltello in pugno. I cavalieri erano quasi su di lei. Faile non aveva tempo per pensare. Tirò fuori il Corno dal sacco e lo ficcò tra le mani di Olver. «Tieni questo» disse. «Nascondilo. Portalo da Mat Cauthon stanotte.»

«Mi stai lasciando?» chiese Olver. «Da solo?»

«Devo» disse lei, ficcando nel sacco alcuni fasci di frecce mentre il cuore le martellava nel petto. «Una volta passati quei cavalieri, trova un altro posto per nasconderti! Torneranno a ispezionare dove sono stata, dopo che…»

Dopo che mi avranno preso.

Avrebbe dovuto uccidersi con il suo coltello, per impedire che le estorcessero con la tortura cosa aveva fatto del Corno. Afferrò Olver per il braccio. «Mi spiace mettere questo fardello su di te, piccolo. Non c’è nessun altro. Ti sei comportato bene in precedenza; puoi farcela. Porta il Corno a Mat oppure tutto è perduto.»

Faile corse fuori dalla copertura, mettendo in evidenza il sacco che portava. Alcuni di quei forestieri dall’abbigliamento strano la videro, indicandola. Faile sollevò il sacco in alto e montò in sella al roano, poi lo spronò al galoppo.

Trolloc e Amici delle Tenebre la seguirono, lasciando il ragazzo rannicchiato con il suo pesante fardello sotto un carro nel mezzo dell’accampamento trolloc.


Logain rigirava il disco sottile tra le dita. Bianco e nero, diviso da una linea sinuosa. Doveva essere cuendillar. Le scaglie che venivano via sotto le dita parevano prendersi gioco della sua natura eterna.

«Perché Taim non li ha spezzati?» chiese Logain. «Avrebbe potuto farlo. Sono fragili come cuoio vecchio.»

«Non lo so» disse Androl, guardando gli altri della sua squadra. «Forse non era ancora il momento giusto.»

«Se li si spezzasse al momento giusto, aiuterebbe il Drago» disse l’uomo che si faceva chiamare Emarin. Sembrava preoccupato. «Se li si spezzasse al momento sbagliato… Cosa accadrebbe?»

«Nulla di buono, sospetto» disse Pevara. Una Rossa.

Avrebbe mai avuto la sua vendetta contro coloro che lo avevano domato? Un tempo quell’odio — e quell’odio da solo lo aveva spinto a sopravvivere. Adesso trovava una nuova brama dentro di sé. Aveva sconfitto le Aes Sedai, le aveva battute e reclamate come sue. La vendetta pareva… vuota. La sete accumulata da lungo tempo per uccidere M’Hael riempiva una piccola parte di quel vuoto, ma non era sufficiente. Cos’altro?

Una volta si era nominato Drago Rinato. Una volta si era preparato a dominare il mondo. A farlo inginocchiare. Tastò il sigillo della prigione del Tenebroso mentre si trovava ai margini della battaglia. Era lontano a sudovest, sotto gli acquitrini, dove i suoi Asha’man mantenevano un piccolo campo base. Rombi distanti risuonavano dalle Alture: esplosioni di flussi tra Aes Sedai e Sharani.

Un gran numero dei suoi Asha’man avevano combattuto lì, ma gli incanalatori sharani erano superiori ad Aes Sedai e Asha’man messi assieme. Altri si aggiravano per il campo di battaglia, a caccia di Signori del Terrore per ucciderli.

Aveva perso uomini più rapidamente dell’Ombra. C’erano troppi nemici.

Tenne in alto il sigillo. In esso c’era un potere. Il potere di proteggere la Torre Nera, in qualche modo? Se non temono noi, se non temono me, cosa ci accadrà quando il Drago sarà morto?

Un’insoddisfazione si irradiò attraverso il legame. Logain incontrò gli occhi di Gabrelle. Si era dedicata a esaminare la battaglia, ma ora i suoi occhi erano su di lui. Interrogativi. Minacciosi?

Prima Logain aveva davvero pensato di aver ammansito le Aes Sedai? Quell’idea avrebbe dovuto farlo ridere. Nessuna Aes Sedai poteva essere ammansita, mai.

Logain mise di proposito il sigillo e i suoi simili nel borsello alla cintura. Chiuse i lacci, incontrando gli occhi di Gabrelle. La preoccupazione della donna montò. Per un attimo, Logain aveva avuto l’impressione che quella preoccupazione fosse per lui, non a causa sua.

Forse lei stava imparando come manipolare il legame, per trasmettergli sensazioni che pensava potessero placarlo. No, le Aes Sedai non potevano essere ammansite. Vincolarle non le aveva arginate. Aveva creato più complicazioni.

Allungò la mano verso l’alto colletto, togliendo la spilla del Drago che indossava lì, e la offrì ad Androl. «Androl Genhald, sei sceso nel pozzo della morte stessa e sei tornato. Ti sono debitore, ora due volte. Ti nomino Asha’man completo. Indossa la spilla con orgoglio.» Gli aveva già ridato la spilla della spada, ripristinandolo al rango di dedicato.

Androl esitò, poi allungò mani riverenti e prese la spilla.

«E i sigilli?» chiese Pevara, le braccia conserte. «Appartengono alla Torre Bianca; l’Amyrlin è la loro Custode.»

«L’Amyrlin» disse Logain «è praticamente morta, da quello che ho sentito. In sua assenza, io sono un sovrintendente adeguato.» Logain afferrò la Fonte, soggiogandola, dominandola. Aprì un passaggio fino alla cima delle Alture.

La guerra tornò da lui a piena forza, la confusione, il fumo e le urla. Logain attraversò il passaggio e gli altri lo seguirono. La potenza di Demandred che incanalava risplendeva come un faro, e la voce tonante dell’uomo continuava a dileggiare il Drago Rinato.

Rand al’Thor non era lì. Be’, la cosa più simile a lui era Logain stesso. Un altro sostituto. «Ho intenzione di affrontarlo» disse agli altri. «Gabrelle, tu resterai indietro e attenderai il mio ritorno, dato che potrebbe servirmi Guarigione. Voialtri occupatevi degli uomini di Taim e di quegli incanalatori sharani. Non lasciate in vita nessun uomo che si sia votato all’Ombra, che l’abbia fatto per scelta o sotto costrizione. Portate giustizia agli uni e misericordia agli altri.»

Annuirono. Gabrelle parve colpita da lui, forse per la decisione di attaccare il cuore del nemico. Non si rendeva conto. Nemmeno uno dei Reietti poteva essere potente quanto sembrava esserlo Demandred.

Demandred aveva un sa’angreal, e potente per giunta. Simile per potere a Callandor, forse più forte. Se Logain l’avesse avuto tra le mani, molte cose in questo mondo sarebbero cambiate. Il mondo avrebbe saputo di lui e della Torre Nera, e avrebbero tremato davanti a lui come non avevano mai fatto per l’Amyrlin Seat.


Egwene guidò un assalto come non si vedeva da millenni.

Le Aes Sedai uscirono dalle fortificazioni difensive e si unirono a lei, spingendo su per il pendio occidentale con falcate decise. Dei flussi volavano nell’aria come un’esplosione di nastri nel vento.

Il cielo si infranse con la luce di mille saette e la terra gemette e tremò per i colpi. Demandred continuava a bersagliare gli Andorani dall’altro lato dell’altopiano, e ogni colpo di Fuoco Malefico mandava delle increspature per l’aria. Il terreno si incrinò con reticoli di nero, e tentacoli di qualcosa di malsano iniziarono a spuntare da quelle crepe. Si diffusero come una malattia per le pietre spezzate sul versante della collina.

L’aria sembrava viva per il Potere, l’energia così densa che Egwene pensò quasi che l’Unico Potere fosse diventato visibile a tutti. In mezzo a questo, attinse tutta la forza che poteva trattenere attraverso il sa’angreal di Vora. Si sentì come quando aveva combattuto i Seanchan, solo che stavolta aveva un maggior controllo. Allora la sua rabbia era accompagnata da disperazione e terrore.

Stavolta era incandescente, come un metallo riscaldato oltre il punto in cui poteva essere lavorato da un fabbro.

A lei, Egwene al’Vere, era stato affidato il compito di sovrintendere a questa terra.

Lei, l’Amyrlin Seat, non sarebbe più stata prevaricata dall’Ombra.

Avrebbe combattuto.

Incanalò Aria, creando una tempesta turbinante di polvere, fumo e piante morte. La tenne davanti a sé, oscurando la vista di quelli più in alto che cercavano di localizzarla. Dei fulmini si schiantarono attorno a lei, ma Egwene intessé Terra, scavando in profondità nella roccia e tirando su un fiotto di ferro che le si raffreddò in una guglia accanto. Il fulmine colpì la guglia, risparmiandola mentre lei mandava quella tormenta a spirare su per il pendio.

Un movimento al suo fianco. Egwene percepì Leilwin avvicinarsi. Quella… Si era dimostrata fedele. Che sorpresa. Avere una nuova Custode non attenuava la sua disperazione per la morte di Gawyn, ma aiutava in altri modi. Quel groviglio in fondo alla mente era stato rimpiazzato da uno nuovo, molto diverso, eppure sorprendentemente leale.

Egwene sollevò il sa’angreal di Vora e continuò i suoi attacchi, risalendo la china con Leilwin al suo fianco. Più avanti, gli Sharani si rannicchiavano, sopportando i venti. Egwene li colpì con nastri di fuoco. Gli incanalatori cercarono di attaccarla attraverso la bufera, ma i loro flussi venivano sviati e i loro occhi annebbiati dalla polvere. Tre soldati semplici la attaccarono da un lato, ma Leilwin si sbarazzò di loro in modo efficiente.

Egwene controllò il vento e lo usò come delle mani, raccogliendo gli incanalatori e scagliandoli in aria. I fulmini da sopra presero gli uomini in un abbraccio fiammeggiante e sulla collina precipitarono cadaveri fumanti. Egwene procedette, seguita dal suo esercito di Aes Sedai che scagliava flussi come frecce luminose.

A loro si unirono gli Asha’man. Avevano combattuto al fianco della Torre Bianca a fasi alterne, ma ora parevano impegnati in forze. Dozzine di uomini si radunarono mentre lei faceva strada. L’aria divenne densa dell’Unico Potere. I venti si fermarono.

La bufera di polvere si placò all’improvviso, estinta come una candela sotto una coperta. Non era stata una forza naturale a farlo. Egwene si arrampicò su un affioramento roccioso, alzando lo sguardo verso un uomo in rosso e nero in piedi sulla sommità, la mano protesa. Finalmente aveva attirato l’attenzione di uno di coloro che comandavano questa forza.

Signori del Terrore combattevano al fianco degli Sharani, ma lei cercava il capo. Taim. M’Hael.

«Sta intessendo un fulmine!» gridò un uomo dietro di lei.

Egwene tirò su immediatamente una guglia di ferro fuso e lo raffreddò per attirare il fulmine che cadde un istante dopo. Lanciò un’occhiata di lato. Quello che aveva parlato era Jahar Narishma, il Custode Asha’man di Merise.

Egwene sorrise, guardando verso Taim. «Tenete lontani gli altri da me» ordinò a gran voce. «Tutti tranne voi, Narishma e Merise. Gli avvertimenti di Narishma si riveleranno utili.»

Radunò le forze e iniziò a scagliare una tempesta contro il traditore M’Hael.


Ila passava in rassegna i morti sul campo di battaglia vicino alle rovine. Anche se lo scontro si era spostato a valle del fiume, poteva sentire grida distanti ed esplosioni nella notte.

Dava la caccia ai feriti tra i caduti e ignorava frecce e spade quando le trovava. Altri si sarebbero occupati di raccoglierle, anche se lei desiderava che non lo facessero. Spade e frecce avevano causato gran parte di questa morte.

Raen, suo marito, lavorava lì vicino, pungolando ciascun corpo in cerca di un battito. I suoi guanti erano macchiati di rosso e del sangue ne insozzava gli abiti variopinti, poiché premeva l’orecchio contro il petto dei cadaveri. Una volta confermato che qualcuno era morto, lasciavano una X disegnata su una guancia, spesso con il sangue della persona stessa. Quello avrebbe fatto in modo che gli altri non ripetessero il lavoro.

Raen pareva invecchiato di un decennio nell’ultimo anno, e Ila aveva l’impressione che valesse anche per lei. La Via della Foglia era una facile strada maestra, a volte, e procurava una vita di gioia e pace. Ma una foglia cadeva con venti placidi e nella tempesta; la dedizione richiedeva che una persona accettasse l’ultima così come i primi. Essere sballottati da un paese all’altro, patire la fame mentre la terra moriva e infine giungere a riposare nelle terre dei Seanchan… Quella era stata la loro vita.

Ma nulla era paragonabile all’aver perso Aram. Quello l’aveva ferita molto più in profondità che perdere sua madre a causa dei Trolloc.

Superarono Morgase, l’ex Regina, che organizzava questi lavoratori e dava loro ordini. Ila continuò a muoversi. Non le importava molto delle regine. Non avevano fatto nulla per lei o i suoi.

Lì vicino, Raen si fermò, sollevando la lanterna per esaminare una faretra piena di frecce che un soldato aveva con sé quando era morto. Ila sibilò, sollevando le gonne per girare attorno ai cadaveri e raggiungere suo marito. «Raen!»

«Pace, Ila» disse lui. «Non ho intenzione di raccoglierla. Tuttavia dubito.» Alzò lo sguardo verso i lampi di luce distanti più a valle e in cima alle Alture dove gli eserciti continuavano i loro terribili omicidi. Così tanti lampi nella notte, come centinaia di fulmini. Era passata da un pezzo la mezzanotte ormai. Erano su questo campo in cerca di sopravvissuti da ore.

«Dubiti?» chiese Ila. «Raen…»

«Cosa dovremmo volere che facessero, Ila? I Trolloc non seguiranno la Via della Foglia.»

«C’è parecchio spazio per scappare» disse Ila. «Guardali. Sono venuti incontro ai Trolloc quando la Progenie dell’Ombra era a malapena uscita dalla Macchia. Se quell’energia fosse stata spesa per radunare le persone e guidarle al Sud…»

«I Trolloc li avrebbero seguiti» disse Raen. «E a quel punto, Ila?»

«Abbiamo accettato molti padroni» disse Ila. «L’Ombra potrebbe trattarci male, ma sarebbe davvero peggio di come siamo stati trattati per mano di altri?»

«Sì» disse Raen piano. «Sì, Ila. Sarebbe peggio. Molto, molto peggio.»

Ila lo guardò.

Lui scosse il capo, sospirando. «Non ho intenzione di abbandonare la Via, Da. È il mio sentiero ed è giusto per me. Forse… forse non avrò più un’opinione così negativa di quelli che seguono un altro sentiero. Se sopravviviamo a questi tempi, lo faremo grazie a coloro che sono morti su questo campo di battaglia, che desideriamo accettare il loro sacrificio o no.»

Lui si allontanò. È solo l’oscurità della notte, pensò Ila. Lo supererà, una volta che il sole splenderà di nuovo. È quello il sentiero giusto. Vero?

Alzò lo sguardo verso il cielo notturno. Quel sole… Sarebbero riusciti a capire quando fosse sorto? Le nuvole, illuminate dai fuochi sottostanti, parevano farsi sempre più dense. Ila strinse più vicino lo scialle giallo brillante, provando improvvisamente freddo.

Forse non avrò più un’opinione così negativa di quelli che seguono un altro sentiero.

Ila sbatté le palpebre per scacciare alcune lacrime dagli occhi. «Luce» sussurrò, qualcosa le si contorceva dentro. «Non avrei dovuto voltargli le spalle. Avrei dovuto cercare di aiutarlo a tornare da noi, non cacciarlo via. Luce, oh Luce. Proteggilo…»

A poca distanza, un gruppo di mercenari trovarono le frecce e le raccolsero. «Ehi, Hanlon!» chiamò uno. «Guarda questo!»

Quando quei brutti ceffi avevano iniziato ad aiutare i Tuatha’an con il loro lavoro, lei ne era stata orgogliosa. Evitare la battaglia per prendersi cura dei feriti? Quegli uomini avevano capito l’errore delle loro vite violente.

Ora sbatté le palpebre e vide qualcos’altro in loro. Codardi che preferivano derubare i cadaveri e riempirsi le tasche invece di combattere. Cos’era peggio? Gli uomini che — per quanto colpevoli — si opponevano ai Trolloc e cercavano di ricacciarli indietro? Oppure i mercenari che si rifiutavano di combattere perché trovavano questo sentiero più facile?

Ila scosse il capo. Aveva sempre avuto l’impressione di conoscere le risposte nella vita. Oggi, molte di queste le erano scivolate via. Salvare la vita di una persona, però… A quello poteva aggrapparsi.

Si diresse di nuovo tra i corpi, cercando i vivi in mezzo ai morti.


Olver sgattaiolò di nuovo sotto il carro, tenendo stretto il Corno, mentre Lady Faile si allontanava al galoppo. Dozzine di cavalieri la seguirono, poi centinaia di Trolloc. Si era fatto buio.

Solo. Era stato lasciato di nuovo solo.

Chiuse gli occhi stringendoli forte, ma non servì a molto. Poteva ancora sentire uomini urlare e strillare in lontananza. Poteva ancora sentire l’odore di sangue, i prigionieri che erano stati uccisi dai Trolloc mentre cercavano di scappare. Oltre al sangue, sentì odore di fumo, tanto denso da farlo lacrimare. Pareva che il mondo intero stesse bruciando.

La terra tremò, come se qualcosa di molto pesante l’avesse colpita in qualche posto vicino. Nel cielo rombò il tuono, accompagnato da netti crepitii mentre il fulmine colpiva più e più volte le Alture. Olver piagnucolò.

Quanto si era ritenuto coraggioso. Adesso, eccolo qua, finalmente in battaglia. Riusciva a malapena a impedire alle sue mani di tremare. Voleva nascondersi, seppellirsi in profondità nella terra.

Faile gli aveva detto di trovare un altro posto per nascondersi poiché potevano tornare indietro in cerca del Corno.

Osava andare là fuori? Osava stare qui? Olver socchiuse gli occhi, poi per poco non urlò. Un paio di gambe che terminavano con degli zoccoli si trovavano accanto al carro. Un istante dopo, un muso animale si chinò a guardarlo, occhi porcini che si stringevano e narici che annusavano.

Olver urlò, indietreggiando rapidamente e tenendo stretto il Corno. Il Trolloc urlò qualcosa, rovesciando il carro, e per poco non schiacciò Olver sotto di esso. Le frecce nel carro si sparpagliarono per il terreno mentre Olver schizzava via, cercando la salvezza.

Non esisteva. Dozzine di Trolloc si voltarono verso di lui e si chiamarono a vicenda in una lingua che Olver non riconobbe. Si guardò attorno, Corno in una mano e coltello nell’altra, frenetico. Nessuna salvezza.

Un cavallo sbuffò lì vicino. Era Bela, che masticava del grano caduto da un carro di rifornimenti. Il cavallo sollevò la testa, guardando Olver. Non aveva una sella sulla schiena, solo cavezza e briglie.

Sangue e ceneri, pensò Olver correndo verso di lei, vorrei avere Vento. Questa giumenta grassoccia lo avrebbe fatto finire di sicuro nel pentolone. Olver rinfoderò il coltello e balzò in groppa a Bela, afferrando le redini in una mano e stringendo il Corno nell’altra.

Il Trolloc dal muso porcino che aveva ribaltato il carro vibrò un colpo, quasi staccando il braccio a Olver. Lui lanciò un urlo, spronando Bela, e la giumenta galoppò via in mezzo ai Trolloc. Le bestie le corsero dietro con urla e ululati. Altri richiami risuonarono per l’accampamento, che si stava quasi svuotando mentre convergevano sul ragazzo.

Olver cavalcò come gli era stato insegnato, tenendosi basso e guidando con le ginocchia. E Bela correva. Luce, quanto correva. Mat aveva detto che molti cavalli erano spaventati dai Trolloc e avrebbero disarcionato il cavaliere se fossero stati costretti ad avvicinarvisi, ma questo animale non fece nulla di tutto ciò. Galoppò davanti a Trolloc ululanti, proprio nel centro del campo.

Olver si guardò sopra la spalla. Cerano centinaia di Trolloc a inseguirlo. «Oh, Luce!»

Aveva visto lo stendardo di Mat in cima a quelle Alture, ne era certo. Ma c’erano tanti Trolloc nel mezzo. Olver fece svoltare Bela per andare nella direzione che aveva preso Aravine. Forse poteva aggirare l’accampamento trolloc e uscire da quella parte, poi tornare sulle Alture da dietro.

Porta il Corno a Mat oppure tutto è perduto.

Olver cavalcò con tutte le forze, spronando Bela in avanti.

Non c’è nessun altro.

Più avanti, un grosso drappello di Trolloc gli sbarrò la strada. Olver si girò dall’altra parte, ma altri si avvicinavano anche da quella direzione. Olver lanciò un urlo, facendo ruotare nuovamente Bela, ma una spessa freccia nera trolloc la colpì al fianco. L’animale nitrì e barcollò, poi crollò a terra.

Olver ruzzolò via. Colpire il terreno gli tolse l’aria dai polmoni e gli fece vedere un lampo di luce. Si costrinse a strisciare carponi.

Il Corno deve raggiungere Matrim Cauthon…

Olver afferrò il Corno e scoprì che stava piangendo. «Mi dispiace» disse a Bela. «Eri un bravo cavallo. Hai corso come Vento non sarebbe mai riuscito a fare. Mi dispiace.» Lei nitrì piano e prese un ultimo respiro, poi morì.

Lui la lasciò e corse sotto le gambe del primo Trolloc in arrivo. Olver non poteva combatterli. Sapeva di non poterlo fare. Non sfoderò il coltello. Si limitò a correre su per il pendio ripido, cercando di raggiungere la sommità da cui aveva visto cadere lo stendardo di Mat.

Era come se fosse a un continente di distanza. Un Trolloc lo afferrò per i vestiti, tirandolo giù, ma Olver si divincolò, lasciandogli la stoffa tra le spesse unghie. Scattò per il terreno spezzato e, con disperazione, notò una piccola fenditura nell’affioramento roccioso alla base del declivio. Quella fessura poco profonda dava sul cielo nero.

Si gettò verso di essa, poi vi si insinuò, tenendo stretto il Corno. C’entrava a malapena. I Trolloc girarono attorno sopra di lui, poi iniziarono ad allungare la mano per afferrarlo, strappandogli i vestiti.

Olver piagnucolò e chiuse gli occhi.


Logain si gettò attraverso il passaggio, con i flussi che già si formavano davanti a lui prima di attaccare Demandred.

L’uomo era in piedi sul pendio fumante e guardava il fiume asciutto e le formazioni di picche andorane che stavano cedendo. Lì combattevano anche Aiel, Cairhienesi e Legione del Drago, e tutti rischiavano di essere circondati.

Ormai le picche erano praticamente in pezzi. Presto sarebbe stata una rotta.

Logain lanciò colonne gemelle di Fuoco verso Demandred, ma gli Sharani si gettarono in mezzo, interferendo con il suo attacco. La carne venne consumata, le ossa incenerite. Le loro morti diedero a Demandred tempo per ruotare e attaccare con un flusso di Acqua e Aria. La scarica di Fuoco di Logain lo colpì e divenne vapore, poi sospinto via.

Logain aveva sperato che, dopo aver incanalato così tanto, Demandred sarebbe stato indebolito. Non era così. Un flusso complesso si formò di fronte all’uomo, un flusso che Logain non aveva mai visto. Creò un campo che increspò l’aria e, quando Logain attaccò di nuovo, il flusso rimbalzò via come un bastoncino scagliato contro un muro di mattoni.

Logain balzò di lato, rotolando quando un fulmine colpì dal cielo. Frammenti di roccia lo bombardarono mentre intesseva Spirito, Fuoco e Terra, tagliando lo strano muro. Lo distrusse, poi lanciò pezzi di pietra rotti dal terreno per intercettare il Fuoco di Demandred.

Un diversivo, pensò Logain, rendendosi conto che Demandred aveva intessuto qualcos’altro di più complesso dietro il Fuoco. Un passaggio si aprì e schizzò per il terreno, spalancato su fauci rosse. Logain si gettò da una parte mentre il Cancello della Morte passava, e lasciava una scia di lava ardente.

L’attacco successivo di Demandred fu un getto d’Aria che scaraventò Logain all’indietro, verso quella lava. Logain intessé disperatamente Acqua per raffreddare la lava. Cadde sulla spalla, passando su una scarica di vapore che gli scottò la pelle, ma aveva raffreddato la lava abbastanza da farle formare una crosta sopra il flusso ancora fuso al di sotto. Trattenendo il fiato contro il vapore, si gettò di lato mentre un’altra serie di fulmini polverizzava il terreno dove si era trovato.

Quelle saette mandarono in frantumi la crosta che aveva creato, arrivando fino alla roccia fusa. Gocce di lava schizzarono su Logain, ustionandogli la pelle e butterandogli il braccia e la faccia. Lui urlò e intessé in preda alla rabbia per scagliare fulmini sul suo nemico.

Un taglio di Spirito, Terra e Fuoco recise i flussi in aria. Demandred era così forte. Quel sa’angreal era incredibile.

Il lampo successivo accecò Logain, gettandolo all’indietro. Colpì una zona di roccia argillosa frammentata, e le punte gli morsero la pelle.

«Sei potente» disse Demandred. Logain riuscì a malapena a sentire le parole. Le sue orecchie… Il rimbombo… «Ma non sei Lews Therin.»

Logain ringhiò, intessendo tra le lacrime e scagliando un fulmine contro Demandred. Lo fece due volte, e anche se Demandred intercettò una saetta in aria, l’altra centrò il bersaglio.

Ma… Cos’era quel flusso? Era un altro che Logain non riconosceva. Il fulmine colpì Demandred ma scomparve, mandato in qualche modo dentro il terreno e dissipato. Un flusso semplice di Aria e Terra, ma rendeva il fulmine inutile.

Uno schermo si insinuò tra Logain e la Fonte. Attraverso i suoi occhi feriti, osservò il flusso per il Fuoco Malefico cominciare a formarsi nelle mani di Demandred. Ringhiando, Logain afferrò un pezzo di roccia dal terreno accanto a sé, delle dimensioni del suo pugno, e lo scagliò contro Demandred.

Cosa sorprendente, la pietra colpì, lacerandogli la pelle e costringendo Demandred a barcollare all’indietro. Il Reietto era potente, ma poteva comunque commettere gli errori delle persone comuni. Mai concentrare tutta la tua attenzione sull’Unico Potere, malgrado quello che aveva detto Taim. In quel momento di distrazione, lo schermo tra Logain e la Fonte scomparve.

Logain rotolò di lato, iniziando due flussi. Uno era per uno schermo che non intendeva usare. L’altro era un passaggio finale, disperato. La scelta del codardo.

Demandred ringhiò, portandosi una mano alla faccia e attaccando con il Potere. Scelse di distruggere lo schermo, riconoscendolo immediatamente come il rischio maggiore. Il passaggio si aprì e Logain vi rotolò attraverso, lasciando che si chiudesse di colpo. Crollò sull’altro lato, la carne ustionata, le braccia scorticate, le orecchie che rimbombavano e la vista quasi persa.

Si costrinse a mettersi a sedere, di nuovo nell’accampamento asha’man sotto gli acquitrini dove Gabrelle e gli altri attendevano il suo ritorno. Urlò di rabbia. La preoccupazione di Gabrelle si irradiò attraverso il legame. Vera preoccupazione. Lui non se l’era immaginato. Luce.

«Zitto» disse lei, inginocchiandoglisi accanto. «Sciocco. Cosa hai fatto a te stesso?»

«Ho fallito» disse lui. In lontananza, percepì gli attacchi del Potere di Demandred che continuava a chiamare a gran voce Lews Therin. «Guariscimi.»

«Non avrai intenzione di riprovarci, vero?» disse lei, già iniziando il flusso. «Non voglio Guarirti solo per lasciarti.»

«Non ci riproverò» disse Logain, la voce affannosa. Il dolore era terribile, ma impallidiva paragonato all’umiliazione della sconfitta. «Non lo farò, Gabrelle. Smettila di dubitare della mia parola. È troppo forte.»

«Alcune di queste ustioni sono brutte, Logain. Questi buchi nella pelle… Non so se posso Guarirli del tutto. Rimarrai sfregiato.»

«Va bene» borbottò lui. Erano i punti in cui la lava gli era schizzata sul braccio e sul lato della faccia.

Luce, pensò. Come faremo a sbarazzarci di quel mostro?

Gabrelle mise le mani su di lui e flussi di Guarigione gli si riversarono nel corpo.


Il tuono dello scontro di Egwene con M’Hael rivaleggiava con quello delle nubi temporalesche nel cielo. M’Hael. Un nuovo Reietto, un nome proclamato dai suoi Signori del Terrore per il campo di battaglia.

Egwene intesseva senza pensare, scagliando un flusso dopo l’altro verso l’Asha’man rinnegato. Non aveva invocato il vento, ma soffiava e ruggiva comunque attorno a lei, sferzandole vestito e capelli, prendendole la stola e tirandola. Narishma e Merise erano accucciati con Leilwin sul terreno accanto a lei; la voce di Narishma — che si sentiva a malapena sopra la battaglia — chiamava i flussi man mano che M’Hael li formava.

Dopo la sua avanzata, Egwene si ritrovò in cima alle Alture, allo stesso livello di M’Hael. Da qualche parte dentro di lei sapeva che presto il suo corpo avrebbe avuto bisogno di riposo.

Per ora era un lusso che non si poteva permettere. Per ora soltanto il combattimento aveva importanza.

Fuoco divampò verso di lei ed Egwene lo schiaffò via con Aria. Le scintille furono prese dal vento, roteandole attorno in uno spruzzo di luce mentre intesseva Terra. Mandò un’increspatura per il suolo già spezzato, cercando di sbattere a terra M’Hael, ma lui recise il flusso con un altro.

Sta rallentando, pensò Egwene.

Egwene venne avanti, colma di Potere. Iniziò due flussi, uno sopra ciascuna mano, e gli gettò contro Fuoco.

Lui rispose con una barra di bianco puro, sottile come un cavo, che la mancò per meno di una spanna. Il Fuoco Malefico lasciò un’immagine residua negli occhi di Egwene e il terreno gemette sotto di loro mentre l’aria si deformava. Dei reticoli spuntarono per il terreno, fratture che davano sul nulla.

«Sciocco!» gli urlò. «Distruggerai il Disegno stesso!» Il loro scontro minacciava già di farlo. Questo vento, quest’aria sfrigolante non erano naturali. Le crepe nel terreno si allargarono da M’Hael, estendendosi.

«Sta intessendo ancora!» urlò Narishma, la voce presa nella tempesta.

M’Hael lasciò andare un secondo flusso di Fuoco Malefico, fratturando il suolo, ma Egwene era pronta. Fece un passo di lato mentre la sua rabbia montava. Fuoco Malefico. Le occorreva contrastarlo!

A loro non importa ciò che rovinano. Sono qui per distruggere. È l’intenzione del loro padrone. Rompere. Incenerire. Uccidere.

Gawyn…

Urlò dalla furia, intessendo una colonna di Fuoco dopo l’altra. Narishma le urlava cosa stava facendo M’Hael, ma Egwene non riusciva a sentire per tutto il suono che aveva nelle orecchie. Però si avvide presto che lui aveva costruito una barriera di Aria e Fuoco per deviare i suoi attacchi.

Egwene avanzò, scagliando verso di lui colpi ripetuti. Quel lo non gli diede tempo per ristabilirsi, impedendogli di attaccare. Egwene interruppe il ritmo solo per formare uno schermo che tenne pronto. Un getto di Fuoco proveniente dalla barriera di M’Hael lo fece barcollare all’indietro; il flusso si incrinò e lui alzò la mano, forse per provare di nuovo il Fuoco Malefico.

Egwene schiantò lo schermo tra lui e la Fonte. Non lo tagliò fuori del tutto, poiché lui lo tenne indietro con la forza di volontà. Adesso erano abbastanza vicini, e lei poteva vedere la sua incredulità, la sua rabbia. Cercò di controbattere, ma era più debole di lei. Egwene spinse, portando quello schermo sempre più vicino al filo invisibile che collegava M’Hael all’Unico Potere. Ve lo frappose con tutta la sua forza…

M’Hael, sforzandosi, rilasciò un rivoletto di Fuoco Malefico verso l’alto, attraverso il varco dove lo schermo non era ancora andato al suo posto. Il Fuoco Malefico distrusse il flusso, proprio come fece con l’aria e, in effetti, con il Disegno stesso.

Egwene barcollò all’indietro mentre M’Hael indirizzava il flusso verso di lei, ma quella barra incandescente era troppo piccola, troppo debole per raggiungerla. Svanì prima di colpire. M’Hael ringhiò, poi scomparve, deformando l’aria in un tipo di Viaggiare che Egwene non conosceva.

Egwene respirò a fondo, tenendosi la mano contro il petto. Luce! Era stata quasi cancellata dal Disegno.

È scomparso senza un passaggio! Il Vero Potere, pensò lei. Era l’unica spiegazione. Non sapeva quasi nulla al riguardo: era l’essenza stessa del Tenebroso, l’esca che aveva indotto gli incanalatori nell’Epoca Leggendaria a creare il Foro.

Fuoco malefico. Luce. Sono quasi morta. Peggio che morta.

Non aveva modo di annullare il Fuoco Malefico.

È solo un flusso… Solo un flusso. Parole di Perrin.

Quel momento adesso era passato e M’Hael era fuggito. Avrebbe dovuto tenere Narishma vicino per avvisarla se qualcuno avesse cominciato a incanalare nei paraggi.

Sempre che M’Hael non usi di nuovo il Vero Potere. Un altro uomo sarebbe in grado di percepire se fosse incanalato quello?

«Madre!»

Egwene si voltò mentre Merise gesticolava verso il punto in cui parecchi tra Aes Sedai e Asha’man erano ancora impegnati in una battaglia fragorosa con le forze sharane. Molte sorelle in abiti colorati giacevano morte sul fianco della collina.

La morte di Gawyn tormentava i suoi pensieri come un assassino nero. Egwene si fece forza e rinfocolò la propria rabbia, attingendo l’Unico Potere mentre si lanciava contro gli Sharani.


Hurin, con le narici imbottite di stoffa, combatteva sulle Alture Polov con altri uomini delle Marche di Confine.

Perfino attraverso la stoffa sentiva l’odore della guerra. Così tanta violenza, gli odori di sangue e carne in putrefazione tutt’attorno a lui. Ricoprivano il terreno, la sua spada, i suoi stessi vestiti. Era già stato male, molto male, diverse volte nel corso della battaglia.

Tuttavia combatteva. Si gettò di lato quando un Trolloc dal muso di orso strisciò sopra i corpi e menò un fendente verso di lui. La spada della bestia fece tremare il terreno e Hurin lanciò un urlo.

La bestia proruppe in una risata disumana, credendo che l’urlo di Hurin indicasse paura. Gli si avventò contro, così Hurin sgattaiolò in avanti sotto la sua portata, poi gli aprì lo stomaco superandolo di corsa. La creatura barcollò fino a fermarsi, guardando le sue stesse interiora putrescenti spargersi fuori.

Devo prendere tempo per Lord Rand, pensò Hurin indietreggiando e attendendo che il Trolloc successivo arrivasse sopra i corpi. Stavano salendo dal lato orientale delle Alture, il lato del fiume. Questo pendio ripido per loro era difficile da scalare, ma Luce, ce n’erano così tanti.

Continua a combattere, continua a combattere.

Lord Rand era venuto da lui, scusandosi. Da lui! Be’, Hurin lo avrebbe reso orgoglioso. Il Drago Rinato non aveva bisogno del perdono di un piccolo cacciatore di ladri, ma Hurin aveva ancora l’impressione che il mondo si fosse aggiustato. Lord Rand era di nuovo Lord Rand. Lord Rand li avrebbe preservati, se fossero riusciti a dargli abbastanza tempo.

Ci fu una fase di calma nell’azione. Hurin si accigliò. Quelle bestie erano sembrate infinite. Di sicuro non erano cadute tutte. Avanzò con cautela, guardando sopra i corpi giù per il pendio.

No, non erano stati sconfitti. Il mare di bestie sembrava ancora quasi sconfinato. Poteva vederle alla luce dei fuochi sottostanti. I Trolloc avevano interrotto la scalata perché avevano bisogno di spostare i cadaveri sul pendio, molti dei quali erano stati abbattuti dagli arcieri di Tam. Sotto di loro, nel letto del fiume, l’esercito più numeroso di Trolloc combatteva contro quello di Elayne.

«Dovremmo avere qualche minuto» disse Lan Mandragoran ai soldati dalla sella. Anche la Regina Alliandre cavalcava lì vicino, parlando con calma con i suoi uomini. Due monarchi in vista. Di sicuro sapevano come esercitare il comando. Quello fece sentire meglio Hurin.

«Si stanno preparando per un’ultima carica,» disse Lan «una spinta per costringerci a ritirarci dal pendio affinché possano combatterci sullo stesso livello. Riposate mentre sgombrano i corpi. Che la pace arrida alle vostre spade, amici. Il prossimo assalto sarà il peggiore.» Il prossimo assalto sarebbe stato il peggiore? Luce!

Dietro di loro, nel mezzo dell’altopiano, il resto dell’esercito di Mat continuava a incalzare quello sharano, cercando di spingerli indietro verso sudovest. Se fosse riuscito a farlo e li avesse cacciati giù dal pendio fra i Trolloc che combattevano con le forze di Elayne, potevano creare un caos che Mat poteva sfruttare a suo vantaggio. Ma per il momento gli Sharani non stavano cedendo nemmeno un pollice; in effetti stavano spingendo loro indietro l’esercito di Mat, che stava iniziando a cedere.

Hurin si stese supino, ascoltando i gemiti tutt’attorno, le urla distanti e il clangore di armi che colpivano metallo, odorando la puzza di violenza sospesa attorno a lui in un oceano di lezzi diversi.

Il peggio doveva ancora arrivare.

La Luce li aiutasse…


Berelain usò uno straccio per pulirsi il sangue dalle mani mentre entrava nella sala dei banchetti del palazzo. I tavoli erano stati fatti a pezzi per ricavarne della legna da ardere con cui alimentare gli enormi focolari a ciascun capo della lunga sala; al posto dei mobili c’erano file e file di feriti.

Le porte delle cucine si spalancarono ed entrò un gruppo di Calderai: alcuni portavano barelle e altri aiutavano uomini feriti a zoppicare nella stanza. Luce! pensò Berelain. Altri? Il palazzo era pieno di feriti fino a scoppiare.

«No, no!» disse, venendo avanti. «Non qui. Il corridoio sul retro. Dovremo cominciare a metterli lì. Rosil! Abbiamo nuovi feriti.»

I Calderai si voltarono verso il corridoio, parlando in toni confortanti ai feriti. Solo quelli che potevano essere salvati venivano portati lì. Berelain era stata costretta a istruire i capi tra le donne dei Tuatha’an su quali tipi di ferite richiedevano troppo sforzo per essere Guarite. Meglio salvare dieci uomini con brutte ferite che spendere le stesse energie per cercare di salvarne uno solo che si aggrappava alla vita con un filo di speranza.

Quel momento era stata una delle cose più sgradevoli che avesse mai fatto.

I Calderai continuarono a muoversi su una fila e Berelain guardò i feriti per notare se avessero abiti bianchi. C’erano Manti Bianchi fra loro, ma non quello che cercava lei.

Così tanti… pensò di nuovo. I Calderai non avevano aiuto per muovere i feriti. Ogni uomo abile nel palazzo e buona parte delle donne erano andati sul campo di battaglia per combattere o aiutare i profughi di Caemlyn a raccogliere frecce.

Rosil era affaccendata, gli abiti macchiati di sangue. Si fece immediatamente carico dei feriti, esaminandoli in cerca di qualcuno che abbisognasse di attenzione immediata. Purtroppo le porte della cucina si spalancarono in quel momento e un gruppo di Andorani e Aiel ricoperti di sangue le attraversarono, mandati da donne della Famiglia da un’altra zona del campo di battaglia.

Ciò che seguì fu quasi follia, quando Berelain assillò tutti i presenti — stallieri, anziani, alcuni bambini perfino di cinque armi — per aiutare a sistemare i nuovi arrivati. Solo gli Aiel in condizioni peggiori arrivavano lì: avevano la tendenza a restare sul campo di battaglia fintantoché riuscivano a impugnare un’arma. Ciò voleva dire che tutti quelli che arrivavano ormai non potevano più essere aiutati. Doveva sistemarli in spazi che non poteva permettersi e osservarli emettere rantoli di sangue mentre morivano.

«Questo è stupido!» disse lei, alzandosi in piedi. Le sue mani erano nuovamente umide di sangue e non le restava nessuno straccio pulito. Luce! «Ci occorre mandare aiuto. Tu.» Indicò un Aiel che era stato accecato. Era seduto con la schiena contro la parete, una benda attorno agli occhi. «Tu, Aiel cieco.»

«Mi chiamo Ronja.»

«Bene, Ronja. Ho alcuni gai’shain ad aiutarmi. Stando ai miei conti, dovrebbero essercene molti di più. Dove sono?»

«Attendono finché la battaglia non sarà finita, per dare assistenza ai vincitori.»

«Andremo a prenderli» disse lei. «Ci serve ogni persona per combattere.»

«Potrebbero venire da te qui, Berelain Paendrag, e aiutarti a curare i malati» disse l’uomo. «Ma non combatteranno. Non spetta a loro.»

«Vedranno la ragione» disse lei con fermezza. «È l’Ultima Battaglia!»

«Puoi essere capoclan qui,» disse l’Aiel con un sorriso «ma non sei il Car’a’carn. Perfino lui non potrebbe ordinare ai gai’shain di disobbedire a ji’e’toh.»

«Allora chi potrebbe farlo?»

Quello parve sorprendere l’uomo. «Nessuno. Non è possibile.»

«E le Sapienti?»

«Non lo farebbero» disse lui. «Mai.»

«Lo vedremo» disse Berelain.

Il sorriso dell’uomo si allargò. «Penso che nessun uomo o donna vorrebbe subire la tua ira, Berelain Paendrag. Ma se i miei occhi venissero curati, me li strapperei di nuovo prima di guardare dei gai’shain combattere.»

«Non serve che combattano, allora» disse Berelain. «Forse possono aiutare a trasportare i feriti. Rosil, hai questo gruppo?»

La donna stanca annuì. Non c’era una Aes Sedai nel palazzo che non avesse l’aria di crollare a terra prima di fare un altro passo. Berelain restava in piedi usando alcune erbe che non pensava Rosil avrebbe approvato.

Be’, non poteva fare altro qui. Tanto valeva controllare i feriti all’interno dei magazzini. Erano…

«Mia Lady Prima?» chiese una voce. Era Kitan, una delle cameriere del palazzo rimaste lì per aiutare i feriti. La donna esile la prese per il braccio. «C’è qualcosa che devi vedere.»

Berelain sospirò ma annuì. Quale disastro la attendeva ora? Un’altra bolla di male, che sigillava gruppi di feriti dietro muri che non erano mai stati lì prima? Avevano di nuovo terminato le bende? Berelain dubitava che ci fosse una coperta, un tendaggio o un indumento intimo nella città che non fosse già stato trasformato in una benda.

La ragazza la condusse su per le scale fino ai suoi stessi alloggi, dove venivano accudite alcune vittime. Entrò in una delle stanze e rimase sorpresa nel trovare una faccia familiare ad aspettarla. Annoura sedeva a un capezzale, indossando rosso sferzato di grigio, con le solite trecce tirate indietro e legate in un modo che non le donava. Berelain quasi non la riconobbe.

Annoura si alzò all’ingresso di Berelain e si inchinò, anche se pareva sul punto di crollare dalla fatica.

Nel letto giaceva Galad Damodred.

Berelain rimase senza fiato, precipitandosi al suo fianco.

Era lui, anche se in volto aveva una ferita orribile. Respirava ancora, ma era privo di sensi. Berelain gli sollevò il braccio per prendergli la mano nella sua, ma scoprì che terminava in un moncherino. Uno dei chirurghi l’aveva già cauterizzato per impedire che si dissanguasse.

«Come?» chiese Berelain, stringendogli l’altra mano e chiudendo gli occhi. La sua mano era calda. Quando aveva sentito quello che tuonava Demandred sull’aver sconfitto l’uomo in bianco…

«Sentivo di dovertelo» disse Annoura. «L’ho individuato sul campo di battaglia dopo che Demandred ha annunciato cosa aveva fatto. L’ho portato via mentre Demandred combatteva contro uno degli uomini della Torre Nera.» Si rimise a sedere sullo sgabello accanto al letto, poi si sporse in avanti, ingobbita. «Non ho potuto Guarirlo, Berelain. Tutto ciò che ho potuto fare è stato creare il passaggio per portarlo qui. Sono spiacente.»

«È tutto a posto» disse Berelain. «Kitan, va’ a prendere una delle altre sorelle. Annoura, ti sentirai meglio dopo che avrai riposato. Grazie.»

Annoura annuì. Chiuse gli occhi, e Berelain rimase sconcertata di vedere lacrime ai loro angoli.

«Cosa c’è?» domandò Berelain. «Annoura, cosa c’è che non va?»

«Non dovrebbe preoccuparti, Berelain» disse lei, alzandosi. «A tutte viene insegnato, vedi. Non incanalare se sei troppo stanca. Possono esserci complicazioni. Mi serviva un passaggio per tornare al palazzo, però. Per portarlo al sicuro, per risanare…»

Annoura cadde dallo sgabello. Berelain si abbassò al suo fianco, tenendole la testa. Solo allora si rese conto che non erano state le trecce a far sembrare Annoura così diversa. Anche il volto era cambiato. Non più senza età, bensì giovanile.

«Oh, Luce, Annoura» disse Berelain. «Ti sei consumata, vero?»

La donna aveva perso i sensi. Il cuore di Berelain sobbalzò. Lei e Annoura avevano avuto dei dissensi, di recente, ma per anni Annoura era stata sua confidente… e amica. Povera donna. Da come ne parlavano le Aes Sedai, questo era peggio della morte.

Berelain sollevò la donna sul divano della stanza e poi le mise sopra una coperta. Berelain si sentiva inerme. Forse… forse può essere Guarita in qualche modo.

Tornò al fianco di Galad per tenergli la mano ancora un po’, rimettendo dritto lo sgabello e sedendosi. Solo un po’ di riposo. Chiuse gli occhi. Galad era vivo. Aveva pagato un prezzo tenibile, ma era vivo.

Rimase stupefatta quando lui parlò. «Come?»

Aprì gli occhi e scoprì che Galad la stava guardando.

«Come ho fatto ad arrivare qui?» chiese piano.

«Annoura» rispose lei. «Ti ha trovato sul campo di battaglia.»

«Le mie ferite?»

«Altre Guaritrici verranno non appena avranno un momento» disse lei. «La tua mano…» Si fece forza. «La tua mano è persa, ma possiamo togliere quel taglio alla tua faccia.»

«No» sussurrò lui. «È solo… un taglietto. Risparmiate la Guarigione per quelli che morirebbero senza.» Pareva così stanco. A malapena sveglio.

Berelain si morse il labbro ma annuì. «Ma certo.» Esitò. «La battaglia sta andando male, vero?»

«Sì.»

«Dunque ora… Speriamo e basta?»

Galad fece scivolare la mano via dalla sua e se la infilò sotto la camicia. Quando fosse arrivata una Aes Sedai, avrebbero dovuto spogliarlo e provvedere alle ferite. Finora si erano occupati solo del moncherino, dato che era la lesione peggiore.

Galad sospirò, poi tremolò, la mano che scivolava via dalla camicia. Aveva voluto toglierla?

«Speranza…» mormorò, poi perse i sensi.


Rand piangeva.

Era rannicchiato nel buio, il Disegno che ruotava davanti a lui, intessuto dai fili delle vite degli uomini. Così tanti di quei fili terminavano.

Così tanti.

Sarebbe dovuto essere in grado di proteggerli. Perché non c’era riuscito? Contro la sua volontà, i nomi ricominciarono a scorrergli nella mente. I nomi di coloro che erano morti per lui, a cominciare dalle donne, ed espandendosi a tutte le persone che sarebbe dovuto riuscire a salvare, ma che non aveva salvato.

Mentre l’umanità combatteva a Merrilor e a Shayol Ghul, Rand era costretto a osservare le morti. Non poteva voltarsi.

Allora il Tenebroso scelse di attaccarlo in forze. La pressione giunse di nuovo, minacciando di schiacciare Rand e annichilirlo. Non riusciva a muoversi. Ogni frammento della sua essenza, della sua determinazione e della sua forza era concentrato sull’impedire al Tenebroso di farlo a pezzi.

Poteva solo guardare mentre morivano.

Rand osservò Davram Bashere perire in una carica, seguito rapidamente da sua moglie. Rand urlò vedendo cadere i suoi amici. Pianse per Davram Bashere.

Il caro, fedele Hurin rimase vittima di un attacco di Trolloc che cercavano di conquistare la sommità delle Alture dove Mat aveva organizzato la difesa. Rand pianse per Hurin. L’uomo che aveva tanta fiducia in lui, l’uomo che l’avrebbe seguito ovunque.

Jori Congar giacque sepolto sotto il corpo di un Trolloc, piagnucolando in cerca di aiuto fino a morire dissanguato. Rand pianse per Jori mentre il suo filo svaniva.

Enaila, che aveva deciso di abbandonare le Far Dareis Mai e aveva posato un serto nuziale ai piedi del siswai’aman Leiran, fu infilzata da quattro Trolloc. Rand pianse per lei.

Karldin Manfor, che lo aveva seguito per così tanto tempo ed era stato ai Pozzi di Dumai, morì quando la sua forza per incanalare cedette e crollò a terra dalla spossatezza. Degli Sharani calarono su di lui e lo accoltellarono con i loro pugnali neri. La sua Aes Sedai, Beldeine, barcollò e cadde qualche istante dopo. Rand pianse per entrambi.

Pianse per Gareth Bryne e Siuan. Pianse per Gawyn.

Tanti. Tantissimi.

Stai perdendo.

Rand si rannicchiò ancora di più. Cosa poteva fare? Il suo sogno di fermare il Tenebroso… Avrebbe creato un incubo se l’avesse fatto. Le sue stesse intenzioni lo tradivano.

Arrenditi, avversario. Perché continuare a combattere? Smetti e riposati.

Rand era tentato. Oh, quanto era tentato. Luce. Cosa avrebbe pensato Nynaeve? Poteva vederla che si sforzava di salvare Alanna. Quanto si sarebbero vergognate lei e Moiraine se avessero saputo che, in quel momento, Rand voleva cedere e basta?

Il dolore lo inondò e urlò di nuovo.

«Per favore, fallo smettere!»

Può smettere.

Rand si raggomitolò, contorcendosi e tremando. Tuttavia le loro urla lo assalivano. Morte dopo morte. Resse, a malapena. «No» sussurrò.

Molto bene, disse il Tenebroso. Ho un’altra cosa da mostrarti. Un’altra promessa di ciò che può essere…

Il Tenebroso ordì fili di possibilità un’ultima volta.

Tutto divenne tenebra.


Taim colpì con l’Unico Potere, percuotendo Mishraile con flussi di Aria. «Allora torna indietro, idiota! Combatti! Noi non perderemo quella posizione!»

Il Signore del Terrore se la svignò, radunando i suoi due compagni e precipitandosi via come ordinato. Taim fumava di rabbia e mandò in frantumi una pietra vicina con una scarica di Potere. Quella gatta selvatica di una Aes Sedai! Come osava dimostrarsi migliore di lui?

«M’Hael» disse una voce calma.

Taim… M’Hael. Doveva pensare a sé stesso come M’Hael. Attraversò il pendio verso la voce che lo aveva chiamato. Aveva usato un passaggio per mettersi in salvo, in preda al panico, dall’altra parte delle Alture, e adesso si trovava al bordo del versante sudorientale. Demandred usava questa posizione per tenere sotto controllo la battaglia lì sotto e mandare distruzione tra le formazioni di Andorani, Cairhienesi e Aiel.

I Trolloc di Demandred controllavano l’intero corridoio tra le Alture e gli acquitrini e stavano spossando i difensori presso il fiume asciutto. Era solo questione di tempo. Nel mentre, l’esercito sharano combatteva a nordest di quel punto sulle Alture. Lo preoccupava che Mat Cauthon fosse arrivato così rapidamente a fermare l’avanzata degli Sharani. Non aveva importanza. Quella era una mossa disperata per Cauthon. Non sarebbe stato in grado di resistere contro l’esercito sharano. Ma la cosa più importante in questo momento era distruggere quelle Aes Sedai sull’altro lato delle Alture. Quella era la chiave per vincere questa battaglia.

M’Hael passò tra Sharani sospettosi con strani vestiti e tatuaggi. Demandred era seduto in mezzo a loro, a gambe incrodate. Gli occhi chiusi, inspirava ed espirava lentamente. Quel sa’angreal che usava… gli sottraeva qualcosa, qualcosa di più della normale forza richiesta per incanalare.

Quello avrebbe fornito a M’Hael una breccia? Quanto lo irritava continuare a stare sotto un altro. Sì, aveva imparato molto da quest’uomo, ma era evidente che Demandred non era adatto per comandare. Coccolava questi Sharani e sprecava energie per la sua vendetta con al’Thor. La debolezza altrui costituiva una potenziale breccia per M’Hael.

«Ho sentito che stai fallendo, M’Hael» disse Demandred.

Davanti a loro, dall’altra parte del letto asciutto del fiume, le difese andorane stavano finalmente cominciando a cedere. I Trolloc stavano sempre cercando di trovare punti deboli nelle loro file e stavano creando squarci nelle formazioni di picche in varie parti su e giù per il fiume. La cavalleria pesante della Legione e la cavalleria leggera cairhienese erano in costante movimento adesso: effettuavano spazzate di disperazione contro i Trolloc mentre facevano a pezzi le difese andorane. Gli Aiel li stavano ancora tenendo a bada vicino agli acquitrini e i balestrieri della Legione combinati con le picche andorane stavano ancora impedendo loro di aggirarli sul fianco destro. Ma la pressione dell’assalto dei Trolloc era incessante, e le linee di Elayne stavano cedendo gradualmente, muovendosi più in profondità nel territorio shienarese.

«M’Hael?» disse Demandred aprendo gli occhi. Occhi antichi. M’Hael si rifiutò di sentirsi intimidito, guardando dentro di essi. Non si sarebbe fatto intimidire! «Dimmi come hai fallito.»

«La strega Aes Sedai» esclamò M’Hael. «Ha un sa’angreal di grande potenza. L’avevo quasi sconfitta, ma il Vero Potere mi ha abbandonato.»

«Te ne viene dato soltanto un filo per un motivo» disse Demandred chiudendo di nuovo gli occhi. «È imprevedibile per chi non è abituato a come funziona.»

M’Hael non disse nulla. Si sarebbe esercitato con il Vero Potere; avrebbe appreso i suoi segreti. Gli altri Reietti erano vecchi e lenti. Presto nuovo sangue avrebbe regnato.

Con un rilassato senso di ineluttabilità, Demandred si alzò. Dava l’impressione di un enorme macigno che cambiava posizione. «Tornerai là e la ucciderai, M’Hael. Io ho ucciso il suo Custode. Dovrebbe essere una preda facile.»

«Il sa’angreal…»

Demandred gli porse lo scettro, con il calice dorato fissato in cima.

Era forse una prova? Un tale potere. M’Hael aveva percepito la forza che si irradiava da Demandred quando lo utilizzava.

«Dici che ha un sa’angreal» disse Demandred. «Con questo, anche tu ne avrai uno. Ti concedo Sakarnen per toglierti ogni scusa per il fallimento. Porta a termine questo compito o muori, M’Hael. Dimostrati degno di far parte dei Prescelti.»

M’Hael si umettò le labbra. «E se il Drago Rinato dovesse finalmente venire da te?»

Demandred rise. «Pensi che userei questo per affrontarlo? Cosa dimostrerebbe? Le nostre forze devono essere alla pari se devo dimostrarmi migliore. Stando a tutti i resoconti, non può usare Callandor in sicurezza, e ha stupidamente distrutto i Choedan Kal. Lui verrà, e quando lo farà, lo affronterò senza alcun aiuto e dimostrerò di essere il vero padrone di questo regno.»

Per l’Oscurità… pensò Taim. È impazzito completamente, vero? Era strano guardare quegli occhi che sembravano così lucidi e sentire pazzia completa dalle sue labbra. La prima volta che Demandred era andato da M’Hael a offrirgli l’opportunità di servire il Sommo Signore, non era così. Arrogante, sì. Tutti i Prescelti erano arroganti. La determinazione di Demandred di uccidere al’Thor personalmente aveva bruciato come un fuoco dentro di lui.

Ma questo… Questo era qualcosa di diverso. Vivere a Shara lo aveva cambiato. Indebolito, di sicuro. Ora questo. Quale uomo avrebbe dato volontariamente a un rivale un artefatto così potente?

Solo uno sciocco, pensò M’Hael, allungando una mano verso il sa’angreal. Ucciderti sarebbe come abbattere un cavallo con tre zampe rotte, Demandred. Che peccato. Avevo sperato di eliminarti come un rivale.

Demandred si voltò e M’Hael attinse l’Unico Potere attraverso Sakarnen, abbeverandosi avidamente con la sua abbondanza. La dolcezza di saidin lo saturò, un torrente infuriato di Potere succulento. M’Hael era immenso mentre tratteneva questo! Poteva fare qualunque cosa. Spianare montagne, distruggere eserciti, tutto da solo!

M’Hael non vedeva l’ora di estrarre flussi, tesserli assieme e distruggere quest’uomo.

«Fai attenzione» disse Demandred. La sua voce sembrava patetica, debole. Lo squittio di un topo. «Non incanalare con quello nella mia direzione. Ho vincolato Sakarnen a me. Se cerchi di usarlo contro di me, ti brucerà via dal Disegno.»

Demandred stava mentendo? Un sa’angreal poteva essere sintonizzato su una persona specifica? M’Hael non lo sapeva. Rifletté, poi abbassò Sanamente, amareggiato nonostante il Potere che lo riempiva impetuoso.

«Non sono uno sciocco, M’Hael» disse Demandred in tono asciutto. «Non ti consegnerei certo il cappio con cui impiccarmi. Va’ e fa’ come ti è stato ordinato. Sei il mio servitore in questo, la mano che impugna la mia scure per abbattere l’albero. Distruggi l’Amyrlin; usa il Fuoco Malefico. Abbiamo ricevuto degli ordini e obbediremo. Il mondo dev’essere disfatto prima che possiamo tesserlo di nuovo secondo la nostra visione.»

M’Hael gli ringhiò contro, ma fece come gli era stato detto e intessé un passaggio. Avrebbe distrutto quella strega Aes Sedai. Poi… poi avrebbe deciso come occuparsi di Demandred.


Elayne guardava in preda alla frustrazione mentre le sue formazioni di picche venivano spinte indietro. Non gradiva molto il fatto che Birgitte fosse riuscita a convincerla a togliersi dall’immediata zona di combattimento: uno sfondamento da parte dei Trolloc poteva giungere in qualunque momento.

Elayne si era ritirata quasi fino alle rovine, lontana dal pericolo diretto per il momento. Era circondata da un doppio anello di guardie, molte delle quali sedute a mangiare, recuperando quel poco di forze che potevano durante gli intervalli tra gli scontri.

Elayne non sventolava il suo stendardo, ma inviava messaggeri per far sapere ai suoi comandanti che era ancora viva. Anche se aveva cercato di guidare le truppe contro i Trolloc, i suoi sforzi non erano stati sufficienti. Era evidente che le sue armate si stavano indebolendo.

«Dobbiamo tornare indietro» disse a Birgitte. «Hanno bisogno di vedermi, Birgitte.»

«Non so se cambierà qualcosa» disse Birgitte. «Quelle formazioni non possono reggere con i Trolloc e quei dannati flussi. Io…»

«Cosa c’è?» chiese Elayne.

Birgitte si voltò. «Giuro che una volta ricordavo una situazione come questa.»

Elayne si fece forza. La perdita di memoria di Birgitte le faceva male al cuore, ma era solo il problema di una donna. Migliaia dei suoi uomini stavano morendo. Lì vicino, i profughi di Caemlyn erano ancora impegnati a cercare frecce e feriti. Diversi gruppi si avvicinavano alle guardie di Elayne, parlando con loro in toni sommessi, chiedendo notizie sulla battaglia o sulla Regina. Elayne provò una punta di orgoglio per i profughi e la loro tenacia. La città era stata devastata, ma una città poteva essere ricostruita. Le persone, il vero cuore di Caemlyn, non sarebbero cadute così facilmente.

Un’altra lancia di luce si abbatté sul campo di battaglia, uccidendo uomini e sbaragliando i picchieri. Al di là, dal lato opposto delle Alture, delle donne incanalavano in una battaglia furibonda. Elayne poteva vedere le luci balenare nella notte, anche se quello era tutto. Si sarebbe dovuta unire a loro? Il suo comando qui non era stato abbastanza valido da salvare i soldati, ma aveva fornito loro guida e autorità.

«Temo per il nostro esercito, Elayne» disse Birgitte. «Temo che sia tutto perduto.»

«Non può essere tutto perduto,» disse Elayne «perché se così fosse tutti quanti saremmo perduti. Mi rifiuto di accettare la sconfitta. Tu e io ritorneremo. Che Demandred provi ad abbatterci. Forse vedermi infonderà nuova energia ai soldati, li renderà…»

Un gruppo di profughi di Caemlyn nelle vicinanze attaccò uomini e donne della Guardia.

Elayne imprecò, voltando Ombra di Luna e abbracciando runico Potere. Il gruppo che all’inizio aveva scambiato per profughi in abiti sporchi e fuligginosi aveva delle cotte di maglia. Affrontarono le guardie, uccidendo con spade e asce. Non erano affatto profughi, ma mercenari.

«Tradimento!» urlò Birgitte, sollevando il suo arco e trapassando con una freccia la gola di un mercenario. «Alle armi!»

«Non è un tradimento!» disse Elayne. Intessé Fuoco e ne abbatté tre. «Quelli non sono dei nostri! Attenta ai ladri vestiti da mendicanti!»

Si voltò mentre un altro gruppo di ‘profughi’ assaliva le linee indebolite delle sue guardie. Erano tutt’intorno! Si erano avvicinati di soppiatto mentre l’attenzione era concentrata sul campo di battaglia distante.

Mentre un gruppo di mercenari faceva irruzione, Elayne intessé saidar per mostrare loro la follia di attaccare una Aes Sedai. Scagliò un potente flusso di Aria.

Quando colpì uno degli uomini che correvano verso di lei, il flusso si disgregò, sfilacciandosi. Elayne imprecò, voltando il cavallo per fuggire, ma uno degli assalitori si gettò in avanti e conficcò la sua spada nel collo di Ombra di Luna. Il cavallo si impennò, lanciando un urlo di dolore, ed Elayne colse una breve occhiata di guardie che combattevano tutt’attorno mentre cadeva a terra, spaventata per la sicurezza dei suoi bambini. Mani ruvide la afferrarono per le spalle e la tennero a terra.

Elayne vide qualcosa di argenteo scintillare nella notte. Un medaglione a testa di volpe. Un altro paio di mani lo premettero contro la sua pelle appena sopra i seni. Il metallo era decisamente freddo.

«Salve, mia Regina» disse Mellar, accucciandosi accanto a lei. L’ex uomo della Guardia — colui che molti credevano fosse il padre dei suoi figli — la guardò in modo lascivo. «Sei stata molto difficile da rintracciare.»

Elayne gli sputò addosso, ma lui la anticipò, sollevando la mano per parare lo sputo. Sorrise, poi si alzò in piedi, lasciandola trattenuta da due mercenari. Anche se alcune delle sue guardie combattevano ancora, molte erano state respinte o uccise.

Mellar si voltò quando due uomini trascinarono lì Birgitte. Lei si dibatteva nella loro stretta, e un terzo uomo accorse per aiutarli a tenerla. Mellar estrasse la spada e osservò la lama per un momento, come per guardarsi nel suo bagliore riflettente. Poi la conficcò nello stomaco di Birgitte.

Birgitte restò senza fiato e cadde in ginocchio. Mellar la decapitò con un terribile colpo di rovescio.

Elayne si ritrovò seduta completamente immobile, incapace di pensare o reagire mentre il cadavere di Birgitte cadeva di peso in avanti, sprizzando sangue dal collo. Il legame si estinse e con esso giunse… dolore. Un dolore terribile.

«Era molto tempo che volevo farlo» disse Mellar. «Sangue e maledette ceneri, quanto è stato bello.»

Birgitte… La sua Custode era morta. La sua Custode era stata uccisa. Quel cuore duro eppure generoso, quella straordinaria lealtà… Tutto distrutto. Quella perdita le… le rendeva difficile pensare.

Mellar diede un caldo al cadavere di Birgitte mentre un uomo giungeva a cavallo con un corpo gettato dietro la sella. L’uomo portava un’uniforme andorana mentre dal cadavere a faccia in giù dondolavano capelli dorati. Chiunque fosse quella povera donna, indossava un abito come quello di Elayne.

Oh no…

«Vai» disse Mellar. L’uomo si allontanò, con altri che si mettevano in formazione attorno a lui, finti uomini della Guardia. Portavano lo stendardo di Elayne e uno cominciò a urlare: «La Regina è morta! La Regina è caduta!»

Mellar si voltò verso Elayne. «La tua gente combatte ancora. Be’, questo dovrebbe gettare scompiglio tra le file. Per quanto riguarda te… Be’, a quanto pare per il Sommo Signore quei tuoi bambini sono di qualche utilità. Mi è stato ordinato di portarli a Shayol Ghul. Mi viene in mente che non è necessario che tu sia con loro.» Guardò uno dei suoi compagni. «Puoi farlo?»

L’altro uomo si inginocchiò accanto a Elayne, poi le premette le mani contro il ventre. Una scarica di paura improvvisa si fece largo fra intontimento e sconcerto. I suoi bambini!

«La gravidanza è abbastanza avanzata» disse l’uomo. «Probabilmente posso mantenere i bambini in vita con un flusso, se tagli e li tiri fuori. Sarà difficile farlo nel modo giusto. Sono ancora piccoli. Sei mesi. Ma con i flussi che mi sono stati mostrati dai Prescelti… Sì, penso di poterli tenere vivi per un’ora. Ma dovrai portarli da M’Hael per farli arrivare a Shayol Ghul. Viaggiare lì con un normale passaggio non funziona più.»

Mellar rinfoderò la spada e tirò via dalla cintura un coltello da caccia. «A me sta bene. Gli manderemo i bambini, come chiede il Sommo Signore. Ma tu, mia Regina… Tu sei mia.»

Elayne si dibatte, ma la stretta degli uomini era salda. Cercò di afferrare saidar più e più volte, ma il medaglione funzionava come radice biforcuta. Tanto valeva cercare di abbracciare saidin, invece di raggiungere saidar.

«No!» urlò mentre Mellar si inginocchiava accanto a lei. «No!»

«Bene» disse. «Speravo che ti saresti decisa a urlare.»


Nulla.

Rand si voltò. Cercò di voltarsi. Non aveva figura o forma.

Nulla.

Cercò di parlare, ma non aveva bocca. Alla fine riuscì a pensare le parole e a renderle manifeste.

Shai’tan, proiettò Rand, cos’è questo?

Il nostro patto, replicò il Tenebroso. Il nostro accomodamento.

Il nostro accomodamento è il nulla? domandò Rand.

Sì.

Rand comprese. Il Tenebroso gli stava offrendo un accordo. Rand poteva accettare questo… Poteva accettare il nulla. Duellavano per il destino del mondo. Rand propugnava pace, gloria, amore. Il Tenebroso cercava l’opposto. Dolore. Sofferenza.

In un certo senso, costituiva un equilibrio tra loro due. Il Tenebroso avrebbe acconsentito a non riforgiare la Ruota per adattarsi ai suoi cupi desideri. Non ci sarebbe stata schiavitù per l’umanità, nessun mondo senza amore. Non ci sarebbe più stato nessun mondo.

È quello che hai promesso a Elan, disse Rand. Gli hai promesso una fine per l’esistenza.

Lo offro anche a te, ribatté il Tenebroso. E a tutti gli uomini. Volevi pace. Te la do. La pace del vuoto che cerchi così spesso. Ti do tutto e nulla.

Rand non rifiutò l’offerta immediatamente. Afferrò l’offerta e la cullò nella sua mente. Niente più dolore. Niente più sofferenza. Niente più fardelli. Una fine. Non era quello che aveva desiderato? Un modo per porre finalmente termine ai cicli?

No, disse Rand. Una fine per l’esistenza non è pace. Ho compiuto questa scelta in precedenza. Continueremo.

La pressione del Tenebroso ricominciò a circondarlo, minacciando di farlo a pezzi.

Non te lo offrirò di nuovo, disse il Tenebroso.

«Non mi aspetto che tu lo faccia» disse Rand mentre il suo corpo tornava e i fili di possibilità svanivano.

Poi cominciò il vero dolore.


Min attendeva con le forze seanchan radunate e gli ufficiali percorrevano le file con lanterne per preparare gli uomini. Non erano tornati a Ebou Dar, ma erano fuggiti attraverso passaggi fino a una vasta pianura sgombra che non riconosceva. Qui crescevano alberi con una corteccia strana e ampie fronde. Non riusciva a capire se fossero davvero alberi o semplicemente felci molto grandi. Era particolarmente difficile da capire a causa dell’avvizzimento: sugli alberi erano cresciute foglie, ma adesso pendevano ai lati come se non vedessero acqua da troppe settimane. Min cercò di immaginare come sarebbero dovuti sembrare se fossero stati in salute.

L’aria per lei aveva un odore differente: di piante che non riconosceva e di acqua salmastra. Le forze seanchan attendevano in formazioni serrate di truppe, pronte a marnare, un uomo su quattro con una lanterna anche se solo una su dieci di esse al momento era accesa. Spostare un esercito non si poteva fare in fretta, nonostante i passaggi, ma Fortuona aveva accesso a centinaia di damane. La ritirata era stata portata a termine in modo efficiente, e Min sospettava che un ritorno sul campo di battaglia potesse essere compiuto con rapidità.

Se Fortuona avesse deciso di ritornare, così sarebbe stato. L’imperatrice sedeva in cima a un pilastro nella notte, sollevata sulla sua portantina, illuminata da lanterne azzurre. Non era un trono ma un pilastro bianco puro, di circa sei piedi di altezza, eretto sulla cima di una collinetta. Min aveva un posto a sedere accanto al pilastro, e poteva sentire i rapporti man mano che arrivavano.

«Questa battaglia non sta andando bene per il Principe dei Corvi» disse il generale Galgan. Si rivolse ai suoi generali davanti a Fortuona, parlando direttamente a loro, affinché potessero rispondergli senza rivolgersi formalmente all’imperatrice. «La sua richiesta che tornassimo è arrivata soltanto ora. Ha aspettato troppo a lungo per chiamarci in aiuto.»

«Esito a dirlo» disse Yulan. «Ma, anche se la saggezza dell’imperatrice non conosce limiti, io non ho fiducia nel Principe. Può essere il consorte dell’imperatrice, e ovviamente è stato una scelta saggia per quel ruolo. Ma si è dimostrato avventato in battaglia. Forse è troppo logorato da ciò che sta accadendo.»

«Sono certo che ha un piano» disse Beslan in tono serio. «Dovete fidarvi di Mat. Lui sa cosa sta facendo.»

«Prima mi ha colpito» disse Galgan. «I presagi sembrano favorirlo.»

«Sta perdendo, Capitano Generale» disse Yulan. «Perdendo malamente. I presagi per un uomo possono cambiare rapidamente, così come la sorte di una nazione.»

Min strinse gli occhi verso il basso capitano dell’aria. Adesso portava le ultime unghie di ciascuna mano smaltate. Era stato lui a guidare l’attacco a Tar Valon, e il successo di quella operazione gli aveva fruttato molto favore agli occhi di Fortuona. Simboli e presagi ruotavano attorno alla sua testa, così come sopra quella di Galgan… E, in effetti, di Beslan.

Luce, pensò Min. Sto davvero cominciando a pensare ai ‘presagi’ come Fortuona? Devo lasciare questa gente. Sono pazzi.

«Ho l’impressione che il Principe consideri questa battaglia troppo simile a un gioco» disse di nuovo Yulan. «Anche se i suoi azzardi iniziali sono stati astuti, ha tirato troppo la corda. Quanti uomini si sono trovati attorno al tavolo di dactolk e sono sembrati dei geni per le loro scommesse quando invece era solo il caso a farli sembrare capaci? Il Principe ha vinto sulle prime, ma ora vediamo quanto è pericoloso giocare d’azzardo come ha fatto lui.»

Yulan inclinò la testa verso l’imperatrice. Le sue affermazioni diventavano sempre più audaci, dal momento che non gli dava motivo di tacere. Dall’imperatrice, in questa situazione, era come un’indicazione che dovesse continuare.

«Ho sentito… voci su di lui» disse Galgan.

«Mat è un giocatore d’azzardo, sì» disse Beslan. «Ma è misteriosamente bravo in quello. Lui vince, generale. Per favore, dovete tornare indietro e aiutarlo.»

Yulan scosse la testa con enfasi. «L’imperatrice — che possa vivere per sempre — ci ha portato via dal campo di battaglia per un buon motivo. Se il Principe non è riuscito a proteggere il suo stesso centro di comando, non ha il controllo della battaglia.»

Sempre più audace. Galgan si sfregò il mento, poi guardò un’altra persona lì. Min non sapeva molto di Tylee. Lei restava in silenzio in questi incontri. Con capelli ingrigiti e spalle ampie, la donna dalla carnagione scura aveva in sé una forza indefinibile. Era un generale che aveva guidato direttamente in battaglia i suoi uomini, molte volte. Quelle cicatrici lo dimostravano.

«Questa gente del continente combatte meglio di quanto avrei mai pensato» disse Tylee. «Io ho combattuto al fianco di alcuni soldati di Cauthon. Penso che ti sorprenderanno, generale. Anch’io suggerisco umilmente di tornare ad aiutarli.»

«Ma farlo è nel miglior interesse dell’impero?» chiese Yulan.

«Le forze di Cauthon indeboliranno l’Ombra, così come la loro marcia da Merrilor a Ebou Dar. Possiamo annientare i Trolloc con attacchi aerei lungo il tragitto. Il nostro obiettivo dovrebbe essere una vittoria a lungo termine. Forse possiamo mandare delle damane a prendere il Principe e portarlo al sicuro. Ha combattuto bene, ma è evidente che è stato surclassato in questa battaglia. Non possiamo salvare i suoi eserciti, naturalmente. Quelli sono condannati.»

Min si accigliò, sporgendosi in avanti. Una delle immagini sopra la testa di Yulan… era così strana. Una catena. Perché mai doveva avere una catena sopra la testa?

È un prigioniero, pensò Min all’improvviso. Luce. Qualcuno lo sta manovrando come un burattino.

Mat temeva una spia. Min sentì freddo.

«L’imperatrice, che possa vivere per sempre, ha preso la sua decisione» disse Galgan. «Torniamo. A meno che, nella sua saggezza, non abbia cambiato idea…?» Si voltò verso di lei, un’espressione interrogativa in volto.

La nostra spia può incanalare, si rese conto Min esaminando Yulan. Quell’uomo è sotto coercizione.

Un incanalatore. Ajah Nera? Una damane Amica delle Tenebre? Un Signore del Terrore maschio? Poteva essere chiunque. E, con tutta probabilità, la spia avrebbe anche indossato un flusso come travestimento.

Perciò come avrebbe mai fatto Min a individuare questa spia?

Visioni. Aes Sedai e altri incanalatori avevano sempre visioni attaccate a loro. Sempre. Poteva trovare un indizio in una di quelle? Sapeva per istinto che la catena di Yulan significava che era prigioniero di qualcun altro. Non era la vera spia, dunque, ma una marionetta.

Iniziò con gli altri nobili e generali. Naturalmente molti di loro avevano presagi sopra la testa, come accadeva di solito per tipi come quelli. Come avrebbe notato qualcosa di fuori dall’ordinario? Min passò in rassegna la folla dei presenti e le si mozzò il fiato quando si avvide per la prima volta che una dei so’jhin, una donna giovane con le lentiggini, portava sopra la testa una varietà di immagini.

Min non riconosceva quella donna. Era stata lì a servire tutto il tempo? Min era certa che l’avrebbe notata prima se fosse stata vicino a lei; le persone che non erano incanalatori, Custodi o ta’veren di rado avevano collegate a sé così tante immagini. Che fosse un caso o una svista, però, non aveva pensato di guardare i servitori nello specifico.

Adesso quella copertura le risultò ovvia. Min distolse lo sguardo per non destare i sospetti della servitrice e meditò sulla mossa successiva. Il suo istinto le sussurrava di attaccare e basta, tirando fuori un coltello e scagliandolo. Se quella servitrice era un Signore del Terrore — oppure, Luce, una dei Reietti — colpire per prima poteva essere l’unico modo per sconfiggerla.

Ma c’era anche una possibilità che la donna fosse innocente. Min rifletté, poi si mise in piedi sulla sedia. Diversi del Sangue borbottarono per quell’infrazione del decoro, ma Min li ignorò. Salì sul bracciolo della sedia, restando in equilibrio lì per mettersi allo stesso livello con Tuon. Min si sporse verso di lei.

«Mat ci ha chiesto di tornare» disse Min piano. «Quanto tempo discuterai per fare ciò che ha chiesto?»

Tuon la fissò. «Finché non sarò convinta che è la cosa migliore per il mio impero.»

«Lui è tuo marito.»

«La vita di un uomo non vale quella di migliaia» disse Tuon, ma sembrava sinceramente turbata. «Se la battaglia sta andando davvero male come dicono gli esploratori di Yulan…»

«Tu mi hai nominato Voce della Verità» disse Min. «Cosa vuol dire con esattezza?»

«È tuo compito censurarmi in pubblico, se faccio qualcosa di sbagliato. Comunque, non sei addestrata per tale ruolo. Sarebbe meglio che ti trattenessi finché non sarò in grado di fornirti un’adeguata…»

Min si voltò per fronteggiare i generali e la folla dei presenti, il cuore che batteva forte. «Come Voce della Verità dell’imperatrice Fortuona, ora dichiaro la verità. Lei ha abbandonato gli eserciti dell’umanità e nega la propria forza in un momento di bisogno. Il suo orgoglio provocherà la distruzione di tutti i popoli, ovunque.» membri del Sangue parvero sbigottiti.

«Non è così semplice, giovane donna» disse il generale Galgan. Dagli sguardi che gli scoccarono gli altri, pareva che non fosse suo compito discutere con una Voce della Verità. Lui si precipitò in avanti comunque. «Questa è una situazione complessa.»

«Sarei più solidale» disse Min «se non sapessi che c’è una spia dell’Ombra fra noi.»

La so’jhin lentigginosa alzò lo sguardo bruscamente.

Sei mia, pensò Min, poi indicò il generale Yulan. «Abaldar Yulan, io ti denuncio! Ho visto presagi che mi dimostrano che non stai agendo negli interessi dell’impero!»

La vera spia si rilassò e Min colse un accenno di sorriso sulle sue labbra. Era sufficiente. Mentre Yulan protestava a gran voce contro l’accusa, Min si lasciò cadere un coltello nella mano e lo scagliò verso la donna.

Roteò in aria, ma appena prima di colpire la donna si fermò e rimase sospeso in volo.

Le damane e le sul’dam presenti rimasero senza fiato. La spia scoccò a Min un’occhiataccia carica d’odio, poi aprì un passaggio e vi si gettò attraverso. Dei flussi le vennero scagliati contro, ma era svanita prima che buona parte dei presenti all’incontro si rendesse conto di cosa stava accadendo.

«Sono spiacente, generale Yulan,» annunciò Min «ma sei vittima di coercizione. Fortuona, è evidente che l’Ombra sta facendo ciò che può per tenera lontano da questa battaglia. Considerando questo, seguirai ancora questa linea di indecisione?»

Min incontrò gli occhi di Tuon.

«Sei molto brava in questi giochi» sussurrò Tuon, la voce fredda. «E pensare che mi preoccupavo per la tua sicurezza portandoti nella mia corte. Pare che mi sarei dovuta preoccupare per me stessa.» Tuon sospirò, pianissimo. «Suppongo che tu mi dia l’opportunità… forse il mandato… per seguire ciò che sceglierebbe il mio cuore, che sia saggio o no.» Si alzò in piedi. «Generale Galgan, raduna le truppe. Torniamo al Campo di Merrilor.»


Egwene intessé Terra e distrusse i macigni dietro cui gli Sharani si erano nascosti. Le altre Aes Sedai colpirono immediatamente, scagliando flussi per l’aria sfrigolante. Gli Sharani morivano in fuoco, fulmini ed esplosioni.

Questo lato delle Alture era così pieno di pile di macerie e sfregiato da trincee che parevano i resti di una città dopo un tremendo terremoto. Era ancora notte e combattevano da… Luce, quanto tempo era passato da quando era morto Gawyn? Ore e ore.

Egwene raddoppiò i suoi sforzi, rifiutandosi di lasciarsi abbattere dal pensiero di Gawyn. Nel corso delle ore, le sue Aes Sedai e gli Sharani avevano combattuto lungo il lato occidentale delle Alture. Lentamente Egwene li stava spingendo a ovest.

A volte, la fazione di Egwene era sembrata sul punto di vincere, ma sempre più Aes Sedai cadevano per gli effetti della fatica o per l’Unico Potere.

Un altro gruppo di incanalatori si avvicinò attraverso il fiume, attingendo l’Unico Potere. Egwene poté percepirli più che vederli.

«Deviate i flussi!» urlò Egwene, in piedi lì davanti. «Io attacco, voi difendete!»

Altre donne riferirono il suo messaggio, urlandolo lungo la linea di battaglia. Non combattevano più in sacche isolate: donne di tutte le Ajah erano allineate a ciascun lato di Egwene, i loro volti senza età concentrati. I Custodi si trovavano di fronte a loro: usare i propri corpi per fermare i flussi era l’unica protezione che potevano offrire.

Egwene avvertì Leilwin avvicinarsi da dietro. La nuova Custode prendeva sul serio i propri compiti. Una Seanchan che combatteva come sua Custode nell’Ultima Battaglia. Perché no? Il mondo stesso si stava disgregando. Le crepe tutt’attorno ai piedi di Egwene lo dimostravano. Non erano svanite come le precedenti: l’oscurità rimaneva. Il Fuoco Malefico era stato utilizzato troppo in questa zona.

Egwene lanciò un’ondata di Fuoco come un muro semovente. I cadaveri si infiammarono mentre il muro passava, lasciando dietro pile fumanti di ossa. Il suo attacco segnò la terra annerendola, e gli Sharani si raggrupparono per controbattere a quel flusso. Lei ne uccise alcuni prima che interrompessero l’attacco.

Le altre Aes Sedai deviarono o distrussero i loro flussi di risposta, ed Egwene radunò le forze per ritentare. Così stanca… bisbigliò una parte di lei. Egwene, sei così stanca. Sta diventando pericoloso.

Leilwin venne avanti, inciampando su rocce spezzate ma unendosi a lei in prima linea. «Ho notizie, Madre» disse in quella pronuncia strascicata da Seanchan. «Gli Asha’man hanno recuperato i sigilli. Ce l’ha il loro capo.»

Egwene emise un sospiro di sollievo. Intessé Fuoco e stavolta lo scagliò in avanti in pilastri, con le fiamme che illuminavano il terreno attorno a loro.

Le crepe che M’Hael aveva causato la preoccupavano parecchio. Iniziò un altro flusso, poi si fermò. C’era qualcosa di strano.

Si girò quando del Fuoco Malefico — una colonna larga quanto il braccio di un uomo — devastò la fila di Aes Sedai, vaporizzando mezza dozzina di donne. Tutt’attorno comparvero esplosioni come dal nulla, e altre donne passarono dalla battaglia alla morte in un istante.

Il Fuoco Malefico ha consumato donne che avevano impedito a dei flussi di ucciderci… Ma quelle donne sono state rimosse dal Disegno prima di poter tessere e non potevano più aver fermato quegli attacchi degli Sharani. Il Fuoco Malefico bruciava un filo all’indietro nel Disegno.

La serie di eventi fu catastrofica. Gli incanalatori sharani che erano morti adesso erano di nuovo vivi e si scagliarono in avanti: uomini che avanzavano carponi per il terreno spezzato come segugi, donne che camminavano in gruppi di quattro o cinque. Egwene cercò la sorgente del Fuoco Malefico.

Non aveva mai visto una barra tanto immensa, così potente che doveva aver bruciato fili fino ad alcune ore addietro.

Trovò M’hael in piedi in cima alle Alture, l’aria deformata in una bolla attorno a lui. Piccoli tentacoli neri — come muschi licheni — strisciavano fuori dalle crepe nella roccia attorno a lui. Una malattia che si diffondeva. Oscurità, nulla. Li avrebbe consumati tutti quanti.

Un’altra barra di Fuoco Malefico arse un foro attraverso il terreno e toccò delle donne, facendo risplendere e poi svanire le loro forme. L’aria stessa si ruppe, come una bolla di forza che esplodeva a partire da M’Hael. La tempesta di prima tornò, più forte.

«Pensavo di averti insegnato a scappare» ringhiò Egwene, rialzandosi e facendo appello al suo potere. Ai suoi piedi, la terra si coprì di crepe aperte sul nulla.

Luce! Poteva percepire il vuoto in quel buco. Iniziò un flusso, ma un altro colpo di Fuoco Malefico attraversò il campo di battaglia, uccidendo donne che lei amava. Il tremore sotto suoi piedi gettò Egwene a terra. Le urla crebbero mentre gli attacchi degli Sharani massacravano i seguaci di Egwene. Le Aes Sedai si sparpagliarono, cercando riparo.

Le fratture sul terreno si diffusero, come se la cima delle Alture fosse stata colpita da un martello.

Fuoco malefico. Doveva usarlo anche lei. Era l’unico modo per combatterlo! Si mise in ginocchio e iniziò a formare il flusso proibito, anche se il suo cuore sussultava mentre lo faceva.

No. Usare il Fuoco Malefico avrebbe solo spinto il mondo verso la distruzione.

Allora cosa?

È solo un flusso, Egwene. Parole di Perrin, quando l’aveva incontrata nel Mondo dei Sogni e aveva impedito che il fuoco malefico lo colpisse. Ma non era un flusso come un altro. Non c’era niente di simile.

Così esausta. Ora che si era fermata per un momento, poteva sentire la fatica che la intorpidiva. Nel profondo, percepiva la perdita, la perdita amara della morte di Gawyn.

«Madre!» disse Leilwin, tirandola per la spalla. La donna era rimasta con lei. «Madre, dobbiamo andare! Le Aes Sedai sono in rotta! Gli Sharani ci hanno sopraffatto.»

Più avanti, M’Hael la vide. Sorrise e avanzò, uno scettro in una mano e l’altra puntata verso di lei, il palmo all’insù. Cosa sarebbe successo se l’avesse consumata con il Fuoco Malefico? Le ultime due ore sarebbero scomparse. L’aver radunato le Aes Sedai, le diverse dozzine di Sharani che aveva ucciso.

Soltanto un flusso…

Non ne esisteva nessun altro simile.

Non è così che funziona, pensò lei. Due facce per ogni moneta. Due metà per il Potere. Caldo e freddo, luce e buio, donna e uomo. Se esiste un flusso, deve esistere anche il suo opposto.

M’Hael scagliò Fuoco Malefico, ed Egwene fece… qualcosa. Il flusso che aveva provato prima sulle crepe, ma con un potere e una portata molto più grandi: un flusso maestoso, straordinario, una combinazione di tutti i Cinque Poteri. Scivolò al suo posto davanti a lei. Egwene urlò, rilasciandolo come dalla sua stessa anima, una colonna di bianco purissimo che colpì il flusso di M’Hael al centro. I due si cancellarono a vicenda, come acqua bollente e acqua congelata assieme. Un poderoso lampo di luce annientò tutto il resto, accecando Egwene, ma lei poté percepire qualcosa da ciò che faceva. Un arginamento del Disegno. Le crepe smisero di diffondersi e qualcosa sgorgò dentro di loro, una forza stabilizzatrice. Qualcosa che cresceva, come una crosta su una ferita. Non aggiustava in modo perfetto, ma almeno era una toppa.

Egwene urlò, costringendosi ad alzarsi in piedi. Non lo avrebbe affrontato in ginocchio! Attinse ogni briciolo di Potere che riusciva a trattenere, scagliandolo contro il Reietto con la furia dell’Amyrlin. I due torrenti di Potere schizzarono luce l’uno contro l’altro, con il terreno attorno a M’Hael che si crepava mentre quello vicino a Egwene si ricostruiva. Lei ancora non sapeva cosa stava intessendo. L’opposto del Fuoco Malefico. Il suo fuoco, un flusso di luce e di ricostruzione.

La Fiamma di Tar Valon.

Rimasero a confrontarsi, immobili, per un istante eterno. In quel momento, Egwene sentì la pace scendere su di lei.

Il dolore della morte di Gawyn svanì. Lui sarebbe rinato. Il Disegno sarebbe continuato. Il flusso stesso che lei utilizzava calmò la rabbia e la rimpiazzò con pace. Si protese verso saidar ancora più in profondità, quel conforto lucente che l’aveva guidata per così tanto tempo. E attinse altro Potere.

Il torrente di energia si fece strada attraverso il Fuoco Malefico di M’Hael come un affondo di spada, spazzando via il Potere e viaggiando controcorrente verso la mano protesa di M’Hael. Perforò la mano e gli passò attraverso il petto.

Il Fuoco Malefico scomparve. M’Hael rimase a bocca aperta, barcollando, gli occhi sgranati, poi si cristallizzò da dentro, come congelando nel ghiaccio. Da lui crebbe un bellissimo cristallo multicolore. Come un diamante grezzo, uscito dal cuore della terra stessa. In qualche modo Egwene sapeva che la Fiamma avrebbe avuto molto meno effetto su una persona che non si era votata all’Ombra.

Si aggrappò al Potere che tratteneva. Ne aveva incamerato troppo. Sapeva che, se avesse allentato la stretta, l’avrebbe consumata, rendendola incapace di incanalare un’altra goccia. Il Potere la inondò in quest’ultimo momento.

Qualcosa tremolava lontano verso nord. Lo scontro di Rand continuava. Le crepe nella terra si espandevano. Il fuoco malefico di M’Hael e Demandred aveva svolto il suo compito.

Il mondo qui si stava sgretolando. Linee nere si irradiavano per le Alture e nella sua mente le vide aprirsi, la terra andare in pezzi e spalancarsi un vuoto che risucchiava dentro di sé tutta la vita.

«Attenta alla luce» sussurrò Egwene.

«Madre?» Leilwin era ancora inginocchiata accanto a lei. Attorno a loro, centinaia di Sharani si alzarono da terra.

«Attenta alla luce, Leilwin» disse Egwene. «Come Amyrlin Seat, io ti ordino: trova i sigilli della prigione del Tenebroso e spezzali. Fallo nel momento in cui risplende la luce. Solo allora può salvarci…»

«Ma…»

Egwene intessé un passaggio e avvolse Leilwin in Aria, spintonandola per metterla al sicuro. Mentre andava, Egwene disfece il vincolo della donna, recidendo il loro breve legame.

«No!» gridò Leilwin.

Il passaggio si chiuse. Fratture nere che davano sul nulla si espansero tutt’attorno a Egwene mentre fronteggiava le centinaia di Sharani. Le sue Aes Sedai avevano combattuto con forza e valore, ma quegli incanalatori sharani resistevano ancora. La circondarono, alcuni timidi, altri sorridevano trionfanti.

Lei chiuse gli occhi e attinse il Potere. Più di quanto una donna avrebbe potuto, più di quanto era giusto. Ben oltre ogni sicurezza, ben oltre ogni saggezza. Questo sa’angreal non aveva nessun limitatore per impedirlo.

Il suo corpo era esausto. Lo sacrificò e divenne una colonna di luce, liberando la Fiamma di Tar Valon nel terreno sotto di lei e in alto nel cielo. Il Potere la lasciò in un’esplosione tranquilla e bellissima, riversandosi sopra gli Sharani e sigillando le crepe create dal suo scontro con M’Hael.

L’anima di Egwene si separò dal corpo che crollava e si posò su quell’onda, cavalcandola dentro la Luce.


Egwene morì.

Rand urlò dall’incredulità, dalla rabbia, dalla tristezza.

«Non lei! Non lei!» morti sono miei.

«Shai’tan!» urlò Rand. «Non lei!»

Li ucciderò tutti, avversario.

Rand si chinò, stringendo forte gli occhi. Vi proteggerò, pensò. Qualsiasi altra cosa accada, farò in modo che siate sani e salvi, lo giuro. Lo giuro…

Oh, Luce. Il nome di Egwene si aggiunse alla lista dei morti. Quella lista continuava a crescere, rimbombando nella sua mente. I suoi fallimenti. Così tanti fallimenti.

Sarebbe dovuto essere in grado di salvarli.

Gli attacchi del Tenebroso continuarono, cercava di fare a pezzi Rand e schiacciarlo, tutto allo stesso tempo.

Oh, Luce. Non Egwene.

Rand chiuse gli occhi e crollò, respingendo a malapena l’attacco successivo.

L’oscurità lo avvolse.


Leane sollevò il braccio, schermandosi gli occhi contro quell’eccezionale esplosione di luce. Ripulì il fianco della collina dalla sua oscurità e — per un momento — lasciò solo brillantezza. Gli Sharani rimasero immobili dov’erano, proiettando ombre mentre si cristallizzavano.

La colonna di Potere si levò alta nell’aria, come un faro, poi svanì.

Leane crollò in ginocchio, una mano posata sul terreno per tenersi salda. Una coltre di cristalli ammantava il terreno, crescendo sopra roccia spezzata e ricoprendo il paesaggio sfregiato. Dove si erano aperte fratture, adesso c’erano cristalli, simili a minuscoli fiumi.

Leane si alzò in piedi e avanzò lentamente, superando gli Sharani bloccati nel cristallo, fuori dal tempo.

Nel centro stesso dell’esplosione, Leane trovò una colonna di cristallo ampia quanto un antico albero di ericacea, che si innalzava in aria per una cinquantina di piedi. Immobile al centro c’era una verga scanalata, il sa’angreal di Vora. Non c’era segno dell’Amyrlin in persona, ma Leane sapeva.

«L’Amyrlin Seat è caduta» urlò una Aes Sedai lì vicino in mezzo agli Sharani cristallizzati. «L’Amyrlin Seat è caduta!»


Il tuono rombava. Berelain alzò lo sguardo dal lato del letto, poi si alzò. La mano di Galad scivolò via dalla sua mentre si dirigeva verso la finestra nel muro di pietra.

Il mare ribolliva e si infrangeva contro le rocce all’esterno, ruggendo come adirato. Forse addolorato. Schiuma bianca schizzava violenta verso nuvole dove il fulmine proiettava una luce frammentata. Mentre osservava, quelle nubi si addensarono nella notte, sempre che fosse possibile. Più scure.

Mancava ancora un’ora all’alba. Ma le nuvole erano così nere che lei sapeva che non avrebbe visto il sole, quando fosse sorto. Tornò al fianco di Galad, si sedette e gli prese la mano. Quando sarebbe venuta una Aes Sedai a Guarirlo?

Era ancora incosciente, tranne qualche sussurro dovuto agli incubi. Si rigirò e qualcosa scintillò al suo collo.

Berelain gli mise una mano sotto la camicia, tirando fuori un medaglione. Aveva la forma di una testa di volpe. Vi sfregò sopra le dita.

«…da Cauthon…» mormorò Galad, gli occhi chiusi. «Spero…»

Berelain rifletté per un momento, percependo quell’oscurità là fuori come se fosse quella del Tenebroso, che soffocava la terra e si insinuava attraverso le finestre e sotto le porte. Si alzò, lasciò Galad e si allontanò a passi rapidi, portando con sé il medaglione.


«L’Amyrlin Seat è morta» riferì Arganda.

Sangue e dannate ceneri, pensò Mat. Egwene. Anche Egwene? Lo colpì come un pugno in faccia.

«Inoltre,» continuò Arganda «le Aes Sedai riferiscono di aver perso oltre metà dei loro numeri. Quelle rimaste affermano… E sono testuali parole… che ‘non potrebbero incanalare Unico Potere sufficiente a sollevare una piuma’. Sono fuori dalla battaglia.»

Mat grugnì. «Quanti incanalatori sharani hanno eliminato?» chiese, preparandosi al peggio.

«Tutti quanti.»

Mat guardò Arganda e si accigliò. «Cosa?»

«Tutti gli incanalatori» disse Arganda. «Tutti quelli che stavano combattendo le Aes Sedai.»

«Questo è qualcosa» disse Mat. Ma Egwene…

No. Non doveva pensare a quello ora. Lei e le sue Aes Sedai avevano fermato gli incanalatori sharani.

Gli Sharani e i Trolloc arretrarono dalle linee del fronte per raggrupparsi. Mat colse l’opportunità per fare lo stesso.

Le sue forze — quello che ne restava — erano sparpagliate per le Alture. Aveva radunato tutti quelli che gli rimanevano. Gli uomini delle Marche di Confine, i Fautori del Drago, Loial e gli Ogier, le truppe di Tam, i Manti Bianchi, soldati della Banda della Mano Rossa. Combattevano duramente, ma il loro nemico era in netta superiorità numerica. Era già un problema quando avevano solo gli Sharani con cui lottare, ma una volta che i Trolloc avevano sfondato sul margine orientale delle Alture, erano stati costretti a difendersi su due fronti. Nel corso dell’ora appena passata erano stati spinti indietro per più di mille passi, approssimativamente in direzione nord, e le retrovie avevano quasi raggiunto la fine dell’altopiano.

Questa sarebbe stata l’ultima spinta. La fine della battaglia. Ora che gli incanalatori sharani non c’erano più, Mat non sarebbe stato spazzato via immediatamente, ma Luce… Rimanevano così tanti dannati Trolloc. Mat aveva danzato bene questa danza. Lo sapeva. Ma c’era un limite a quello che un uomo poteva fare. Perfino il ritorno di Tuon poteva non essere sufficiente, se ci fosse stato.

Arganda gestiva i rapporti dalle altre zone del campo di battaglia: era ferito tanto gravemente da non poter combattere e non restava nessuno che avesse ancora abbastanza Potere da dedicare alla Guarigione. Svolgeva bene il suo lavoro. Brav’uomo. A Mat sarebbe potuto tornare utile nella Banda.

I Trolloc si radunarono per la loro spinta, spostando nuovamente i cadaveri che li ostacolavano e schierandosi in manipoli con Myrddraal che li guidavano. Quello avrebbe dato a Mat cinque o dieci minuti per prepararsi. Poi sarebbe iniziato.

Lan gli si avvicinò, l’espressione torva. «Cosa vorresti che facessero i miei uomini, Cauthon?»

«Tenetevi pronti per combattere quei Trolloc» disse Mat. «Qualcuno ha controllato con Mayene di recente? Questo sarebbe un momento meraviglioso per fard rimandare qualche fila di uomini che sono stati Guariti.»

«Lo controllerò per te» disse Lan. «E poi preparerò i miei uomini.»

Mat frugò nelle bisacce mentre Lan si allontanava. Tirò fuori lo stendardo di Rand, quello degli antichi Aes Sedai. Lo aveva raccolto prima, pensando che forse sarebbe potuto tornare di qualche utilità. «Qualcuno lo innalzi. Stiamo combattendo nel dannato nome di Rand. Mostriamo all’Ombra che ne siamo fieri.»

Dannil prese lo stendardo, trovando una lancia da usare come asta. Mat trasse un respiro profondo. Dal modo in cui parlavano gli uomini delle Marche di Confine, pensavano che tutto questo sarebbe terminato in una carica gloriosa, eroica e suicida. Era così che terminavano sempre le canzoni di Thom… Il tipo di canzoni in cui Mat aveva sperato di non trovarsi mai. Quella era una speranza flebile, ora.

Pensa, pensa. In lontananza, i corni dei Trolloc iniziarono a suonare. Tuon era in ritardo. Sarebbe arrivata? In segreto sperava che non lo facesse. Con la battaglia che stava andando così male, perfino i Seanchan potevano non essere sufficienti.

Gli serviva un varco. Andiamo, fortuna! Si aprì un altro passaggio e Arganda andò a prendere il rapporto del messaggero. Mat non aveva bisogno di sentire per rendersi conto di quale tipo di notizie si trattava, dal momento che Arganda, mentre tornava, aveva le ciglia aggrottate.

«D’accordo» disse Mat con un sospiro. «Dammi le notizie.»

«La Regina dell’Andor è morta» disse Arganda.

Dannate ceneri! Non Elayne! Mat provò un sussulto dentro. Rand… Mi dispiace. «Chi comanda lì? Bashere?»

«Morto» disse Arganda. «Anche sua moglie. Sono caduti durante un attacco ai picchieri andorani. Abbiamo perso anche sei capoclan aiel. Non c’è nessuno al comando degli Andorani o degli Aiel al letto del fiume. Si stanno disgregando rapidamente.»

«Questa è la fine!» La voce amplificata di Demandred si riversò su Mat dall’altro capo dell’altopiano. «Lews Therin vi ha abbandonato! Lanciate le vostre urla a lui mentre morite. Fategli sentire il vostro dolore.»

Erano alle ultime mosse della partita e Demandred aveva giocato bene. Mat passò in rassegna il suo esercito di truppe esauste, in gran parte composte da feriti. Erano in una situazione disperata, non si poteva negarlo.

«Mandate a chiamare le Aes Sedai» disse Mat. «Non m’importa se dicono che non possono sollevare una piuma. Forse quando si tratterà delle loro vite troveranno un po’ di forza per una palla di fuoco qua e là. Inoltre, i loro Custodi possono comunque combattere.»

Arganda annuì. Lì vicino si aprì un passaggio e ne uscirono due Asha’man dall’espressione tormentata. Naeff e Neald avevano segni di bruciature sulla pelle, e la Aes Sedai di Naeff non era con loro.

«Ebbene?» chiese Mat ai due.

«È fatta» disse Neald con un grugnito.

«E Tuon?»

«Hanno trovato la spia, a quanto pare» disse Naeff. «L’imperatrice sta aspettando di tornare a un tuo segnale.»

Mat inspirò, assaporando l’aria del campo di battaglia, percependo il ritmo del combattimento che aveva preparato. Non sapeva se poteva vincere, perfino con Tuon. Non con l’esercito di Elayne allo sbando, non con le Aes Sedai indebolite al punto da essere incapaci di incanalare. Non senza Egwene, la sua testardaggine da Fiumi Gemelli, la sua spina dorsale di ferro. Non senza un miracolo.

«Falla venire, Naeff» disse Mat. Chiese carta e penna e scribacchiò un messaggio che porse all’Asha’man. Scacciò il desiderio egoista di lasciar scappare Tuon in salvo. Dannate ceneri, non c’era nessun posto sicuro. «Da’ questo all’imperatrice, Naeff; dille che queste istruzioni devono essere eseguite alla lettera.»

Poi Mat si voltò verso Neald. «Voglio che tu vada da Talmanes» disse. «Fallo procedere con il piano.» due incanalatori si allontanarono a consegnare i loro messaggi.

«Sarà sufficiente?» chiese Arganda.

«No» disse Mat.

«Allora perché?»

«Perché sarò un Amico delle Tenebre prima di lasciare questa battaglia senza aver tentato tutto quanto, Arganda.»

«Lews Therin!» tuonò Demandred. «Vieni ad affrontarmi!

So che osservi questa battaglia! Unisciti a essa! Combatti!»

«Di sicuro mi sono stancato di quell’uomo» disse Mat.

«Cauthon, guarda, quei Trolloc si sono raggruppati» disse Arganda. «Penso che stiano per attaccare.»

«Allora ci siamo; schieriamoci» disse Mat. «Dov’è Lan? È già tornato? Odierei fare questo senza di lui.»

Mat si voltò, cercandolo tra le file mentre Arganda sbraitava ordini. All’improvviso la sua attenzione fu riportata indietro quando Arganda lo afferrò per il braccio, indicando verso i Trolloc. Mat provò un brivido quando vide alla luce dei falò un cavaliere solitario su uno stallone nero caricare contro il fianco destro dell’orda di Trolloc, diretto verso il pendio orientale delle Alture. Verso Demandred.

Lan era andato a combattere una guerra per conto suo.


I Trolloc graffiavano il braccio di Olver nella notte, allungando le mani nella fenditura, cercando di strapparlo via da lì. Altri scavavano ai lati e della terra cadeva su di lui, attaccandosi alle lacrime sulle guance e al sangue che scorreva dai suoi graffi.

Non riusciva a smettere di tremare. Non riusciva nemmeno a convincersi a muoversi. Tremava terrorizzato mentre le bestie lo pungolavano con dita luride, scavando sempre più vicino.


Loial sedeva su un ceppo, riposandosi prima che la battaglia riprendesse.

Una carica. Sì, sarebbe stato un buon modo per terminare tutto questo. Loial si sentiva dolorante dappertutto. Aveva letto parecchio sulle battaglie e aveva partecipato a combattimenti in precedenza, perdo sapeva cosa aspettarsi. Ma conoscere una cosa e sperimentarla era completamente diverso; era stato proprio quello il motivo per cui aveva lasciato lo stedding.

Dopo più di un giorno di combattimento ininterrotto, i suoi arti bruciavano per una profonda fatica interiore. Quando sollevò la sua ascia, sentì la testa così pesante che si domandò perché non rompesse il manico.

Guerra. Avrebbe potuto vivere senza sperimentarla. Era molto più di ciò che era stata la battaglia frenetica ai Fiumi Gemelli. Lì, almeno, avevano avuto tempo per togliere i morti e prendersi cura dei loro feriti. Lì si era trattato di non cedere terreno e reggere contro ondate di attacchi.

Qui non c’era tempo per aspettare, non c’era tempo per pensare. Erith sedeva per terra accanto al suo ceppo, e lui le mise una mano sulla spalla. Lei chiuse gli occhi e si appoggiò contro di lui. Era bellissima, con orecchie perfette e sopracciglia meravigliose. Loial non guardò le macchie di sangue sui vestiti: temeva che in parte fosse suo. Le massaggiò la spalla con dita così stanche che riusciva a malapena a sentirsele.

Loial aveva preso alcuni appunti sul campo di battaglia, per sé stesso e per altri, per tenere nota di come era andata la battaglia finora. Sì, un attacco finale. Quello sarebbe stato una buona conclusione per la storia, quando l’avesse scritta.

Fingeva che avrebbe comunque scritto la storia. Non c’era nulla di male in una bugia così piccola.

Un cavaliere comparve all’improvviso dalle file dei soldati, galoppando verso il fianco destro dei Trolloc. Mat non sarebbe stato contento di quello. Un uomo, da solo, sarebbe morto. Loial era sorpreso di provare dolore per la vita perduta di quell’uomo, dopo tutta la morte a cui aveva assistito.

Quell’uomo sembra familiare, pensò Loial. Sì, era il cavallo. Aveva già visto quel cavallo, molte volte. Lan, pensò, inebetito. È Lan quello che sta cavalcando là fuori da solo.

Loial si alzò.

Erith lo guardò mentre si metteva l’ascia in spalla.

«Aspetta» le disse Loial. «Combatti accanto agli altri. Io devo andare.»

«Andare?»

«Devo assistere a questo» disse Loial. La caduta dell’ultimo Re dei Malkieri. Avrebbe dovuto includerlo nel suo libro.


«Preparatevi a caricare!» urlò Arganda. «Uomini, in formazione! Arcieri davanti, poi cavalleria, fanteria, preparatevi ad arrivare da dietro!»

Una carica, pensò Tam. Sì, è la nostra unica speranza. Dovevano continuare a spingere, ma la loro fila era così sottile. Poteva capire cosa aveva tentato Mat, ma non avrebbe funzionato.

Ma dovevano combattere comunque.

«Be’, lui è morto» disse un mercenario vicino a Tam, indicando con il capo Lan Mandragoran mentre cavalcava verso il fianco dei Trolloc. «Dannati uomini delle Marche di Confine.»

«Tam…» disse Abell accanto a lui.

Sopra di loro, il cielo divenne più scuro. Era possibile, di notte? Quelle terribili nuvole ribollenti parevano abbassarsi sempre più. Tam quasi perse la figura di Lan in sella allo stallone nerissimo, malgrado i falò che ardevano sulle Alture. La loro luce sembrava fievole.

Sta cavalcando da Demandred, pensò Tam. Ma c’è un muro di Trolloc a frapporsi. Tam tirò fuori una freccia con uno straccio intriso di resina legato dietro la punta e la incoccò al suo arco. «Uomini dei Fiumi Gemelli, preparatevi a tirare!»

Il mercenario lì vicino rise. «Quelli sono almeno cento passi! Semmai fornirete le frecce a loro!»

Tam fissò l’uomo, poi prese la sua freccia e mise la punta su una torcia. Lo straccio arrotolato dietro la punta prese fuoco. «Prima fila, al mio segnale!» urlò Tam, ignorando gli altri ordini che giungevano lungo la fila. «Diamo a Lord Mandragoran qualcosina per mostrargli la via!»

Tam tese l’arco con un movimento fluido, lo straccio ardente che gli riscaldava le dita, e tirò.


Lan caricò verso i Trolloc. La sua lancia e i suoi tre rimpiazzi erano andati in pezzi ore prima. Al collo indossava il medaglione freddo che Berelain gli aveva mandato attraverso il passaggio con un semplice messaggio.

Non so come abbia fatto Galad ad avere questo, ma credo volesse che lo mandassi a Cauthon.

Lan non rifletté su quello che stava facendo. Il vuoto non permetteva tali cose. Alcuni uomini lo avrebbero definito avventato, imprudente, sucida. Il mondo di rado veniva cambiato da uomini che non erano disposti a provare a essere almeno in un modo dei tre. Mandò quanto conforto poteva alla lontana Nynaeve attraverso il legame, poi si preparò a combattere.

Mentre Lan si avvicinava ai Trolloc, le bestie organizzarono una fila di lance per fermarlo. Un cavallo si sarebbe impalato cercando di passarvi a forza. Lan inspirò, calmo all’interno del vuoto, progettando di tagliare la punta della prima lancia, poi farsi largo attraverso la fila.

Era una manovra impossibile. Tutto ciò che ai Trolloc occorreva fare era comprimerlo e rallentarlo. Dopodiché avrebbero potuto sopraffare Mandarb e tirare Lan giù di sella.

Ma qualcuno doveva distruggere Demandred. Con il medaglione al collo, Lan sollevò la spada.

Una freccia ardente precipitò giù dal cielo e colpì la gola del Trolloc proprio di fronte a Lan. Senza esitare, Lan usò il Trolloc caduto come breccia nella fila di lance. Si precipitò tra la Progenie dell’Ombra, travolgendo quello caduto. Gli sarebbe servito…

Cadde un’altra freccia, abbattendo un Trolloc. Poi un’altra e un’altra ancora, in rapida successione. Mandarb galoppò fra i Trolloc confusi, in fiamme e morenti mentre un’intera pioggia di frecce infuocate cadeva di fronte a lui.

«Malkier!» urlò Lan, spronando Mandarb in avanti, travolgendo cadaveri ma mantenendo velocità mentre la via si apriva. Una grandine di luce cadde davanti a lui, ciascuna freccia precisa, uccidendo un Trolloc che cercava di pararglisi davanti.

Caricò tra le file, spingendo via Trolloc morenti, con le frecce infuocate che guidavano il suo percorso nell’oscurità come una strada. I Trolloc erano numerosi da ciascun lato, ma quelli di fronte a lui continuarono a cadere finché non ce ne furono più.

Grazie, Tam.

Lan fece procedere il suo destriero al piccolo galoppo lungo il pendio orientale delle Alture, ora da solo, superati i soldati e la Progenie dell’Ombra. Era una cosa sola con la brezza che gli soffiava tra i capelli, una cosa sola con l’animale muscoloso sotto di lui che lo portava con sé, una cosa sola con il bersaglio che era la sua meta, il suo destino.

Demandred rimase immobile al suono degli zoccoli, i compagni Sharani che si alzavano di fronte a lui.

Con un ruggito, Lan spronò Mandarb contro gli Sharani che gli bloccavano la strada. Lo stallone balzò, le zampe anteriori che sbattevano a terra le guardie davanti a lui. Mandarb ruotò, i fianchi che facevano cadere altri Sharani e le zampe che calavano su altri ancora.

Lan si gettò giù dalla sella — Mandarb non aveva alcuna protezione contro i flussi, perciò combattere dalla sella sarebbe stato come invitare Demandred a uccidere il suo destriero — e colpì il terreno di corsa, la spada sguainata.

«Un altro?» ruggì Demandred. «Lews Therin, stai cominciando a…»

Si interruppe quando Lan lo raggiunse e si lanciò in ‘lanugine del cardo nel vento’, una forma con la spada offensiva e tempestosa. Demandred alzò di scatto la spada, intercettando il colpo sulla sua arma e slittando all’indietro di un passo per la forza dell’impatto. Si scambiarono tre colpi, rapidi come saette, con Lan ancora in movimento finché l’ultimo scalfì Demandred sulla guancia. Lan avvertì un lieve strattone e del sangue sprizzò in aria.

Demandred si tastò la ferita sulla guancia e sgranò gli occhi. «Oli sei tu?» domandò.

«Sono l’uomo che ti ucciderà.»


Min alzò lo sguardo dalla schiena del suo torm mentre balzava verso il passaggio per tornare al Campo di Merrilor. Sperava che avrebbe resistito alla frenesia della battaglia una volta arrivati lì. In lontananza splendevano falò e torce, come lucciole che illuminavano scene di valore e determinazione. Osservò le luci tremolare, le ultime braci di un fuoco che si sarebbe estinto presto.

Lontano, a nord, Rand tremolò.


Il Disegno ruotava attorno a Rand, costringendolo a osservare. Guardò attraverso occhi da cui sgorgavano lacrime. Vide la gente lottare. La vide cadere. Vide Elayne, prigioniera e sola, con un Signore del Terrore che si apprestava a strapparle i bambini dal ventre. Vide Rhuarc, la sua mente perduta, ora semplice pedina di una dei Reietti.

Vide Mat, disperato, di fronte a forze impari.

Vide Lan che cavalcava verso la morte.

Le parole di Demandred scavavano dentro di lui. La pressione del Tenebroso continuava a lacerarlo.

Rand aveva fallito.

Ma in fondo alla sua mente, una voce. Fragile, quasi dimenticata.

Lascia andare.


Lan non tratteneva nulla.

Non combatteva come aveva insegnato a Rand. Non saggiava con cautela, non stimava il terreno, non valutava attentamente. Demandred poteva incanalare e, nonostante il medaglione, Lan non poteva dare al suo nemico tempo per pensare, tempo per ordire flussi e scagliargli contro delle rocce o aprire la terra sotto di lui.

Lan si rifugiò in profondità dentro il vuoto, permettendo all’istinto di guidarlo. Andò oltre la mancanza di emozioni, consumando tutto. Non gli serviva valutare il terreno, poiché percepiva la terra come se fosse parte di lui. Non aveva bisogno di saggiare la forza di Demandred. Uno dei Reietti, con molti decenni di esperienza, sarebbe stato lo spadaccino più esperto che Lan avesse mai affrontato.

Lan era vagamente consapevole degli Sharani, allargatisi per formare un ampio cerchio attorno ai due contendenti mentre combattevano. A quanto pareva, Demandred aveva così tanta fiducia nelle proprie capacità che non permetteva ad altri di interferire.

Lan ruotò in una sequenza di attacchi. ‘L’acqua scorre a valle’ divenne ‘turbine sulla montagna’, che divenne ‘il falco si tuffa nel cespuglio’. Le sue forme erano come torrenti che confluivano in un fiume sempre più grande. Demandred combatteva come Lan aveva temuto. Anche se le forme dell’uomo erano leggermente diverse da quelle che Lan conosceva, gli anni non avevano cambiato la natura del combattimento con la spada.

«Sei… bravo…» disse Demandred con un grugnito, indietreggiando davanti a ‘vento e pioggia’ con una linea di sangue che gli colava dal mento. La spada di Lan guizzò nell’aria riflettendo la luce rossa di un falò vicino.

Demandred rispose con ‘colpire la scintilla’, che Lan anticipò, contrastandola. Ricevette un graffio lungo il fianco, ma lo ignorò. Lo scambio fece indietreggiare Lan di un passo e diede a Demandred l’opportunità di raccogliere una roccia con l’Unico Potere e scagliargliela contro.

In profondità dentro il vuoto, Lan avvertì la pietra arrivare. Era una comprensione del combattimento che scorreva in profondità dentro di lui, fino alla vera essenza della sua anima. Il modo in cui Demandred si muoveva, la direzione in cui guizzavano i suoi occhi, dicevano con esattezza a Lan cosa stava per succedere.

Mentre fluiva nella forma della spada successiva, Lan si portò l’arma davanti al petto e indietreggiò. Una pietra delle dimensioni della testa di un uomo passò dritto davanti a lui. Lan fluì in avanti, il braccio che si muoveva nella prossima forma mentre un’altra pietra vi volava sotto, strattonando vento con sé. Lan sollevò la spada e fluì attorno alla traiettoria di una terza pietra, che lo mancò di un pollice, increspandogli i vestiti.

Demandred parò l’attacco di Lan, ma il suo respiro era affannoso. «Chi sei tu?» sussurrò di nuovo Demandred. «Nessuno di questa Epoca ha una tale abilità. Asmodean? No, no. Lui non avrebbe potuto combattermi a questo modo. Lews Therin? Sei tu dietro quella faccia, vero?»

«Sono solo un uomo» mormorò Lan. «È tutto ciò che sono sempre stato.»

Demandred ringhiò, poi lanciò un attacco. Lan rispose con ‘le pietre che rotolano dalla montagna’, ma la furia di Demandred lo costrinse a indietreggiare di qualche passo.

Malgrado l’offensiva iniziale di Lan, Demandred era lo spadaccino migliore. Lan lo sapeva grazie allo stesso senso che gli diceva quando colpire, quando parare, quando muoversi e quando indietreggiare. Forse, se fossero arrivati a questo scontro a pari condizioni, sarebbe stato diverso. Non era così. Lan aveva combattuto per una giornata intera e, anche se era stato Guarito dalle ferite peggiori, quelle più piccole gli facevano ancora male. Oltre a quello, la Guarigione era estenuante di per sé.

Demandred era ancora fresco. Il Reietto smise di parlare e rimase assorbito nel duello. Smise anche di usare l’Unico Potere, concentrandosi solo sulla scherma. Non sogghignò quando ottenne il vantaggio. Non sembrava un uomo che sorrideva molto spesso.

Lan scivolo via da Demandred, ma il Reietto lo incalzò con il cinghiale si precipita dalla montagna’, spingendo di nuovo Lan fino al perimetro del cerchio, colpendo ripetutamente le sue difese, tagliandolo sul braccio, poi sulla spalla e infine sulla coscia.

Ho solo tempo per un’ultima lezione…

«Sei mio» ringhiò finalmente Demandred, il respiro affannoso. «Chiunque tu sia, sei mio. Non puoi vincere.»

«Non mi hai ascoltato» sussurrò Lan.

Un’ultima lezione. La più dura…

Demandred colpì e Lan vide la sua opportunità. Lan si scagliò in avanti, mettendo la punta della spada di Demandred contro il proprio fianco e infilzandosi su di essa.

«Non sono qui per vincere» bisbigliò Lan con un sorriso. «Sono qui per ucciderti. La morte è più leggera di una piuma.»

Demandred sgranò gli occhi e cercò di tirarsi indietro. Troppo tardi. La spada di Lan gli trapassò la gola.

Il mondo divenne buio mentre Lan scivolava all’indietro giù dalla spada. Percepì la paura e il dolore di Nynaeve mentre lo faceva, e le inviò il suo amore.

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